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FAUNA E FORESTE
GLI ANIMALI SELVATICI DEI NOSTRI BOSCHI
PAOLO CASANOVA (*) - ANNA MEMOLI (**)
BECCACCIA: UN MIGRATORE DIFFICILE DA GESTIRE (1)
La beccaccia è un tipico abitatore delle foreste che nidifica soprattutto nel nordEuropa (taiga) per poi migrare durante i mesi di ottobre-novembre verso il bacino del
mediterraneo. Da qui ripartirà in marzo per tornare nella patria di origine.
La nostra penisola, in particolare per quanto riguarda le zone occupate dalla macchia mediterranea, ospita numerose popolazioni di questa specie che vi si fermano sia per
svernare, sia per brevi soste se il volo migratorio le porterà più a sud, verso l’Africa settentrionale. In ogni caso, il governo dei boschi costituisce un elemento di grande importanza
per consentire alla beccaccia di trovare il nutrimento necessario e diminuire così i livelli di
mortalità connessi con i voli migratori, dovuti a un’eccessiva resistenza ambientale.
Gli autori inoltre evidenziano come un’idonea gestione forestale si trovi alla base
non solo di una buona sopravvivenza degli effettivi di popolazione, ma anche di un buon
successo riproduttivo nella primavera successiva.
Parole chiave: beccaccia; gestione; Scolopax rusticola; bosco.
Key words: woodcock; management; Scolopax rusticola; forest.
STORIA
La beccaccia, detta dai cacciatori «la regina del bosco», in Italia è presente solo nel corso della migrazione autunnale e primaverile, nonché come
svernante nelle località adatte. Limitate, ma non trascurabili, le zone di
nidificazione presenti sull’arco alpino.
Noi ci occuperemo del problema «gestione» da due punti di vista:
quello ambientale e quello venatorio, limitatamente però alla nostra Penisola, rimandando il lettore, che desideri approfondire l’argomento, alla
bibliografia citata.
(*) Docente di gestione faunistica presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali
Forestali, Università degli Studi di Firenze.
(**) Dottore di ricerca presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali Forestali,
Università degli Studi di Firenze.
1
Gli autori hanno svolto il lavoro in parti uguali.
– I.F.M. n. 4
anno 2008
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Notizie storiche sulle popolazioni di beccaccia non se ne trovano molte
perché la specie aveva scarso peso economico e scarsa importanza alimentare;
al contrario, ad esempio, degli ungulati o dello stesso tordo bottaccio.
Le notizie a cui possiamo attingere, sempre per quanto riguarda il
nostro Paese, provengono da scritti di cacciatori a partire dalla seconda
metà dell’Ottocento; scritti nei quali la beccaccia viene trattata più che altro
sotto l’aspetto venatorio. Citiamo a tale proposito il volume Giornate di
Caccia di EUGENIO NICCOLINI (1950), Caccia sparita del conte PIERINO
DELLA PORTA (1934) e, più vicino a noi, Tra cime, boschi e paludi di GIORGIO GRAMIGNANI (1983).
Altre notizie, molto più interessanti e dettagliate, si trovano invece in
alcune memorie di cacciatori naturalisti che, oltre a esercitare l’attività venatoria, si sono posti numerosi interrogativi sulla biologia e sull’etologia della
specie; interrogativi ai quali hanno cercato di rispondere con accurate ricerche condotte di persona sul campo. Fra i principali, o meglio tra i più noti, si
ricorda E TTORE G ARAVINI con il suo storico volume La beccaccia (1946),
P IERO P IERONI (1966), C ELANO (1980), C HIZZOLA (2002) e infine S ILVIO
SPANÒ. Quest’ultimo ha pubblicato, fra i tanti, un lavoro che riteniamo fondamentale per la gestione dello scolopacide: Il punto sulla beccaccia (2001).
Notevole non solo per il rigore scientifico delle indagini, ma anche e soprattutto, per avere approfondito, forse primo in Italia, gli aspetti demoecologici
della specie.
Dall’esame delle opere indicate e di molte altre, la prima conclusione
a cui si giunge è che la beccaccia, negli ultimi decenni, ha diminuito in
modo sensibile le sue presenze nella nostra Penisola; in particolare sull’Appennino Tosco-Emiliano e Tosco-Romagnolo un tempo molto frequentato
nel corso del volo post-nuziale per la sua posizione geografica e conformazione altitudinale (CASANOVA et al., 1995; CASANOVA e MEMOLI, 2001). Le
cause, come spiegheremo, sono da ricercarsi nelle modifiche subite dall’ambiente agro-forestale e, non ultima, in una gestione venatoria quanto meno
«disinvolta» delle popolazioni, sia di passo che svernanti.
AMBIENTE FORESTALE
La beccaccia è uno scolopacide tipicamente forestale; forse l’unica
specie appartenente alla suddetta famiglia che si è adattata al bosco rinunciando all’acquitrino. Il raccorciamento dei tarsi-metatarsi ne è una prova
molto chiara (TOSCHI, 1969). Ma non tutti gli ecosistemi forestali sono
adatti alla vita di questo selvatico che, configurandosi dal punto di vista
ecologico come uno «specialista», necessita di cenosi vegetali con caratteristiche ben precise, spesso derivate dalla loro utilizzazione.
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Figura 1 – Beccaccia svernante, sorpresa in una zona a macchia mediterranea con sottobosco a cisto,
nel mese di febbraio sul Montalbano (FI) (Foto P. Casanova).
– Hibernating woodcock, caught in a Mediterranean bush area with rock-rose underbrush, in
the month of February on the Montalbano (FI).
Iniziamo ad esaminare l’ambiente appenninico, frequentato di preferenza nel corso del volo post-nuziale, dalla metà di ottobre a tutto dicembre. L’esperienza ci insegna come i boschi preferiti siano quelli di latifoglie
decidue, governati a ceduo matricinato, con diversa esposizione a seconda
delle condizioni meteorologiche: in ogni caso sembrano non venire scelti
soprassuoli rivolti a nord, su cui il sole si affaccia solo per brevissimi periodi
(PIERONI, op. cit.).
Le specie legnose più adatte risultano in genere cerro, roverella, ontano nero, carpino, acero, castagno e faggio con ceppaie non eccessivamente
ravvicinate in modo da lasciare, durante il ricaccio, spazi per consentire alla
beccaccia di spostarsi con facilità sul terreno alla ricerca del cibo, nelle ore
diurne. Il periodo vegetativo più adatto ad ospitare lo scolopacide può
venire individuato fra il 5°-6° anno dopo il taglio, fino al 10°-12°. In seguito, le chiome delle piante si sollevano troppo da terra, costringendo la beccaccia a «scoprirsi» durante l’involo; allo stesso tempo, i polloni dominati
seccano aggravando ancora di più il problema. Non vi sono difficoltà se
invece le ceppaie consentono lo sviluppo del sottobosco, anche relativamente rado, che sopperisce a quanto detto (ginestre, ginepri, rovi e altre
specie) (SPANÒ, op. cit.).
Le matricine di due o tre turni, penalizzando le ceppaie che ricadono
sotto la proiezione delle loro chiome, determinano piccole superfici con
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minore densità di vegetazione molto utili alla beccaccia per «rimettersi»:
cioè per prendere terra dopo essersi allontanata in volo da un eventuale
pericolo o durante i normali spostamenti, compiuti all’alba e al tramonto,
per scopi alimentari. Nel corso delle ore notturne, la «pastura» (soprattutto
lombrichi e larve di insetti che vivono nei primi strati del terreno) viene
ricercata nelle zone aperte: in particolare nei pascoli naturali o artificiali utilizzati con bovini. La microfauna coprofaga costituisce una fonte alimentare
pressoché inesauribile e di facile accesso: ecco perché la beccaccia frequenta in modo particolare queste superfici, anche se pascolate con equini e
ovini. Trascorse le ore diurne in bosco, dove alterna brevi periodi di riposo
alla ricerca del cibo, esplorando con il lungo becco la lettiera, lo scolopacide al tramonto si reca in volo nei prati, seguendo sempre lo stesso percorso.
Qui, difesa dal buio, ispeziona le superfici di terreno umido, facilmente
sondabili con il becco, e, se vi sono, le deiezioni solide lasciate dai bovini
durante l’estate (non quelle fresche perché la microfauna necessita di qualche mese per svilupparsi). Anche nel corso dell’alimentazione notturna vengono alternati periodi di attività a momenti di pausa e forse di sonno. Poco
prima dell’alba, dopo un’accurata pulizia del becco in qualche pozza d’acqua, rientra nel bosco seguendo lo stesso percorso fatto la sera prima: almeno nella maggioranza dei casi (COLACICCO, 1953; SPANÒ, op. cit.; CASANOVA et al., op. cit.).
I punti di rimessa (sosta) risultano pressoché costanti nel tempo e
forse costituiscono un patrimonio culturale delle popolazioni che frequentano una determinata rotta migratoria. Ricerche sul DNA svolte da MEMOLI
e PAFFETTI (2007) per quanto riguarda l’alta valle del fiume Senio (FI) e del
Santerno (FI), la Sila Grande (CZ), Villanova Forru (CA) e l’alta val d’Arno
(AR), sembrerebbero confermare tale ipotesi. L’abbandono del ceduo provoca in genere l’avviamento a un alto fusto naturale, quasi sempre però con
un’eccessiva densità di piante che penalizza il sottobosco e l’umificazione
della lettiera: si hanno quindi condizioni poco adatte alla beccaccia. La
situazione peggiora in modo notevole quando al mancato governo dei cedui
si abbina la non utilizzazione dei pascoli. Tale insieme sfavorevole è da collegarsi, in genere, all’esodo rurale che ha interessato le zone montane e di
alta collina a partire dagli anni ’50-’60.
Da quanto esposto, si comprende l’importanza che assume la gestione
forestale nella conservazione delle popolazioni di beccaccia, il cui numero
di effettivi sembra collegato alla struttura e all’utilizzazione dei boschi
incontrati durante il volo migratorio.
Le fustaie di faggio, in particolare quelle monospecifiche e coetaneiformi, comprese quelle derivanti dai cedui, non vengono frequentate
dallo scolopacide perché prive di sottobosco e con una lettiera eccessiva-
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Figura 2 – Pineta a pino domestico misto a leccio e con sottobosco a scopa, ginepro e ginestra dei carbonai. La formazione appare interrotta da una cessa spartifuoco mantenuta a prato: ambiente ideale
non solo per lo scolopacide ma anche per cinghiale e colombaccio (Foto P. Casanova).
– Domestic pine pine-forest mixed with ilex and with Erica arborea underbrush, juniper and
coalman broom. The formation is interrupted by a fire breaks kept as a grass-land: an ideal surrounding
not only for the woodcock but also for wild-boars and wood-pigeons.
mente spessa (faggete a mull), poco marcescibile, che impedisce la ricerca
del nutrimento (GRAMIGNANI, op. cit.). In questi boschi si osserva inoltre
l’accentuarsi di un fattore negativo già accennato: l’eccessivo spazio compreso fra la superficie del suolo e il fogliame per cui, in caso di pericolo, la
beccaccia si trova «scoperta» per un tempo troppo lungo. Rimane cioè
facilmente visibile dal decollo al momento in cui il volo viene nascosto dalle
chiome. In tal caso, astore e sparviero «non perdonano».
Viceversa la «regina» si adatta piuttosto bene al ceduo di faggio ancora
utilizzato per le stesse ragioni già esposte a proposito di altri cedui matricinati; ragioni alle quali si deve aggiungere un altro elemento tipico di notevole
interesse: le carbonaie. Carbonaie che, come fa notare PIERONI (op. cit.),
ancora oggi, nonostante il loro abbandono da quasi mezzo secolo, rappresentano un elemento importante da conservare, anche e soprattutto all’interno di
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fustaie. La carbonaia, in parole povere, è una piccola superficie piana (piazzola), scavata nella pendice del monte, sulla quale veniva preparato il cumulo di
legna da ridurre in carbone; le piazzole erano sempre le stesse, riattivate al
momento del taglio. La cottura protratta per secoli ha causato una particolare
strutturazione del terreno che, laterizzato e mescolato a minuti residui di carbone, si presenta incoerente e facilmente sondabile dal lungo becco dello scolopacide. Inoltre, la rottura della linea di pendenza del terreno con una superficie piana, la piazzola, ha determinato (e determina) un rallentamento del
flusso delle acque superficiali con la formazione di un micro-habitat «umido»
ricco di lombrichi. Non a caso, quindi, le «carbonaie» costituiscono molte
volte «rimesse» tradizionali della beccaccia, sempreché non siano state rimboschite artificialmente. Rimesse di eguale valore sono costituite da gruppi di
piante di nocciolo le cui foglie, facilmente marcescibili, creano un substrato
ricco di humus e molto soffice nel quale la beccaccia trova con facilità un’abbondante pastura.
Altri tipi di bosco, scelti per le soste del volo migratorio post-nuziale
e pre-nuziale, sono le formazioni riparie disposte lungo le rive dei fiumi,
torrenti, pozze bevaie, laghetti ecc. La loro conservazione risulta del tutto
indispensabile per salvaguardare quel poco che rimane della fauna e della
flora dei luoghi umidi (M ONDINO e B ERNETTI , 1998). In genere sono
soprassuoli composti da ontano nero, pioppi, salici e altre specie che formano piccole fustaie naturali con sottobosco a nocciolo, rovo, salice, carpino, ecc. e con spazi, anche modesti, a prato acquitrinoso intramezzati alle
ceppaie, come fa notare CHIZZOLA (op. cit.) per quanto riguarda alcune
zone della Carnia.
Sempre molto frequentati risultano infine i gineprai, le formazioni a
pruno e i ginestreti, sia di ginestra odorosa sia di ginestra dei carbonai, in
particolare quando questi cespuglieti si trovano alternati a pascoli utilizzati
con bovini (CELANO, op. cit.).
La beccaccia tende a scartare invece le fustaie pure di conifere, come
del resto tutte le fustaie senza sottobosco. Mentre nelle abetine può scegliere come «rimessa» le zone di confine con i prati, dove i rami bassi sfiorano
il terreno, difficilmente potremo incontrare lo scolopacide all’interno della
fustaia o anche in pinete artificiali, sia a pino nero sia a pino silvestre, non
adatte per le caratteristiche pedologiche delle stazioni (rocciosità, aridità,
esposizione a sud). Per rendere più ospitali le suddette fitocenosi è opportuno procedere con diradamenti progressivi. Essi favoriscono l’inserimento
e lo sviluppo della rinnovazione di latifoglie e migliorano, tra l’altro, il contenuto idrico del suolo (AVOLIO e CIANCIO, 1979; CINNERELLA et al., 1993).
Un secondo tipo di bosco, fondamentale nel ciclo biologico della beccaccia, è la foresta mediterranea nei suoi diversi aspetti perché costituisce
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un eccellente habitat di svernamento per la maggior parte degli individui
che si fermano nel nostro Paese (COLACICCO, op. cit.; PIERONI, op. cit.).
In inverno le foreste appenniniche, a causa della neve e del gelo, non
sono in grado di fornire nutrimento e quindi non solo vengono abbandonate dalle beccacce giunte con le prime «ondate» del volo post-nuziale, ma,
peggiorando la situazione climatica, le soste degli arrivi successivi si fanno
sempre più brevi (anche solo poche ore). In caso di copertura nevosa superiore ai 10 cm circa, le beccacce sorvolano i rilievi montuosi dirigendosi
direttamente verso l’orizzonte della macchia mediterranea e verso le isole,
senza fermarsi (GARAVINI, op. cit.).
In ogni caso, anche con la stagione favorevole, la sosta nelle rimesse
tradizionali si limita a pochi giorni; il trovare sempre nello stesso luogo la
beccaccia (nel periodo adatto, si intende) è dovuto al fatto che le prime
arrivate vengono sostituite da quelle giunte con i voli successivi, per cui si
ha l’impressione di permanenze molto più lunghe di quelle che in realtà si
verificano (NICCOLINI, op. cit.; COLACICCO, op. cit.; SPANÒ, op. cit.).
Non così nelle aree di svernamento, dove i singoli soggetti rimangono
fino all’inizio del volo pre-nuziale nella stessa rimessa o in posizioni limitrofe.
Si tratta quindi di permanenze che si protraggono per almeno un paio di mesi:
periodo nel corso del quale le beccacce devono ricostruire le proprie riserve
organiche, possibilmente senza subire il disturbo dell’attività venatoria.
Le caratteristiche strutturali di tali boschi mediterranei in sostanza
Figura 3 – Classica «fatta» (deiezione) di beccaccia con la quale il selvatico rivela spesso la propria
presenza. La parte bianca, grande quanto una moneta da 2 €, è costituita da acido urico, mentre le
feci p.d. sono riunite in una pillola scura più o meno centrale (Foto P. Casanova).
– A classic woodcock detection with which the wild shows its presence. The white section, large
ad a 2 € coin, consists of uric acid, while the effective dejections form a dark pill more or less central.
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rispecchiano quanto detto per i cedui di latifoglie decidue, con la differenza
che, dopo il taglio, la macchia ricaccia più rapidamente, fornendo un habitat adatto in tempi molto più brevi dei cedui di roverella, carpino, faggio,
ecc. propri delle zone montane. Anche in questo caso, per favorire lo svernamento, sono indispensabili ceduazione e pascolo (con le dovute cautele)
della macchia prossima al taglio.
Altri boschi mediterranei molto ricercati dalla «regina» risultano infine le fustaie miste litoranee di leccio, rovere, olmo, cerro, pioppo intercalate a lame d’acqua e a pascoli o colture agrarie estensive, come erano fino a
poche decine di anni or sono le foreste della costa tirrenica comprese fra
Talamone e Gaeta. La bonifica integrale promossa dal SERPIERI (1934) e la
conseguente agricoltura intensiva, hanno sicuramente avuto un forte impatto negativo sulle popolazioni di beccaccia che interessano il nostro Paese a
causa della scomparsa di uno dei più importanti quartieri di svernamento a
livello nazionale e forse del bacino del Mediterraneo (NICCOLINI, op. cit.).
Stessa osservazione si può fare per il Colombaccio e per tutti i migratori
legati agli ambienti forestali.
GESTIONE DELLE POPOLAZIONI
La fedeltà della beccaccia alla propria area di riproduzione (patria) e a
quella di svernamento, anche se poste a notevole distanza l’una dall’altra,
rende possibile la gestione delle sue popolazioni come se si trattasse di una
specie stanziale.
Nelle nazioni europee più evolute, i piani di gestione, soprattutto per
definire le quote territoriali di prelievo, prevedono il monitoraggio pluriennale di diversi parametri demografici. In particolare:
– le variazioni dell’area di nidificazione e della densità degli individui presenti su detta area, in modo da rilevare la tendenza demografica della
popolazione all’incremento positivo o negativo;
– le variazioni dei tassi di sopravvivenza e di mortalità (correlati tra loro
negativamente) in base alla ricattura di beccacce inanellate e alla variazione della age-ratio;
– le variazioni delle densità degli effettivi nelle aree di svernamento.
La metodologia per la stesura dei piani di gestione si basa, quindi, sul
rilievo di precisi parametri la cui determinazione richiede un impegno non
indifferente. Essa risulta strettamente correlata, da un lato, alla necessità di
effettuare rilievi annuali per definire i trend di popolazione sul lungo periodo, dall’altro, alla possibilità di intervenire in modo efficace e tempestivo
sui parametri demografici oggetto del monitoraggio (ad esempio, sospensione immediata del prelievo venatorio).
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Figura 4 – Ambiente di crinale adatto alla sosta della beccaccia durante il volo post-nuziale. Ad un’altitudine di circa 1000 m s.l.m., troviamo pascoli utilizzati con bovini, cespuglieti di ginepro, rosa canina e pruno, assieme a ceduo di faggio non più utilizzato misto a salicone, acero, ontano, castagno, ecc.
(Foto P. Casanova).
– Crest surrounding suitable for the woodcock stay during the autumnal flight. At approximately 1000 mts above sea level we find pasture used by cattle, juniper, eglantine and black-thorn bushes,
together with beech coppices in conversion to high forest any more mixed with pussy willow, maple,
alder, chestnut, etc.
Da alcuni anni, per fornire utili indicazioni alla stesura dei piani di
gestione, anche in diversi Istituiti di Ricerca Italiani sono stati avviati studi
finalizzati alla tipicizzazione e caratterizzazione genetica delle diverse popolazioni, sia nelle aree di nidificazione sia in quelle di sosta utilizzate durante
la fase migratoria (SPANÒ, 1997; MEMOLI, 2004).
Tuttavia la strada appare ancora lunga e di difficile percorso. Infatti la
gestione delle popolazioni di beccaccia è, nel nostro Paese, in sostanza solo
una gestione venatoria e anche di cattiva qualità. Il problema «gestione» si
riduce così a un problema di regolamentazione della caccia; fermo restando
quanto si è specificato per l’ambiente e per lo svernamento.
In Italia, la caccia alla beccaccia è consentita dalla terza domenica di
settembre al 31 gennaio dell’anno dopo, senza che venga effettuata alcuna
verifica degli abbattimenti. In pratica non esiste neppure una stima del carniere nazionale o regionale alla fine di ogni stagione venatoria, mentre
sarebbero necessari controlli mensili sul reale numero degli individui abbattuti. La nostra convinzione che non esista alcun pericolo per le popolazioni
di beccaccia non si basa quindi sulla conoscenza della dinamica e della
reale consistenza delle popolazioni dello scolopacide. Secondo alcuni Autori nella sola Europa occidentale vengono catturati da 3 a 5 milioni di beccacce ogni anno, mentre lo stock dei riproduttori appare ancora alquanto
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elevato. Se questi dati fossero veri, rappresenterebbero una buona garanzia
per la sopravvivenza del «patrimonio» beccaccia (PICCI, 2003); sta di fatto
però che queste stime danno sempre ragione a chi le fa.
La stesura di un «piano internazionale di gestione» basato sulla conoscenza dei vari carnieri nazionali annui, del numero dei cacciatori che li
hanno realizzati e dell’I.C.A. (Indice Cinegetico di Abbondanza), è fondamentale per definire il massimo prelievo stagionale possibile.
Quello che in Italia manca è un’attenzione disinteressata e obiettiva
sul «patrimonio» beccaccia in modo che questo si conservi il più possibile
integro per noi e per le generazioni future (PICCI, op. cit.). Di certo la
responsabilità della diminuzione numerica delle «regine» non può essere
attribuita soltanto all’attività venatoria. Molti autori sostengono come la
caccia risulti un fattore riduttivo solo se il prelievo venatorio è maggiore
della mortalità naturale totale annua. Diversamente il prelievo venatorio
agirebbe come un fattore di compensazione, sostituendo altri fattori di
mortalità (in tal caso se la caccia fosse abolita non si modificherebbero i
tassi globali di mortalità) (SPANÒ, op.cit.).
Un importante provvedimento di riequilibrio dovrebbe prevedere lo
studio di un piano di prelievo massimo autorizzato, annuale o giornaliero,
capace di regolare le catture in base all’andamento demografico delle popolazioni, con carnieri massimi da stabilire tenendo conto del rapporto cacciatore/territorio nonché con la creazione di quote territoriali di prelievo
annuale, differenziate regione per regione (FADAT, op. cit.).
Altro provvedimento utile, per quanto spiegato, sarebbe la chiusura
della caccia allo scolopacide al 31 gennaio per tutti i Paesi europei (forse
meglio al 31 dicembre) assieme all’istituzione di limiti di spazio, tempo e
carniere, a partire da metà dicembre; in particolare dove si verificano forti
concentrazioni di individui svernanti (SPANÒ, op. cit.). Infatti è noto come,
a fine inverno, tutti i migratori, e la beccaccia in particolare, risentano del
duplice stress derivante dal precedente periodo di caccia e dagli altri numerosi fattori naturali limitanti. Ne consegue il dovere (ma anche l’interesse)
di concedere alla beccaccia la quiete necessaria per ricostituire le riserve
energetiche in vista del lungo viaggio di ritorno e della riproduzione vera e
propria (SPANÒ, op. cit.).
CONCLUSIONI
Le conclusioni, che si possono trarre dalla poche note riportate, sono
in linea di massima valide per tutti gli uccelli migratori che frequentano le
nostre foreste il cui compito, in definitiva, è quello di fornire loro rifugio e
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cibo con il sottobosco. I frutti delle specie arbustive (rosa canina, rovo,
pruno, ginepro, biancospino e altre) devono però venire integrati, nell’insieme del regime alimentare, dalla microfauna della lettiera in decomposizione. Tordi, merli, cesene, passera scopaiola, pettirosso e tantissime altre
specie «forestali» (beccaccia compresa, s’intende) necessitano di un’alimentazione autunno-invernale nella quale siano previste proteine di origine animale, anche se in rapporti diversi con le altre componenti nutritive a seconda delle caratteristiche sistematiche. È dalla disponibilità, o meno, di questa
frazione proteica che deriva la loro possibilità di sopravvivere all’inverno e
di portare a buon fine il volo pre-nuziale che li ricondurrà nei quartieri di
riproduzione, dove la competizione per delimitare un territorio, nel quale
costruire il nido, lascerà ben poco tempo per colmare eventuali carenze
nutrizionali.
Boschi adatti allo svernamento costituiscono quindi la principale
garanzia di un buon successo riproduttivo per tutte le popolazioni migratrici: successo riproduttivo che andrà a vantaggio non solo nostro, ma anche
delle Nazioni comprese negli areali delle diverse specie. Si dovranno
«costruire» quindi boschi in prevalenza di latifoglie, polispecifici e disetanei
con una densità di piante non elevatissima, anche se ciò può tradursi in una
minore quantità di legno prodotto e, alcune volte, in una peggiore qualità
(tronchi con troppi rami). Occorre in definitiva consentire alla luce di raggiungere il suolo, almeno in alcune zone, per favorire lo sviluppo del sottobosco e una più rapida decomposizione della lettiera (catena trofica dei
detriti); in particolare nelle foreste di montagna dove l’eccesso di umidità,
scarsa temperatura e acidità del substrato sono i principali fattori che rallentano i processi di umificazione. Maggiore quantità di luce che entra in
foresta può significare quindi una migliore fertilità stazionale e, senza dubbio, una migliore offerta alimentare per i migratori.
Infine, da non scartare a priori, il pascolo in bosco con bovini, inteso
non tanto come fonte alternativa di foraggi, ma come un particolare miglioramento ambientale al quale si può ricorrere quando il morso non reca
eccessivi danni al soprassuolo e, in ogni caso, sempre con carichi unitari
molto contenuti.
La scelta del dove, come e quando spetta, ovviamente, al tecnico forestale affiancato dal tecnico faunistico e, mai come in questo caso, non viceversa.
Alla Pubblica Amministrazione infine il compito, non facile ma
improrogabile, di regolamentare in modo più razionale la caccia per non
rendere vano quanto sopra: in particolare per impedire il prelievo venatorio
sulle popolazioni svernanti.
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SUMMARY
Woodcock: migratory bird hard to manage
The woodcock is a typical wood inhabitant, which nests chiefly in northern
Europe (taiga) and in the months of October-November migrates towards the Mediterranean basin. It will leave from here in March to go back to its original home.
Our peninsula, particularly considering the areas of the Mediterranean bush,
lodges many populations of this species, which stop here both to hibernate or to stay
shortly if the migratory flight will lead them southward to North Africa.
In any case, forest management is a very important element which allows the
woodcock to find the necessary food, thus decreasing the mortality levels connected
with the migratory flights and due to an excessive surrounding resistance.
Moreover, the authors point out that proper forest management is the basis not
only for a good survival rate of the real population, but also for a good reproductive
result in the next spring.
BIBLIOGRAFIA
AVOLIO S., CIANCIO O., 1979 – Prove di diradamento e tavola di cubatura per pinete
artificiali di pino laricio. Annali Istituto Sperimentale per la Selvicoltura, vol.
10: 25-75.
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