Donald Trump e GOP: la fine di un amore mai nato?

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Donald Trump e GOP: la fine di un amore mai nato? | 1
venerdì 14 ottobre 2016, 16:00
Elezioni USA
Donald Trump e GOP: la fine di un amore mai nato?
La rottura con l'establishment repubblicano rischia di rendere irriconoscibile il partito
di Gianluca Pastori
L’approssimarsi dell’appuntamento dell’8 novembre sembra coincidere con il crescente deterioramento della campagna per
le presidenziali USA. Al di là dei successi attribuiti nei sondaggi, il confronto diretto fra i due sfidanti ha messo in luce
soprattutto i limiti dei rispettivi progetti politici e ha accentuato la tendenza di entrambi a puntare più sulla
delegittimazione dell’avversario che sulla valorizzazione della propria proposta. Questa strategia non è stata priva
di conseguenze. Se da una parte essa non sembra in grado di spostare realmente il voto della larga fatta di elettori indecisi,
dall’altra ha finito con il portare a galla – soprattutto all’interno del Partito repubblicano – i tanti malumori che si sono
accumulati nel corso delle primarie e che avevano trovato (faticosa) composizione nelle convention della scorsa estate. La
polemica che ha recentemente visto contrapporsi Donald Trump allo speaker repubblicano al Congresso, Paul Ryan, è
forse il segnale più evidente delle tensioni che attraversano il Grand Old Party e che contrappongono i suoi vertici con un
candidato Presidente che del proporsi come esterno alle logiche partitiche ha fatto il punto di forza del proprio messaggio.
Intorno a che punti ruotano queste tensioni? In primo luogo, intorno alla figura stessa di Trump, il cui inquadramento dentro
all’‘universo repubblicano’ appare – quanto meno – problematico. Al di là delle sue passate oscillazioni fra i due
schieramenti, il messaggio del candidato Trump si scontra su diversi punti con quello ‘consolidato’ del GOP. Se,
ad esempio, la sua posizione in tema di protezionismo commerciale si può collegare a una solida tradizione repubblicana,
essa appare comunque in stridente contrasto con la linea seguita dal partito sin dagli anni dell’amministrazione Reagan
(1981-89). Egualmente, la posizione di Trump su un tema politicamente delicato come quello dell’aborto appare sotto molti
aspetti più sfumata rispetto a quella rigidamente ‘pro-life’ che il Grand Old Party sostiene pubblicamente. Il rapporto con le
gerarchie interne, infine, è sempre stato oggetto di contrasti, nella misura in cui l’‘antipoliticità’ di Trump si è espressa, in
primo luogo, nella critica a quello che avrebbe dovuto essere il suo partito di riferimento, a suo dire troppo debole sia nel
sostenere le posizioni del proprio elettorato sia nel difendere il ruolo degli Stati Uniti sulla scena internazionale. Negli scorsi
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/donald-trump-e-gop-la-fine-di-un-amore-mai-nato/
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mesi, questi contrasti hanno conosciuto momenti eclatanti, come durante il discorso tenuto da Ted Cruz alla
convention di Cleveland. La necessità di presentare un fronte compatto alla sfida democratica, tuttavia, aveva agito da
collante, impedendo loro di tradursi in scontro aperto. Di fronte a questa necessità, le ‘anomalie’ di Trump erano state
accettate come il prezzo da pagare alla mancanza di un altro candidato che sapesse intercettare così bene il
malcontento della base e di trasformarlo in consenso elettorale. Oggi, l’impressione è, piuttosto, quella che - in seno
al GOP - sia sempre più diffusa la convinzione che, anche in caso di vittoria, la ‘carta Trump’ finisca per rivelarsi perdente.
Per il partito e per i suoi vertici, la nomination di Trump ha già rappresentato un segnale di crisi. Altrettanto problematica si
è dimostrata la scelta di un running mate come Mike Pence, che, per quanto vicino al filone mainstream, rappresenta
comunque una figura di secondo piano dell’establishment repubblicano. In questa luce, l’eventuale successo, l’8 novembre,
del magnate newyorkese costituirebbe un’ulteriore conferma delle difficoltà che affliggono il partito da qualche anno a
questa parte. È più in rapporto a queste dinamiche che al contenuto delle registrazioni recentemente diffuse che
conviene leggere l’attuale crisi nelle relazioni fra Donald Trump e i vertici repubblicani. Il successo politico di
Trump pone l’establishment repubblicano di fronte a una sfida che questo non appare ancora pronto a raccogliere. È
significativo che, fra le poche figure di spicco che negli ultimi giorni hanno confermato il loro endorsement al candidato
Presidente, spicchi proprio quella di Ted Cruz, lo sfidante che – insieme a Trump – ha più sfruttato, nel corso delle primarie,
lo strumento della polarizzazione e delle radicalizzazione dell’offerta politica per costruire la propria base di consenso. È
forse presto per parlare di ‘cambiamento strutturale’ del panorama politico statunitense. Diversi candidati in corsa per un
seggio congressuale hanno tenuto a rimarcare, in questi giorni, la loro distanza da Trump nel timore di essere associati a
posizioni ritenute ‘poco paganti’. E’ tuttavia innegabile che qualcosa - ‘nella pancia’ del Grand Old Party - si stia muovendo e
che, a seguito di ciò, stiano entrando in crisi equilibri e modelli di voto che da tempo ci si era abituati a dare per scontati.
di Gianluca Pastori
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