La rassegna di oggi

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RASSEGNA STAMPA CGIL FVG – lunedì 10 ottobre 2016
(Gli articoli di questa rassegna, dedicata prevalentemente ad argomenti locali di carattere economico e sindacale, sono
scaricati dal sito internet dei quotidiani indicati. La Cgil Fvg declina ogni responsabilità per i loro contenuti)
ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE (pag. 2)
Mobilitazione in giallo per la verità di Giulio (Piccolo)
Baretta: inaccettabile la prospettiva dei tagli nelle banche venete (Piccolo)
CRONACHE LOCALI (pag. 4)
Sede unica troppo cara, Confindustria ci ripensa (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
Altran a D’Agostino sul Porto: «Diventi Trieste-Monfalcone» (Piccolo Girizia-Monfalcone)
Gemona e Montenars preparano le “nozze” (M. Veneto Udine)
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ATTUALITÀ, ECONOMIA, REGIONE
Mobilitazione in giallo per la verità di Giulio (Piccolo)
di Fabio Dorigo - «Lo striscione “Verità per Giulio Regeni” non si tocca!». Il titolo della
manifestazione organizzata per oggi (a partire dalle 18.30) da Amnesty International in piazza Unità
andrebbe aggiornato e declinato al plurale. Gli striscioni, appunto. Mentre è sparito quello dal
palazzo del Comune (tolto di mezzo come “un dente cariato” dal sindaco Roberto Dipiazza), sabato
mattina, ne è comparso un altro sul Palazzo del Lloyd Triestino, sede della giunta regionale per
iniziativa della governatrice Debora Serracchiani. Centrodestra vs centrosinistra. La mobilitazione
odierna, convocata prima della battaglia politica degli striscioni in piazza Unità, nasceva per la
concomitanza alla seduta del Consiglio comunale, che avrebbe dovuto discutere la mozione
“urgente” della maggioranza (firmata dai capigruppo di Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia e Lista
Dipiazza) che proponeva la rimozione dello striscione “Verità per Giulio Regeni” di Amnesty, con
la scusa di volere regolamentare l’intera materia. La mozione non sarà però discussa stasera: è stata
ritirata in quanto “superata” dai fatti (ovvero dalla rimozione dello striscione effettuata dal sindaco
in persona). Non è escluso però che il Consiglio comunale possa esaminarne un’altra: quella
unitaria delle opposizioni, in fase di preparazione, che dovrebbe chiedere il riposizionamento del
drappo giallo sulla facciata del Municipio. Ma è alquanto improbabile che la conferenza dei
capigruppo di oggi accolga l’urgenza della proposta del centrosinistra (Pd, Verdi e Insieme per
Trieste) a cui potrebbe aggiungersi il Movimento 5 Stelle. Del resto è stato proprio il capogruppo
Paolo Menis a rendere pubblica per primo la mozione della maggioranza da cui è partito tutto il
caso. Il presidio di questa sera, quindi, rischia di svolgersi in contemporanea a un Consiglio
comunale che parlerà di tutt’altro. In politica capita spesso. Gli organizzatori, però, non demordono
e tengono alta la guardia. «Alla luce degli sviluppi che la vicenda ha avuto in queste ore - spiegano
Maurizio Petroni e Chiara Fabbretti - , ribadiamo ancora una volta che il presidio non ha alcuna
connotazione partitica: in tal senso invitiamo tutte le persone che vorranno essere presenti a
testimoniare solo e unicamente con simboli che riguardano la battaglia per ottenere verità e giustizia
per Giulio Regeni». Un modo per smarcarsi da una strumentalizzazione politica. La pagina
Facebook registra più di 850 partecipanti e 1.300 interessati all’evento. Piazza Unità si prepara a
colorarsi di giallo. «Se non fosse chiaro - spiegano gli organizzatori di Amnesty - l’intento del
riunirsi davanti al palazzo del Comune di Trieste non ha per noi un significato contro una specifica
giunta, ma è contro una specifica decisione, quella di rimuovere pretestuosamente un simbolo di
impegno civile di cui le istituzioni che ci rappresentano devono farsi portatrici. Ci auguriamo che
chi parteciperà all’evento rispetti il silenzio e la sobrietà dovuti alla vicenda che ha coinvolto Giulio
e la sua famiglia. Sia per dimostrare che a Trieste non c'è alcuna “assuefazione visiva”, sia per
ribadire che vogliamo che lo striscione rimanga esposto in segno di vicinanza alla famiglia di
Regeni e a testimonianza di come le nostre istituzioni non si arrendono nella ricerca della verità e
non intendono permettere che su questa vicenda cada il silenzio. Nessun simbolo, nessun partito,
nessuna contrapposizione di sorta! E una battaglia di tutti e per tutti!». Le adesioni di movimenti di
esponenti politici e di movimenti (come i sindacati) saranno a titolo personale. I genitori di Giulio
Regeni, intanto, sono intervenuti in video all’iniziativa dei ricercatori “Ted x Cnr” che si è svolta
nei giorni scorsi al Parco della Musica di Roma. «Sono passati otto mesi dalla sua incomprensibile e
barbara uccisione - spiegano Paola e Claudio Regeni -. Ringraziamo per la solidarietà ma non ci
fermeremo, vogliamo la verità processuale. La ricerca della verità deve più che mai liberarsi da
compromessi economico-politici anche internazionali. La storia di Giulio ci costringe a fare delle
scelte. Liberiamoci dall'indifferenza morale, recuperando la componente etico-morale che deve
accompagnare i processi di ricerca della verità che era tanto cara a Giulio». E questo pomeriggio, a
Trieste, dove Giulio Regeni ha studiato, si capirà se la città è indifferente alla “fame” di verità. O se
invece l’assuefazione visiva, paventata da qualcuno, non è nient’altro che miopia.
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Baretta: inaccettabile la prospettiva dei tagli nelle banche venete (Piccolo)
di Eleonora Vallin - La novità è che il confronto coi sindacati sugli esuberi di Bpvi potrebbe
scattare prima dell’ok al Piano industriale previsto a fine mese. L’ad Iorio ha già illustrato le linee
della strategia, domani presenterà nuovi contenuti; ma servirà un terzo step, dicono a Vicenza, per
l’ok del Cda. I sindacati stimano 1.500 esuberi su 5mila addetti, hanno già dichiarato battaglia e
chiesto l’intervento del governo. Ma per Pierpaolo Baretta, sottosegretario al Mef, la prospettiva del
licenziamento collettivo è «inaccettabile». La cura americana, se confermata, punta a 3500 tagli per
Bpvi e Veneto Banca. Non mi pare una grande idea iniziare dalla fine: se ci dovessero essere
valutazioni sul personale, devono venire a valle di processi industriali e piani di rilancio
dell'azienda. Ciò che ci aspettiamo da manager e azionisti è che dicano come e con che prospettive
l’azienda si muoverà sul mercato e che assetti intravedono. L'idea americana di iniziare svuotando i
cassetti è sbagliata industrialmente e socialmente. Nella peggiore ipotesi quale sarà il ruolo del
governo? A fronte di un piano serio di rilancio delle banche che preveda alleanze e assetti integrati
il governo è disposto a valutare problemi, se ci saranno. Questa è l'impostazione di fondo. In
discussione di legge di bilancio stiamo già lavorando a che il fondo di solidarietà del settore sia
attivo e in grado d’affrontare emergenze. Quali le novità? Mantenimento della copertura a 7 anni,
come chiesto dall’Abi. Se il fondo non bastasse in caso di numeri importanti? Non prendiamo in
considerazione la questione del personale senza piani industriali solidi. L'oggetto non sono gli
esuberi ma il futuro delle banche e tra i bancari non ci sono licenziamenti. Non ci sono mai stati... E
non dovranno esserci domani: il settore bancario ha una gestione specifica e migliorativa. Una cosa
è entrare nel meccanismo pubblico della gestione dei licenziamenti di tipo classico, altra è usare il
fondo. E quando Renzi ha detto meno 150mila bancari nei prossimi 10 anni? Quelle cifre sono state
smentite da palazzo Chigi; non spetta al governo fare piani, il settore bancario deve riorganizzarsi
anche con nuove aggregazioni. Ma se ci concentriamo sul personale perdiamo di vista il punto di
fondo: è come se dicessimo che le banche stanno chiudendo, non è una prospettiva accettabile. I
problemi vengono dalle gestioni non dalla salute delle banche. I sindacati chiedono lo storno di
quanto il settore paga per sostenere la Naspi. Non è possibile, creerebbe un caso. Ma anche il settore
bancario ha diritto a accedere alle risorse. Sono un’azienda in crisi come tante altre. Sì ma con
condizioni specifiche che gli stessi sindacati vogliono mantenere. Domani Bpvi porta in Cda il
piano. Cosa si aspetta? Un piano industriale con molti aspetti e non solo esuberi. Ma io la vedo così:
si discuta delle due banche ma pure di un piano finanziario industriale veneto. Sennò abbiamo solo
un aspetto. Serve una strategia più ampia e noi siamo disponibili a sostenere questa strategia.
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CRONACHE LOCALI
Sede unica troppo cara, Confindustria ci ripensa (Piccolo Gorizia-Monfalcone)
di Massimo Greco Separazione, ma solo condominiale. Confindustria Venezia Giulia (Vg) resta
bicefala accomunando Trieste e Gorizia, però deve rinunciare alla sede unica di Ronchi, dove è in
affitto, a causa dell’eccessiva onerosità gestionale dell’edificio Cosulich, che si staglia ben visibile
di fianco al casello autostradale di Redipuglia. E così la componente triestina se ne tornerà a
palazzo Ralli e quella isontina farà nuovamente rotta verso la goriziana via degli Arcadi.
L’esperimento non è durato molto, circa un anno e mezzo a cavallo dell’aprile dello scorso anno e
della decisione assunta un paio di giorni fa dal consiglio generale della Confindustria giuliana. La
retromarcia logistica sarà organizzata da qui a sei mesi, quindi entro la fine del marzo 2017 la
struttura territoriale si riposizionerà su due filiali. Senza perdere la caratterizzazione unitaria
giuliana, che continuerà a permeare l’organigramma e i servizi. Il presidente Sergio Razeto nega
dissidi e frizioni tra le due “tribù”: il motivo dell’evacuazione di Ronchi - insiste - è di natura
assolutamente economica e non comprometterà il funzionamento “diarchico”. Razeto spiega che il
problema economico-gestionale è frutto di una triplice, negativa convergenza: la crisi, che ha
causato il taglio contributivo da parte di un certo numero di aziende associate; la decisione romana
di attenuare i versamenti delle cosiddette “multisedi” (come Fincantieri), che pagano la quota
associativa in tutti i presidi confindustriali dove hanno i siti produttivi; gli elevati consumi
dell’edificio Cosulich, una struttura energivora tutta in vetro, che costa molto sia col freddo che col
caldo. Il taglio delle quote “multisedi” risale a poche settimane fa ed è stato il colpo alla nuca per
Ronchi. Dell’onerosità gestionale - ammette Razeto - Confindustria Venezia Giulia si è resa conto
mano a mano che venivano recapitate le impegnative bollette. Risultato finale: l’evacuazione di
Ronchi prima che il riscaldamento invernale soffochi lo smagrito bilancio confindustriale. Le sedi
triestina e goriziana sono entrambe di proprietà confindustriale. Lo stesso Razeto precisa che,
sempre in chiave di risanamento finanziario, sono stati fatti interventi sul personale (una ventina di
addetti), in termini di part-time e di ricalibrature contrattuali. Il presidente non smentisce qualche
malumore nei confronti della stessa presidenza e della direzione (Paolo Battilana) associativa, ma le
ritiene tutto sommato fisiologiche. Si sono verificati forfait dolorosi, come quello di un prestigioso
iscritto come Colombin. Razeto spera di riuscire a sedare altri focolai di tensione(vedi Ravizza),
legati anche alla vicenda della Camera di commercio (leggi articolo in basso). «Il momento non è
facile per l’intero mondo associativo, i corpi intermedi attraversano una fase delicata, le tradizionali
rappresentanze di interessi soffrono i cambiamenti in atto nell’economia e nella società», analizza il
presidente. E tutto questo si riverbera anche su un’organizzazione che raccoglie poco meno di 600
imprese, che a loro volta danno lavoro a circa 30 mila persone. Razeto ha ovviamente avvertito il
presidente regionale Giuseppe Bono, che ha preso atto della situazione: «I numeri sono numeri», ha
commentato il manager di Fincantieri (che è la maggiore erogatrice della territoriale
confindustriale). Che la vita si sia fatta aspra per l’associazionismo imprenditoriale lo si era già
visto nel caso dell’Ance (costruttori ed edilizia), che aveva lasciato alcuni mesi fa palazzo Ralli, per
sistemarsi provvisoriamente in piazza Goldoni, in sub-affitto della Settimo. L’operazione “Venezia
Giulia” era decollata sotto favorevoli auspici, come uno dei casi-pilota di aggregazione territoriale.
Il trasloco a Ronchi venne effettuato poco dopo la Pasqua 2015, a seguire l’accorpamento delle due
associazioni: presidente Razeto, vicepresidenti Pierluigi Zamò e Diego Bravar, direttore Flavio
Flamio che venne quasi subito sostituito da Battilana, a sua volta coadiuvato da Sonia Lussi e da
Massimiliano Ciarrocchi. La sede di Ronchi fu alla ribalta della cronaca nazionale quando nel luglio
2015 ospitò una conferenza stampa dell’allora presidente confindustriale Giorgio Squinzi, dedicata
al caso giudiziario che aveva riguardato lo stabilimento Fincantieri di Panzano.
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Altran a D’Agostino sul Porto: «Diventi Trieste-Monfalcone» (Piccolo Girizia-Monfalcone)
di Giulio Garau Vantaggi, opportunità e fondi per le infrastrutture “condivisi” con il porto di
Trieste. È questo che chiede il sindaco di Monfalcone Silvia Altran per lo scalo di Portorosega che
si appresta ad entrare nell’Autorità portuale di sistema dell’Alto Adriatico sotto la guida di Trieste.
La riforma voluta dal governo e che porta la firma del ministro dei Trasporti e infrastrutture
Graziano Delrio è stata definitivamente approvata ma non è ancora “attiva”, mancano le regole su
questa unione, si sa soltanto chi sarà il presidente, il vertice dell’Authority triestina Zeno
D’Agostino. E proprio per questo il sindaco vuole dare i suoi input per la «tutela del ruolo» di
Monfalcone. Input che saranno anticipati oggi all’incontro previsto alle 17.30 a Monfalcone
all’Europalace intitolato “Il Porto di Monfalcone: futuro e sviluppo alla luce dell'atto di governo
303”. Un appuntamento coordinato da Giorgio Brandolin, deputato del Pd e componente della
Commissione Trasporti della Camera e al quale parteciperanno oltre al sindaco Altran l’assessore
regionale alle Infrastrutture Maria Grazia Santoro, il presidente dell’Azienda speciale porto
Gianluca Madriz e lo stesso D’Agostino che, in attesa di diventare ufficialmente presidente
dell’Autorithy di sistema, è ancora commissario di quella di Trieste. «Innanzitutto voglio ragionare
sul “marchio” dell’Autorità portuale di sistema - spiega Altran - che non dovrà essere l’Authorithy
di Trieste. La denominazione dovrà essere Trieste-Monfalcone, ma non sono preoccupata perché
credo che sia già previsto così». I veri nodi infatti sono altri. «Quello che conta è il concetto di
“partecipazione” agli organismi di governo. Non può essere che questo porto del sistema dell’Alto
Adriatico sia governato soltanto da Trieste - aggiunge Altran - ma ci dovrà essere una
rappresentanza equa anche del porto di Monfalcone». L’altro punto di rilievo riguarda i “vantaggi
reciproci”. «I vantaggi per i due porti per il fatto di essere un’Autorità di sistema dovranno essere
comuni - insiste il sindaco - mi riferisco innanzitutto alle opere infrastrutturali. Per Trieste sono stati
previsti tutta una serie di fondi per le opere dello scalo e l’insieme delle misure che vengono prese
per Trieste dovranno essere condivise». Un tema scottante in particolare per Monfalcone che ha un
piano regolatore fermo al 1979 e una situazione infrastrutturale di grande degrado, a cominciare
dall’escavo del canale di accesso, fermo da ben più di 10 anni, sino ai piazzali che attendono da
oltre due anni i lavori dell’impianto di raccolta delle acque reflue (l’impresa è fallita) e le banchine
con zone di ormeggio da rifare. «Non possiamo pensare di dover fare domande separate per i fondi conclude Altran - e così anche per altre situazioni. Una tra queste, e mi rendo conto che non è
automatico e bisognerà discuterne, è la peculiarità del “punto franco” di Trieste. Anche questo è un
vantaggio che spero sia possibile condividere per lo sviluppo del porto di Monfalcone nell’ambito
dell’Autorità portuale di sistema».
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Gemona e Montenars preparano le “nozze” (M. Veneto Udine)
di Piero Cargnelutti - Verso la fusione tra Gemona e Montenars. Inizierà proprio questa settimana il
percorso intrapreso dalle due amministrazioni di Gemona e Montenars che porterà al referendum
consultivo in programma il 6 novembre, nel quale i cittadini dei due paesi saranno chiamati a
esprimersi sul progetto di fusione tra le due realtà amministrative. Il primo incontro con la
popolazione è in programma mercoledì a Montenars e nel corso delle settimane successive sono già
stati fissati diversi appuntamenti in ogni borgo di Gemona, per giungere poi alle assemblee
conclusive sia nel centro pedemontano che a Montenars, a pochi giorni dal voto. In quelle
occasioni, gli amministratori spiegheranno alla gente il perché di questa scelta e alla fine saranno i
cittadini a doversi esprimere in un referendum che è consultivo e che non necessita del quorum: se
vincerà il “sì”, la Regione potrebbe dare dunque il via libera affinché i due Comuni possano
procedere alla fusione, che si presume avverrà nel 2018. Se le cose andranno in questo modo, in
quell’anno si andrà alle elezioni per il nuovo Comune che si chiamerà “Gemona”, ma che avrà
ovviamente una località in più (quella di Montenars) e una popolazione che passerà dagli attuali
11.096 residenti a 11.626. Come si può osservare, il numero degli abitanti non cambierà
notevolmente per Gemona che tuttavia acquisirà 20 chilometri quadrati di territorio montano in più.
Di fatto, era stata l’amministrazione comunale di Montenars, pur con il voto contrario delle
opposizioni, a chiedere a quella di Gemona la fusione. Una richiesta che è stata in seguito accolta
all’unanimità in consiglio comunale. «Ormai – spiega il sindaco Claudio Sandruvi – da dieci anni la
maggior dei servizi, dai vigili urbani all’ufficio tecnico fino ad arrivare alle attività produttive fanno
riferimento a Gemona, senza la quale oggi non potremmo neanche aprire il municipio. I cittadini di
Montenars sono già abituati ad andare a Gemona per utilizzare alcuni servizi, mentre per quanto
riguarda l’anagrafe nel municipio resterà comunque uno sportello a cui rivolgersi. Dunque, non
cambierà niente e anche sul fronte della rappresentanza la stessa legge prevede che per dieci anni
Montenars abbia un suo referente all’interno dell’amministrazione della nuova città». I primi
risparmi – si presume intorno ai 70 mila euro all’anno – che gli amministratori intravedono
riguardano proprio l’operatività degli uffici perché i funzionari non dovranno fare due atti dovendo
far riferimento all’attuale convenzione fra i due Comuni, ma uno solo perché ci sarà un’unica
amministrazione e così pure un unico consiglio e un’unica giunta che gestiranno un unico bilancio.
«Va anche ricordato – spiega Andrea Palese, il consigliere comunale delegato a seguire la fusione –
che la legge prevede trasferimenti per 1,5 milioni di euro nei prossimi anni che saranno utilizzati
per progetti condivisi. Allo stesso tempo si prevede anche la non assoggettabilità ai patti di stabilità
per chi si fonde, che significa possibilità di spesa e investimenti sul territorio, soprattutto in ragione
di due enti che hanno i conti in regola». Infine, gli amministratori hanno già concordato un progetto:
«Montenars – dice il sindaco Paolo Urbani – per noi sarà un valore aggiunto, soprattutto nell’ambito
delle attività sportive e turistiche collegate al progetto Sportland. In quel contesto, vogliamo infatti
sviluppare la pratica del tartufo che è già presente e per il quale abbiamo già avviato delle
collaborazioni con il Comune umbro a noi gemellato di Foligno, dove questa pratica è ben
sviluppata».
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