L`efficienza energetica ha vita dura nelle

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L'efficienza energetica ha vita dura nelle amministrazioni p
L'efficienza energetica ha vita dura nelle
amministrazioni pubbliche
Nonostante in Italia vi siano validi sistemi di incentivazione, le amministrazioni locali si trovano
davanti a impedimenti insormontabili per fare interventi di efficienza energetica. Diversi i motivi che
vengono spiegati in questo articolo di Mario Gamberale, insieme ad alcune proposte per la Legge di
Stabilità.
Mario Gamberale
L’efficienza energetica degli enti locali è una chimera irraggiungibile nonostante il più
straordinario sistema di incentivazione d’Europa.
A parte gli incentivi a fondo perduto (quando coprono almeno il 70% delle spese eligibili), gli enti
locali non possono utilizzare nessuno degli altri strumenti messi a disposizione dallo Stato per
incentivare l’efficienza energetica e le fonti rinnovabili per una serie di ragioni che qui elenchiamo.
1. Non hanno risorse proprie: negli anni sono stati significativamente ridotti i contributi statali
diretti alla Pubblica Amministrazione e non possono essere aumentate le imposte locali perché
regimentate dalle leggi statali.
In particolare è impietoso il confronto con altri Paesi europei in termini di quota della fiscalità
generale che viene destinata agli enti locali: in Italia solo il 30% delle entrate tributarie totali sono
destinate a Regioni, Provincie e Comuni contro il 50% circa destinato da Germania e Spagna (fonte:
Eurostat - “Taxation Trends in the European Union”, 2013).
2. Le poche risorse raccolte dai Comuni servono per pagare la spesa corrente (personale,
manutenzione stradale, manutenzione aree a verde, bollette, ecc.) e non possono essere distolte per
gli investimenti.
3. I Comuni non possono prendere risorse dalla Cassa Depositi e Prestiti o dal settore
finanziario convenzionale a causa innanzitutto del Patto di Stabilità e poi per la Legge di Stabilità
2016 che, se da un lato ha eliminato il patto interno di stabilità, dall’altro ha introdotto l’obbligo per
l’amministrazione locale di pareggiare i primi cinque titoli di entrata del bilancio comunale con i primi
tre titoli delle uscite.
Tra le entrate ammissibili i mutui sono al titolo sesto, quindi in sostanza la spesa per la realizzazione
dell’opera (che rientra nel titolo secondo delle spese), non avendo un corrispondente nelle entrate,
deve trovare una copertura endogena nel bilancio. Impossibile.
4. Stesso problema si registra con il leasing finanziario per il quale il Comune deve trovare la
medesima copertura.
5. Anche se l’intervento determina un risparmio energetico garantito con fideiussione bancaria
dall’appaltatore superiore alla rata del mutuo, la legge vieta l’indebitamento.
6) Sono state inasprite notevolmente le pene per quelle amministrazioni che sforano il
pareggio di bilancio, andando ad agire sugli stanziamenti degli anni successivi.
Non a caso si deve registrare un fallimento per il Fondo Kyoto introdotto dal Ministero dell'Ambiente
che nella sua terza edizione nel 2015 ha registrato domande per solo 100 milioni di euro su 350
disponibili, per poi vedere realizzati interventi per meno di 20 milioni di € (moltissimi i Comuni che
dopo aver presentato domanda hanno chiesto proroghe sine die).
Lo stesso vale per il Fondo Kyoto 4 del 2016 (Efficientamento energetico degli istituti scolastici e
universitari pubblici) che il Ministero dell’Ambiente deve ora prorogare oltre la scadenza del 17
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ottobre 2016 (prorogato al 30 giugno 2017), visto che le domande ad oggi presentate sono solo 40,
con solo una ventina di Comuni finanziati.
Non va bene neanche per i bandi regionali basati su mutui o prestiti ai Comuni: molte
amministrazioni partecipano e quando si accorgono che il finanziamento non è a fondo perduto si
ritirano.
L’impossibilità di trovare risorse nel bilancio e l’impossibilità di indebitamento impatta anche sulla
capacità dei Comuni di accedere al Conto Termico 2.0, anche nella versione più generosa che
eroga il 65% a fondo perduto: lo strumento è sterile in quanto l’incentivo è dilazionato in cinque
anni e nel migliore dei casi il GSE riesce ad anticipare solo il 26% dell’incentivo preventivamente
(2/5 del contributo).
Il Comune in questo caso deve recuperare almeno il 74% delle risorse ricorrendo al mutuo o a risorse
proprie.
Lo stesso ragionamento vale per i titoli di efficienza energetica, meccanismo che aggiunge oltre
alla dilazione nel tempo dell’erogazione dell’incentivo, anche un incentivo mediamente inferiore, la
difficoltà del coinvolgimento di una ESCo e infine la guerra contro questo meccanismo avviata dal
2014 ad oggi da parte del GSE.
E il tanto sbandierato finanziamento tramite terzi? Strada difficile anche in questo caso in quanto
le procedure sono farraginose, l’amministrazione non conosce le procedure, essendo abituata agli
appalti, le aziende hanno una strutturale difficoltà di accesso al credito bancario.
Insomma l’efficienza energetica nel pubblico ha vita dura.
Le proposte
Per ovviare, almeno in parte a questa situazione, sarebbe opportuno introdurre nella prossima Legge
di Stabilità una clausola che consenta agli enti locali di contrarre mutui a due condizioni:
che il progetto preveda un risparmio energetico annuo superiore al valore della rata (quota
capitale + quota interesse);
che il risparmio sia garantito con fideiussione dall’appaltatore.
In questo modo le amministrazioni locali potrebbero utilizzare opportunamente gli strumenti di
incentivazione messi a disposizione dello Stato (Fondo Kyoto, Conto Termico, Titoli di Efficienza
Energetica, fondi regionali), andando a recuperare risorse dalle bollette energetiche e, al
tempo stesso, scaricando il rischio tecnologico sull’appaltatore che con la fideiussione
garantirebbe la copertura dei mutui.
Mario Gamberale
URL di origine (Salvata il 25/10/2016 - 13:40):
http://www.qualenergia.it/articoli/20161020-efficienza-energetica-ha-vita-dura-nelle-amministrazionipubbliche
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