15 10 16 NA la.Repubblica condannato v.ce questore

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’ERA il nipote di un boss del Rione Sa-
nità che correva verso la Calabria, a
bordo dell’automobile rapinata mercoledì sera in via Salvator Rosa al pm anticamorra Fabrizio Vanorio, uno dei magistrati
di punta del pool che indaga sulle ramificazioni del clan dei Casalesi. E dunque la svolta nelle indagini, pur arrivata a tempo di record, non scioglie tutti gli interrogativi della vicenda che ha spinto la Procura a rilanciare l’allarme sulla sicurezza delle toghe
più impegnate nel contrasto alla criminalità.
All’indomani della rapina, le telecamere
piazzate lungo l’autostrada Salerno-Reggio
Calabria hanno segnalato la vettura lanciata verso Lagonegro. Nei pressi della cittadina lucana, gli agenti della polizia stradale
hanno bloccato la macchina. A bordo, una
sola persona: Fabio Vastarella, 32 anni.
All’interno, guanti da lavoro e una ricetrasmittente. Le generalità dell’uomo hanno
fatto scattare immediatamente gli investi-
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presenza del suo difensore, l’avvocato Ganfolfo Geraci. Con ogni probabilità però non
è Fabio Vastarella il bandito che, pistola in
pugno e spalleggiato da tre complici, ha rapinato il pm. La caccia al commando prosegue, si lavora sugli identikit di pregiudicati
della zona. Ma allora che ci faceva il nipote
del boss su quella macchina? E soprattutto,
la vettura è stata scelta a caso, oppure nel
mirino c’era proprio un magistrato? Dubbi
a fronte dei quali, almeno per il momento, è
possibile formulare solo ipotesi. La presenza della ricestrasmittente, ad esempio, lascia pensare che Vastarella fosse in collega-
mento con altre persone impegnate nella
gestione di un affare urgente e, verosimilmente, illecito. Una “staffetta criminale”,
sull’auto appena rapinata a un pm anticamorra. Una coincidenza, oppure una minaccia.
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gatori: un fratello del padre di Vastarella,
Patrizio, attualmente libero, è ritenuto dagli investigatori esponente di primissimo
piano di una delle cosche malavitose che si
contendono il controllo delle attività illecite
del Rione Sanità. Altri due zii di Fabio sono
stati assassinati in due diversi agguati: Giuseppe Vastarella ad aprile, nella strage delle Fontanelle in cui perse la vita anche Salvatore Vigna, Vittorio alla fine di agosto. L’arresto è giunto all’esito di un lavoro in sinergia tra la squadra mobile di Napoli diretta
da Fausto Lamparelli e schierata, sul terreno, con il sostituto commissario Raffaele
Giardiello, il commissariato Dante e la polizia stradale di Sala Consilina, che su segnalazione dei colleghi di via Medina, ha bloccato la vettura mentre si dirigeva verso la Calabria.
Ora Fabio Vastarella è in stato di fermo
nel carcere di Potenza con l’accusa di rapina aggravata in concorso. Lunedì dovrà
comparire davanti al giudice di Lagonegro
per l’udienza di convalida che si terrà alla
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d’ufficio e corruzione
per induzione. Si è concluso
con una condanna a 3 anni e 4
mesi con rito abbreviato il processo
su un’indagine che riguardava fatti
cominciati nel 2009 a Pasquale Trocino, dirigente del commissariato di
Giugliano. Due mesi meno di quelli
chiesti dal pm Stefania Buda, che ha
istruitoil processo e lo ha seguito anche nell’abbreviato. I fatti partivano
da una denuncia di Salvatore D’Emilio, titolare dell’istituto di guardie
giurate “La Vigilanza”. Secondo l’accusa il poliziotto, uno dei più attivi
della questura di Napoli e che ha firmato indagini di rilievo, avrebbe costretto D’Emilio, del quale era amico, ad aprire un conto presso un negozio di abbigliamento dove comprava pullover firmati, che venivano pagati poi dall’imprenditore. Tra questi “regali”, anche un orologio PaneBUSO
rai acquistato in un negozio di piazza dei Martiri, in cambio di un altro
orologio dato in permuta senza versare la differenza. D’Emilio ha raccontato di aver dovuto anche assumere la moglie di un agente di polizia, assunzione durata solo 4 mesi.
Denunciò di averlo fatto per ottenere da Trocino - dirigente del Vasto,
stessa zona dove aveva sede “La Vigilante” - un parere positivo alla richiesta dell’istituto di vigilanza di allargare la propria area di azione .
Pasquale Trocino ha diretto sin da
giovanissimo i commissariati di Giugliano, Santa Maria Capua Vetere e
Vasto-Arenaccia. Fra lui e il chiacchierato patron della “Vigilante”
D’Emilio, i rapporti dapprima di amicizia si ruppero e l’imprenditore presentò un esposto in Procura denunciando vessazioni da parte del poliziotto. I titolari dei negozi e i commessi hanno confermato gli episodi
di acquisti caricati sul conto di D’E-
milio, che si sono verificati fino al
2012.
Inizialmente indagato per abuso
d’ufficio, a Trocino è stata aggiunta
l’accusa di corruzione per istigazione. In un primo tempo nell’indagine
era stato tirato in ballo anche il capo
di gabinetto del Comune di Napoli,
Danilo Del Gaizo, per la stessa vicenda di permessi non accordati all’attività di D’Emilio. Ma poi la sua posizione è stata archiviata. Nel corso delle
indagini il dirigente di polizia chiese
di essere sentito dal pm e ammise di
aver avuto un’amicizia con il capo
delle guardie giurate, ma disse di
non averlo agevolato proprio perché
c’era questa conoscenza tra loro. Il difensore di Trocino, Alfonso Furgiuele, presenterà appello. Il poliziotto è
stato interdetto dal servizio per 5 anni e condannato a pagare la somma
provento del reato, quantificata dal
giudice in circa 2000 euro.
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verificato un
atteggiamento omertoso tipico delle indagini di camorra che non ci aspettavamo», scuote il capo il pm Michele Del Prete durante la requisitoria al processo sull’incendio di
Città della Scienza tenuta ieri assieme al pm Ida Teresi. I due pubblici ministeri hanno chiesto la
condanna a sei anni di reclusione
per l’unico imputato (ma in concorso con ignoti mai identificati)
del rogo divampato la sera del 4
marzo 2013, l’ex custode della
struttura, Paolo Cammarota.
«Un soggetto orientabile e utilizzabile», lo ha definito il pm Del
Prete, sottolineando che le fiamme sono state appiccate «da chi
conosceva i luoghi e da soggetti
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che avevano la possibilità di muoversi». I possibili moventi, evidenziano i magistrati, «sono tanti», ricordando i diversi filoni
dell’inchiesta, compreso quello
dell’indennizzo assicurativo che
poteva far pensare di «incendiare Città della Scienza e salvare capra e cavoli» alla luce dei problemi finanziari.
Dalle intercettazioni emergerebbe un astio di Cammarota verso la dirigenza, ad esempio quando disse, come ricordato dal pm
Teresi, «ora basta, parlo e dico
tutto, faccio salire la m...a galla».
Durante le indagini, ha argomentato il pm Teresi, gli inquirenti
hanno avvertito «la chiara manifestazione di una strategia tesa a
impedire l’accertamento della
verità». I pm non hanno risparmiato giudizi severi sulla situazione amministrativa di Città della Scienza, parlando di «disinteresse e controlli inesistenti», ha
detto il pm Teresi. Il processo, in
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corso con rito abbreviato davanti
al giudice Maria Aschettino, riprenderà il 14 novembre con la
discussione degli avvocati Giorgio Fontana e Ilaria Criscuolo, legali di parte civile rispettivamen-
te per le assicurazioni Generali e
per la cooperativa “Le Nuvole”.
Sia il gip sia il tribunale del Riesame hanno rigettato la richiesta di arresti avanzata dalla Procura nei confronti di Cammarota, che ha sempre respinto le accuse, anche pubblicamente, affermando di sentirsi «un capro
espiatorio». Commenta l’avvocato Luca Capasso, che assiste l’imputato: «Non si può cercare un
colpevole ad ogni costo. Nei confronti di Cammarota non c’è alcun elemento concreto, solo
frammenti. E non è stata battuta
alcuna pista alternativa. Replicheremo alla Procura e confidiamo nella giustizia».
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