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È morto Dario Fo - 10-13-2016
di Redazione Sicilia Journal - Sicilia Journal, Giornale online di notizie - http://www.siciliajournal.it
È morto Dario Fo
di Redazione Sicilia Journal - 13, Ott, 2016
http://www.siciliajournal.it/e-morto-dario-fo/
Se n’è andato. L’attore sommo e il sommo drammaturgo. Il regista, lo scenografo, l’impresario. Lo
scrittore e il pittore. L’uomo di sinistra fuori dal coro, il militante senza bandiere. Il giullare che si fa
beffe del potere, il Nobel che fa infuriare gli intellettuali scornati. Dario Fo. Morto a 90 anni e sette mesi
per problemi polmonari. Era ricoverato da 12 giorni all’ospedale sacco di Milano. Un’esistenza lunga e
fortunata. «Esageratamente fortunata», ripeteva lui che a differenza di quelli mai contenti sapeva dire
grazie alla sorte. Quando mai il figlio di un capostazione, nato il 24 marzo del 1926 in un paesino del lago
Maggiore, poteva sognare quel destino buffo che le stelle avevano in serbo per lui? Tutte quelle vite, una
più straordinaria dell’altra, una dentro l’altra, riflesse come in un gioco di specchi capace di moltiplicare
il tempo e le storie. Dagli anni dell’Accademia di Brera, così ricchi di stimoli culturali, ai brutti mesi con
la divisa della Repubblica di Salò «per non finire deportato in Germania». Dai testi radiofonici del Poer
nano all’esordio con Parenti e Durano al Piccolo Teatro con Il dito nell’occhio, all’unica esperienza
cinematografica, con Carlo Lizzani che gli cuce su misura il film Lo svitato. Ma fatale è l’incontro con
Franca, la donna della sua vita, la compagna di scorribande d’arte e d’amore. Di bellezza folgorante,
corteggiata da tutti, manda in tilt Dario inchiodandolo senza preamboli con un bacio, visto che lui non osa
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avvicinarla. Amore a prima vista, matrimonio borghese, in chiesa a Sant’Ambrogio, la nascita di un
figlio, Jacopo, che erediterà la loro passione per la scena. Un’unione salda anche se inquieta e fuori da
ogni schema. Fo e Rame uniti nonostante tutto dentro e fuori scena. Insieme danno vita agli scombinati
titoli degli anni ‘50-’60, Gli Arcangeli non giocano a flipper, Chi ruba un piede è fortunato in amore, La
signora è da buttare. Insieme debuttano in tv nella scandalosa Canzonissima del ‘62 che gli costò la
messa al bando per 14 anni dalla Rai democristiana.
E poi il grande successo di Mistero Buffo nel ‘69, dove Fo riprende a modo suo la lezione dei fabulatori e
dei cantastorie, raccontando tra sacro e profano, sberleffi e commozione, le storie della Bibbia e dei
Vangeli, di papi tronfi e di villani sagaci. Ma il ‘69 è anche l’anno della strage di piazza Fontana, inizio
della strategia della tensione. Storia e cronaca entrano prepotenti nel teatro di Dario, che sera dopo sera
scrive e riscrive le pièce modificandole in diretta sugli eventi. Così è per Morte accidentale di un
anarchico, sulla morte di Pinelli; così per Il Fanfani rapito, Non si paga non si paga, Pum pum! Chi è? La
polizia, Tutta casa, letto, chiesa, Clacson, trombette e pernacchi. Sono gli anni ruggenti della Palazzina
Liberty. Un teatro che, come scrisse Roberto De Monticelli, aveva dentro «il nero dei titoli dei giornali».
E difatti la polizia trovava ogni pretesto per fermare gli spettacoli, irrompendo talora anche in teatro. Con
grande divertimento di Dario pronto a trasformare quell’imprevisto in una nuova farsa. Un susseguirsi di
satire al vetriolo, sulle quali Dario spandeva a piene mani il suo grammelot, folle assemblaggio di suoni
di parlate diverse, nonsense linguistici accessibile a tutti. Una magnifica invenzione che, insieme con
l’imponente corpus drammaturgico, quasi un centinaio di testi teatrali, gli valse nel 1997 il Nobel per la
letteratura. Accolto con entusiasmo all’estero, un po’ meno in patria, dove molti scrittori e poeti
digrignarono i denti, stupefatti e biliosi per esser stati scavalcati in tanta gloria da un buffone irriverente.
Che, come diceva la motivazione degli Accademici svedesi, «seguendo la tradizione dei giullari
medioevali dileggia il potere restituendo dignità agli oppressi». Laudatio a cui Dario rispose ringraziando
quegli anonimi maestri, ma anche Ruzzante e Molière, e soprattutto Franca. Con cui volle spartire la
medaglia riconoscendole pubblicamente il ruolo di coautrice di tante commedie e consigliera
impareggiabile. Impossibile pensare l’uno senza l’altra. Ma poi ecco che Franca muore, il 29 maggio del
2013, e Dario per la prima volta deve andare avanti da solo. Azzoppato, gli occhi celesti stanchi e dolenti,
eppure sempre curiosi e beffardi. Consapevoli che la vita, come l’amore, come il teatro, spesso fa male.
Al lutto di Franca si aggiungono quelli di Enzo Jannacci, amico e complice di canzoni irriverenti, da «Ho
visto un re» a «El purtava i scarp del tennis» e quello recente di Gianroberto Casaleggio, amico e alleato
su nuovi fronti politici. Ma è Franca a mancargli sempre di più, la perdita non è sanabile, il lavoro è il
miglior analgesico. Con disperato furore e rinnovata vitalità Fo non si dà tregua. Scrive un libro dopo
l’altro, dipinge con l’energia e la gioia di un ragazzo quadri di colori vivacissimi esposti in mostre in
Italia e all’estero. Sempre attentissimo alla vita pubblica, non si perde una polemica, tiene banco a
incontri, continua ad andare in scena con il testo più amato, Mistero Buffo, nonostante il parere contrario
del medico, nonostante il fiato gli manchi sempre più spesso. L’estate nella casa di Cesenatico, così cara
anche a Franca, non riesce a frenare tanta smania di vivere e di fare. Di morire Dario non ha nessuna
intenzione. «Non temo la morte ma neanche la corteggio. Se hai campato bene è la giusta conclusione
della vita». Anche sul letto d’ospedale, nonostante la maschera d’ossigeno, ha trovato la forza di
scherzare sul suo stato di salute: «È come una sfida a ramino. Puoi vincere o perdere, ma quel che conta è
la partita». Certo, ingannare la morte lo divertirebbe. Sarebbe pronto anche a barare… Mesi fa, nel cortile
della sua casa milanese di Porta Romana, era rimasto incantato davanti a una rosa sbocciata
all’improvviso, fuori stagione. Si era convinto che fosse stata Franca a fargli quel dono, come segno di
una sua presenza costante. «Lei è sempre accanto a me, ogni volta che non so come trarmi di impaccio, la
chiamo e mi risponde».
Quella rosa ne era la prova provante. Chissà se adesso lì accanto ne crescerà un’altra.
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(Fonte: www.corriere.it)
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