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PRIMO PIANO
Venerdì 14 Ottobre 2016
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La sigla Sc (appesantita da «verso Cittadini per l’Italia Maie») è diventata ora di Zanetti
Di Monti non resta più niente
L’ex gruppo Sc, alla camera, destinato alla dissoluzione
DI
L
GIANNI MACHEDA’S TURNAROUND
CESARE MAFFI
a manovra avviata
da Enrico Zanetti,
con la supervisione
di Denis Verdini,
ha trovato un esito favorevole. Sul piano della funzionalità, dell’immagine, dei
vantaggi regolamentari, la
coppia Zanetti-Verdini ne
ricava indubbi guadagni,
mercé il nuovo gruppo parlamentare che unisce i (non
troppo numerosi) deputati
che stanno dietro l’uno o
l’altro dei due.
L’intendimento ultimo
resta di costituire un movimento centrista filo renziano, per presentarsi alle
politiche (a italicum
immutato) con propria
lista che superi il 3% e
fornisca una pattuglia
di deputati utile a Matteo Renzi per tenere
a bada gli eletti delle
sinistre democratiche,
che si suppone saranno
in numero ben minore
di oggi.
Se passasse il premio alla coalizione,
il futuro partito di
moderati per Renzi si
abbinerebbe col Pd (da
vedersi, se subito o nel
ballottaggio).
Intanto, serviva a
Zanetti garantirsi i
deputati di Scelta civica, partito di cui è
segretario, a sostegno della
manovra di accostamento a
Verdini e di successiva fusione.
Poiché la maggioranza del
Con Fo se ne va un protagonista della storia repubblicana d’Italia. E anche di quella repubblichina.
***
Ogni riforma costituzionale è specchio del Paese. Nella nostra ci sono i disegni di legge a data
certa. Come le cambiali.
***
Cavalli licenzia un dipendente su tre. Autunno/Inverno nero.
***
‘Ndrangheta, latitante arrestato in Portogallo
dopo denuncia anonima: «C’è uno che paga sempre».
Vignetta di Claudio Cadei
Enrico Zanetti
suo gruppo parlamentare gli
era ostile, il capo dei civici
era uscito dal gruppo alla
fine di luglio, chiedendo,
poco dopo, di poter costituire
un proprio gruppo parlamentare,
sempre con la denominazione di
Sc e con l’apporto
dei verdiniani e di
qualche deputato
sparso. Intanto,
come segretario
di Sc badava a
scindere il legame col gruppo
parlamentare che
ancora serbava la
denominazione
del partito.
Con la recente decisione dell’ufficio di
presidenza, alla
Camera si è formato un nuovo
gruppo zanettian-verdiniano, che s’intitola Sc verso
Cittadini per l’Italia-Maie.
Cittadini per l’Italia è la
dicitura sotto la quale si
sono presentate liste alle
comunali e che (almeno
nelle intenzioni di Zanetti,
mentre Verdini guarda più
alla sostanza che ai nominalismi) potrebbe diventare
la denominazione del nuovo
soggetto politico, sperando
di catalizzare pure Alfano,
Casini e seguaci.
Quanto a Maie, questa sigla, di scarsa notorietà, sta
per Movimento associativo
italiani all’estero, che conta
un seggio a Montecitorio.
L’ex gruppo di Sc, rimasto con una quindicina
di aderenti, assume la curiosa denominazione di Civici e innovatori, mai prima
sperimentata.
Il destino degli altri civici (quelli ufficiali che hanno
seguito Zanetti) e dei verdiniani è perseguire il filo
renzismo per garantirsi sopravvivenza e riciclaggio. I
civici-innovatori, viceversa,
sprovvisti di un partito (fosse pure una larva, come il
movimento guidato da Zanetti), privi di un manovratore parlamentare di soda
esperienza quale Verdini,
sono giudicati detentori di
scarsissime possibilità di
permanenza nell’arengo
politico. Alcuni si aggregheranno al futuro partito
dei moderati renziani, seguendo in ritardo Zanetti,
altri tenteranno l’ingresso in un’altra formazione.
Poiché non dispongono di
seguito personale, non si
vede chi potrebbe cercarne
l’adesione. Anche a guardare al piano meramente
parlamentare, poiché sono
presenti soltanto a Montecitorio, il loro peso nell’ampia
maggioranza della Camera
è irrilevante.
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ALCUNE CIFRE CHIARE ED ANCHE INELUDIBILI SULLO STATO DEI CONTI PUBBLICI ITALIANI
La verità vera (e purtroppo anche amara) è che ogni debito,
sia esso pubblico o privato, rappresenta una perdita di libertà
DI
PIETRO BONAZZA
È
in corso un dibattito tra
Governo, Commissione
Ue agli Affari Economici, Parlamento italiano,
Bankitalia ed economisti nostrani
sul Def 2017 (Documento di Economia e Finanza), in particolare
sul rapporto Deficit di bilancio e
Pil, che il Governo prevede ambiziosamente al 2%, mentre gli altri
interlocutori stimano a livelli più
elevati. Ma nemmeno il nostro ministro dell’Economia pare molto
convinto dell’ottimistico 2%, dal
momento che chiede un’oscillazione al 2,4%, scarto non insignificante, considerando che ogni 0,1%
pesa per 1,7 miliardi di euro.
Per non cadere in equivoci,
sono opportune almeno tre osservazioni: a) significato del rapporto, che, preso in sé, è solo un
numero; b) coefficienti previsti
dalla Ue; c) conseguenze di un deficit di bilancio nella particolare
situazione dell’Italia.
a) Il rapporto deficit/Pil, per
come lo tratta la stampa è indeterminato, perché non precisa se ci
si riferisce al deficit (o disavanzo)
primario o a quello corrente. Se
ci si riferisce al primo, la definizione che ne danno i macroeconomisti è pari alla differenza tra
tutte le entrate e tutte le uscite,
con esclusione degli interessi sul
debito pubblico.
È evidente che le variazioni del
rapporto dipendono dal numeratore e dalla dinamica del denominatore, che per il 2017 è condizionato
dall’ottimismo con cui si guarda al
Pil 2017 previsto, posto che sul valore del numeratore ci sono poche
illusioni per la rigidità della spesa
pubblica, a meno di ipotizzare realisticamente un altro giro di vite
della pressione fiscale;
b) i coefficienti Ue prescrivono: un debito pubblico cumulato
non oltre il 60% del Pil (quello italiano 132,7% nel 2015) e un deficit
di bilancio non oltre il 3% del Pil.
Sembrerebbe, a prima lettura,
una discussione trascurabile quella in corso tra 2 o 2,4%, valori sotto
la soglia del 3%, sennonché bisogna considerare che il disavanzo
crea negatività aggiuntive al primo rapporto che è più del doppio
del parametro Ue;
c) le conseguenze del disavanzo si scaricano immediatamente sul già astronomico debito
pubblico, che, per conseguenza, è
destinato ad aumentare, ma anche
il ricorso alla leva fiscale è problematico, perché, nell’attuale situazione di intolleranza, penalizzerà
il Pil con effetti negativi sul rapporto debito pubblico/Pil.
In questo quadro negativo
sembrano inutili e fuorvianti
tre atteggiamenti:
- le discussioni sul referendum prossimo, sono politicizzate
oltre il buon senso;
- le polemiche sulla permanenza o abbandono dell’euro, che
imitano il comportamento dello
struzzo, perché, dentro o fuori, il
debito pubblico resta un problema esclusivamente nostro e nostri
restano i nodi e i problemi della
politica economica domestica.
Pensiamo forse che ripescata la
lira ci rimetteremmo a stampare
moneta?
La verità amara è che ogni debito, pubblico o privato, è perdita
di libertà;
- i nostri governanti invocano deroghe per terremoto e migranti. Passi per la prima causa,
ma per la seconda, la Ue ci consentirà dilazioni temporali, poi ci lascerà soli, come se lo svuotamento
dell’Africa fosse un problema solo
italiano.
A Bruxelles sono bravi a cantare
la canzone: «Chi ha dato ha dato e
chi ha avuto ha avuto». Nel nostro
caso: islamici a milioni.
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