jean-marie palayret* la posizione francese di fronte alla candidatura

Download Report

Transcript jean-marie palayret* la posizione francese di fronte alla candidatura

JEAN-MARIE PALAYRET *
LA POSIZIONE FRANCESE DI FRONTE ALLA CANDIDATURA
BRITANNICA DURANTE I NEGOZIATI PER IL PRIMO
ALLARGAMENTO DELLA CEE (1970-1972)
Sommario
1. La decisione di Georges Pompidou. 2. Il negoziato: a) La questione dello zucchero; b)
Misure e periodi transitori in materia doganale e agricola; c) Il problema della sterlina;
d) I prodotti lattiero-caseari della Nuova Zelanda; e) Le virtù dell’algebra: il contributo
al bilancio comunitario. 3. Conclusioni.
Le condizioni in cui si aprirono, il 21 giugno 1970, i negoziati con
la Gran Bretagna erano molto più favorevoli alla Francia che nel
1961: nel corso di quegli anni, infatti, le politiche comuni si erano sviluppate e il Mercato comune era entrato nella sua fase definitiva, costituendo per i paesi candidati un acquis communautaire consolidato.
Con O’Neill riassumeva la politica britannica nelle trattative con
un’espressione molto significativa: “swallow it whole and swallow it
now”. I negoziatori francesi avevano inoltre ottenuto che la Comunità
parlasse con un’unica voce: quella della Presidenza, che, al momento
cruciale, sarebbe spettata alla Francia. La Gran Bretagna non avrebbe
quindi potuto sviluppare la sua tradizionale strategia del fronte dei
friendly-five per contrastare la posizione di Parigi.
Le elezioni del 18 giugno 1970 avevano portato al potere Edward
Heath, uno dei più strenui difensori dell’adesione britannica al Mercato comune. Quando, il 30 giugno, Anthony Barber partì per Bruxelles
per avviare le trattative, spiegò che la Gran Bretagna era ormai decisa
ad accettare i trattati che istituivano le tre Comunità nella loro integralità e con essi tutte le decisioni che ne derivavano. Londra sembrava dunque aver rinunciato a sollecitare la modifica delle politiche comunitarie e annunciava che Whitehall avrebbe richiesto solo delle eccezioni per alcuni prodotti: zucchero dei Caraibi, burro e formaggio
della Nuova Zelanda e una riconsiderazione del contributo britannico
al bilancio comunitario.
* Direttore degli Archivi Storici dell’Unione Europea, Firenze. Si ringrazia il
dott. Andrea Becherucci, cui è dovuta la traduzione del testo in italiano.
382
Jean-Marie Palayret
1. La decisione di Georges Pompidou
Per meglio comprendere le mosse francesi bisogna scartare certe
motivazioni negative avanzate all’epoca dal lato inglese. La più diffusa
di esse riguardava un presunto rinnovamento della potenza tedesca da
compensare con l’appoggio britannico. Georges-Henri Soutou ha fatto
giustizia di tali affermazioni, dimostrando che il dialogo PompidouBrandt fu più proficuo e senz’altro più fiducioso di quel che si è detto in seguito, e che la posizione di Pompidou rispetto all’Ostpolitik fu
molto più realistica e sfumata di quanto si sia poi creduto 1.
Tra i motivi positivi che indussero il Presidente a rimuovere il
veto francese vi fu di sicuro il desiderio di rendere l’apertura della
Francia al mondo esterno irreversibile. La posizione di rifiuto di de
Gaulle aveva provocato l’ira dei partner della Francia e la paralisi del
Mercato comune. Pompidou riteneva che il completamento della PAC,
cioè l’adozione d’un regolamento finanziario definitivo, sarebbe stato
impossibile senza togliere l’ipoteca della candidatura inglese. All’Aja,
aveva ottenuto che il Mercato comune diventasse definitivo in cambio
dell’apertura di negoziati con Londra.
Pompidou considerava lo sviluppo industriale francese come una
delle priorità del suo settennato. C’era in lui una volontà forte di internazionalizzare la ricerca tecnologica e di darle una vera dimensione
europea, confrontandola a quelle delle altre nazioni più avanzate,
come il Regno Unito, anche se la via scelta era più quella della cooperazione bilaterale o multilaterale su progetti specifici che quella comunitaria.
Sul piano politico, l’adesione del Regno Unito, considerato ostile
alla sovra-nazionalità, avrebbe garantito la CEE dalle tentazioni d’ispirazione federale. Si sa che Pompidou, se credeva al futuro dell’unificazione europea, la concepiva piuttosto sotto la forma di una confederazione.
Se infatti, da un lato, si trattava di lanciare segnali di buona volontà in direzione di Londra in previsione dei negoziati di prossima
apertura, dall’altro, Pompidou intendeva agire nel segno della continuità con la politica del suo predecessore. L’insistenza sull’inclusione
dell’agricoltura nel Mercato comune era identica in Pompidou e in de
1
G.H. Soutou, L’attitude de Georges Pompidou face à l’Allemagne, in Fondation
Georges Pompidou, Georges Pompidou et l’Europe, Bruxelles, Complexe, 1993, pp.
267-314.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
383
Gaulle. Si poteva accettare il mercato comune industriale solo con la
compensazione di un sistema che garantisse prezzi redditizi agli agricoltori francesi. La buona volontà francese non avrebbe dovuto essere
interpretata dalla Gran Bretagna come una quasi certezza di entrare
nella Comunità a condizioni non conformi alle regole predefinite dai
Sei.
Pompidou mantenne uno stretto controllo sul negoziato, imponendo alle discussioni le procedure e i tempi che riteneva adeguati, per
mostrare infine le sue carte al momento più opportuno. Non è più da
dimostrare che nella relazione franco-britannica ci sia stato un “prima” e un “dopo” rispetto all’incontro dell’Eliseo, e che ciò abbia avuto come effetto di convincere Pompidou della volontà ‘europea’ di
Heath, sbloccando delle trattative che erano quasi all’impasse 2. Fino a
questo momento i francesi si erano mossi con studiata lentezza. Aspettavano la ratifica del trattato di Lussemburgo. Una volta che ebbero
cosi allargato l’acquis, poterono rischiare e far salire la pressione al
punto di rottura.
Già alla fine di febbraio, i contatti diretti intervenuti tra i rappresentanti dell’ambasciata inglese a Parigi, Michael Palliser e Christopher
Soames, e il Segretario generale dell’Eliseo, Michel Jobert, all’insaputa
del Quai d’Orsay, convinsero i protagonisti che un incontro tra i due
leader sarebbe potuto risultare utile 3. Il 25 febbraio Soames incontrò
Pompidou. Il Presidente non accennò in questa occasione a un incontro, ma insisté sul fatto che la Gran Bretagna avrebbe dovuto accettare una percentuale del bilancio comunitario più alta di quella proposta all’inizio dei negoziati e, terminato il periodo di transizione, applicare le preferenze agricole all’agricoltura britannica dal primo giorno
della sua entrata nella Comunità. Tali erano le priorità francesi.
L’accordo di principio fu sottoposto da parte francese a un timing
appropriato e alla considerazione delle conseguenze che l’evento
avrebbe prodotto sul negoziato: Pompidou giudicava che sarebbe stato
controproducente organizzare l’incontro quando le discussioni avessero
quasi raggiunto il punto di rottura. Tale atteggiamento avrebbe dato
2
Conferenza stampa di Georges Pompidou del 16.3.1972.
I funzionari del Quai d’Orsay furono tenuti all’oscuro dell’incontro PompidouHeath, così come lo erano stati dei suoi preparativi. Nella conferenza stampa finale,
Pompidou punzecchiò gentilmente Schumann e il suo entourage per il piacere che costoro parevano ricavare dal negoziare su dettagli irrilevanti che Heath e lo stesso
Pompidou intendevano superare.
3
384
Jean-Marie Palayret
la brutta impressione di una extrema ratio. Il summit sarebbe stato
proficuo solo se “qualche movimento” si fosse verificato nel negoziato
prima che l’incontro avesse luogo. Il Presidente Pompidou costrinse
sia i negoziatori britannici sia i diplomatici francesi ad avvicinare le
loro reciproche impostazioni iniziali.
2. Il negoziato
a) La questione dello zucchero
Dal settembre 1970, Londra aveva proposto che ai paesi in via di
sviluppo del Commonwealth britannico si offrisse la scelta tra le opzioni di associazione tipo Yaoundé e Arusha o il semplice accordo
commerciale secondo le definizioni elaborate nella dichiarazione del
1963. Londra poneva la questione dei paesi produttori di zucchero di
canna dei Caraibi, dell’Oceano Indiano e del Pacifico: le garanzie di
cui approfittavano per le loro esportazioni verso il Regno Unito in virtù del Commonwealth Sugar Agreement sarebbero infatti scadute il 28
febbraio 1975. Entro questa data si sarebbero dovuti concludere nuovi
accordi commerciali con la Comunità.
Londra fu sottoposta alla pressione dei ministri e dei diplomatici
della Giamaica, delle Barbados, di St. Kitts e dell’Honduras britannico, delle isole Fiji e dello Swaziland, che sottolineavano l’importanza
dello zucchero di canna per la stabilità economica e sociale dei loro
paesi. Le compagnie britanniche di raffinazione (Tate, J.F. Lyle and
Co.), preoccupate dall’eventuale riduzione delle importazioni di zucchero di canna grezzo, esercitarono un’azione di lobbying molto attiva
sulla stampa e in Parlamento perché il governo negoziasse una garanzia d’accesso al MEC equivalente a quella che veniva loro consentita
nel quadro del Commonwealth Sugar Agreement, pari a 1 373 000 tonnellate.
I francesi erano i più netti oppositori di tali pretese. In qualità di
maggiori produttori di zucchero di barbabietola della Comunità, volevano evitare di ridurre la propria produzione ed esportare sul mercato
britannico ai prezzi comunitari. Maurice Schumann, sottoposto alle
pressioni della potente Confédération générale des planteurs de betteraves e dei SAMA produttori di zucchero (Madagascar e Congo Brazzaville), si oppose quindi all’allargamento dell’associazione ai PVS britannici, con l’intenzione di limitare l’accesso di zucchero di canna a
500 000 tonnellate, compensato da un prezzo garantito più elevato.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
385
L’avvicinarsi dell’incontro Heath-Pompidou permise un progresso
nel negoziato: il 13 maggio, Schumann si disse disposto a offrire ai
PVS dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico membri del Commonwealth
le tre opzioni contemplate nella dichiarazione del 1963. Accettò anche
che, fino alla fine del 1974, il regime per lo zucchero dei paesi in
questione fosse basato sul rispetto degli impegni britannici risultanti
dal Commonwealth Sugar Agreement. La questione dello zucchero sarebbe stata discussa nel quadro del rinnovo della convenzione di
Yaoundé. I francesi dimostravano così la loro preoccupazione di non
consentire ai paesi ACP un trattamento più favorevole di quello consentito ai SAMA. Tale atteggiamento rivelava che Parigi aveva accettato di ammorbidire la sua posizione sullo zucchero solo perché questo
permetteva d’introdurre, negli sviluppi dei futuri negoziati, la questione legata all’instabilità dei prezzi dei prodotti di base provenienti dai
SAMA.
b) Misure e periodi transitori in materia doganale e agricola
Era stato stabilito dal comunicato finale dell’Aja che i paesi candidati avrebbero dovuto accettare l’acquis communautaire 4. Rimanevano
da precisare le modalità della sua adozione progressiva e i periodi
transitori idonei a facilitare gli aggiustamenti delle economie dei paesi
candidati alle regole del Mercato comune.
Si attribuiva agli inglesi l’intenzione di chiedere una transizione
più rapida in materia di abbattimento delle barriere doganali interne e
di adattamento alla tariffa esterna comune della Comunità allargata. Il
Board of Trade e la Confederation of British Industries auspicavano il
raggiungimento rapido del libero scambio completo nel settore industriale, poiché speravano di esportare velocemente verso il continente.
Sarebbe stato necessario un periodo più lungo per la transizione del
mercato agricolo, in cui non si trattava semplicemente di operare aggiustamenti tariffari ma di sostituire al sistema nazionale di sostegno
dei prezzi (deficiency payments) la procedura dei prelievi comunitari.
La differenza dei prezzi agricoli rendeva l’operazione complicata
per gli inglesi, dal momento che un rialzo troppo brusco dei prezzi al
dettaglio delle derrate alimentari avrebbe potuto causare conseguenze
4
J. R. Bernard, L’élargissement de la Communauté, vu de Paris, in Georges Pompidou et l’Europe, cit., p. 243.
386
Jean-Marie Palayret
dannose sul costo della vita in Gran Bretagna. L’adattamento richiesto
era impegnativo perché rilevante era il volume del commercio coinvolto, soprattutto per ciò che concerneva i fornitori tradizionali del Commonwealth 5. La Comunità, e la Francia in particolare, insistevano al
contrario su “un parallelismo adeguato” tra i due settori 6.
Nel settembre-ottobre 1970, nel corso di una riunione dei supplenti, il rappresentante britannico O’Neill propose un periodo transitorio di tre anni per l’eliminazione dei diritti doganali verso i Sei nel
settore industriale, l’adozione della tariffa doganale comune e un periodo di sei anni per l’agricoltura. Quest’ultimo non avrebbe tenuto
conto delle disposizioni da adottare eventualmente per il finanziamento agricolo, della posizione speciale della Nuova Zelanda e del problema dello zucchero del Commonwealth 7.
I francesi passarono immediatamente al contrattacco. Alla riunione
ministeriale del 27 ottobre, interpretando in senso letterale le proposte
del Commissario J.-F. Deniau, che raccomandava un “approccio globale” ai problemi in discussione, Schumann ricordò a Joseph Luns e a
Von Braun che occorreva evitare ogni passo svincolato da una visione
complessiva della questione. Propose perciò un periodo transitorio
unico per tutti i settori, che includesse non soltanto l’abbattimento
delle barriere tariffarie e i meccanismi e i prezzi agricoli, ma anche le
questioni dello zucchero, del burro neozelandese e del contributo britannico al bilancio della Comunità 8. Molti partner della Francia esitavano a prendere una posizione così radicale 9. La Commissione, nel
suo “panorama d’insieme” del 17 novembre, sembrò allinearsi sulla
5
C. O’Neill, Britain’s Entry into the European Community. Report by Sir Con
O’Neill on the Negotiations of 1970-1972, London, Whitehall History Publishing,
2000, p. 91; Agence Europe, boll. 656, “Déclaration de Kearns, Haut fonctionnaire du
ministère de l’Agriculture, à la réunion des suppléants”, 1o ottobre 1970.
6
Archives du Ministère des Affaires Etrangères, Paris (d’ora in avanti, MAEF),
Europe/Grande-Bretagne (EGB), 1961-1970, 220, Schumann à tous les postes, circ. n.
19, 17.1.1970.
7
Agence Europe, boll. 645, 16.9.1970; 665, 14.10.1970.
8
Ivi, 674, 27.10.1970; MAEF, EGB, 1961-1970, Boeguer à Schumann, “Conférence ministérielle du 8 décembre 1970”, 10.12.1970.
9
Centre des Archives Contemporaines, Fontainebleau (d’ora in poi, CAC), Secrétariat General pour les Questions de Coopération Internationale (SGCI)
1990/0648, n. 6, note SGCI, “Résumé des positions françaises sur les problèmes de la
période de transition”, 29.1.1971; MAEF, EGB, 1961-1970, 222, Alphand (secrétaire
général) à tous postes, circ. n. 33, “Conférence CEE/Royaume-Uni, période de transition”, 11.11.1970.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
387
posizione francese, esprimendo il parere che “une période transitionnelle de cinq ans constituerait un cadre approprié”.
Messo con le spalle al muro, Geoffrey Rippon fece un passo in direzione dei Sei: l’ 8 dicembre 1970, ammise che un “parallelismo adeguato” poteva consistere in un periodo di cinque anni per l’agricoltura
così come per l’industria. Questa concessione rispondeva alle prese di
posizione delle piccole e medie imprese e di alcuni grandi gruppi industriali britannici, in particolare quelli della cantieristica e dell’automobile, i quali avevano avanzato riserve sull’entrata nel Mercato comune in assenza di un lungo periodo di transizione che permettesse a
questi settori di recuperare il ritardo accumulato in mancati investimenti imposti dalla politica fiscale del governo laburista.
I britannici giunsero così a realizzare in larga misura gli obiettivi che
si erano prefissati nel settore dell’abbattimento delle tariffe industriali. In
effetti, la successione delle tappe adottata in occasione della riunione ministeriale del 2 febbraio 1971 prevedeva cinque date successive, corrispondenti ciascuna a una riduzione del 20 per cento (1o aprile 1973, 1o
gennaio 1974, 1975 e 1976, 1o luglio 1977) per le tariffe interne. Per ciò
che atteneva alla TDC, un primo movimento del 40 per cento avrebbe
avuto luogo il 1o gennaio 1974, seguito da riduzioni successive del 20
per cento il 1o gennaio 1975 e 1976, e il 1o luglio 1977. Nel complesso
si sarebbe eliminato l’80 per cento delle tariffe entro tre anni 10.
Il ritmo previsto per gli adattamenti sul piano dei meccanismi
agricoli fu invece più difficile da stabilire. I francesi insistevano perché
i paesi candidati, al momento dell’adesione, accettassero in pieno il
principio della “preferenza comunitaria”. I britannici, battendosi al
contrario per l’introduzione progressiva di questa preferenza, perseguivano uno scopo preciso: sottolineare che la Comunità doveva tenere
conto degli interessi dei fornitori tradizionali del mercato britannico,
evitando di escluderli brutalmente. Le ragioni degli inglesi trovavano una sponda nei tedeschi (nei quali i negoziatori francesi intravedevano la longa manus degli americani), negli olandesi e negli italiani.
Questi ultimi stimavano che il governo britannico, avendo dichiarato
la propria disponibilità ad adottare i regolamenti comunitari, avesse
10
C. O’Neill, op. cit., pp. 93-94; MAEF, EGB, 1961-1970, 221, Courcel à Schumann, “Prise de position de la CBI sur l’entrée de la Grande-Bretagne dans le Marché commun”, 22.6.1970.
388
Jean-Marie Palayret
implicitamente accettato la preferenza comunitaria ed erano favorevoli
a una certa flessibilità nella preferenza 11.
Visto che le discussioni non registravano alcun progresso, il Consiglio chiese alla Commissione chiarimenti in merito alle possibili ripercussioni sul commercio mondiale dell’applicazione della preferenza comunitaria. In un documento di lavoro del 18 febbraio, la Commissione concludeva che solo per quattro categorie di prodotti l’instaurazione della preferenza comunitaria avrebbe potuto provocare conseguenze
di rilievo per gli scambi commerciali britannici con i paesi terzi: burro, pancetta affumicata, frutta e legumi 12.
In queste condizioni, tedeschi e italiani non tardarono ad allinearsi
con la posizione francese. Il 1o e 2 marzo 1971, i ministri dei Sei giunsero a conclusioni unanimi su molti punti del periodo transitorio, in particolare: l’adozione immediata dei meccanismi della Politica agricola comune da parte dei paesi candidati, la scomparsa, il più presto possibile,
del sistema dei deficiency payments, il riavvicinamento dei prezzi da portare a termine in cinque fasi (1973-77), cinque tranche uguali all’inizio di
ciascuna campagna. Una sola concessione alla posizione britannica: l’impegno di tener conto degli interessi dei paesi fornitori (cioè Australia e
Nuova Zelanda) durante il periodo transitorio 13.
Schumann aveva di che essere soddisfatto. L’insistenza di Rippon
per un’introduzione graduale della preferenza comunitaria e per il
mantenimento di determinate quote sulle importazioni britanniche di
frutta e legumi e prodotti orticoli ebbe il solo effetto di suscitare i
sarcasmi del Presidente Pompidou – “Les Anglais en sont à discuter
de pommes et de poires” – e provocare il malcontento di Heath, che
temeva lo s’incolpasse di aver provocato il fallimento dei negoziati.
Reso noto l’8 maggio l’incontro Heath-Pompidou, era infatti della
massima importanza che la riunione ministeriale prevista per i giorni
11-13 maggio 1971 registrasse progressi di rilievo.
Il gabinetto britannico riconsiderò la sua posizione e l’11 maggio, in una riunione dei ministri dei Sette, Rippon fece nuove concessioni: gli inglesi accettarono di applicare, a partire dal momento dell’adesione, le preferenze comunitarie. Ne ottennero in cambio l’inclusione nel futuro trattato di misure che consentissero di attenuare i
11
CAC, SGCI 1990/0648, n. 6, R.P. Bruxelles à SGCI, “Conseil du 1er février
1971”, 3.2.1971.
12
Agence Europe, boll. 751, 22.2.1971.
13
Ivi, boll. 756 e 757, 1 e 2.3.1971.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
389
malfunzionamenti causati al commercio dei paesi terzi e l’adozione di
clausole correttive in caso di difficoltà sul mercato britannico derivanti
dall’applicazione della PAC. Per la frutta e i legumi, inoltre, sarebbero
state fissate scadenze speciali. L’allineamento integrale sui prezzi comuni era previsto per il 31 dicembre 1977 (e non nel 1978) 14.
c) Il problema della sterlina
Gli inglesi si sono interrogati a lungo sulle ragioni che indussero i
francesi dapprima a sollevare bruscamente la questione dello statuto
della sterlina nel corso dei negoziati d’adesione e poi a lasciarla cadere altrettanto all’improvviso.
La posizione francese era ondivaga a questo proposito, anche perché il problema era stato costantemente sollevato tra il 1963 e il 1967.
I dispacci e i memorandum del Quai d’Orsay e del ministero delle Finanze abbondavano di critiche sulla debolezza economica del Regno
Unito che non erano state completamente dimenticate nel 1970. Oltre
a questo si deve aggiungere l’ambizione della Comunità di costruire
un’unione economica e monetaria. In tale contesto, si trattava di capire se il mantenimento dello statuto dell’area della sterlina sarebbe stato compatibile con la messa in opera dei meccanismi di concorso monetari e finanziari intra-comunitari – il cui principio ispiratore era stato adottato nel luglio 1969 – e con la realizzazione progressiva di una
zona monetaria europea, il cui principio era stato deciso nel dicembre
1969 all’Aja, che si caratterizzava per la soppressione dei margini di
fluttuazione dei tassi di cambio tra paesi membri e per la messa in
comune delle riserve 15.
Nei mesi di gennaio e febbraio del 1971, i rappresentanti ufficiali
britannici furono avvertiti che il Presidente Pompidou aveva una opinione molto ferma sulla sterlina e che essi avrebbero dovuto moltiplicare i loro sforzi per assicurare che la politica del governo britannico
puntava ad abolire il ruolo di moneta di riserva della sterlina il più
presto possibile. Sembra che, in previsione della crisi monetaria che si
andava profilando all’orizzonte, il Presidente francese avesse fatto di
questa rinuncia un test delle intenzioni britanniche tra orientamento
“atlantista” e “comunitario”. I suoi consiglieri cercavano di far passare
14
15
Ivi, boll. 806, 12.5.1971.
MAEF, EGB, 1971-1976, 3284, Brunet à Schumann, 20.5.1970.
390
Jean-Marie Palayret
l’opinione che occorresse raggiungere un accordo sulla sterlina, in
modo da liberare il dollaro dalle preoccupazioni legate a quel “ventre
molle” il cui destino era legato al suo. L’operazione avrebbe liberato
la Gran Bretagna dagli artigli delle organizzazioni monetarie internazionali e, indirettamente, degli Stati Uniti che le controllavano. La delegazione francese era preoccupata dall’idea che, in una maniera o nell’altra, i negoziati potessero avere come risultato finale non di integrare la Gran Bretagna nella Comunità, ma di trascinare la Comunità in
problemi di natura essenzialmente atlantica 16.
L’intransigenza dei negoziatori francesi era confortata dalla risolutezza
di cui dava prova, nella Commissione, il vicepresidente incaricato degli
affari economici e monetari, Raymond Barre. Nel novembre 1970, questi
aveva spiegato ai Rappresentanti permanenti tutte le difficoltà che prevedeva e nel gennaio 1971 si fece portatore della dottrina secondo la quale
gli accordi di Basilea non avrebbero dovuto essere prorogati senza una
garanzia di contenimento delle passività della sterlina. Su sua richiesta,
alla conferenza ministeriale del 27 ottobre 1970, la Comunità aveva dichiarato che la questione della sterlina, “se trouvant au coeur même de
la négociation”, doveva essere affrontata entro la fine dell’anno. In dicembre, la Commissione, con Deniau e Barre, inviò al governo britannico un questionario confidenziale in tal senso 17.
Gli inglesi avrebbero preferito il rinvio del dibattito alla fine dell’anno seguente, in modo da permettere al governo Heath di sviluppare e presentare il suo programma di ripresa economica e di registrare
i progressi attesi dalla rinegoziazione in corso degli accordi sull’area
della sterlina. Rippon e O’Neill fecero trascorrere tempo e portarono
a Bruxelles la risposta di Londra solo all’inizio del marzo 1971 18.
Gli eventi subirono un’accelerazione quando i francesi, senza dubbio per alzare la posta prima dell’incontro tra Pompidou e Heath, decisero di gettare le carte in tavola senza preavviso. L’offensiva prese la
forma di una dichiarazione di Jean-Marc Boegner al Comitato dei
Rappresentanti permanenti il 18 marzo. Questa “nouvelle dépêche
16
U. Kitzinger, Diplomacy and Persuasion. How Britain Joined the Common
Market, London, Thames & Hudson, 1973, pp. 154, 158-159; A. Milward, Heath, le
Trésor britannique et le plan Werner, in Le rôle des ministères des Finances et de l’Economie dans la construction européenne, 1957-1978, Actes du colloque de Bercy,
26-28 mai 1998, tome I, Paris, CHEFF, 2002, p. 338.
17
Agence Europe, boll. 771, 22.3.1971.
18
C. O’Neill, op. cit., p. 129.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
391
d’Ems”, per riprendere le parole del rappresentante olandese Sassen 19,
il cui contenuto era stato fissato nel corso di un consiglio ristretto tenuto alla vigilia a Parigi, tra Pompidou, Schumann, Jacques ChabanDelmas e Valéry Giscard d’Estaing, destò grande impressione. Il rappresentante francese chiedeva che il Consiglio dei ministri raggiungesse, a partire dalla riunione del 30 marzo, una posizione comune sulle
questioni economiche, finanziarie e monetarie poste dall’adesione britannica. La Francia riteneva che, per un paese membro, persistesse
una contraddizione tra la sua appartenenza alla Comunità, che si avviava verso una unione economica e monetaria, e la gestione di una
moneta di riserva internazionale che faceva di questo paese il centro
di una zona monetaria extra-europea e l’assoggettava a fattori esterni
che sfuggivano al suo controllo, così come a quello della Comunità.
Ciò non significava che la Gran Bretagna dovesse bloccare lo status internazionale della sterlina all’atto dell’adesione ma occorreva che,
nel corso del periodo transitorio, Londra si adoperasse per una riduzione progressiva delle riserve conservate in sterline. La Francia riteneva che le disposizioni degli articoli 108 e 109 del Trattato di Roma
(concorso reciproco) si potessero applicare a favore di un paese membro solo nel caso in cui le sue difficoltà finanziarie fossero in rapporto
alla congiuntura economica interna, non a influenze esterne. Infine,
l’entrata della Gran Bretagna nel Mercato comune doveva accompagnarsi all’abolizione immediata delle discriminazioni in materia di capitali che favorivano i paesi bianchi del Commonwealth (in particolare
l’Australia e la Nuova Zelanda) a svantaggio dei paesi della Comunità.
Boegner puntualizzò che queste esportazioni di capitali contribuivano
ad aumentare il volume delle passività e la vulnerabilità monetaria
esterna della Gran Bretagna 20.
Al Consiglio dei ministri del 30 marzo, il ministro francese delle Finanze, Giscard d’Estaing, assestò il colpo decisivo. Se non fosse cambiato niente, la Gran Bretagna non avrebbe potuto rispettare le disposizioni dei Trattati di Roma. Sarebbe stato necessario che la Gran Bretagna
19
BundesArchiv, B. 102, 180089, Sachs a Auswärtiges Amt, a/s “Beitritthandlungen mit Grossbritannien: Britische Wirtschafts und Wärhrunsglage”, cit. in K. Rucker, “L’adhésion de la Grande-Bretagne à la CEE et la question de la Livre Sterling:
une instrumentalisation politique d’une question économique?”, di prossima pubblicazione.
20
MAEF, EGB, 1971-1976, 3284, Instructions de Brunet à Boegner, a/s “Communauté et zone Sterling”, 18.3.1971.
392
Jean-Marie Palayret
fosse già in regola, al momento dell’adesione, con le disposizioni comunitarie in materia di movimenti di capitali e che s’impegnasse a prendere
misure appropriate affinché il volume delle riserve in sterline a disposizione dei paesi della zona di influenza della sterlina diminuisse progressivamente. La Comunità, dal canto suo, avrebbe dovuto garantirsi contro i
rischi che comportava il significativo indebitamento britannico, precisando in particolare le condizioni del ricorso al concorso reciproco comunitario. Il parere della Francia era che, in presenza di una congiuntura sfavorevole, sarebbe stato compito delle banche centrali aiutare la Gran
Bretagna facendo ricorso non al Trattato di Roma (art. 108) ma alla solidarietà internazionale.
Tedeschi, italiani e olandesi videro nella posizione francese, più
aggressiva che costruttiva, un ostacolo supplementare sulla via dell’adesione britannica. Perciò, quando il ministro degli Esteri olandese
Luns affermò che il problema della sterlina non rientrava nel quadro
delle trattative per l’adesione ma eventualmente poteva essere oggetto
di semplici scambi di opinioni tra ministri delle Finanze – basandosi
sul testo della decisione del Consiglio dell’11 giugno 1970 di Harmel,
che usava il termine “discussioni” e non quello di “negoziati” – Giscard d’Estaing non esitò a esibire il dizionario Larousse per dimostrargli l’inutilità d’impostare una distinzione tra i due termini 21. Il
Guardian, in un editoriale intitolato “Esiste un complotto contro la
sterlina?”, si domandò se la Francia volesse servirsi del ruolo della
moneta britannica come pretesto per un terzo veto all’adesione del
Regno Unito alla Comunità.
La tensione, peraltro, sparì improvvisamente come era comparsa. I
miglioramenti della situazione economica britannica svolsero un ruolo
decisivo. Il Cancelliere dello Scacchiere, Anthony Barber, presentò in
aprile il bilancio per il 1971. Le sue disposizioni, che includevano la
decisione di applicare rapidamente una tassa sul valore aggiunto, ricevettero un’ottima accoglienza a Bruxelles. Insieme all’innegabile miglioramento delle riserve e della bilancia dei pagamenti (alla fine del
1968 l’indebitamento estero britannico raggiungeva 8071 milioni di
dollari a fronte di riserve ridotte a 2636 milioni; questo indebitamento
era diminuito fino a 3506 milioni di dollari alla fine del giugno 1970
e a 1640 milioni di dollari alla fine del marzo 1971, mentre le riserve
21
Ivi, Boegner à Schumann et Giscard d’Estaing, “Problèmes économiques, monétaires et financiers liés à l’adhésion britannique”, 1.4.1971.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
393
crescevano nello stesso tempo fino a 6582 milioni di dollari), questi
dati toglievano molto peso alle insistenze francesi perché la Gran Bretagna fosse sottoposta a severi parametri d’esame economicofinanziari 22.
La crisi del dollaro e le sue ripercussioni all’interno della Comunità fecero il resto. Il 5 maggio 1971, la crisi della divisa americana raggiungeva il suo punto estremo, provocando l’afflusso di grandi quantità di dollari in Germania e la chiusura della borsa di Francoforte. Il 9
maggio, il governo tedesco decise unilateralmente la fluttuazione del
marco. I francesi, inquieti per le ripercussioni che le variazioni dei tassi di cambio comunitari avrebbero provocato sulla Politica agricola comune, si mostrarono critici e amareggiati per la politica monetaria di
Bonn. Dallo spauracchio della sterlina si era passati alla realtà del dollaro e del marco.
Rippon scelse questa opportunità per calmare i giochi. Alla riunione ministeriale dell’11-13 maggio 1971 riconobbe che “le rôle de réserve de la livre n’était plus un avantage pour la Grande-Bretagne et
que celle-ci ne considérait pas que le statut actuel soit immuable” 23.
In realtà, anche al di là della volontà britannica di entrare nella Comunità, gli inglesi erano largamente orientati verso una sensibile riduzione del ruolo internazionale della sterlina. Essi ritenevano auspicabile una riduzione progressiva delle passività. Si era rafforzata la speranza, durante i dibattiti in seno al governo, che dopo l’entrata nella Comunità la dedizione alla causa dell’unione monetaria potesse indurre
le autorità europee a dare un aiuto finanziario alla divisa britannica
nell’eventualità di una transizione difficile.
Il Regno Unito contava sugli accordi di Basilea del 1968 per sostenere la sterlina nel momento in cui il suo ruolo di moneta di riserva
si fosse drasticamente ridotto. Le sole condizioni poste dal governo di
Londra erano che il Regno Unito non fosse costretto ad annullare i
crediti dei titolari di rimanenze in sterline e che la riduzione del ruolo
della moneta di riserva non dovesse pesare in maniera inaccettabile
sulla bilancia dei pagamenti 24. Ciò che inquietava, nella posizione francese, era l’approccio che tendeva ad attualizzare il problema e a inserirlo nei negoziati.
22
23
24
C. O’Neill, op. cit., p.128.
Agence Europe, boll. 807, 13.5.1971.
A. Milward, op. cit, p. 338.
394
Jean-Marie Palayret
Una settimana più tardi, Heath e Pompidou si incontrarono a Parigi. Il problema della sterlina fu esaminato con estrema attenzione: i
due interlocutori vi dedicarono quasi la metà dei colloqui. Prevalse
l’impressione che il problema non fosse così difficile come poteva
sembrare. In particolare, Pompidou non affrontò la questione della discriminazione in materia di movimenti di capitali sulla quale Boegner
e Giscard d’Estaing avevano concentrato le loro critiche e che, dal
punto di vista inglese, avrebbe potuto costituire il punto più spinoso
da regolare. L’eventualità di far giocare a favore della Gran Bretagna
le disposizioni previste dagli articoli 108 e 109 del Trattato di Roma
non sembrava più un ostacolo insormontabile. Heath aveva offerto indicazioni incoraggianti per ciò che riguardava la riduzione delle passività. Aveva tuttavia insistito perché la questione fosse discussa fuori
del quadro dei negoziati 25.
Dopo quell’incontro, Soames et Jobert, scavalcando i servizi del
ministero degli Esteri, ebbero numerosi scambi di opinioni sul modo
di regolare la questione della sterlina nel contesto delle trattative a
Sette. Tutto questo lavoro venne formalizzato, in occasione del Consiglio dei ministri europeo del 7 giugno 1971, con una dichiarazione
d’intenti di Rippon che fu, con grande sorpresa di Barre e dei Cinque, accettata immediatamente da Schumann e da Giscard d’Estaing.
La Gran Bretagna vi si diceva “disposée à envisager une réduction ordonnée et progressive des balances Sterling détenues par les autorités
officielles après l’adhésion”. Era “prête à discuter, après [l’] entrée
dans les Communautés, des mesures adéquates pour mener à bien un
alignement progressif des pratiques applicables au Sterling avec celles
concernant les autres monnaies de la Communauté dans le contexte
des progrès vers l’Union économique et monétaire”. Nell’attesa, i britannici avrebbero razionalizzato le loro politiche con lo scopo di stabilizzare le passività senza che questi ritocchi andassero a danneggiare
oltre un certo limite la bilancia dei pagamenti 26.
Questo coup de théâtre, perfettamente orchestrato, fece nascere nei
Cinque partner della Francia il sospetto che altre importanti questioni
25
Archives Nationales, Paris (d’ora in poi, AN), 5AG2, carton 1040, “Premier
tête-à-tête entre M. Pompidou et M. Heath, 20.5.1971, de 10h à 13h. Déclaration
d’E. Heath à la Chambre des Communes sur la Conférence au sommet de Paris,
26.5.1971”.
26
MAEF, EGB, 1971-1976, 3284, Boegner à Schumann, “Déclaration de M. Rippon”, 8.6.1971.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
395
fossero state risolte alle loro spalle nel corso dei contatti tra Heath e
Pompidou 27. La Commissione, frustrata per non aver potuto presentare il documento che aveva preparato, ritenne da parte sua che l’accordo “ne comprenait pas les garanties et précautions nécessaires sur un
problème aussi important pour l’avenir de la Communauté élargie”.
Barre, sentendosi sconfessato, reagì osservando che “la déclaration de
M. Rippon se solde par zéro plus zéro plus zéro”. Egli rimpiangeva
che la riduzione delle passività non fosse stata fatta oggetto della definizione di tappe precise. Inoltre riteneva opportuno per le restrizioni
al movimento dei capitali che queste fossero eliminate del tutto al termine del periodo transitorio 28.
Di fatto, nella sua presentazione alla Camera dei Comuni, il capo
della delegazione britannica sottolineò i vantaggi garantiti alla Gran
Bretagna dal fatto che tali problemi fossero stati lasciati a margine dei
negoziati d’adesione per essere ripresi solo più tardi. Bisogna osservare
che Londra non si era detta disponibile a prendere impegni specifici
su eventuali date di calendario da rispettare.
d) I prodotti lattiero-caseari della Nuova Zelanda
Rispetto alle incertezze monetarie che circondavano la sterlina e
alle sottigliezze dialettiche sulle importazioni dello zucchero di canna,
i prodotti lattiero-caseari neozelandesi ponevano meno problemi. La
dipendenza della Nuova Zelanda dal mercato britannico rimaneva importante all’inizio degli anni Settanta. La media delle importazioni britanniche di burro si valutava a circa 450 000 tonnellate all’anno, di
cui il 40% (pari a 175 000 tonnellate) proveniva dalla Nuova Zelanda.
Nel 1970-71 la Nuova Zelanda forniva il 56% delle importazioni inglesi di formaggio cheddar (pari a 76 200 tonnellate).
A Wellington, le cui autorità erano ben rappresentate a Londra, le
preoccupazioni erano forti. John Marshall, vice-Premier e ministro del
Commercio estero neozelandese, incaricato del problema da oltre dieci
anni, era un negoziatore consumato, lucido e determinato. Egli poteva
beneficiare dell’appoggio di una lobby locale molto attiva, composta
dal New Zeland Dairy Board e dall’Associated Farmers of New Zealand.
Quest’ultima organizzazione mantenne Whitehall sotto pressione per
27
Ivi, 3294, “Rencontre Pompidou-Heath”, Burin des Roziers (ambassadeur à
Rome) à Schumann, 22.5.1971.
28
Agence Europe, boll. 824, 9.6.1971.
396
Jean-Marie Palayret
tutto il periodo dei negoziati 29. L’attaccamento sentimentale che i britannici dimostravano verso queste isole si spiegava con un passato comune e con il ricordo del sostegno che i neozelandesi avevano dato
alla madrepatria durante la Seconda guerra mondiale.
Londra auspicava garanzie a lungo termine per l’accesso del burro e
del formaggio neozelandesi al mercato britannico. Senza farsi troppe illusioni sulle possibilità di ottenere un risultato positivo, ma dovendo tener conto del giro delle capitali europee che Marshall si apprestava a
fare, gli inglesi avevano chiesto dapprima il mantenimento dei livelli
d’accesso esistenti nel mercato britannico per il burro e per il formaggio
neozelandesi. Il 6 novembre 1970, avevano anche proposto ai Sei che,
per la durata del periodo d’adattamento che sarebbe stato deciso per
l’agricoltura, la Nuova Zelanda avrebbe potuto conservare la possibilità
di vendere annualmente 172 720 tonnellate di burro e 76 200 tonnellate
di cheddar (equivalenti a 4 945 000 tonnellate di latte) alla Comunità allargata. Si sarebbe proceduto a un riesame dodici mesi prima della fine
del periodo transitorio, per assicurare la continuazione dell’accordo ed
evitare una grave crisi dell’economia neozelandese 30.
Secondo l’opinione della Commissione, le possibilità di sbocco dei
prodotti lattiero-caseari della Nuova Zelanda dovevano al contrario essere sensibilmente ridotte. Nella vue d’ensemble del 17 novembre 1970
si propose dunque un accesso scalare per il burro e il formaggio neozelandesi al mercato britannico sull’arco di cinque anni. Allo scadere
del periodo transitorio, se le importazioni di burro non fossero diminuite di più del 50%, l’abolizione delle garanzie quantitative per il
cheddar sarebbe stata totale. La conseguente diminuzione delle entrate
neozelandesi in conto esportazioni sarebbe stata attenuata dalla garanzia di prezzi progressivamente più elevati 31.
I francesi si auguravano che la Gran Bretagna acquistasse il burro e il formaggio della Comunità e non volesse consentire alcuna proroga ulteriore del periodo transitorio per l’uno o l’altro di questi prodotti oltre il 1977, e in ogni caso certamente non oltre il 1979, data limite delle misure transitorie per ciò che concerneva il regolamento finanziario 32. In privato, Schumann dichiarò che la questione era
29
C. O’Neill, op. cit., p. 142.
Ivi, p. 155.
31
Agence Europe, boll. 608, 4.12.1970.
32
Nel corso di un incontro a Parigi l’11 novembre, Schumann fece osservare a
Rippon che la domanda di “mesures dérogatoires permanentes pour faciliter l’accès
30
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
397
semplicissima. I neozelandesi non dovevano far altro che vendere burro e formaggio al Giappone invece che alla Gran Bretagna. JeanPierre Brunet era persuaso che la sola prospettiva di vedersi chiudere
il mercato britannico secondo il rispetto di scadenze prefissate avrebbe realmente costretto i neozelandesi a diversificare i loro mercati o le
loro produzioni.
La delegazione francese contava sul fatto che alla fine del 1977 le
preferenze a favore della Nuova Zelanda sarebbero scomparse per tre
quarti. In nessun caso Boegner e Schumann erano disponibili a prevedere un accordo permanente per questo paese, in deroga alla Politica
agricola comune. Se si fossero proprio dovute accettare eccezioni, esse
avrebbero riguardato il burro. Il formaggio era infatti un prodotto che
stava particolarmente a cuore all’alverniate Pompidou. I francesi si
mantenevano su una offerta utile pari al 17% delle importazioni esistenti (misurate in quantità equivalente di latte), che poteva essere
mantenuta fino al 1977. Oltre questa data, la protezione degli interessi
neozelandesi avrebbe dovuto essere assicurata da un accordo internazionale sui prodotti lattieri. I francesi si distinguevano a loro volta dagli olandesi, che proponevano una garanzia del 70% al termine di cinque anni per le importazioni di burro e formaggio neozelandesi, ma
senza compensazione finanziaria, e dei tedeschi che, come gli italiani,
erano disposti ad ammettere la possibilità di mantenere questo regime
speciale fino alla scadenza del periodo quinquennale 33.
Il fatto che l’incontro Heath-Pompidou non avesse affrontato nel
merito il problema rivelò che i francesi avevano l’intenzione di condizionare l’accordo sulla Nuova Zelanda al regolamento soddisfacente
del problema finanziario 34. Quando giunse l’ora della verità, il 21 giugno 1971, a Lussemburgo, Schumann, furioso per aver visto i suoi
partner disposti a cedere su tutti i punti, ruppe le trattative. Ma Deniau, facendo la spola tra le camere di tutti i ministri all’hôtel Holiday
préférentiel des exportations de produits laitiers de Nouvelle-Zélande [...] sur le marché du Royaume-Uni s’opposait de façon évidente au principe suivant lequel les mesures d’adaptation nécessitées par l’élargissement devraient être provisoires et d’une
durée préalablement définies”, MAEF, EGB, 222, circ. n. 359, Schumann à tous postes, a/s “Visite de M. Rippon à Paris”, 11.11.1970.
33
Ivi, EGB, 1971-1976, 3284, notes de Boegner à Schumann, a/s “Négociations
avec le Royaume-Uni”, 5.2.1971, e a/s “Session du Conseil des ministres du 1er mars”,
26.2.1971.
34
Ivi, Boegner à Schumann, a/s “Conférence des négociations avec le RoyaumeUni des 21, 22 et 23 juin”, 25.6. 1971.
398
Jean-Marie Palayret
Inn, suggerì una soluzione d’emergenza e, con l’aiuto del Presidente
della Commissione Malfatti, riuscì a far passare non solo la clausola di
revisione ma anche un quantitativo pari all’80% per il burro, percentuale più elevata di quella concessa dalla Comunità fino a quel momento 35.
Dopo un ultimo testa a testa tra Schumann e Rippon, la Nuova
Zelanda ottenne una quota di esportazioni verso la Gran Bretagna del
71%, equivalente in latte al 77-80% delle importazioni esistenti di
burro, ma un livello più basso per il cheddar (20% nel 1977) 36. Il
prezzo garantito fissato per il burro era tuttavia nettamente maggiore
di quello che la Nuova Zelanda aveva ottenuto in precedenza, poiché
nel frattempo il burro aveva raggiunto prezzi anomali verso l’alto a
causa di un imprevisto calo della produzione. Per il 1975 era previsto
un riesame di tutto il pacchetto di misure da parte della Comunità allargata. Tenendo conto dell’evoluzione verso un accordo mondiale effettivo sui prodotti lattieri (che la Comunità si impegnava a promuovere) e dell’evoluzione propria della Nuova Zelanda verso la diversificazione, si sarebbero potute prendere nuove misure eccezionali per il
burro ma non per il formaggio.
I neozelandesi non erano insoddisfatti: avrebbero infatti goduto
per un quinquennio di vantaggi superiori a quelli prevedibili in caso
di mancata adesione della Gran Bretagna alla Comunità. Essi credevano che gli Stati membri avessero scartato quella notte all’unanimità
nuove misure eccezionali a loro favore dopo il 1977. “L’avenir de leur
pays ne serait pas conditionné par un veto français”, aveva dichiarato
un po’ avventatamente John Marshall. Questa condizione riappariva
infatti nell’atto d’adesione (protocollo 18): la delegazione francese aveva avuto cura di far inserire nel verbale un cenno al fatto che sarebbe
stata richiesta una decisione unanime del Consiglio 37.
Per gli inglesi, il risultato era nel contempo insperato e inquietante. Insperato, dal momento che sia Arthur Galworthy sia Rippon dubitavano ancora in marzo di ottenere più del 60% equivalente al latte
garantito nel 1977 38. L’accordo fece saltare il rischio di un veto neozelandese sull’entrata della Gran Bretagna nella Comunità, che avrebbe
avuto ripercussioni gravissime sulle prospettive di una ratifica del
35
36
37
38
Agence Europe, boll. 832, 21.6.1971.
Ivi, boll. 834, 23.6.1971.
MAEF, EGB, 1971-1976, 3284, Boegner à Schumann cit., 25.6.1971.
C. O’Neill, op. cit., pp. 165-166.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
399
Trattato d’adesione da parte del Parlamento di Westminster. Inquietante, perché il regolamento era stato sottoposto a un accordo soddisfacente a proposito del contributo al bilancio comunitario. In fin dei
conti, fu il contribuente britannico che pagò la Comunità per permettere ai neozelandesi di continuare a vendere i loro prodotti lattieri al
di là della Manica.
e) Le virtù dell’algebra: il contributo al bilancio comunitario
Fissare il contributo britannico al bilancio comunitario rappresentò
il più importante punto di disaccordo tra francesi e britannici nel corso dei negoziati. Per il governo francese la questione era a un tempo
finanziaria e politica. A Parigi si attribuiva la massima importanza alla
necessità di risolvere il problema del finanziamento della Politica agricola comune tra i Sei prima dell’entrata in scena degli inglesi. All’Aja
Pompidou aveva fatto della ratifica dell’accordo sul completamento
del Mercato comune una delle condizioni preliminari rispetto all’apertura dei negoziati per l’allargamento.
Il comunicato dell’Aja aveva riaffermato la volontà dei Sei di fissare un accordo finanziario definitivo per la Politica agricola comune
prima della fine del 1969. I contributi degli Stati membri sarebbero
stati progressivamente sostituiti dal sistema delle “risorse proprie”, attraverso le quali alcune entrate nazionali, tra cui i prelievi sulle importazioni agricole che ne costituivano la componente principale, sarebbero state devolute non più allo Stato nazionale dove erano state raccolte, ma alla Comunità. Questo era un obiettivo che i francesi si erano
posti da molto tempo e che erano determinati a raggiungere, anche se
avessero dovuto forzare la mano ai partner. Concluso nel febbraio
1970, l’accordo venne formalizzato in aprile in un trattato da sottoporre alla ratifica dei Sei. In parallelo, la Comunità stava elaborando
la sua posizione negoziale con il Regno Unito.
Mentre procedevano questi lavori sul regolamento finanziario, il
governo laburista aveva fatto sapere alla Comunità, con un White Paper, fino a che punto la questione rivestiva un ruolo cruciale per la
Gran Bretagna. Secondo le argomentazioni britanniche, le spese comunitarie erano assorbite al 90% dalla Politica agricola comune. Questa
politica conveniva in particolare ai paesi con un forte settore agricolo
come la Francia e l’Olanda. Per il Regno Unito, al contrario, il prezzo da pagare rischiava di essere molto alto, visto l’orientamento tradizionale dei suoi scambi commerciali e considerate le disposizioni di
400
Jean-Marie Palayret
bilancio adottate di recente dai Sei: Londra avrebbe versato prelievi
importanti per prodotti agricoli acquistati da terzi e diritti doganali ed
entrate IVA traendo solo minimi benefici dalle spese comunitarie.
Alla fine del luglio 1970, il governo conservatore aveva trasmesso
alla Commissione europea un nuovo Libro bianco nel quale si sforzava di dimostrare, a sua volta, che questo meccanismo avrebbe presupposto che nel 1978 il Regno Unito, la cui parte nel prodotto lordo
della CEE si limitava, da uno studio dell’OCSE, al 17% del totale,
avrebbe versato nelle casse comuni quasi il 33% delle spese comunitarie. Il documento stimava il bilancio comunitario nel 1978 a 4,5 miliardi di dollari e i trasferimenti che il Regno Unito avrebbe dovuto
effettuare a 1,1 miliardi, e cioè tre volte e mezzo più che la Germania. Al contrario, la Francia avrebbe beneficiato di un attivo di 765
milioni di dollari e l’Olanda di 430 milioni. I Sei nel loro complesso
avrebbero avuto a disposizione un trasferimento di 950 milioni a loro
favore.
Nella sua risposta, comunicata al Consiglio il 20 ottobre, la Commissione aveva giudicato del tutto arbitrarie le valutazioni britanniche.
Essa sottolineava il carattere assolutamente aleatorio di ogni previsione
in materia di prelievi obbligatori e di versamenti del FEOGA senza la
possibilità di conoscere la futura evoluzione dei prezzi e del commercio (mondiale e intra-comunitaria). I calcoli dei suoi esperti concludevano che il documento britannico esagerava i contributi probabili del
Regno Unito e minimizzava quelli dei Sei. La Commissione riteneva
che il Regno Unito e la Germania si trovavano in una situazione simile. Soprattutto, ricordava al governo di Londra di aver scordato gli
“effetti dinamici dell’integrazione” 39.
In mancanza del ‘giusto ritorno’, contrario al principio comunitario di solidarietà, Londra cercò di negoziare una partecipazione molto
progressiva al bilancio. Il Tesoro e la Confederazione delle Industrie
britanniche ritenevano che un carico troppo pesante di trasferimenti finanziari nelle prime fasi avrebbe costretto ad adottare politiche
di bilancio restrittive, che avrebbero finito per annullare gli effetti ‘dinamici’ attesi dall’entrata nel Mercato comune 40. Il 16 dicembre 1970,
Rippon presentava su queste basi le proposte britanniche alla Camera dei Comuni, dichiarando che la base appropriata per il contributo
39
40
Ivi, p. 176.
Ivi, pp. 176-179.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
401
britannico, da raggiungere al quinto anno dopo l’adesione, sarebbe
stata dal 13 al 15%. Il Regno Unito doveva, a partire da queste basi,
ripartire il suo sforzo in tappe annuali uguali, partendo da uno 0% di
principio l’anno precedente l’adesione. Attraverso semplici calcoli aritmetici, questo avrebbe portato a un contributo del 2,6-3% nel 1973.
Rippon reclamava inoltre tre anni di correttivi dopo il 1977, sulle basi
che i Sei avevano adottato per se stessi, e una clausola eccezionale nel
caso in cui i trasferimenti avessero provocato “situazioni inaccettabili”
per la bilancia dei pagamenti britannica 41.
Pompidou aveva accolto queste prime proposte con un commento
divertito, che voleva essere nel contempo anche un serio avvertimento:
“Les Anglais sont connus pour trois qualités: l’humour, la tenacité, le
réalisme. Il m’arrive de penser que nous sommes encore un peu au
stade de l’humour” 42. Appena ebbero ottenuto la presidenza della Comunità nel gennaio-febbraio 1971, i negoziatori francesi s’impegnarono
a far adottare dai Sei alcune clausole preventive, contenute in una Dichiarazione di principio: progressione verso il regime definitivo calcolata in modo tale che, alla fine del periodo transitorio, la Gran Bretagna non dovesse effettuare “un salto importante”; definizione degli
elementi che dovevano andare a costituire il contributo dei paesi candidati dall’inizio del periodo transitorio (prelievi, diritti doganali, contributi di bilancio o frazione di un punto di IVA); rifiuto di ogni
clausola eccezionale 43.
Come Schumann spiegò a Soames il 19 gennaio 1971, l’insistenza
con la quale il memorandum britannico sottolineava che questo contributo non avrebbe dovuto eccedere i mezzi dell’economia inglese, né il suo
totale superare la percentuale del prodotto nazionale lordo britannico nel
prodotto comunitario globale, poteva far credere che il governo britannico, contrariamente al regolamento finanziario deciso dai Sei, prevedesse
“un plafonnement de sa quote-part au terme de la période transitoire”.
D’altra parte, l’evoluzione prevista di questo contributo faceva credere ai
francesi che il Regno Unito si sarebbe dichiarato alla fine incapace di
compiere questo ‘salto’ dell’8%. “Dans ces conditions”, s’interrogava il
41
Ivi, p. 180.
Citato da M. Vaïsse, Changement et continuité dans la politique européenne de
la France, in Georges Pompidou et l’Europe cit., pp. 29-43.
43
MAEF, EGB, 1971-1976, 3284, Boegner à Schumann, a/s “Négociations avec
la Grande-Bretagne”, 22.1.1971.
42
402
Jean-Marie Palayret
ministro degli Affari esteri, “le gouvernement anglais n’entendait-il pas
refuser en fait le règlement financier?” 44.
Ma i cinque partner della Francia erano più propensi di quest’ultima ad adottare il punto di vista del governo britannico sulla necessità
di un contributo progressivo e di una clausola di salvaguardia. L’accordo era unanime in merito al fatto che i tassi di contribuzione proposti dalla delegazione britannica il 16 dicembre fossero nettamente
troppo bassi e che un ritmo di progressione troppo lento degli apporti finanziari britannici nel corso del periodo transitorio avrebbe provocato inevitabilmente una grave crisi nel momento in cui la Gran Bretagna avesse dovuto partecipare integralmente al sistema di finanziamento della Politica agricola comune 45. Il rappresentante olandese,
Sassen, e l’italiano Bombassei domandarono tuttavia che fosse riconosciuta la necessità “qu’il n’y ait de saut brusque à aucun moment de
la période de transition et en particulier au début de celle-ci”: il che
svuotava di sostanza, secondo l’opinione di Boegner, la dichiarazione
dei Sei. Essi erano anche disposti a rispondere favorevolmente all’auspicio britannico d’includere una clausola in tema di “situazioni inaccettabili” che ne sarebbero potute derivare per la bilancia dei pagamenti britannica 46.
Schumann, sempre più isolato durante i lavori della conferenza,
cercò di vincolare la Comunità a non prendere alcuna iniziativa e a
non discutere di cifre prima che Londra si fosse decisa a ritirare le
proprie proposte, ritenute inaccettabili, per sostituirle con altre più realiste 47. La maggior parte dei colleghi affermò tuttavia che occorreva
“jouer le jeu de la négociation” e rispondere alle proposte inglesi.
Aldo Moro insisté sul fatto che non si poteva dimenticare la situazione politica interna del Regno Unito. Se la situazione d’impasse economica fosse proseguita, il governo Heath si sarebbe trovato in autunno,
in occasione dei congressi del partito conservatore e di quello laburista, in una situazione estremamente difficile di fronte all’opinione pubblica e parlamentare 48. Scheel suggerì considerazioni a favore di rapidi
44
Ivi, Arnaud (Direction Europe) à postes diplomatiques, a/s “Entretien
Schumann-Soames”, 25.1.1971.
45
Ivi, Courcel à Schumann (tel. 316/318), a/s “Négociations entre les Six sur la
contribution britannique au budget CEE”, 22.1.1971.
46
Ivi, Boegner à Schumann, a/s “Session du Conseil du 1er février 1971”,
29.1.1971.
47
Ivi, Schumann à Boegner, a/s “Règlement financier”, 10.3.1971.
48
Ivi, 3832, Burin des Roziers (Rome) à Schumann, 27.3.1971.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
403
progressi: la Comunità non avrebbe potuto superare un nuovo shock
senza subire pesanti conseguenze negative 49.
In queste condizioni, furono redatti nuovi studi, suggeriti dal ministro belga Pierre Harmel e portati a termine da Deniau e Wellenstein,
che permisero alla conferenza di non arenarsi completamente. Il 16
marzo, il ministro belga, trovando inopportuno concentrarsi su cifre
precise, presentò in un “documento di lavoro” un metodo e alcuni
criteri di calcolo per la partecipazione britannica, articolati in cinque
punti: a) il Regno Unito avrebbe applicato integralmente, alla fine del
periodo transitorio, il regime delle risorse proprie; b) le modalità applicabili nel periodo transitorio avrebbero dovuto permettere di passare “senza scosse” alla fase finale; c) ci si sarebbe dovuti sforzare di
applicare “un conto alla rovescia”, a partire da una percentuale terminale di partecipazione britannica nel 1978, che avrebbe dovuto avere
“un carattere plausibile e avrebbe dovuto tenere conto dei differenti
elementi statistici economici dei problemi”; d) si sarebbe dovuto prevedere, per due o tre anni dopo il 1978, un sistema di correttivi (analogo a quello esistente tra i Sei dopo il 1975); e) occorreva introdurre
nel sistema un meccanismo regolatore per assicurarne la flessibilità e
la progressività graduale.
Nonostante le forti riserve espresse dalla delegazione francese verso “la formula Harmel”, si trattava senza dubbio di un approccio costruttivo al problema, attento alla circostanza che gli effetti dinamici
dell’adesione sull’economia britannica si sarebbero manifestati progressivamente. Dal 31 marzo, Schumann dichiarò che “sur ses bases le
Comité des représentants permanents serait en mesure de préciser très
rapidement les vues des gouvernements respectifs” 50.
Anche i tedeschi, desiderosi di procedere con pragmatismo, cercavano la soluzione al problema del finanziamento senza perdersi in speculazioni relative al volume di bilancio da raggiungere in cinque anni
e appoggiandosi alla formula Harmel. Essi pensavano che convenisse rendere operativi i criteri proposti dal ministro belga e che esistesse una possibilità di trovare in questo modo una formula per garantire una transizione senza scosse nel rispetto della logica del sistema comunitario 51. I tedeschi lo suggerirono ai britannici in occasione della
49
Agence Europe, boll. 767, 16.3.1971.
Ivi, boll. 778, 31.3.1971.
51
MAEF, EGB, 1971-1976, 3832, Sauvagnargues (Bonn) à Schumann, “Négociations d’élargissement”, 26.4.1971.
50
404
Jean-Marie Palayret
visita che Heath effettuò a Bonn, consigliando di esaminare con attenzione il “pacchetto Harmel” prima che fosse scelto ufficialmente e
non risparmiando critiche alla proposta inglese del 3%. Il 18 marzo,
Willy Brandt aveva scritto personalmente a Pompidou per spronarlo a
un maggiore spirito conciliativo: “Je crois que le moment est venu où
les six Etats membres de la Communauté doivent se mettre d’accord
sur une proposition relative au règlement financier (...). Dans l’intérêt
de la cause européenne, de nouvelles hésitations de notre part ne peuvent à mon avis plus être justifiées” 52.
Wellenstein e Deniau si erano nel frattempo impegnati, a nome
della Commissione, a precisare i metodi di calcolo derivanti dal “metodo Harmel”. Questo avrebbe dovuto concentrarsi su tre punti: a) cifra di partenza: dal primo anno il contributo britannico avrebbe dovuto essere comprensivo delle tre componenti il regime delle risorse proprie; b) cifra finale: era possibile “delimitare una zona verosimilmente
intorno al 20%” (tra il 17 e il 23% circa); c) progressività nel passaggio dalla quota di partenza a quella finale seguendo una curva che assicurasse una maggiorazione crescente di anno in anno 53.
All’avvicinarsi del vertice Heath-Pompidou, il 29 aprile Rippon
fece circolare nuove proposte sulla cifra iniziale del contributo britannico tra i suoi colleghi ministri. Il suo paper fu accettato dall’AE
Committee e il 6 maggio il Gabinetto raggiunse un accordo nei seguenti termini: “If at the Ministerial meeting on 11-12 May the Community put forward proposals pointing to a gradual in our contributions to the budget from less than 10 per cent in the first year, the
Chancellor of the Duchy of Lancaster should indicate that we would
regard these as a basis for negotiations” 54. La vigilia, a Bruxelles, anche la delegazione francese aveva ammorbidito la sua posizione presentando una proposta “alternativa alla formula Harmel”.
Questa proposta, redatta dal ministero delle Finanze 55, consisteva,
come spiegò Boegner, nell’orientare i contributi britannici, “non sur
une nouvelle formule improvisée mais sur la formule que la Communauté avait elle-même adoptée quelques mois auparavant”. La proposta
52
Ivi, 3284, W. Brandt à G. Pompidou, 18.3.1971.
Ivi, 3284, Boegner à Schumann, “Négociations avec le Royaume-Uni”,
16.3.1971.
54
Cit. in C. O’Neill, op. cit., p. 185.
55
CAC, SGCI 1990/0648, n. 5, Note SGCI, a/s “Communication de la Commission sur les mécanismes transitoires de l’élargissement de la Communauté”, 4.12.1970.
53
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
405
stabiliva il principio dell’applicazione integrale del regolamento del 21
aprile 1970 ai nuovi membri dal momento dell’adesione. Tuttavia, la cifra globale della loro partecipazione finanziaria sarebbe stata oggetto di
un abbattimento regressivo regolare (il cosidetto ticket modérateur), al
fine di assicurare la progressività ricercata per i versamenti successivi.
L’elemento di riferimento sul quale sarebbe stata calcolata la partecipazione finanziaria teorica del primo anno avrebbe corrisposto all’importanza relativa del prodotto nazionale lordo britannico all’interno di
quello della comunità allargata. Per gli anni seguenti il periodo transitorio, il tasso di richiamo sarebbe stato segnato dalla lettera N per l’anno
d’adesione (1973), P per la frazione del contributo richiesta il secondo
anno e così di seguito fino alla lettera S per il quinto anno (1977). La
proposta francese non menzionava l’applicazione di un sistema di “correttivi” al termine di questo periodo 56.
Durante la cruciale seduta ministeriale dell’11-12 maggio, nessuno
dei partner della Francia si dichiarò disposto ad appoggiare la nuova
proposta di Parigi. Tutti fecero pressioni affinché essa fosse integrata
in una presa di posizione su un periodo di correttivi post-transitori di
tre anni. Harmel si era impegnato a dimostrare che sulla base della
proposta francese il contributo britannico avrebbe potuto non superare il 19% del bilancio della Comunità il quinto anno. L’applicazione
delle regole comunitarie senza correttivi avrebbe potuto da allora presupporre un contributo dal 25 al 26% nel 1978. Il rischio di una
“scossa importante” rimaneva inalterato 57.
La delegazione francese, guidata da Giscard d’Estaing, si mantenne
ostile ai correttivi, sostenendo che essi avrebbero portato confusione
nel sistema comunitario – che, nel 1978, avrebbe già trovato applicazione – e che nessuno poteva prevedere l’effettiva possibilità di una
“scossa eccessiva” tra il 1977 e il 1978 58. Scheel propose allora una
formula di mediazione: sei mesi prima della fine del periodo transitorio, il meccanismo dei correttivi sarebbe stato introdotto se fosse
apparso probabile che il contributo britannico per il 1978 superasse quello del 1977 di una percentuale che oltrepassava il 2%. Il 13
maggio, alle due del mattino, fu finalmente raggiunto un accordo di
56
MAEF, EGB, 1971-1976, 3835, Alphand à Boegner, a/s “Règlement financier”
4.5.1971.
57
Ivi, 3284, Boegner à Schumann, a/s “Conseil des Ministres des 10, 11, 12
mai”, 14.5.1971.
58
Agence Europe, boll. 805, 11.5.1971.
406
Jean-Marie Palayret
principio che riguardava il metodo di calcolo proposto dalla Francia.
Quest’ultima accettava in cambio, per la prima volta, l’idea di una
proroga che non avrebbe dovuto in ogni caso superare i due anni 59.
Qualche giorno più tardi ebbe luogo l’incontro al vertice all’Eliseo. Senza regolare il problema nei particolari, la Francia sbloccò gli
elementi d’insieme di un accordo che sarebbe poi toccato ai Sei fissare più precisamente a Bruxelles. Rispondendo il 26 maggio alle interrogazioni presentate alla Camera dei Comuni, Heath fornì alcune indicazioni su questi scambi di opinione:
En ce qui concerne le financement de la Communauté, j’ai discuté avec
le Président les nouvelles propositions qui ont été faites lors de notre
dernière réunion de Bruxelles. J’ai dit qu’elles contribueraient à dissiper
tout soupçon quant à notre volonté d’accepter entièrement le système financier des Communautés et que l’arrangement à conclure ne devrait pas
être de nature à faire apparaître à la fin de la période transitoire une
charge trop grande qui pourrait provoquer le désir d’essayer de modifier
l’ensemble du système 60.
Il resoconto dell’udienza accordata il 22 maggio dal segretario generale del Quai d’Orsay, Hervé Alphand, agli ambasciatori degli Stati
membri della Comunità per informarli del contenuto degli incontri
dell’Eliseo conferma questo clima di fiducia. Heath aveva sottolineato
che il Regno Unito accettava il metodo di calcolo proposto il 10 maggio a Bruxelles. Non essendo stata stabilita alcuna cifra, la discussione
su questo punto doveva proseguire a Sei. Pompidou aveva tuttavia
rassicurato il suo interlocutore che la delegazione francese non avrebbe richiesto una cifra di partenza che rappresentasse un fardello insopportabile per l’economia o per la bilancia dei pagamenti britanniche. Il Presidente francese rimaneva comunque dell’avviso che una cifra di partenza dell’11,5% sarebbe stata ragionevole 61.
In giugno, arrivò il momento di attribuire valori aritmetici alle variabili algebriche della ‘formula francese’. La Commissione aveva deciso che nel 1970 il Regno Unito avrebbe rappresentato il 19,02%, la
59
Ivi, boll. 807, 13.5.1971.
MAEF, EGB, 1971-1976, 3294, Courcel à Schumann, a/s “Déclaration de M.
Heath au Parlement sur la conférence au sommet de Paris”, 26.5.1971.
61
Ivi, 3294, Alphand à tous postes diplomatiques, circ. n. 191, 24.5.1971, a/s
“Entretiens franco-britanniques des 21 et 22 mai”; E. Heath, The Course of My Life.
My Autobiography, London, Hodder and Stoughton, 1998, p. 372.
60
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
407
Danimarca il 2,24%, l’Irlanda lo 0,60% e la Norvegia l’1,66% del
prodotto nazionale lordo della Comunità allargata. Poi si era arresa all’accordo politico consistente nel fissare i tassi di richiamo, con le lettere N e S. I francesi scelsero quel momento per collegare la soluzione
del problema del burro neozelandese a quello del finanziamento comunitario. I ministri dei Sei erano d’accordo che S si situasse intorno
al 90%, ma c’erano forti divergenze sul valore da attribuire a N: gli
italiani proponevano il 30% (che avrebbe corrisposto a un contributo
britannico dell’ordine del 5,7% delle spese della Comunità), i tedeschi
pensavano a un 36% (ovvero il 6,8% delle spese comunitarie) e i
francesi indicavano il 60% (pari all’11,4% delle spese comunitarie) 62.
Il 18 giugno, Schumann dichiarò a Soames che, dopo essersi spinto
il più lontano possibile sui prodotti lattieri della Nuova Zelanda, avrebbe
dovuto chiedere ai britannici di accettare un contributo del 9% per il
primo anno. Dal momento che Soames riteneva la proposta inaccettabile
(nel corso di una riunione dell’AE Committee del 3 giugno, Rippon aveva infatti indicato la necessità di “compiere ogni sforzo per evitare che il
nostro contributo nel 1973 sia superiore al 7-8% del bilancio” 63), il ministro degli Esteri si rivolse direttamente al Presidente della Repubblica.
In serata, nel corso di una telefonata a Soames, Schumann confermò che
“Monsieur Pompidou agréait sa formule pour la Nouvelle-Zélande sous
réserve que Londres accepte une contribution initiale de 9%”. Dato che
la Commissione si augurava di recuperare un valore pari all’8% o al 9%
del bilancio totale per il primo anno, scegliendo per N un termine medio tra le proposte francesi e italiane, o il 45%, essa ottenne precisamente una cifra di quest’ordine.
Dopo discussioni estenuanti, le percentuali suggerite da Wellenstein e Deniau furono finalmente accettate il 23 giugno. La percentuale massima da parte del Regno Unito nel bilancio comunitario sarebbe
stata pari all’8,64% nel 1973 e pari al 18,92% nel 1977. La clausola
‘correttiva’ che regolava gli aumenti massimi per il 1978 e il 1979
avrebbe limitato, se necessario, il contributo britannico intorno al
21,5% nel 1978 e al 24,4% nel 1979. A partire dalle ipotesi che venivano fatte sullo sfondo dei calcoli iniziali, si prevedeva un bilancio
della CEE di 3 miliardi di dollari nel 1973 e di 4,5 miliardi di dollari
nel 1977: ciò avrebbe richiesto un impegno finanziario per la Gran
62
CAC, SGCI 1990/0648, n. 6, note SGCI “Réunion ministérielle du 7 juin
1971, Luxembourg”, 8.6. 1971.
63
C. O’Neill, op. cit., p. 186.
408
Jean-Marie Palayret
Bretagna di 350 milioni di dollari nel 1973 e di 850 milioni nel
1977 64. I britannici erano comunque riusciti a far inserire nel testo la
clausola secondo cui “si une situation inacceptable se présentait, la
survie de la Communauté exigerait des solutions équitables” 65. Questo
avrebbe permesso di ridiscutere in un secondo tempo l’importo del
contributo britannico.
3. Conclusioni
Senza voler mettere in discussione la reale volontà del governo
francese di veder entrare il Regno Unito nella Comunità, è fuor di
dubbio che fu la Francia a sollevare durante i negoziati le maggiori
difficoltà, impedendo spesso di raggiungere, sui temi più spinosi, una
posizione comune. La tesi che vorrebbe la Francia la sola ad essersi
attenuta rigidamente ai principi comunitari non è però difendibile.
Questi principi non avevano niente a che vedere con la percentuale
iniziale del contributo britannico o con la scelta di un periodo transitorio unico per le tariffe industriali e per i prezzi agricoli.
Nonostante le dichiarazioni di Barber e Rippon, che avevano ricordato a più riprese che il loro governo avrebbe accettato i trattati e
le decisioni prese dopo la loro entrata in vigore, i negoziatori francesi
non riuscirono mai a eliminare, nel corso dei 19 mesi della conferenza, uno scetticismo di fondo sulla volontà britannica, vista la reale capacità del Regno Unito di assumere lealmente e per intero gli obblighi
imposti dall’adesione al Mercato comune. Le riserve espresse inizialmente su una parte della politica comune e sulle disposizioni finanziarie erano state abbandonate da parte inglese solo molto progressivamente. A livello di modalità di negoziazione, la delegazione britannica
sembrava voler mantenere come punto di riferimento, in tutti i settori
nei quali gli effetti positivi dell’adesione si sarebbero avvertiti solo in
un secondo tempo, la volontà di riportare alla fine del periodo transitorio gli aggiustamenti richiesti dall’adesione stessa.
Da questo nacque la convinzione, nelle autorità francesi del Quai
64
Archivi Storici dell’Unione Europea, Firenze, Secrétariat général du Conseil
des Communautés, “Négociations avec le Royaume-Uni”, doc. int. N. 382, annexe VI,
22.6.1971.
65
Cit. da M.T. Bitsch, Histoire de la construction européenne, Bruxelles, Complexe, 1996, p. 185.
La posizione francese di fronte alla candidatura britannica
409
d’Orsay e del ministero delle Finanze, che obiettivo di Londra fosse
rinviare la maggior parte delle decisioni al momento in cui il Regno
Unito, come Stato membro della Comunità, avrebbe potuto influire
sull’evoluzione delle politiche comunitarie nel senso più favorevole ai
propri interessi. Anche a proposito del contributo finanziario e della
preferenza comunitaria, le proposte britanniche non lasciavano tranquilli i francesi perché “elles ne traduis[ai]ent pas seulement le désir
légitime de négocier au mieux les mesures de transition; elles tend[ai]ent en réalité à remettre en question le système sur lequel les Six
s’[étaient] entendus et que nous av[i]ons toujours considéré, pour notre part, comme essentiel” 66.
Un’altra ragione che poteva spiegare l’atteggiamento francese stava
nel fatto che nonostante importanti cambiamenti effettuati a livello ministeriale, che avevano visto in particolare le partenze di Maurice Couve de Murville e di Michel Debré, si trovavano tra gli alti funzionari
incaricati dei negoziati personalità che non esitavano a definire l’entrata britannica nel Mercato comune come una forte sconfitta per la
Francia. I grands commis che, sotto il generale de Gaulle, avevano trascorso un decennio a bloccare l’entrata della Gran Bretagna si trovavano ancora in gran parte al loro posto. Alphand, segretario generale,
e Brunet, direttore degli Affari economici al Quai d’Orsay, Courcel all’ambasciata di Londra, Boegner alla Rappresentanza permanente a
Bruxelles avevano applicato con lealtà ed efficacia la politica del generale de Gaulle e non intendevano ora abbandonarla.
Questi ‘brussellesi professionisti’ conoscevano assai bene il dossier
ed erano perfettamente in grado di destreggiarsi nelle trattative. Il loro
zelo per un negoziato duro risultava di fatto molto utile all’Eliseo, che
li lasciò agire autonomamente almeno fino al maggio 1971. Essi modificarono in seguito il proprio atteggiamento, ma molto lentamente,
sotto l’impulso venuto dal vertice, che aveva decisamente ammorbidito
la posizione francese verso una ‘conciliazione controllata’. In quel contesto, il Segretario generale dell’Eliseo Jobert e il consigliere economico Bernard svolsero un ruolo decisivo per reimpostare il negoziato e
orientare gli inglesi affinché evitassero di perdersi in una via senza
uscita.
Il governo francese – brillantemente assecondato a Bruxelles dai
66
MAEF, EGB, 3284, note DECE a/s “Elargissement de la Communauté”,
“Point au seuil de l’année 1971”, 5.1.1971.
410
Jean-Marie Palayret
Commissari nazionali Barre e Deniau che, nonostante il dovere d’imparzialità imposto loro dalla carica, condividevano la maggior parte
dei punti di vista dell’alta amministrazione parigina, almeno in ciò che
concerneva il mantenimento dell’acquis communautaire – fu così in
grado di assicurarsi il ‘pacchetto finale’ che meglio rispondeva alle sue
aspirazioni, obbligando in particolare il Regno Unito a farsi carico di
una parte importante delle spese della Politica agricola comune.