Luigi e gli altri, sulla via Emilia

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Transcript Luigi e gli altri, sulla via Emilia

21 ottobre 2016 delle ore 21:02
Luigi e gli altri, sulla via Emilia
Artcurial rimette in scena le “Esplorazioni” ideate da Luigi Ghirri. Ne abbiamo parlato con Giulio
Bizzarri, “memoria storica” di quell'esperienza, non solo fotografica
Insieme al collezionista, amico e collaboratore
Giulio Bizzarri, Luigi Ghirri aveva proposto nel
1984, al Comune di Reggio Emilia e alla
Regione Emilia Romagna, una ricerca sul
territorio che coinvolgeva fotografi, artisti,
musicisti, letterati, cineasti e architetti.
L’obiettivo era quello di costruire una
narrazione corale sulla graduale scomparsa
dello scenario agreste di quel tratto di pianura,
a seguito della cementificazione diffusa, della
crescita dei distretti industriali e dell’urbanizzazione
selvaggia. Ora, da Artcurial a Milano, per un
mese sono in scena queste "Esplorazioni sulla
Via Emilia”, in trenta scatti originali e
appartenenti alla collezione privata di Bizzarri,
che non solo ha permesso la mostra, ma ha
anche aggiornato le ricerche sul paesaggio
emiliano promuovendo due installazioni
inedite presentate da Franco Guerzoni e Paolo
Barbaro. Ecco cosa ci ha raccontato. Prima di
parlare della mostra sono curioso di sapere cosa
ricorda di quel periodo, di quelle "
Esplorazioni”. Che clima si respirava? «
Diversamente da oggi, si respirava un clima
proficuo all'incontro fra la politica e la cultura.
Era un bel clima perché gli amministratori
pubblici dimostravano sensibilità per i progetti
culturali senza confonderla con le loro mire
personali o di carriera. Sembrerà strano, ma
nella prima Repubblica – partitocratica –
l'autonomia della cultura dalle logiche di
palazzo o di mercato era meglio garantita di
quanto sia oggi. E c'era un bel clima perché per
noi (penso proprio al lavoro di allora con Ghirri,
Celati, Criscenti) lavorare insieme era una festa.
Eravamo dei professionisti, responsabili
ognuno della qualità del suo lavoro, ma
riuscivamo a esserlo lasciando fuori dalla porta
quelle rivalità, quelle invidie, quelle smanie di
protagonismo che fanno spesso dell'intellettuale
di oggi un pericolo pubblico».
Da emiliano mi sono trovato negli anni
innumerevoli volte a percorrere quel rettilineo
che va da Milano a Piacenza, e poi giù fino a
Bologna e Rimini. Ho sempre pensato che
Ghirri – specialmente lui – sia stato l'unico
fotografo a essere riuscito a dare una possibilità
di visione sublime ai luoghi della via Emilia. È
un po' come se avesse condensato nei suoi scatti,
già dagli anni '70, una complessa messa a fuoco
del genius loci di alcuni territori, superando le
pensanti barriere del documentario eppure
facendo allo stesso tempo un'opera socioantropologica, e poetica. Ghirri, penso, è stato
l'unico capace di calarsi nell'atmosfera quasi
che il suo obiettivo avesse una consistenza
simile all'aria che si respira da quelle parti... «
Su una cosa concordo perfettamente con lei.
Nelle Esplorazioni di trent'anni fa, Luigi - sia
come fotografo che come coordinatore della
parte fotografica del progetto - è stato un
magnifico interprete del nostro proposito di
realizzare con libertà poetica un'indagine geoantropologica. Sono invece molto cauto sulla
questione del genius loci, e dissento da certe
interpretazioni della sua opera che scivolano
nella dimensione magico-metafisica. Gli scatti
di Luigi non sono rappresentazioni di un
paesaggio, sono delimitazioni di uno spazio e
fissazioni del suo tempo usando la fotocamera
come strumento per "scrivere la luce”. Il
processo è tecnico e il risultato non è
un'epifania, è un enigma incantevole. Ma
questo è vero anche per le foto di Kinold e di
Nori, un tedesco e un francese che col genius
loci padano non c'entravano niente».
Come collezionista e come osservatore, chi
vede oggi come "erede” di questa capacità? «
Sono un collezionista a metà, anche a meno di
metà: sono molto selettivo. La mia impressione
è che i nuovi media abbiano moltiplicato gli
autori di foto (e di selfie), al costo inevitabile
di renderne più difficile il potere d'incanto. Era
la profezia pop di Andy Warhol, una bellezza
fredda e democratica alla portata di tutti. Chissà
che il futuro della ricerca della luce non torni
ad essere appannaggio dei pittori». Perché,
secondo lei, oggi c'è così tanto interesse nella
fotografia? «Tutte le forme della cultura di
massa sono seducenti e, con una comunicazione
efficace, trovano un loro pubblico. Ma non mi
sembra che quello della fotografia sia un caso
esemplare. A Reggio Emilia si tengono in
maggio, da una decina d'anni, le Giornate della
Fotografia Europea. Non ci vedo però la
vivacità del settembre letterario di Mantova o
di quello filosofico di Modena, o degli eventi
di Sarzana, di Pordenone e via dicendo».
far questo interrogavano anche disordinatamente
una moltitudine di arti e di saperi. Le
Esplorazioni di oggi hanno invece un debito
ideale verso gli altri valori che Italo Calvino
raccomandava per il XXI secolo (le Lezioni
americane furono pubblicate postume solo nel
1988). La mostra di oggi vuole essere leggera,
rapida, esatta. Tante foto diventano poche, il
lungometraggio di Criscenti diventa un corto,
le cose nuove portate da Guerzoni e da Barbaro
integrano senza aggiungere. Quel che era
sovrabbondante e giustapposto viene sfrangiato,
viene reso compatto. Semplice».
Già all'epoca il lavoro era dedicato al
cambiamento di un territorio. Che cosa è
rimasto dell'identità emiliana fotografata da
Ghirri e compagni allora? «Sarebbe più facile
dire che cosa non è rimasto. Ma la sua domanda
mi fa venire in mente una bella recensione del
documentario di Nino Criscenti che Mario
Soldati scrisse allora per il Corriere: diceva
della bellezza di sentire, nelle interviste a
camionisti e pescatori, le cadenze e i sibili della
parlata emiliana pronunciate in un italiano che
spesso scivolava in parole ed espressioni
dialettali rimanendo tuttavia pienamente
comprensibile. Oggi e per tutt'altra ragione
sono gli immigrati africani, i venditori
ambulanti, che si affrettano a salutarti nel tuo
dialetto: "Ciao biundèin, c'me stèt”? Ma la
domanda era forse sul paesaggio e allora la
risposta si trova nella mostra: la via Emilia è e
rimane, nonostante tutto, un luogo della
persistenza, che gli ultimi trent'anni hanno
ulteriormente sbiadito senza cancellarla.
Bisogna saperla cercare, questa persistenza». Si
immagina cosa avrebbe potuto scattare oggi
Luigi Ghirri, se fosse ancora con noi? Quale
sarebbe stata la sua evoluzione? «Quel che mi
piace immaginare è che ci saremmo inventati
qualcosa di nuovo da fare insieme».
Matteo Bergamini
Il progetto delle "Esplorazioni sulla via Emilia”
era già molto audace trent'anni fa, fatto di
contrapposizioni di voci, di film, di autori: una
joint venture condivisa: un progetto vivo che
oltrepassa i limiti del tempo. Per questo ha
deciso di modificarlo? «Le Esplorazioni del
1986 erano all'insegna della molteplicità,
cercavano di interpretare la via Emilia nella sua
apparentemente irriducibile complessità e per
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