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I COMMENTI
Giovedì 13 Ottobre 2016
L’ANALISI
IMPROVE YOUR ENGLISH
Vuoi punire Verdini?
Puoi farlo se voti sì
Do you wish to punish Verdini?
You can do it if you vote «yes»
«Q
uesto è
nismo per sostenere
DI FRANCO ADRIANO
più furfinalmente la fine
bo, più
della doppia fiducia
politico, imbroglia di alla Camera e al Senato che sembra
più», dice Denis Verdini di Matteo lì a portata di mano? No. Verdini è
Renzi pensando a Silvio Berlusco- l’argomento più forte che Renzi ha
ni, per il quale, nel patto del Nazare- nel cassetto a favore del «Sì». Eppuno, aveva ritagliato il ruolo da padre re, non può tirarlo fuori e sbandienobile: nel suo disegno, il Cavaliere rarlo nel suo tour in giro per l’Italia.
doveva passare il testimone all’ex Non solo, infatti, la sua maggioransindaco di Firenze. Sia chiaro, detto za e il suo governo oggi reggono per
da lui, è un sincero complimento. Il la maggioranza risicata al Senato,
profeta del Nazareno, infatti, è uno tenuta in vita soltanto da Verdini,
che teorizza e pratica la formazione che, quando serve, si sostituisce alla
di gruppi parlamentari con la golden sinistra pd, ma anche il ddl Boschi è
share in mano: pattuglie raccoglitic- giunto alla fine del percorso parlace, meglio di senatori, attraverso le mentare grazie al toscanaccio.
quali tiene in piedi i
Certo, suonerebgoverni.
be bene come sloNon da oggi: sengan: «Con il “Sì” al
È in Senato infatti
za di lui Berlusconi
referendum l’Italia
che esprime
sarebbe caduto ben
non sarà mai più in
tutto il suo potere
prima del diktat euromano ai Verdini, ai
peo nel 2011 e senza
Razzi e agli Scilipoti».
di lui sarebbe già capitolato Renzi. Invece, occorre fare silenzio. BeninSenza andare troppo per il sottile: teso, lo stesso silenzio cui sono chiastrappò Domenico Scilipoti e An- mati i fautori del «No», i quali tutti,
tonio Razzi al campione antiberlu- da Massimo D’Alema e Pierluisconiano Antonio Di Pietro proprio gi Bersani a Marco Travaglio e
in sostegno al Cavaliere, mentre Gustavo Zagrebelsky, bocciando
oggi a Raffaele Fitto, sincero an- questo «straccio» di riforma, finitieuropeista e antirenziano, spiega scono per tirare la volata proprio ai
che non contano le idee più belle del verdiniani. Che se vincerà il «Sì»,
mondo, ma contare in sé. Sì, perché, batteranno cassa con Renzi, cui non
lo lusinga: basta un gruppo di 30 manca il senso della gratitudine. Se,
senatori per avere in mano l’Italia. invece, vincerà il «No», avranno vinC’è, dunque, oggi, sul piatto, to comunque.
un argomento più forte del verdi© Riproduzione riservata
DI
IL PUNTO
LA NOTA POLITICA
Dopo le tante batoste subite
Bersani è proprio a fine corsa
Per Bersani la segreteria
a Renzi è di troppo
GOFFREDO PISTELLI
S
«H
e’s more cunning, stronger argument than Verdinism on
more politician and the table to finally support the end of
more swindler». This the double confidence in the House
is what Denis Verdini and the Senate that seems there at
says about Matteo Renzi, thinking of hand? No, there isn’t. Verdini is the
Silvio Berlusconi, who was assigned strongest argument available to Renby him the role of a founding father in zi in favor of the «Yes». Yet, he cannot
the Nazareno agreement: in his plans, show it off and flaunt it in his tour
the Knight was supposed to pass the around Italy. That’s not all. Indeed,
baton to the former mayor of Florence. his majority and government control
Let me be clear, coming from him, it the Senate today with a narrow mais a sincere compliment. Indeed, the jority, kept alive only by Verdini, who,
Nazareno prophet is a person who when necessary, replaces the PD left
theorizes and implements the train- wing, but also the Boschi bill has come
ing of parliamentary groups with the to the end of the parliamentary procgolden share in hand: patchy patrols, ess thanks to the Tuscan politician.
Of course, this slogan would
preferably of senators, through which
sound good: «With
he holds governments
the ‘Yes’ prevailing
together.
Indeed he expresses in the referendum,
Not from today:
Italy will never be
without him, Berlusall his power
again in the hands
coni would have been
in the Senate
of men like Verdini,
overthrown long before
Razzi and Scilipoti».
the European diktat in
2011 and without him Renzi would Instead, they must be quiet. Obvihave already given in. Without split- ously, also «No» supporters must keep
ting hairs: he took away Domenico silent, as everyone, from Massimo
Scilipoti and Antonio Razzi from D’Alema and Pierluigi Bersani to
the anti-Berlusconism champion An- Marco Travaglio and Gustavo Zatonio Di Pietro precisely to support grebelsky, by rejecting this «iota
the Knight, while today Raffaele of reform», end up clearing the way
Fitto, sincerely against Europe and precisely for those like Verdini. If
Renzi, explains that the most excellent the «Yes» wins, they will ask Renzi
ideas in the world don’t matter, while a reward, who doesn’t lack a sense
to matter itself does. Yes, because this of gratitude. If, however, the «No»
flatters him: a group of thirty senators prevails, they will still win.
is enough to take control of Italy.
© Riproduzione riservata
Therefore, is there currently a
Traduzione di Silvia De Prisco
i è rifugiato in una
battuta, Pier Luigi
Bersani, per smorzare
lo sconcerto provocato
dal suo, annunciato, voto contrario alle riforme costituzionali del governo a guida Pd. Il
leader della sinistra interna
ha detto infatti che, nel caso
si pensasse di cacciarlo dal
partito per questa quisquilia,
si dovrebbe ricorrere all’esercito. «Questa è casa mia, non
me ne vado», ha sottolineato,
non prima d’aver precisato
che, in materia costituzionale,
non può essere invocata nessuna disciplina di partito.
Non la disciplina ma
certo l’onestà intellettuale
dovrebbero forse pretendere
Matteo Renzi e la maggioranza dem, visto che Bersani
chiede le mani libere sulla
Costituzione, precisando che
non i suoi cambiamenti lo
sconvolgono, ma il «combinato disposto» con la nuova
legge elettorale, che però con
la Carta fondamentale non
c’entra. Insomma, una libertà
di coscienza telescopica.
Il gusto della battuta,
l’ex presidente regionale
emiliano, l’ha sempre avuto:
quando, vinte le primarie,
pensava d’essere già pronto
per palazzo Chigi, gigioneggiava sicuro di tacchini sul
tetto, di bambole da pettinare, e ironizzava sul giaguaro
Anche molti dei suoi
nominati se
ne sono andati
Silvio Berlusconi, da smacchiare. Non resistette al gusto per l’allegoria popolare,
Bersani, neppure il giorno
dopo la sconfitta, quando annunciò che non abbandonava
la nave, ma rimaneva «anche
a costo di fare il mozzo». L’impressione è che l’ultima battuta, sulla cacciata, rischi di
diventare il suo epitaffio politico. Dopo il disastro delle elezioni perdute, le fallimentari
esplorazioni di governi «del
cambiamento» con cui trovare un accordo coi grillini, dopo
l’opposizione ringhiosa contro
Renzi così culminata, Bersani
dovrebbe forse ammettere il
proprio disastro politico.
Perché anche uomini
che scelse personalmente
per il parlamento, con la cooptazione allegra del porcellum, gli han voltato le spalle,
forse perché il no a se stesso
è davvero troppo, dopo le accorate filippiche sulla necessità di rispondere all’antipolitica che segnarono anche
la campagna elettorale del
2013. Non c’è infatti niente
di più potentemente svilente la politica come l’annuncio di un voto contrario
a una legge approvata tre
volte (si deve pensare perché buona per il paese) con
l’unico scopo di abbattere
un avversario di partito. A
riprova che si voglia immiserire un referendum costituzionale a strumento di
lotta correntizia c’è anche il
fatto che l’offerta di Renzi, di
modificare l’Italicum dopo il
referendum, sia stata bellamente ignorata. Anzi, come
ha detto l’uomo più vicino a
Bersani, il senatore Miguel
Gotor, che nella vita farebbe
il ricercatore di storia, «prima
vedere cammello».
twitter@pistelligoffr
DI
MARCO BERTONCINI
È proseguita la corsa
delle minoranze del Pd a
sminuire, ridimensionare,
negare qualsiasi ipotesi di
scissione. Riesce perfino
sospetta questa inattesa
voglia, se non di unità, di
consenso a cercare una
solidarietà di partito che
dovrebbe essere naturale.
Siamo in una campagna
elettorale che ha connotati difformi dalle precedenti: per durata, per divisioni
interne, per personalizzazione. In certi momenti,
soprattutto per opera di
alcuni personaggi dell’uno
o dell’altro fronte, sembrerebbe un clima da scontro
di civiltà, come se la ripulsa o l’approvazione della riforma costituzionale fosse
una riedizione, addirittura
aggravata, del conflitto che
sfociò il 18 aprile del ’48
nella vittoria della libertà
sul sovietismo.
Le minoranze ripetono
di voler restare nel partito,
prima e dopo il voto. Il loro
obiettivo è di costringere
alle dimissioni non Renzi
presidente del Consiglio (lo
stesso Pier Luigi Bersani l’ha detto non una volta
sola) bensì Renzi segretario del Pd. Ovvio che l’operazione passi attraverso
la vittoria del no al referendum. Altrettanto ovvio
che, affossata la riforma
sulla quale Renzi ha puntato in termini estremi, chi
vuol azzerare il segretario
del Pd si allei con qualche
gruppo che fino allora l’avrà
appoggiato.
La maggioranza di cui
Renzi dispone negli organi
di partito e nei gruppi parlamentari è composita: vi
sono i suoi di stretta osservanza, ma vi si trovano, così
alla rinfusa, i giovani turchi, i veltroniani, i vecchi
liberal, l’area dem, antichi
e meno antichi popolari,
gli amici di Franceschini («amici di» era un eufemismo usato nella Dc per
fingere di celare qualche
corrente organizzata) e via
elencando. La sconfitta referendaria potrebbe togliere
al segretario più di un appoggio.
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