Il Fatto Quotidiano

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Transcript Il Fatto Quotidiano

Brexit, si fa sul serio: il governo di Londra chiede alle aziende di compilare
liste dei dipendenti stranieri: d’ora in poi si dovranno favorire i britannici
Giovedì 6 ottobre 2016 – Anno 8 – n° 276
a 1,50 - Arretrati: a 3,00 -ea1,50
12 con
il libro “Perché
No”
– Arretrati:
e 3,0
0
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
REFERENDUM Giuristi, 5Stelle e Sinistra Italiana dal giudice amministrativo
Non ci resta che ridere
Quesito-truffa, ricorso
al Tar: “Inganna la gente”
p D’Alema: “Il presidente
del Consiglio mi sfida in tv?
Sarebbe solo una vetrina
per il suo ego”. Forza Italia
alle prese con il fantasma
di Berlusconi: “Ma quando
si decide a fare davvero
campagna per il No?”
y(7HC0D7*KSTKKQ( +.!#!z!z!.
L’INVASIONE
Renzi studia
il blitz pro-Sì
dalla D’Urso
q D’ESPOSITO, MARRA E ROSELLI
A PAG. 2 - 3
» MARCO TRAVAGLIO
I
ODOR DI TABACCO
(E DI DOBLONI)
E LA BOSCHI
SI COMMUOVE
q TECCE
A PAG. 4
q DANIELA RANIERI
A PAG. 4
IL GOVERNO CONFESSA In un rapporto i veri numeri dietro le promesse
Altro che Ponte: contro i disastri
i 9 miliardi diventano 74 milioni
p Il premier si autocelebra
a Genova per i “passi avanti giganteschi” nella messa
in sicurezza del territorio
due anni dopo l’alluvione
in Liguria. Ma del grande
piano miliardario annunciato all’epoca sono stati
spesi soltanto spiccioli
(peraltro stanziati dal
governo Letta). Adesso
lo certifica il ministero
del Tesoro in una relazione sugli investimenti
appena pubblicata
Dissesto idrogeologico L’ultima alluvione a Benevento LaPresse
L’INTERVISTA “Prendo a pugni i lettori”
Palahniuk: “Vi racconto
il mio nuovo Fight Club”
q DI FOGGIA E PALOMBI A PAG. 6
ALTRO CHE LAVORO Liberalizzazione selvaggia
Precari, la trappola dei voucher
E Almaviva taglia 2500 persone
Il sequel in graphic novel Le tavole di “Fight Club 2” (Bao)
q MUSOLINO A PAG. 16
q ROTUNNO, CON UN’ANALISI DI MARTA FANA A PAG. 8
L’ARCHITETTO UCCISO Fermata la moglie assieme all’amante
La cattiveria
Così borghese, così omicidio
La sentenza finale stabilirà che
Cucchi e Aldrovandi si pestarono
a morte dopo essersi accusati
a vicenda della morte di Uva
» FERRUCCIO SANSA
N
iente è più democratico
della violenza”, diceva
accendendo l’ennesima sigaretta quel cronista che aspettava davanti alla casa di
Ruggero Jucker. Quel ricco milanese che nel 2002 uccise con 22 coltellate la fidanzata Alenya. L’arma del
delitto scelta dall’imprenditore del catering (già libero) era stata un coltello
da sushi. Come sembrano stridere la
brutalità della violenza, la passione che perde ogni freno,
con la vita rarefatta dei vip.
Poi arriva la cronaca – che è
ritratto impietoso della vita,
non solo sguardo morboso –a
ricordare la folle “democrazia
della violenza”. Anche i ricchi uccidono, niente attira di più i lettori. È la
storia di ieri, quella dell’architetto Alfio Molteni, ucciso a Carugo (Como)
mentre usciva dalla sua casa.
SEGUE A PAGINA 9
WWW.SPINOZA.IT
TEATRO ARGENTINA
Macachi abusivi
L’Orestea perde
il suo terzo atto
q IOTTI E PERLUIGI A PAG. 19
eri, per smentire definitivamente chi insinua che non
faccia più ridere, Roberto
Benigni ha fatto una battuta divertentissima, degna degli anni
d’oro: “Se vince il No, il giorno
dopo ti immagini? Il morale va a
terra, peggio della Brexit”. Purtroppo non ha spiegato il morale di chi, precisamente, andrebbe a terra. Non certo di quei
buontemponi che si sono ciucciati per vent’anni (quelli di B.)
le sue geremiadi sulla “Costituzione più bella del mondo”: i
quali, non avendo cambiato idea diversamente da lui, avrebbero anzi il morale alle stelle per
aver salvato un’altra volta la
Carta. Però, riconosciamolo,
quel “peggio della Brexit” è un
capolavoro di comicità volontaria. Roba forte, chapeau. Sta
parlando, è bene ricordarlo,
dell’ipotetica bocciatura della
nuova Costituzione scritta a
quattro mani, anzi a quattro
piedi da Boschi&Verdini. Che
potrebbe innescare – co me
Renzi giurò, poi smentì, infine
lasciò nel vago – le dimissioni
del presidente del Consiglio e la
nascita di un nuovo governo fino alle elezioni del 2018. Bene:
secondo il comico toscano, l’uscita di Renzi da Palazzo Chigi è
paragonabile all’uscita della
Gran Bretagna dall’Unione europea (che, detto per inciso, non
ha ancora sortito conseguenze,
a parte lo sputtanamento di tutti i profeti di sventura che vaticinavano l’Apocalisse). L’Italia sarebbe irrimediabilmente
percorsa da un’onda anomala di
depressione generale, e non basterebbero tutti gli psichiatri
del mondo per risollevarle il
morale.
Solo le battute di Benigni potrebbero salvarci: infatti il Premio Oscar ha deciso di prevenire l’infausto evento, regalandocene qualcun’altra, a futura memoria. Tipo questa: “I costituenti stessi hanno auspicato di
riformare la seconda parte della
Costituzione, poi c’è la maniera
di migliorarla, ma se non si parte mai...”. Hai capito? Questa
“riforma”la volevano già i padri
costituenti del 1946-'48, forse
perché avevano la coda di paglia
e si sentivano inadeguati, già
prevedendo che 70 anni dopo
sarebbero arrivati giureconsulti ben più sapienti e autorevoli
di loro (nessuno, spero, vorrà
paragonare giganti come la Boschi, Verdini, Renzi, Lotti, Alfano, Cicchitto, Casini, Pera e Napolitano a gentucola tipo De Gasperi, Togliatti, Parri, Ruini,
Terracini, Calamandrei e Croce). Le cose andarono così. Eletti nel 1946 col sistema proporzionale in un’apposita Assemblea costituente, quei poveracci
lavorarono per due anni giungendo alla fine a un testo condiviso dalla stragrande maggioranza, poi lo approvarono quasi
all’unanimità, ma già si resero
conto che era una schifezza.
SEGUE A PAGINA 20
2 » POLITICA
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
IL PREMIO OSCAR
Benigni sulla riforma
“Se vince il No,
è peggio della Brexit”
“SEVINCEILNO sarà peggio della Brexit”. Intervistato da Dino Giarrusso delle
Iene, nella puntata andata in versione “bippata” il 4 ottobre su Italia1 e pubblicata integralmente sulla pagina web del programma, Roberto Benigni si è schierato per il Sì al referendum del 4 dicembre. “La Costituzione è stata
un miracolo e resta la più bella del mondo – ha
affermato il premio Oscar - i padri costituenti
q
sono stati dei giganti perché hanno illuminato
le macerie, ma ora è necessaria una revisione”.
Benigni ha ricordato come la prima parte della
Carta, che contiene i dodici principi fondamentali resterà invariata, perché quei referendum nessuno li può modificare, “ma gli stessi
padri costituenti auspicavano un miglioramento della seconda parte e, nonostante la riforma possa essere modificata, bisognava pur
iniziare da qualche parte”. Parole, le sue, che
hanno suscitato polemiche dal fronte del No.
“Benigni fa il tifo per Renzi perché tiene famiglia”, ha twittato il capogruppo alla Camera per
Forza Italia, Renato Brunetta. “Con la nostra
Carta abbiamo fondato l’Europa - ha affermato
l’onorevole Pippo Civati - la vittoria del No non
impedisce di migliorare la Costituzione, ma favorisce una maggiore rappresentanza”.
REFERENDUM Politici e giuristi chiedono al Tribunale di annullare
il decreto di indizione: “Testo fuorviante, ingannevole e illegittimo”
Il fronte del No ricorre al Tar
contro il quesito truffaldino
» WANDA MARRA
N
on rispetta la legge ed
è “suggestivo”,
“f uor via nte ” e “i ngannevole”: si basa
su questi due capisaldi il ricorso contro Presidenza della Repubblica, Presidenza del Consiglio e ministero della Giustizia, presentato ieri al Tribunale amministrativo (Tar) di Roma sul quesito del referendum
del 4 dicembre. A firmarlo sono i senatori Vito Crimi (M5s)
e Loredana De Petris (Sinistra
Italiana) e gli avvocati Vincenzo Palumbo e Giuseppe
Bozzi. Chiedono l’a nnul lamento del decreto firmato da
Mattarella che, recependo la
decisione del governo, il 27
settembre ha indetto la consultazione. Non appena diffusa la notizia, il Quirinale si tira
fuori: il quesito è stato deciso
dalla Cassazione. Identica la
reazione di Matteo Renzi.
IL RICORSO è molto dettaglia-
to. E parte dal contestare l’applicazione della legge 352 del
1970, cioè le “norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo”. Secondo i ricorrenti, il decreto presenta
profili di “grave illegittimità”:
ha qualificato il referendum
come “confermativo di legge
costituzionale” e non di “revisione della Costituzione”. Definizione non meramente terminologica perché “nel primo
caso è ammesso anche un quesito sintetico, ma non nel secondo caso”. La legge, infatti,
all’articolo 16 stabilisce che
nel quesito da sottoporre a referendum deve essere “indicato il singolo o i singoli articoli
della Costituzione oggetto di
consultazione”. E differenzia
in due distinte versioni la formula referendaria: se viene
modificata la Carta c’è l’ obbligo di indicare chiaramente le
singole norme cambiate; se si
tratta invece di leggi costituzionali (che introducono cioè
nuove norme) è sufficiente
l’indicazione della materia disciplinata dalla nuova legge.
Secondo i ricorrenti, pure se
si volesse considerare il referendum del 4 dicembre un esempio del secondo caso, il
quesito sarebbe comunque illegittimo. Motivo: “Deve indicare il testo della legge costituzionale da approvare” e
“non certo valutazioni di merito”. Esempio citato: il famigerato “contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni” di cui si parla nel quesito (una previsione, sosten-
gono i ricorrenti, che non discende necessariamente dalla
riforma) o “riferimenti talmente vaghi da rendere del
tutto incomprensibile la consultazione”. Altro esempio:
mentre si “enfatizza” l’abolizione del Cnel, non si fa “nemmeno menzione” di altre modifiche come “le nuove procedure per l’elezione del presidente della Repubblica”.
Il fronte del No, infine, chiede una decisione immediata
per consentire un nuovo decreto d’indizione del referendum che permetta di confermare la data del 4 dicembre: un
nuovo Consiglio dei ministri
dovrebbe approvare il decreto
al massimo nei prossimi 10
giorni per rispettare l’intervallo minimo di 50 giorni prima dell’apertura delle urne.
Il caso politico inizia un minuto dopo che la notizia viene
resa pubblica: nel comunicato
ufficiale, infatti, si parla di
“quesito predisposto dal Quirinale”. Il Colle reagisce immediatamente specificando
che il presidente Mattarella ha
solo firmato il decreto che indice la data, recependo il quesito stabilito dalla Cassazione.
E si precisa che il quesito che
comparirà sulla scheda, ammesso dalla Suprema Corte,
riproduce il titolo della legge
L’AVVERSARIO
La scheda
ECCO
IL QUESITO
Disposizioni
per il
superamento
del bicameralismo
paritario, la
riduzione del
numero dei
parlamentari,
il contenimento dei
costi di
funzionamento delle
istituzioni, la
soppressione
del Cnel e la
revisione del
Titolo V della
parte II della
Costituzione
n
approvata dal Parlamento. “Il
ricorso è specificamente contro il decreto del presidente
della Repubblica, che non è un
passacarte”, dice la senatrice
De Petris: “Quelle disposizioni sono state scelte dalla Cassazione ma il decreto le ha recepite”. Spiega l’avvocato Palumbo: “La Suprema Corte si
limita a prendere atto della richiesta referendaria, che viene formulata ai sensi della legge del 1970 e ne valuta la legittimità. Il quesito che deve apparire sulla scheda non è ne-
Palazzo Chigi e Quirinale
Il Colle si tira fuori: ha deciso
la Cassazione. Stessa reazione
dal premier, che rincara: “Ma su
che testo avete raccolto le firme?”
cessariamente quello della richiesta referendaria, ma si deve conformare alla legge”.
DA PALAZZO Chigi parte l’ar-
tiglieria pesante. Comincia il
senatore Andrea Marcucci: “È
incredibile che gruppi parlamentari che non hanno presentato un emendamento per
cambiare il titolo della legge,
oggi facciano un inutile ricorso al Tar”. Da Treviso interviene anche Renzi: “Il quesito è
quello che prevede la legge”.
Di più: “Su quel testo sono state raccolte le firme da entrambi i fronti”. E comunque anche
Renzi sottolinea: l’ha deciso la
Cassazione. E alla Suprema
Corte Renzi ha almeno un estimatore: il primo presidente
Giovanni Canzio, cui il premier ha appena allungato la
carriera di un anno e mezzo
per decreto (è in votazione alla
Camera). Oggi sono attese novità: i giudici di Roma hanno
convocato i ricorrenti, la Presidenza della Repubblica, Palazzo Chigi, il ministero di
Grazia e Giustizia e l’Avvocatura dello Stato per decidere
sulla richiesta di sospensiva,
ovvero sull’urgenza.
Protagonisti
Sopra, la Corte.
Il presidente
Mattarella; i
senatori Crimi
e De Petris
La Presse e Ansa
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Massimo D’Alema fa muro: “Sarebbe solo una vetrina per il suo ego ipertrofico”
“Mai in tv contro Renzi, non è utile”
» GIANLUCA ROSELLI
N
on parteciperei mai a un
faccia a faccia in tv con
Renzi. E comunque non ho ricevuto alcun invito…”. Massimo D’Alema toglie dal tavolo
della campagna referendaria
un possibile duello televisivo
con Matteo Renzi. “Q u es t i
confronti non sono utili alla
causa, ma servono solo a dare
una vetrina all’ego ipertrofico
del presidente del consiglio.
Sembra una sorta di rodeo:
Renzi contro tutti, Renzi contro il resto del mondo. E meno
male che non vuole personalizzare. Invece di andare in tv
dovrebbe pensare a governare. Per quanto mi riguarda,
grazie, non mi interessa…”, sostiene D’Alema.
SIAMO A ROMA , in piazza Ca-
pranica, dove l’ex premier
partecipa alla presentazione
del libro di Mario Dogliani Un
futuro per la Costituzione? Po-
Lo sfidante Massimo D’Alema è schierato con il No LaPresse
litica e antipolitica alla prova
del referendum. Un volume in
cui il costituzionalista torinese spiega le sue ragioni per il
No. “L’appello del premier al
popolo contro la Costituzione
è eversivo, perché è come dire
che la Carta su cui si è retta la
nostra vita democratica è da
buttare. Si tratta di un messaggio devastante”, osserva Dogliani. A sostegno del Sì c’è invece Andrea Morrone (università di Bologna). Ma tornia-
mo a D’Alema. “Dopo il 40,8
per cento alle Europee - afferma - Renzi ha costruito un percorso di guerra: riforma costituzionale e legge elettorale,
referendum plebiscitario, e
poi elezioni con una Carta che
gli attribuisce molto più potere di oggi. Una deriva plebiscitaria che gli serve anche per liberarsi dal peso del suo partito, che ormai non esiste più…”.
L’ex premier delinea due scenari possibili: “Se vincerà il Sì,
la tentazione di andare alle urne sull’onda del successo referendario per il premier sarà irresistibile e si voterà in primavera”. Invece, “se invece prevarrà il No, si aprono due scenari: Renzi, come credo, resterà a Palazzo Chigi; oppure si
dimetterà e a quel punto il capo dello Stato darà l’incarico a
un’altra persona per arrivare a
scadenza di legislatura. E io
conosco almeno un centinaio
di persone che potrebbero sostituire Renzi con migliori risultati…”.
A QUEL PUNTO , per D’Alema,
si potrebbe davvero “mettere
mano alla legge elettorale” e
realizzare “una riforma costituzionale limitata a due o tre
articoli per ridurre il numero
dei parlamentari (400 deputati e 200 senatori) e superare il
meccanismo della navetta tra
Camera e Senato, una legge
che sarebbe approvata a larga
maggioranza, secondo un per-
corso condiviso”. L’ex presidente del consiglio, che guida
uno dei comitati del No, pone
poi l’accento su altre due questioni. La prima riguarda i poteri forti: “Il ddl Boschi ben si
adatta alle considerazioni
sull’Italia fatte da JP Morgan.
Ebbene, un altro aspetto negativo della riforma è aver diviso
il Paese in blocchi sociali contrapposti. E, guarda caso, con il
governo ci sono le banche estere, la grande finanza e Confindustria”.
Un altro aspetto è l’uso della
deriva plebiscitaria per arrivare a un “pericoloso accentramento del potere”. Basti guardare – fa notare D’Alema – “la
recente riforma della dirigenza pubblica che stabilisce un
albo unico da cui Palazzo Chigi pesca i dirigenti da piazzare
all’interno della macchina istituzionale e amministrativa:
un uso arbitrario del potere
d’impronta oligarchica”.
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POLITICA
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
DOPO INCONTRO IN VATICANO
IERITHOMASBACH presidente del
Comitato Olimpico Internazionale, si
trovava a Roma. Ha partecipato a un seminario sullo sport in Vaticano assieme a Virginia Raggi. Al suo ritorno negli uffici del Cio
in Svizzera troverà ad attenderlo una missiva firmata proprio dalla sindaca: l’ultimo atto con cui il Campidoglio ritira definitivamente la candidatura della città ai Giochi del
q
Raggi scrive al Cio:
“Roma ritira
candidatura ai Giochi”
2024. “Sono a formalizzare con la presente il
ritiro e la rinuncia alla candidatura di Roma
Capitale”, si legge nella stringata missiva appena sette righe - spedita a Losanna. Per
fugare ogni dubbio la Raggi ha inoltrato la
stessa comunicazione anche al presidente
del Coni Giovani Malagò e a quello del Comitato Roma 2024 Luca Cordero di Montezemolo. L’addio alle Olimpiadi, scrive anco-
»3
ra la sindaca, arriva dopo “il mutato indirizzo
espresso dall’Assemblea capitolina” con le
mozioni approvate la scorsa settimana. Il
Comitato Roma 2024 non si dà per vinto, e
oggi dovrebbe comunque inviare la seconda
parte del dossier olimpico al Cio. Mentre il
presidente del Coni Malagò martedì terra una conferenza stampa,
AN. MAN.
NEL VENTRE AZZURRO Contro il Sì di Confalonieri
» FABRIZIO D’ESPOSITO
C
hi ha pronunciato ieri
la seguente frase, in riferimento al sì del noto comico toscano:
“Peccato che Benigni abbia lasciato cadere dalle sue braccia
Berlinguer per mettere al suo
posto Renzi”? Risposta: a) un
elettore antirenziano del Pd;
b) un giustizialista grillino; c)
una parlamentare azzurra. La
risposta giusta, incredibile dictu, è quest’ultima. A rinfacciare l’antico berlinguerismo a
Benigni è stata infatti l’onorevole forzista Elvira Savino. Una frase che fa il paio con l’entusiasmo brunettiano, nel
senso di Renato, per la Woodstock del No organizzata dal
Fatto. Epperò. Sulla mobilitazione di Forza Italia per il No,
a questo punto della pugna referendaria, grava il più grave
dei peccati mortali per un partito personale e carismatico:
l’assenza del Fondatore, ufficialmente convalescente negli Stati Uniti per l’operazione
al cuore d’inizio estate.
Lo spettro di B. agita
Forza Italia: “Quando
scende in campo?”
L’ex Cavaliere apparirà in pubblico a 15 giorni dalle urne:
il partito e i sospetti sulla malattia come “alibi perfetto”
un lato ci sono le difficoltà che
rivela un autorevole azzurro,
reduce da un incontro con Marina, la primogenita del Condannato: “Prima di fare un comizio, Marina vorrà essere
certissima, non certa che il
contraccolpo emotivo non farà danni”. Insomma, la linea
del medico Zangrillo, contraria all’ostensione mediatica e
comiziesca del Corpo malato e
ottantenne. Dall’altro, la difesa degli interessi familiari e aziendali che avrebbe e ha tutto
da guadagnare da un patto di
non belligeranza con il premier sul referendum. È la storia di questi decenni.
LO SPETTRO ingombrante di
IN SENATO Quorum per un soffio
Verdini indispensabile,
Ala salva il governo
nel voto sui conti pubblici
L’ALLEATO Verdini è di nuovo indispensabile. Conti alla mano, ieri il
gruppo di Ala, guidato dal senatore toscano, ha salvato il governo a Palazzo Madama
e per di più su una materia delicata come
quella dei conti pubblici. In mattinata
l’aula ha dato il via libera al rendiconto sul
2015 e all’assestamento del bilancio
dello Stato per il
2016, rispettivamente con 142 voti favorevoli, 3 voti contrari e
due astenuti sul primo disegno di legge e con 143 sì, 92 no e 3
astenuti sul secondo. Tenuto conto che il
quorum era a quota 141 voti, la maggioranza ce l’ha fatta per un soffio.
E il merito è anche e soprattutto dei dieci verdiniani, compatti nel votare assieme al governo. Una scelta motivata così in aula da
Antonio Langella, vicepresidente della commissione Bilancio: “La politica economica
messa in campo dal governo dimostra di dare risultati positivi, anche se certamente i
problemi da risolvere restano ancora molti”.
Insomma, è stato un appoggio senza entusiasmo. Ma sufficiente per salvare il governo
e per provocare così il sarcasmo del senatore
bersaniano Miguel Gotor: “Oggi Verdini e i
suoi amici di Ala sono stati determinanti nel
voto in Senato: evidentemente, le prove tecniche del Partito della nazione sono in fase
avanzata. Così come sono avanti i lavori per
dare vita a una ‘santa alleanza’fra i cosiddetti
‘sistemici’, che sostengono il Sì al referendum”.
q
Silvio Berlusconi si aggira in
questa vigilia elettorale angosciando le truppe superstiti
degli azzurri. Come va dicendo da tempo Daniela Santanchè, il cuore è “l’alibi perfetto”
per scomparire. Con tutte le
voci maligne che ne conseguono. Spettegolavano, una settimana fa, due senatori forzisti:
“Hai visto quel povero Del
Debbio completamente
sdraiato su Renzi?”. Del Debbio vuol dire Mediaset e i due
autorevoli telespettatori commentavano la performance del
patto della lavagna su Retequattro, tale e quale al contratto con gli italiani di vespiana
memoria. Ecco perché il mistero sovietico sulla salute
dell’ex Cavaliere moltiplica
voci su voci tra gli smarriti parlamentari di Forza Italia. Il ritornello diventato un mantra è
questo, denso di punti interrogativi: “Sai quando torna? E
che fa, parla?”. Ovviamente il
soggetto è Lui, il Fantasma
Cardiopatico di Arcore.
In un capannello a Montecitorio si fanno i calcoli: “Se il
Presidente viene alla conventionmancheranno appena due
settimane al referendum. Un
po’ poco per recuperare, non
vi pare?”. La convention, secondo l’enfasi di taluni retroscena, è stata soprannominata
il Terzo Predellino. Nientemeno. Se ne parlerà oggi nella
riunione tra i capigruppo di
Senato e Camera e i coordinatori regionali di FI. La data è
quella del 19 novembre, a Roma. “Il presidente apre e chiude”, dicono e aggiungono: “Ci
sarà anche Ghedini, lui è per il
No a differenza di Confalonieri e Letta”. Basterà questo a
convincere il 40 per cento de-
gli elettori azzurri destinati invece - secondo i sondaggi - a
votare Sì senza un intervento
in carne e ossa del loro Capo?
Questo è il punto dolente e fatidico, nonostante l’impegno
della maggior parte di deputati e senatori, Brunetta in testa.
Il silenzio di B. è un favore a
Renzi dalla faccia doppia. Da
LA LETTERA
L’Assente
e gli orfani
Berlusconi è il
desaparecido
della campagna referendaria. Restano Brunetta
e Parisi
Ansa/LaPresse
SOSTIENE Nunzia De Girola-
mo: “Tutti noi siamo impegnati ventre a terra in questa campagna. Io, Brunetta, Carfagna,
Gelmini e tanti altri abbiamo
u n’agenda fittissima”. Michaela Biancofiore prova a ribaltare la scena: “Io rifiuto le
dietrologie, anche in casa nostra. Il Presidente è un uomo di
80 anni che ha avuto un’operazione a cuore aperto. Stavolta siamo noi che possiamo fare
qualcosa per lui”. E così le
schiere azzurre girano l’Italia
e le tivvù dietro lo scudo del
No, che ha in Renato Schifani il
presidente dell’apposito comitato. Ieri, al Capranichetta
di Roma, c’è stata una manifestazione con vari parlamentari di FI. Ha parlato anche l’ex
ministro Matteoli che ha infilato il ditone nella piaga nazarena: “Anche Berlusconi si innamorò di Renzi”. E dàgli. Poi
il prode Parisi, nuovo astro
forse già calante, contro la Boschi da Vespa, sempre ieri. Ma
Forza Italia può giocare senza
il suo storico centravanti? Per
il momento, l’unico No berlusconiano è in un arido comunicato stilato una settimana fa
dopo una riunione con Meloni
e Salvini. All’uscita, “Giorgia”
sibilò all’altro “Matteo”: “Vediamo quanto dura questo
No”. Appunto.
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La dem Ricchiuti e gli slogan populisti
“COSÌ IL PD SI SCAVA LA FOSSA”
» LUCREZIA RICCHIUTI
C
aro Direttore, la campagna di
manifesti del Comitato per il Sì
in cui si chiede agli elettori se
vogliano meno politici è il punto più
basso del populismo qualunquistico
che la discussione pubblica abbia toccato negli ultimi 20 anni. Per me è doloroso che ad averlo toccato non siano
il Movimento 5 Stelle o la Lega Nord
ma il mio stesso partito.
Il poster affisso in molte
città non dice “meno parlamentari”. Recita proprio: “Meno politici”.
Questa linea si inserisce
nell’auspicio che vinca il
Sì delle banche d'affari e
delle agenzie di rating. Il
messaggio è: la politica fa
schifo, meglio gli affari.
Vorrei dire ai miei colleghi, anche
e soprattutto nel Pd, che entusiasticamente approvano questo slogan
che si stanno scavando la fossa.
Personalmente dico che faccio politica da tutta la vita e ne vado fiera.
La politica è la più bella attività che
Meno politici Un manifesto per il Sì
si possa fare: si interpretano bisogni, si rappresentano interessi e si dà voce a chi più ne ha bisogno.
L a r i f o r m a R e nzi-Boschi comprime
questi spazi e rende molto più difficile la militanza
politica, la quale –per fare qualche esempio – nel mio caso si è tradotta nella lotta a viso aperto contro
la ‘ndrangheta in Lombardia e nel ripulire dal malaffare il Comune di
Desio; nella presentazione di atti legislativi per dare soldi agli studenti
bisognosi, per migliorare la vita dei
pendolari nella mia provincia, per
consentire agli enti locali di riscuotere regolarmente i propri crediti; e
in molte altre manifestazioni.
L’indennità parlamentare me la
guadagno tutta, con emendamenti,
interrogazioni, presenza in aula e in
Commissione e lavoro d’ascolto sul
territorio. Molti cittadini fanno riferimento a me e a molti altri deputati e senatori come me, per segnalare problemi ed esigenze. Questa
politica è lavoro duro e serio, che richiede preparazione e autonomia di
giudizio. La riforma costituzionale
vuole sopprimerla. “Volete voi meno
politici?” è dunque un quesito che mi
fa rabbrividire. La cosa più brutta è
che nessuno di coloro che – aggrappandosi alle salvifiche virtù del capo
– pensano che, pur di portare a casa
il risultato, si deve scendere a questo
livello infimo, è disposto ad andare in
televisione a dire che – sì – anche lui
è un “poltronaro” e che finora ha
mangiato pane a tradimento. Quando si scatena la belva del populismo
distruttivo non si salva nessuno.
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4 » ITALIA
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
ANCHE L’UE AUSPICA MODIFICHE
Def, Padoan dovrà
tornare alle Camere
per le stime gonfiate
LA STRATEGIA
» CARLO TECCE
B
arbara D’Urso, nome
d’arte di Maria Carmela D’Urso, napoletana di Napoli, professionista versatile, un disco, otto libri, cinque spettacoli teatrali, dieci film in vent’anni,
svariate serie tv, capace di registrare due puntate in un
giorno, di affrontare estenuanti dirette, conduttrice di
trasmissioni per la mattina, il
pomeriggio, le serate di Mediaset, durante la settimana o
la domenica o Capodanno
non fa differenza.
Per Matteo Renzi, convinto che puntare su Matteo Renzi sia l’unica speranza di risalita nei sondaggi e di resistenza nelle urne, l’esito del referendum costituzionale dipende anche da Barbara
D’Urso. Così il fiorentino prepara con certosina attenzione
il prossimo (e scontato) ritorno negli studi di Mediaset: sarà fra una domenica oppure
fra un mesetto, ancora non è
definito; il fiorentino concede
un preavviso di un paio di
giorni. Sfumature.
QUANDO FAI visita agli amici,
gli annunci non servono. Perché al Biscione attendono il
presidente del Consiglio e il
presidente del Consiglio ha
già preparato l’assalto al pubblico di Canale 5: oltre due milioni di italiani, due milioni di
votanti, forse ex elettori di
centrodestra, alcuni delusi da
Forza Italia, non proprio seguaci di Renato Brunetta (anche a Mediaset non sono seguaci del capogruppo forzista). E poi D’Urso è sempre
premurosa con “Matteo”; il
salottino, anzi l’angolo divano
di Domenica Live è un luogo
confortevole per il fiorentino,
non è sottoposto a domande
probanti, può blandire i telespettatori senza interruzioni
che gli rendono l’espressione
IL RITORNO
NON C’È PACE per il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, costretto in una settimana a presentarsi per due volte alle
Camere a giustificare le stime gonfiate della
“nota di aggiornamento al Def” su cui il governo costruirà la manovra di bilancio. Il guaio riguarda proprio il suo impatto sul Pil 2017, che
per Padoan e Renzi vale lo 0,4%, e questo porta
la crescita complessiva all’1% (0,6% di base,
q
più il miracoloso effetto della legge di stabilità). Numeri “ambiziosi” per la Banca d’Italia e
irrealistici per l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’autorità indipendente che dovrebbe validare le stime e che invece le ha bocciate perchè “troppo ottimistiche”. Non era mai successo, ma martedì alle Commissioni Bilancio
di Camera e Senato Padoan non ha fatto dietrofront ed è stato bersagliato dalle critiche dei
parlamentari. E così, il Tesoro ha promesso di
fornire oggi i dati in dettaglio che giustificano il
miracoloso impatto della manovra, e Padoan
dovrà tornare nelle Commissioni martedì
prossimo a illustrarli. Se quei numeri non faranno cambiare idea all’Upb, però, il ministro
rischia una seconda figuraccia. Il testo deve
andare il 15 a Bruxelles, dove - riferivano ieri
“fonti” all’Ansa - si aspettano “modifiche”.
Renzi punta sulla D’Urso,
Politics è sempre un flop
Il premier vuole pubblico e voti degli amici Mediaset. Rai, scoppia il caso Verdelli
scudo del referendum può però salvare Politics dagli anatemi di Michele Anzaldi, segretario dem in Vigilanza Rai, la
bussola su Viale Mazzini per il
partito e dunque per Renzi: “È
accettabile la disinformazione o la sciatteria in prima serata Rai? L’unica trasmissione politica di Rai3 può permettersi errori gravi in piena
par condicio? Nella tabella sugli argomenti del referendum, Politics parla di ‘più firme per i referendum abrogativi’. Non è vero, le firme necessarie restano 500.000, basta leggere il testo della riforma. Una grave inesattezza,
come ha sottolineato anche il
presidente del Consiglio nel
suo intervento a Treviso”.
OGGI IL CDA RAI si riunisce
C’è feeling Matteo Renzi in una delle sue ultime apparizioni nello show di Barbara D’Urso Ansa
2,5
Il dem Anzaldi accusa
”Semprini si sbaglia
sulla riforma,
il presidente del
Consiglio l’ha corretto”
corrucciata (altrove accade, e
con dolore). Soltanto la par
condicio – la legge che Silvio
Berlusconi maledice e che interviene durante la campagna
elettorale per scongiurare soprusi di una parte – sarà un fastidio per il fiorentino in trasferta a Canale 5. Per la verità,
il comitato per il Sì valuta un
ulteriore pericolo: indispetti-
I punti di share della
trasmissione di Rai3,
mentre La7 fa il 7%
re Massimo Giletti che, sempre di domenica, vorrà ospitare il presidente del Consiglio.
A CHI TOCCA per primo? Chi
preferisce il presidente: l’ammiraglia Rai1 o la rivale (sarcasmo) Canale 5? Nel frattempo, in Viale Mazzini hanno prodotto il palinsesto per il
referendum. Anche Politics
(Rai3) di Gianluca Semprini
sarà inserito nel circuito di
trasmissioni che allestiscono
dibattiti fra il Sì e il No.
Per Politics è una sorta di
immunità: almeno fino a dicembre non sarà soppresso,
nonostante il 2,5 per cento di
martedì contro il 7 di Giovanni Floris su La7. Neanche lo
per esaminare ancora il progetto per l’informazione di
Carlo Verdelli, il responsabile del settore. Il consigliere
Arturo Diaconale: “Si è aperto un caso Verdelli. È pronto a
fare un passo indietro”. Ieri
l’azienda ha comunicato i vicedirettori dei telegiornali:
venticinque nomine per cinque testate (inclusa RadioRai, esclusa RaiNews), e ancora proteste di Anzaldi.
Nel lungo elenco si notano
Susanna Petruni a Rai Parlamento e Maria Lusi Busi al
Tg1, che per anni ha patito i
contrasti con Augusto Minzolini. Porta a Porta, il Tg1 di Mario Orfeo, le tribune politiche
su Rai2 completano l’offerta
per il referendum. Buon divertimento.
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La prima di “Italia” Reportage da Ibiza e dibattito in studio sui ricchi di oggi
Il debutto di Santoro: “La Rai è casa mia”
» GIOVANNA GIANNONE
“S
olo uno come me si può
emozionare tanto. Perché Rai è la mia casa”. In uno
studio spartano, arredato solo
con qualche scatola di legno e
il dirigibile “Italia”, Michele
Santoro dà inizio al suo terzo
ritorno in Rai (questa volta su
Rai2). “Non ho esitato a lasciarla ogni volta che mi si
chiedeva di rinunciare alle
mie idee e alla mia passione
per il volo”.
IL DIRIGIBILE che dà il nome al
programma fu progettato da
Umberto Nobile negli anni 20:
l’obiettivo, raggiunto a costo
della vita, era arrivare al Polo
Nord. “Il nostro Polo Nord –
dice Santoro ai suoi spettatori
– è l’avventura di recuperare il
pubblico di una televisione a
pezzi”. E per riunire i pezzi
Santoro racconta una storia:
“C’erano una volta Rai e Mediaset. E si opponevano. Ma
venne un Cavaliere e la lotta di
classe diventò la lotta per l’in-
Solo uno come me
si può emozionare
Non ho esitato
ad andarmene quando
mi si chiedeva
di rinunciare alle idee
vidia sociale”. Il Cavaliere agli
italiani fece una promessa: diventerete “tutti ricchi”. “Una
mattina, però, tutti si accorsero che nella legnaia non c’era
più legna”. Nessuno sapeva
più “qual è la destra e qual è la
sinistra. Quindi i giovani partirono per Ibiza. Non lo fecero
per inseguire i ricchi ma solo
per star loro vicini”.
DOPO NEANCHE 5 minuti par-
te quella che, nella conferenza
stampa di qualche giorno fa, il
conduttore ha definito “realismo integrale, crudo e senza
medi azioni”. Sulle note di
“Andiamo a comandare” sfilano le barche da record di lunghezza. E si arriva al Billionaire. La ragazza addetta al controllo del dress code assicura al
Raidue Michele Santoro LaPresse
suo collega di “non aver fatto
entrare filippini”. Flavio Briatore non lo tollera. La prima
puntata del nuovo programma
di Santoro si intitola “Tutti ric-
chi (per una notte)”. L’unico
legame col passato tv del conduttore è proprio il titolo. Una
riedizione di “Tuttiricchi”,
puntata di Sciuscià del 2001.
Anche allora la camera inquadrava la bella vita. All’epoca era quella della Costa Smeralda.
Nel nuovo corso di Santoro c’è
spazio anche per i rappresentanti di quell’era lontana. Una
Iva Zanicchi malinconica e arrabbiata dice: “Abbiamo mandato via i ricchi. E questo è un
bene?”. Il ciclo di Italia prevede quattro puntate, che andranno in onda nei prossimi
mesi. L’obiettivo di Santoro è
rispondere a un bisogno che gli
italiani hanno dimenticato di
avere: “Vedere la realtà come
se fosse un film”.
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L’OPINIONE
PICCOLA MEB
E I RICORDI
DEL TABACCO
BUONO E CARO
» DANIELA RANIERI
R
enzi è riuscito a
farla tacere sulle
cose di referendum, ma mica può sempre
spedirla nelle
lontane Americhe a
spese nostre nel timore che
dica sciocchezze. Così,
appena tornata,
a margine della firma di un
accordo con la multinazionale Japan Tobacco
International, la soave
Boschi si è prodotta in una
frase che supera per inadeguatezza le sue numerose
gaffes e scurrilità istituzionali: “L’Umbria e la Toscana sono importanti per
la produzione di tabacco…
il settore mi è particolarmente caro perché è legato
ai miei ricordi da bambina, mi ricordo il profumo
del tabacco messo a essiccare la sera, con la finestra
aperta lo sentivo”.
Ora, non vogliamo infierire; certo che il senso
degli affari di questa classe diciamo dirigente è innegabile, sarebbe capace
di rivendersi pure il buon
odore dei fumi dell’Ilva se
qualcuno fosse disposto a
comprarsela. Ma facendo
finta di prenderli sul serio,
registriamo l’aporia di un
governo in cui un ministro, Lorenzin, va in giro
col successo che sappiamo
a mettere in guardia sui
danni del fumo per la fertilità mentre il suo capo va
a inaugurare uno stabilimento di Philip Morris e
un altro ministro (delle
Riforme, dei rapporti col
Parlamento e persino delle Pari opportunità ma
non delle politiche agricole) si fa venire i lucciconi
per i rimembrati effluvi
del tabacco (altro che
“stantio odore di massoneria”, a Laterina si respira perfume de revoluc ió n!) per lisciare una
multinazionale con cui
peraltro già il governo B.
fece accordi nel 2011, e
propagandare la spinta
propulsiva dell’odore del
ddl Boschi avvertito oltreoceano. Certo, ci sarebbe quell’inconve niente
che coi continui spot ai miliardari del fumo si incoraggia la gente a fumare e
sul lungo periodo si aumenta la spesa pubblica
per curarla da cancro e
malattie cardiovascolari;
ma a quelle servono anni
per svilupparsi, mentre a
questi l’aumento del Pil
serve subito.
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POLITICA
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
C
La data
Per il referendum costituzionale si
voterà il 4
dicembre
Piergiorgio Odifreddi Lo scienziato sul referendum: “Per risparmiare
potevano dimezzare i parlamentari e annullare il concordato Stato-Chiesa”
» LUCA SOMMI
arlo Cipolla nel suo Le leggi
fondamentali della stupidità
umana scriveva che chi è stupido oltre a fare il male degli
altri riesce a fare del male anche a se stesso. Se Renzi, nel
fare una riforma dannosa, dovesse anche cadere da primo
ministro dimostrerebbe la
validità della tesi di Cipolla”.
Piergiorgio Odifreddi, come ogni matematico che si rispetti, nella sua riflessione
mette in fila punto per punto
quelle che per lui sono le debolezze della riforma costituzionale Renzi-Boschi.
Perché è contrario a questa
riforma?
Chi è
Piergiorgio
Odifreddi,
nato a Cuneo
nel 1950, è un
matematico,
logico e
saggista
italiano.
Scrive di
matematica,
ma anche di
divulgazione
scientifica,
storia della
scienza,
filosofia,
politica,
religione,
esegesi,
filologia
e di
saggistica
in generale.
Il suo ultimo
libro, uscito
nel settembre
2016, si
intitola
“Dizionario
della
stupidità”
»5
Partiamo dalla questione formale, che qui diventa anche
sostanziale. Un presidente
del Consiglio non eletto da
nessuno e un Parlamento scaturito da una legge elettorale
poi reputata incostituzionale
non dovrebbero permettersi
di toccare la Costituzione.
Questa Carta costituzionale è
stata scritta da un’Assemblea
costituente votata con il sistema proporzionale, ossia come dovrebbero essere fatte
questa cose, per di più in un
momento storico nel quale
tutti andavano a votare. Oggi
questi cambiano oltre 40 articoli con una
m a g g i o r a nza relativa
che poi è
m i n oranza
nel Paese: è una
cosa sem-
“È matematico: per la vera
riforma bastano due righe ”
plicemente vergognosa.
Entriamo nel merito.
Renzi e i suoi usano come
punto di vanto il fatto che diminuire i senatori, e non retribuirli, farà risparmiare i
cittadini. Bastava un articolo
di una riga nel quale si dimezzavano i senatori e i deputati,
il risparmio sarebbe stato
maggiore e la riforma più equilibrata.
Secondo lei perché non
l’hanno fatto?
Ma è talmente evidente! La
camera dei Deputati non
l’hanno toccata perché lì non
hanno problemi di maggioranza, mentre al Senato sì. Il
Senato in questi anni ha sempre dato problemi a chi governava perché il sistema elettorale garantiva maggioranze
più risicate, ora togliendolo di
mezzo tolgono il problema.
Quindi viene superato il bicameralismo paritario?
Non del tutto, e questo è il pasticcio peggiore. Ci sono maSe dopo
terie nelle quali il Senato
un’eventuale manterrà potere legislativo,
ma il governo lì non potrà più
débâcle
chiedere la fiducia, ergo il Sealle urne,
nato potrà bloccare una parte
Renzi
della legislazione. Una rifordovesse
ma pasticciata, raffazzonata,
restare
con una visione non organica
dov’è,
ci vorrebbe della questione. E poi ci sono
altre vergogne.
una
Quali?
solle vazione
Che questa riforma non abopopolare
lisca lo scandaloso articolo 7
della Costituzione, quello
che prevede il concordato tra
Stato e Chiesa cattolica. Anche qui bastava una riga per
abolirlo e avremmo risparmiato miliardi tra finanziamenti diretti e indiretti al Vaticano. La verità è che un ba-
ciapile democristiano come
Renzi non avrà mai il coraggio
di farlo.
La legge elettorale piaceva a
tutti fino a poco tempo fa.
Poi cosa è successo?
Ora che hanno capito che
questa legge elettorale è contro agli interessi del Pd la vogliono cambiare. Vogliono
che non vincano i grillini come a Roma e Torino: io non
sono grillino però questa manovra per farli perdere è indecente.
Secondo lei se Renzi dovesse perdere il referendum cosa accadrà?
Aveva annunciato che si sarebbe ritirato dalla politica.
Se dopo un’eventuale débâcle
della riforma lui dovesse restare lì ci vorrebbe un’insurrezione popolare.
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FATTO DA VOI
Il No con fantasia:
inviateci i vostri
lavori più belli
IL TALENTO per la
Costituzione: basta collegarsi al
sito fattodavoi.ilfattoquotidiano.it
e seguire le istruzioni per
inviarci i vostri No oppure
inviare una mail a
[email protected].
Foto, video, testi, loghi: ciò vi
riesce meglio. I più originali
saranno segnalati nella sezione
del sito sul referendum
(ilfattoquotidiano.it/referendumcostituzionale) e ogni giorno in
questa pagina del No. Sarà
organizzato poi un evento per
presentare i risultati della vostra
creatività e premiare i migliori.
Aiutateci a rendere "virale" il No
a questa controriforma, anche
con l’hashtag: #PerchéNo
oppure collegandovi a
fattodavoi.ilfattoquotidiano.it/
io-voto-no/ e compilando il
vostro No personalizzato.
Manuali Franco Squizzato
No-No Michelangelo Cannizzaro
Crema di protezione costituzionale Inviato da Antonello Sepe
L’INIZIATIVA
“Noi, studenti
di tutta Italia,
in piazza
per il nostro No”
» MARTINA CARPANI *
S
iamo studenti, da
mesi mobilitati per
rispondere alle passerelle del governo nelle università e nelle scuole. Ci
siamo attivati sui
litorali e
con il porta a porta.
E ora, scendiamo in piazza
e vi invitiamo a scendere in
piazza con noi il 7 ottobre
per iniziare il nostro autunno contro la “deforma”
costituzionale. Abbiamo
già subito troppe riforme
calate dall’alto, dalla Buona Scuola al Jobs Act e lo
Sblocca Italia, che ha tolto
decisionalità ai nostri territori. Ora, con la scusa
della “velocità”, si accentra il potere e si rende il
Parlamento ostaggio degli
interessi del partito di
maggioranza, eletto con
l’Italicum. Siamo stanchi
di subire. Questa riforma
serve solo a rendere più
veloci le decisioni dell’1%
sulle nostre vite. Noi studenti non siamo conservatori, ma riteniamo che le
priorità del Paese siano altre: l’istruzione, il lavoro,
la sanità, l’ambiente. Questa riforma non serve a
nessuno. E votiamo No
perché vogliamo che il dibattito esca dai talk show
ed entri nelle strade e nelle
case.
*Coordinatrice Nazionale
Rete della Conoscenza
6 » ECONOMIA
VOTA CONTRO IL 77 PER CENTO
Caos Sole 24 Ore,
la redazione
sfiducia Napoletano
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
I GIORNALISTI del Sole 24 Ore hanno
sfiduciato il direttore Roberto Napoletano. È la seconda volta che accade nella storia del giornale della Confindustria. La prima
volta i redattori sfiduciarono Gianni Riotta
con il 70 per cento di voti contrari a cui seguirono le dimissioni. Contro Napoletano
hanno espresso sfiducia 151 giornalisti, 45 invece quelli che hanno votato a favore del di-
q
rettore. I no sono stati dunque il 77 per cento.
A conferma della caos in cui versa il Gruppo
24 Ore, che pure è una società quotata in Borsa, subito dopo il voto si è riunito il consiglio
d’amministrazione della società che ha confermato la fiducia al direttore sfiduciato dalla
redazione. Ma solo “per quanto di sua competenza, essendo stata convocata l’assemblea per il rinnovo del consiglio di amministra-
zione al prossimo 14 novembre”, come si legge in un comunicato. Della sorte del direttore
si occuperà dunque il nuovo cda. Nel frattempo, dopo che la perdita del primo semestre ha
quasi azzerato il capitale, il presidente della
Confindustria Vincenzo Boccia, che si allinea
alla posizione del Cda e auspica armonia, tratta freneticamente con Intesa Sanpaolo, prima
banca creditrice, su un piano di salvataggio.
IL DOSSIER
74 milioni Un report ufficiale
quantifica la cifra spesa finora
per il territorio: il premier
aveva promesso 9 miliardi
Quasi a zero anche i fondi
per bonifiche e sistema idrico
» CARLO DI FOGGIA
E MARCO PALOMBI
I
eri Matteo Renzi è andato
a Genova: “Stasera presentiamo i lavori sul Bisagno (il fiume esondato nel
2014, ndr): la lotta al dissesto
non si fa con le parole ma coi
cantieri. E sono molto fiero dei
passi in avanti giganteschi che
sono stati fatti. Ma non basta”.
I passi avanti giganteschi sono
parte del Grande Piano contro
il dissesto idrogeologico
2015-2020 da 9 miliardi: “Una
rivoluzione copernicana – la
definì il premier l’anno scorso
–. Abbiamo già stanziato 1,2
miliardi. Ci rimbocchiamo le
maniche e sistemiamo tutto”.
Su Italiasicura.it si possono
vedere i cantieri in una graziosa mappa multimediale. Poi,
però, c’è la realtà. Il Tesoro,
com’è obbligato a fare, ha appena pubblicato le Relazioni
sulle spese di investimento e
relative leggi pluriennali 2016
e lì c’è scritta una cosa un po’
diversa: finora sono stati spesi
in tutto 74 milioni, molti dei
quali proprio a Genova peraltro, stanziati da Enrico #staisereno Letta. Non solo: le critiche che il governo muove a
se stesso in quel report sono
pesanti tanto sul dissesto,
quanto sulle bonifiche e il sistema idrico. Breve sintesi.
DISSESTO IDROGEOLOGICO.
Ecco i 9 miliardi di Renzi nelle
parole dei tecnici del ministero dell’Ambiente (Gian Luca
Galletti fu uno dei più risoluti
aedi del Grande Piano): “A
causa dell’esiguità delle risorse disponibili si sta procedendo attraverso la realizzazione
di Piani Stralcio”. Insomma, il
Grande Piano nel settembre
2015 è diventato – in silenzio,
con un decretino – “interventi
di mitigazione del rischio alluvionale nelle aree metropolitane”(tutte nel Centro-Nord).
Finanziamento teorico: 1,3
miliardi dal Fondo di sviluppo
e coesione e dal ministero
dell’Ambiente. Quei soldi, però, non esistono: “A causa
dell’esiguità delle risorse disponibili si è deciso di finanziare 33 interventi per un importo di 654 milioni di risorse
statali che hanno così costituito la sezione attuativa, rimandando la sezione programmatica” a quando avremo i soldi.
Anche i 654 milioni, però, sono
virtuali: a oggi infatti, ci dice il
Tesoro, sono stati spesi 74,1
milioni. Poi ci sono altri 63 milioni da destinare “al piano di
gestione del rischio alluvioni
da completare entro l’anno”.
Quindi non spesi. Da qui al
Restano solo
promesse
Matteo Renzi
e l’alluvione
nel Piacentino.
In basso, il ministro dell’Ambiente Gianluca Galletti Ansa
Il Tesoro confessa: “Niente soldi
contro il dissesto idrogeologico”
2018 ci sono sulla carta 350 milioni in tutto, tutti stanziati da
Letta nel 2013: 150 milioni
quest’anno, 50 nel 2017 e 150
nel 2018. Il governo Renzi non
ha messo un euro in più: “La
scarsità delle risorse disponibili per il triennio 2016-18 non
ha consentito a questa amministrazione di effettuare una
programmazione strutturata
per la mitigazione del dissesto
idrogeologico”. In sostanza, il
ministero dell’Ambiente chiede più soldi e li vorrebbe dal
Fondo di sviluppo e coesione.
Problema: quei soldi sono vincolati per l’80% a investimenti
al Sud “con pregiudizio della
grave situazione di dissesto
nel Centro-Nord”. Dulcis in
fundo: il decreto Sblocca Italia
del 2015 ha stanziato 45 milioni per i programmi anti-dissesto “dei provveditorati regionali”: finora sono stati assegnati solo i 2 milioni del 2015.
LE FOGNE. Qui il ritardo è enorme. Da oltre 10 anni, una direttiva Ue impone a Roma la messa a norma dei sistemi fognari
e depurativi: le acque reflue
degli agglomerati urbani “de-
l
500
milioni
l’anno
La multa Ue
che l’Italia
rischia
per non aver
sistemato
le fogne in 817
città: serve
un miliardo,
disponibili
20 milioni
TERREMOTO Il decreto slitta alla prossima settimana
Errani: “Danni da 4 miliardi di euro
Risarciremo anche le seconde case”
IL DECRETO sulla ricostruzione
delle zone colpite dal terremoto
del 24 agosto ancora non c’è. Doveva essere presentato nella riunione del Consiglio dei ministri del 4 ottobre, ma è slittato alla prossima settimana. Ieri, però
Vasco Errani, commissario straordinario per la ricostruzione, davanti alla
commissione Ambiente della Camera, ne ha illustrato le linee programmatiche. “Risarciremo tutti i
danni del sisma, anche per le
seconde case”, ha annunciato. La ricostruzione delle
seconde case era uno dei
nodi da sciogliere: sul tavolo del governo c’era
anche l’ipotesi di dare
soltanto un sostegno economico ai proprietari.
Errani spiega che è stata
fatta una “scelta radicale.
q
Se decidessimo di non finanziare quelle
realtà, non potremmo parlare di ricostruzione”. La decisione dipende in gran
parte dalla particolarità del territorio,
composto per il “70% del patrimonio abitativo, da quelle che vengono chiamate seconde case, ma che in realtà
sono case di famiglia”. Errani ha
promesso che il decreto conterrà
anche "diversi interventi" per evitare che imprese e commercianti
abbandonino le zone colpite.
La stima dei danni provocati dal sisma è di circa 4
miliardi di euro. Per avere
cifre più precise bisognerà aspettare il 16 novembre: “Entro quella data –ha
detto Errani – sarà pronto
il dossier da consegnare all'Ue per l'attivazione del fondo
emergenze".
vono essere sottoposte a trattamento adeguato”. Tradotto:
vanno depurate. Per il 2016 sono stati stanziati 20 milioni.
Cioè il 2% di quanto servirebbe. Recita infatti il documento
del Tesoro: “La ricognizione
effettuata ha evidenziato un
fabbisogno finanziario di oltre
1 miliardo di euro per la realizzazione di interventi in 817
agglomerati oggetto di contenzioso comunitario”. A dicembre 2015, Bruxelles ha infatti annunciato che metterà
in mora l’Italia alla Corte di
Giustizia europea. Lì quantificherà la multa: rischiamo di
dover pagare mezzo miliardo
l’anno. Per mettere tutto a posto, invece di un miliardo, ci
sono 20 milioni nel 2016, 14 nel
2017 e 7 nel 2018 in base a leggi
di 10 anni fa.
SITI INQUINATI. Ce ne sono di
vario genere, ma lo stato degli
investimenti pubblici è terribile in ogni caso. Per l’amianto, ad esempio, Renzi ha promesso 45 milioni l’anno tra il
2015 e il 2017 per fare le bonifiche nei “sette Siti di interesse
nazionale contaminati da amianto”. In teoria. Nella pratica dei 45 milioni del 2015 ne
sono arrivati solo 25, cifra che
scende a 19,7 milioni nel 2016.
Ammette il governo nel suo report: “Si prevede che sarà erogata una percentuale di risorse
superiore al 65% entro la fine
del triennio”. Tradotto: 46 milioni sono già persi.
Poi c’è il piano straordinario
di bonifica delle discariche abusive. Letta aveva stanziato
30 milioni per il 2016-2018: i
soldi non sono mai arrivati
perché - dicono i tecnici - “i
soggetti attuatori non hanno
mai consegnato i piani”. Le risorse, comunque, non bastano: mancano 66 milioni. Infine
ci sono le bonifiche degli altri
Sin: i siti di interesse nazionale – cioè posti super-inquinati tipo Taranto, Brindisi, i laghi di Mantova o il petrolchimico a Marghera – sono 40, istituiti per legge nel 1998 per
procedere finalmente alle bonifiche. Come non si era fatto
niente prima, così quasi niente
dopo. Ora all’uopo sono destinati 75 milioni fino al 2018.
Problema: solo i Piani di Stralcio per gli interventi “strategici e prioritari” – quelli, cioè,
per evitare emergenze sanitarie –valgono 600 milioni e non
ci sono. Se questo è l’andazzo,
il piano “Casa Italia” lanciato
dopo il terremoto andrà monitorato con attenzione.
l
0
euro
in tutto
I soldi spesi
per mettere
in sicurezza
le discariche
abusive: lo
stanziamento
era 30 milioni,
anche se
arrivassero ne
mancano 66
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ECONOMIA
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
Lo sberleffo
MURARO E L’ALBERO
GENEALOGICO NAR
» FQ
,
CI SONO IMPEGNI che vanno premiati. Come quello che Repubblica ogni giorno dedica a Paola Muraro, assessore
all’ambiente indagata dalla Procura di Roma. Ieri il quotidiano ha scoperto che nello
staff della Muraro lavora Maria Paola Di Pisa, già al Comune con Alemanno. Poi ricostruisce l’albero genealogico e scopre un filo rosso tra la Muraro e gli ex Nar.
Perché Maria Paola Di Pisa ha una sorella, Serena, che
a sua volta ha un compagno tra le file dell’estrema destra. È Pasquale Belsito, oggi all'ergastolo. Serena Di Pisa e Pasquale Belsito hanno due figli: Giulio ed Elena. E la storia si fa ancora più grave: Elena – che il padre non ha mai
riconosciuto – “è stata assunta in Ama dalla coppia
Panzironi-Fiscon”. Poi Repubblica incalza: “E, coincidenza, viene messa a lavorare agli impianti TMB di
Rocca Cencia e Salario con la Muraro”. Non c’è scam-
»7
po per l’assessore, che ora deve rispondere del fatto di
non aver ricostruito l’albero genealogico degli assunti
in Ama, inclusi figli non riconosciuti. Su altri quotidiani
invece è stato scritto che nello staff della Muraro, c’è
anche Gloria Rojo, ex segretaria di Franco Panzironi,
imputato in Mafia Capitale. La donna era anche nel
2011 in una lista di 41 nomi al vaglio dei pm nell’inchiesta Parentopoli in Ama. Al Fatto non risulta che ci sia
alcuna Rojo nello staff della Muraro.
Anche il dopo alluvione
è una passerella per il Sì
Renzi a Genova per inaugurare i cantieri sul fiume Bisagno, poi corre in tv
rispetto per niente. Per non dire che quelle opere sono state realizzate con soldi pubblici,
Genova
quindi di tutti”, attacca Alice Salvatore, candie c’è stata un’Italia che ha saputo solo la- data M5S alle ultime elezioni regionali vinte dal
mentarsi o sbraitare, se c’è chi continua centrodestra di Giovanni Toti. Sarà proprio il
a farlo magari sperando che vada sempre governatore della Liguria a gestire i soldi artutto male anche oggi e in vista del re- rivati dal Governo: “Abbiamo dato a Genova
ferendum del 4 dicembre che cambierà final- 402 milioni”, ha garantito ieri Renzi. Dati che,
mente la politica e lo Stato, noi
come riporta l’articolo nella
ci rimbocchiamo le maniche”.
pagina precedente, non semParole di Matteo Renzi pub- L’intervento
brano concordare con quelli
blicate ieri dal Secolo XIX di “L’Italia che si rimbocca forniti dal Tesoro.
Genova. Poche ore prima che
Una visita molto breve
il premier arrivasse in città per le maniche in vista di
quella del premier a Genova.
inaugurare i cantieri anti-allu- dicembre”. E annuncia: U n a c e r i m o n i a v i r t u a l e .
vione sul Bisagno. Quel torNiente passaggio sul Bisagno;
rente famoso per le sue tragi- “Stanziati 402 milioni”
difficile dire se sia per un riche esondazioni: l’ultima nel
tardo dell’aereo, come dicono
2014 ha provocato un morto.
fonti ufficiali, o perché si teUna frase, quella di Renzi, che a Genova ha su- mevano contestazioni.
scitato subito aspre polemiche: “Sfruttare per“I soldi di Italia Sicura per i cantieri dell’alfino il Bisagno, che ha provocato tanta morte, luvione a Genova sono arrivati tutti”, assicura
per raccattare voti è vergognoso. Renzi non ha Gianni Crivello, assessore ai Lavori pubblici
» FERRUCCIO SANSA
S
della giunta di Marco Doria, il
sindaco di Genova che il Pd di
Renzi sembra pronto a giubilare. Aggiunge Crivello: “Ci
sono 35 milioni per il secondo
lotto del Bisagno che dovrebbe essere consegnato entro
l’ottobre del 2017. Poi altri 95
del cantiere che inauguriamo L’inaugurazione Giovanni Toti, Marco Doria e Roberta Pinotti Ansa
adesso. E 165 milioni dello
scolmatore del Bisagno (i lavori probabilmen- tervista più cena con i vip cittadini. L’ospite è
te partiranno entro il 2017). Quindi ecco i 5 l’editore Maurizio Rossi, senatore eletto con
milioni per lo scolmatore del Fereggiano Mario Monti e oggi nel gruppo misto, che in
(mancano due anni all’ultimazione dei lavo- passato non ha risparmiato critiche al premier
ri). Infine ci sono fondi per interventi su altri e alla candidata Pd alle Regionali, Raffaella
Paita. Chissà se Rossi gli ha ricordato quello
torrenti”.
Renzi, quindi, passa a inaugurare. Ma an- che disse una volta: “Sono per il No al refeche in previsione delle elezioni comunali di rendum. La Liguria e altre Regioni avranno
Genova che arriveranno in primavera, con un due senatori, uno ogni 750 mila abitanti. Menesito tutt’altro che scontato per il centrosini- tre il Trentino Alto Adige ne avrà quattro, uno
stra che governa la città dal Dopoguerra. E do- ogni 250 mila abitanti. Un altoatesino vale il
po l’inaugurazione, Renzi è corso da Primo- triplo di un ligure”.
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canale, principale emittente privata ligure: in-
8 » ITALIA
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
MAFIA CAPITALE
Zingaretti indagato
per corruzione:
chiesta l’archiviazione
IL 19 OTTOBRE dovrà comparire come testimone, citato dalla difesa di Salvatore Buzzi, nel processo a Mafia Capitale, e
in quella sede il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti potrebbe avvalersi della
facoltà di non rispondere perché indagato in
un filone della stessa maxi-inchiesta. Per lui
però la Procura ha già chiesto l’archiviazione.
La decisione del gip dovrebbe arrivare nelle
q
prossime settimane, ma dell’indagine a carico dell’esponente Pd, finora, nulla era trapelato: “Ho appreso dalle agenzie di stampa – si
legge in una nota del governatore –che la Procura di Roma ha svolto delle indagini a seguito
delle accuse che mi vennero rivolte da Salvatore Buzzi, che io querelai”. A carico di Zingaretti erano ipotizzati i reati di concorso in
corruzione e tentata turbativa d’asta. A tirar-
IL RAPPORTO Liberalizzazione selvaggia con Renzi
» MARTA FANA
L’
esplosione dei voucher (i buoni lavoro orari) è ormai impossibile da negare: nei
primi sette mesi del 2016 ne
sono stati venduti 84 milioni,
il 36% in più rispetto allo stesso periodo del 2015 e oltre il
200% in più rispetto al 2014,
secondo i dati Inps. Una dinamica coerente con la loro progressiva liberalizzazione: dalla riforma Fornero che ne estese l’uso a tutti i settori fino
al Jobs Act che ha aumentato il
reddito massimo percepibile
in voucher da ciascun lavoratore in un anno, da 5 a 7 mila
euro. Il loro numero è così esploso, ma sempre giustificato con l’obiettivo di “far emergere il lavoro nero”. Ora, una
recente pubblicazione del
progetto VisitInps a cura di
Bruno Anastasia sulla dinamica del lavoro accessorio dal
2008 al 2015 spiega che questo
non è mai avvenuto: l’incidenza dei soggetti “emersi” dal lavoro nero grazie ai voucher è
irrisoria. Ma soprattutto si assiste a una “regolarizzazione
minuscola (parzialissima) in
grado di occultare la parte più
consistente di attività in nero”. Se n’è accorto anche il governo che ha introdotto l’obbligo per i committenti di segnalare all’Inps l’ora effettiva
di inizio della prestazione, ma
i controlli non ci sono.
TRA IL 2011 E IL 2015, la per-
centuale di voucheristi tra i 25
e i 49 anni passa dal 33% al
54%, mentre si dimezza quella relativa agli over 50 (dal 36
al 18%). Una dinamica opposta a quella dell’occupazione
tout court, nettamente positiva solo per gli over50. Sempre
più spesso, il voucher appare
il mezzo di inserimento nel
mercato del lavoro per i più
giovani.
Per capire come e in che misura il lavoro accessorio si accompagna o sostituisca ad altre forme contrattuali, la ricerca Inps si concentra sulle transizioni tra lavoro dipendente e
accessorio, senza un focus su
quelle relative al lavoro parasubordinato, cioè le collaborazioni. Nel 2015 la metà dei prestatori di lavoro accessorio risultava occupata come dipendente pubblico o privato o percettore di assegni di disoccupazione. Tra questi, un terzo
dei lavoratori a voucher aveva
contratti di lavoro dipendente
nella stessa azienda. Per alcuni
i voucher fungono da porta
d’ingresso per il contratto dipendente a termine (quota
prevalente), per altri invece si
afferma il processo inverso, da
dipendenti a voucheristi. Il
10% di questi voucheristi è
composto da occupati che
transitano dal lavoro dipen-
lo in ballo era stato Buzzi, negli interrogatori di
giugno e luglio 2015. In quell'occasione il ras
delle coop citò, tra le altre cose, il nuovo palazzo della Provincia di Roma, e sostenne che
Luca Odevaine gli avrebbe riferito che in quella vicenda avrebbero preso soldi due collaboratori del governatore e un imprenditore. Sono vicende che Buzzi riferisce “de relato”, prive peraltro di riscontri.
I dati Inps
Un voucher è per sempre:
la trappola del super-precariato
versare neppure un mese di
contributi validi ai fini previdenziali (servono 130 voucher
annui). Che vi sia un’alta rotazione di forza lavoro retribuita
a voucher si evince dal fatto
che da un lato i voucheristi aumentano, ma dall’altro il numero di buoni lavoro percepiti
da ciascuno è costante negli ultimi quattro anni.
DAL LATO DELLE IMPRESE, in-
dente ai voucher ma non nella
stessa azienda. Infine, molti
sono i casi, circa il 25%, di soggetti che, pur avendo un lavoro
dipendente, svolgono un secondo lavoro retribuito a voucher: sono soprattutto persone con contratti pa r t -t i me ,
probabilmente non per scelta
loro ma per imposizione del
datore di lavoro.
Questo tipo di “lavoro ac-
CALL CENTER
L’analisi
Chi usa i voucher e perché
nella nuova
analisi
pubblicata
dall’Inps
cessorio”, poi, si rivela spesso
una trappola: secondo l’Inps,
infatti, oltre la metà dei vaucheristi sono “persistenti”,
cioè continuano a lavorare a
voucher anche negli anni successivi, restando così in una
prolungata condizione di super-precarietà. Il tasso di persistenza si fa più marcato per
chi ha iniziato dopo il 2012
(circa il 25-30%) e aumenta
con il numero dei voucher percepiti. Un guaio per le prospettive previdenziali di questi lavoratori. La metà di loro non
riscuote più di 29 voucher
all’anno, per un reddito netto
pari a 217 euro, dato sostanzialmente stabile dal 2010. Significa che questi lavoratori,
data l’aliquota contributiva
del 13%, in un anno di lavoro
occasionale non riescono a
fine, si osserva che il 40% dei
voucher sono utilizzati nel
settore alberghiero e della ristorazione. Ma molti altri
comparti mostrano un aumento del ricorso ai buoni lavoro. Tutto da approfondire
invece è l’utilizzo dei voucher
nelle amministrazioni pubbliche dove il lavoro accessorio
sembra iniziare a configurarsi
come meccanismo di internalizzazione di servizi dati in gestione ad imprese esterne.
Le conclusioni del rapporto
Inps sono spietate: la liberalizzazione dell’uso dei voucher
altro non è che un meccanismo
per contenere il costo del lavoro, nonostante i danni strutturali in termini di diritti per i
lavoratori (tra cui quelli previdenziali) e produttività per il
sistema che una massa crescente di precari produce.
La scheda
IL
VOUCHER
è un buono
con cui viene
pagato il
lavoro
accessorio o
occasionale.
Ogni voucher
vale 10 euro
ed equivale al
compenso
minimo per
un’ora di lavoro. Al lavoratore vanno
7,50 euro. Il
resto copre
Inps e Inail. La
riforma
Fornero l’ha
esteso a tutti i
settori. Il Jobs
Act ha
innalzato la
soglia
massima di
pagamento in
buoni
n
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La crisi L’azienda chiude a Roma e a Milano e licenzia, a quattro mesi dall’accordo
Almaviva ci riprova: 2.500 esuberi
soltanto rimandato gli allontanamenti. Migliaia di
lmaviva ci è ricascata: impiegati del gruppo sono
l'azienda italiana dei ora già di nuovo in preda alcall center ha annunciato l'incubo di perdere il lavoro.
2.500 licenziamenti. Una ri- Il motivo, secondo quanto
strutturazione che passerà spiegato dalla stessa azienda, starebbe nel
per la chiusura
peggioramento
di Roma, e Nadelle condiziopoli e interesseni di mercato,
rà 1.666 persone
n e l l a p r i m a e Braccio di ferro
dovuto a una serie di fattori.
845 nella secon- Perdite,
da. Tutto queInn anzi tutto, le perdite: tra
sto, a soli quat- delocalizzazioni
g i u g n o e s e ttro mesi dall'ac- e scontro
tembre i dati del
cordo con i sindacati al mini- sul controllo
gruppo, per Roma e Napoli,
stero dello Svi- individuale
parlano di una
luppo economimedia mensile
co; in quella cir- dei dipendenti
di 1,2 milioni di
costanza, grazie
euro, a fronte di
anche al ricorso
alla solidarietà, furono sal- 2,3 milioni di ricavi. Una
vati tremila lavoratori che e- performance negativa otterano stati dichiarati in esu- nuta “nonostante l'utilizzo
bero dall'azienda. La chiu- degli ammortizzatori sociasura positiva di quel tavolo li”, fanno sapere da Almavidi crisi, però, sembra aver va. A penalizzare il settore
» ROBERTO ROTUNNO
A
sono le delocalizzazioni:
“Nonostante chiare leggi
dello Stato che rimangono inapplicate – avvertono dall'azienda – c'è un incontrollato aumento delle attività
delocalizzate in Paesi extra
Ue. Sulla base dei dati ufficiali dell’Instat albanese, nel
2015 è raddoppiato il numero dei call center che lavorano per il mercato italiano
con oltre 25 mila posti di lavoro”. Negli ultimi mesi dieci aziende del settore hanno
dovuto chiudere in Italia.
IL PROBLEMA, tuttavia, ver-
rebbe anche da alcuni fattori
interni. In particolare, Almaviva ha denunciato le frequenti gare di appalto aggiudicate al massimo ribasso
che rendono impossibile sostenere i costi del lavoro:
“Dai casi più volte denunciati del servizio infoline del
Comune di Milano e dello
060606 del Comune di Ro-
Palermo, aprile 2015 LaPresse
ma – raccontano – fino alla
recente gara per il servizio
Recup della Regione Lazio
con base d’asta sottostante i
minimi contrattuali di qualsiasi contratto nazionale”.
Almaviva attacca i sindacati. L'intesa firmata a maggio presso il Mise, infatti,
prevedeva tra le altre cose
l'apertura di un tavolo per
sottoscrivere un accordo
per il controllo sulle performance individuali. Almaviva ritiene quel documento
“fondamentale per il riassorbimento degli esuberi”.I
sindacati non lo hanno voluto firmare perché pensano che un accordo di quel tipo non vada negoziato in sede aziendale ma vada affrontato con tutte le imprese del settore. Così i 2.500 licenziamenti in vista sembrano una ritorsione. “È evidente – risponde il segretario generale di Slc-Cgil –
l’assoluta inconsistenza
delle presunte nostre inadempienze quali causa della spregiudicata determinazione aziendale”. L'impatto
della procedura di razionalizzazione decisa da Almaviva, che ha anche disposto
il trasferimento di 150 lavoratori da Palermo a Rende,
in Calabria, sarà affrontata
nel prossimi 75 giorni con i
sindacati, in una vertenza
che si preannuncia lunga e
complicata.
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ITALIA
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
IL MAGISTRATO-SCRITTORE
Telefonate con Buzzi:
De Cataldo vince
il primo round al Csm
IL CASO del giudice-scrittoreMassimo De Cataldo, diventato famoso con
Romanzo criminale, ha spaccato in due la Prima
commissione del Csm che ieri, con 3 voti contro 3, ha bocciato la richiesta di aprire la procedura di trasferimento d’ufficio per incompatibilità funzionale del magistrato, oggi alla Corte d’Assise d’appello di Roma. In seguito ad alcune telefonate e sms tra De Cataldo e Salva-
q
tore Buzzi, prima che diventasse tra i principali
indagati di “Mafia Capitale”, la relatrice Maria
Rosaria San Giorgio, togata di Unicost (corrente centrista) aveva chiesto di cominciare l’iter
del trasferimento. Concordi Pierantonio Zanettin (laico di Fi) e Lorenzo Pontecorvo (togato di Mi, corrente di destra). Contrari il presidente della Commissione, Renato Balduzzi (
laico di Scelta Civica), Antonello Ardituro e
»9
Piergiorgio Morosini (togati di Area, la sinistra). Subito dopo, Morosini ha chiesto di votare sulla sua proposta di archiviazione, ma il
resto della Commissione non ha voluto. Toccherà ai nuovi componenti che si insedieranno
lunedì decidere cosa fare: o proseguire l’istruttoria o proporre l’archiviazione al plenum che,
come sempre, ha la parola definitiva.
A.MASC.
OMICIDI Dal medico killer all’architetto ucciso a Como
LA CONSULTA
Condanne
e sospensioni:
un altro sì
alla Severino
Il ritorno dei delitti borghesi
Anche i ricchi ammazzano L
figli, uno scambio di accuse e
calunnie come avviene purtroppo in tante famiglie. E poi
l’amante. Macché intrighi internazionali...
SEGUE DALLA PRIMA
» FERRUCCIO SANSA
E
ra il 14 ottobre 2015. E
la tranquilla provincia di Como fu scossa
da quella che all’inizio
sembrava un’esecuzione della criminalità organizzata.
Ma chi aveva freddato con
due colpi di pistola l’architetto e designer noto e stimato
nella buona società affacciata
sul Lago? Forse c’e n tr a v a
qualche persona misteriosa
che aveva conosciuto nei suoi
frequenti viaggi tra la Russia e
Dubai? Quando il procuratore Nicola Piacente e gli investigatori si sono affacciati sulla vita di Molteni, però, hanno
trovato ben altro. Hanno ricostruito un calvario durato a
lungo: la sua Range Rover
bruciata sotto lo studio di Mariano Comense. Le minacce.
Un piano preciso per farlo scivolare nel terrore, per farlo
cedere.
PRIMA SONO ARRIVATI gli ar-
resti: i presunti esecutori e il
mandante. Una guardia giurata. Sono emersi dettagli incredibili, ma fin troppo veri: esiste
un vero e proprio tariffario
nella tranquilla e opulenta Como se vuoi minacciare una
persona, se vuoi farla prende-
’NDRANGHETA
COME, secondo i magistrati,
Alfio Molteni, a destra, fu ucciso il 14 ottobre 2015 a Carugo, in provincia di Como, davanti casa Ansa
Caso Molteni
Freddato mentre
usciva di casa: ieri
l’arresto dell’ex moglie
e dell’amante
Niente malavita
Solo disperazione:
lite per l’affidamento
dei figli, scambi
di accuse e calunnie
re a mazzate (un migliaio di
euro). Fino alla gambizzazione (intorno ai diecimila euro).
Il lavoro sporco, ecco a volte la
differenza se sei ricco, lo fanno
altri. Così gli investigatori non
si sono fermati a quella banda
di delinquenti comuni. Gli esecutori. Alla guardia giurata.
E alla fine, è la notizia di ieri,
hanno accusato anche la moglie dell’architetto e il suo a-
mante, un commercialista: “Il
movente di tutti i reati va ricondotto alla turbolenta separazione tra Molteni e Daniela
Rho, ai contrasti intercorsi tra
i due sull’affidamento delle figlie (che la Rho cercava di ottenere in via esclusiva) . Le indagini hanno evidenziato che
gli atti intimidatori antecedenti l’omicidio sono stati utilizzati dalla Rho per dipingere
Molteni come persona dalle
frequentazioni equivoche e
pericolose”. Già, una lite disperata per l’affidamento dei
sarebbe successo per l’omicidio di Giulia Ballestri, la moglie di Matteo Cagnoni, principe della dermatologia di Ravenna. Una coppia da sogno,
sembrava: lui, 51 anni, che all’inizio l’aveva corteggiata andando a prenderla con una
Bentley da 200 mila euro. Che
l’avrebbe sposata. Ma dietro
gli spessi muri della loro lussuosa casa si nascondevano,
come oltre le pareti sottili di
tante abitazioni comuni, scontento e disperazione. Fino alla
separazione, a una nuova vita
della donna che Cagnoni, è
l’accusa, non avrebbe sopportato. Il medico nega, ma appena i carabinieri hanno suonato
alla casa del padre dove era ospite ha tentato di fuggire ed è
stato arrestato.
Eccola, una versione macabra della Livella di Totò. Quella dell’omicidio di Maurizio
Gucci, del caso Jucker, fino
all’esecuzione dell’architetto
Molteni. Sembrano tanto diverse le nostre vite, ma la morte – anche l’omicidio – ci mostra che non è così.
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“La Mamma” Pelle è l’uomo chiave della strage in Germania e della faida di San Luca
Preso il boss di Duisburg. Era a casa
» LUCIO MUSOLINO
Reggio Calabria
S
i nascondeva come un topo, in
una sorta di bunker al quale accedeva da uno sportellino nascosto dietro l’armadio della sua camera da letto. Ma almeno era a casa sua il boss Antonio Pelle, detto
la “Mamma”, latitante dal 2011 e
arrestato ieri dalla polizia in contrada Ricciolo a Benestare (Reggio Calabria). Gli davano la caccia
da cinque anni. Era riuscito a fuggire dall’ospedale di Locri dove era stato ricoverato perché, grazie
ad alcuni farmaci che si era procurato dietro le sbarre, era diventato anoressico. Era dimagrito
così tanto da essere incompatibile con il regime carcerario.
GLI UOMINI della Squadra mobile
guidata da Francesco Rattà e dal
suo vice Fabio Catalano erano sicuri che la “Mamma” si trovasse
nella sua abitazione. Il procuratore Federico Cafiero De Raho e il
sostituto Francesco Tedesco
hanno dato l’ok per il blitz. Cinquanta uomini hanno cinturato
la casa del latitante. Se fosse riuscito ad abbandonare lo stabile,
non avrebbe avuto comunque
scampo.
È l’alba quando la moglie del ricercato, Teresa Vottari (figlia del
defunto boss Giuseppe), apre la
porta di casa. Inizia la perquisizione ma di Antonio Pelle neanche l’ombra fino alle 9.30 quando
un piccolo dislivello nella parete
tradisce il lavoro dei bunkeristi.
Gli agenti si accorgono che il muro
è vuoto. È stato sufficiente salire
sopra l’armadio per trovare una
botola grande quanto lo sportello
di una piccola cassaforte. Antonio
Pelle era talmente dimagrito che
quello poteva essere l’accesso di
un bunker.
Teresa Vottari e i suoi tre figli (il
quarto è in carcere) si agitano. Il
latitante dal suo nascondiglio li
sente e ha paura che la situazione
possa degenerare.
“È finita, è finita. Stai tranquilla. È tutto a posto”, urla alla mo-
Dietro
l’armadio
Nella sua casa
di Ricciolo di
Benestare, nella Locride, il
boss aveva un
bunker dietro
un armadio
glie quasi in preda a una crisi di
panico. Da sopra l’armadio esce
una testa. La “Mamma” si arrende. Nel covo, i poliziotti hanno
trovato un documento falso, una
piccola quantità di cocaina e
4.500 euro in contanti.
NON È ESCLUSO che Antonio Pelle
abbia messo in piedi un piccolo
traffico di droga mentre era latitante. Con molta probabilità, la
“Mamma”non ha trascorso tutti e
cinque gli anni nella sua abitazione. Piuttosto quel covo serviva come rifugio per qualche ora, giusto
il tempo dei continui controlli da
parte delle forze dell’ordine. La
Direzione distrettuale antimafia
sta valutando l’ipotesi di denunciare la moglie e i figli per procurata inosservanza della pena. Antonio Pelle, infatti, ha una condanna definitiva a 20 anni e un mese di
carcere per associazione mafiosa,
coltivazione stupefacenti, ricettazione, detenzione abusiva di armi e munizioni ed evasione.
È uno dei protagonisti della faida di San Luca che, nel 2007, ha
toccato l’apice dello scontro tra i
Pelle-Vottari e i Nirta-Strangio
con la famosa strage di Duisburg,
in Germania. Era stata la “Mamma”, infatti, a chiedere a Marco
Marmo (una delle sei vittime della
strage) di recarsi in Germania per
acquistare un furgone blindato e
un fucile di precisione per uccidere Giovanni Luca Nirta, il boss avversario al quale sette mesi prima
era stata ammazzata per errore la
moglie Maria Strangio nella strage di Natale a San Luca.
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a Corte costituzionale “blinda” la legge Severino, sancendo che la sospensione di un
eletto dopo una condanna
in primo grado è legittima.
La Consulta ha
i n f a t t i d ichiarato
infondate
le questioni di costituzionalità
della legge,
sollevate dal tribunale di Bari riguardo la
posizione di un consigliere
regionale Pd, Fabiano Amati, e dal tribunale di Napoli riguardo il caso del governatore della Campania
Vincenzo De Luca.
In particolare, il giudice di Napoli aveva sollevato la questione della costituzionalità della Severino
nella parte in cui dispone
la sospensione di un presidente di Regione, quando condannato anche in
via non definitiva. Proprio
il caso di De Luca che, eletto governatore nel giugno 2015, aveva però già a
suo carico una condanna
in primo grado a un anno
di carcere per abuso di ufficio. In base alla Severino
era quindi scattata la sospensione automatica,
che può arrivare fino a 18
mesi. De Luca aveva però
fatto ricorso contro lo stop
e il tribunale l’aveva accolto con un’ordinanza, consentendogli di insediarsi e
di formare la giunta. Nel
contempo, aveva sollevato la questione di costituzionalità della legge alla
Consulta. Ma la Corte ieri
ha respinto l’istanza, stabilendo che non vi fu un
eccesso di delega, che il
carattere non sanzionatorio della sospensione esclude che sia stato leso il
divieto di retroattività. In
più, la Consulta ha ribadito che “la oggettiva diversità di status e di funzioni
dei parlamentari rispetto
ai consiglieri e agli amministratori degli enti territoriali non consente di
configurare una disparità di trattamento”. L’avvocato Gianluigi Pellegrino, che ha “difeso” la
legge di fronte alla Corte,
commenta: “La Consulta
ha ribadito che il tribunale di Napoli ha combinato
un gran pasticcio, consentendo a De Luca un abusivo insediamento.
Sulle eventuali conseguenze e sul suo mandato
ora bisognerà valutare”.
Lo scorso 16 settembre,
De Luca è stato assolto in
Cassazione.
Twitter @lucadecarolis
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10 »
P G
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
iazza rande
Non siamo dei babbei,
votiamo No al referendum
Non sono un personaggio famoso,
ma sono una cittadina italiana molto preoccupata per quello che sta
accadendo nel nostro Paese. Non
potrò partecipare al vostro/nostro
Woodstock più per motivi pratici
che altro, ma vi assicuro che con il
cuore e il pensiero ci sarò e credo
che saranno in molti che idealmente vi seguiranno. Forse potreste
pubblicare sul vostro giornale tutte
le email o i messaggi che i cittadini
vi inviano per manifestare il loro
dissenso verso questa riforma/capestro che ci stanno proponendo
con tanto zelo e dimostrare che
non siamo proprio dei babbei come
ci vogliono far credere. Renzi vai a
casa e portati via anche Napolitano, non ne vogliamo più sentir parlare di voi, siete il peggio di questo
Paese. Io voto No.
CLARA
Gli ospedali della Sardegna
sono al collasso
Alcune settimane fa, sono andato
nell’ospedale di un capoluogo di
provincia della mia Regione per
andare a trovare un parente gravemente malato, deceduto purtroppo due giorni dopo. Il nostro congiunto stava in uno sgabuzzino di
circa 4/5 mq, con altri tre pazienti,
intubati, cateterizzati e con l’ossigeno. All’ora delle visite i parenti
non riuscivano a stare tutti nella
cameretta, negli anni passati era una bella camera singola ora sembrava la stanza di un lager, senza
decoro e senza umanità. Siccome
gli infermieri sono in numero insufficiente, sottoposti a turni inumani, a un congiunto viene chiesto
di trattenersi durante la notte per
accudire il malato e per dormire
può accomodarsi su una comodissima sedia in ferro.
In Sardegna il sistema ospedaliero
viene smantellato. Strutture importantissime per i paesi di confine
che coprono una fetta enorme di
territorio sono già state ridotte
all’osso e altre sono sotto attacco.
L’obiettivo finale è la loro eliminazione che, se passerà il Sì al prossimo referendum, sarà facile e veloce da attuare. Ora non basta più
farci vivere di stenti e con l’ansia
perenne. Nemmeno la pietà è più
contemplata da questi signori. Evidentemente la P2 non la prevede.
PAOLO SANNA
Il Papa ha esagerato,
nessuna guerra al matrimonio
Nell’agosto del 2014, Papa Francesco affermò: “Siamo di fronte a un
nuovo conflitto globale, ma a pez-
A DOMANDA RISPONDO
Inviate le vostre lettere (massimo 1.200 caratteri) a: il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n° 42 - [email protected]
Riformare la Costituzione
non è roba da amministratori
Il sindaco (l’ex sindaco) in fondo è
un amministratore. Non si può lasciare a un amministratore (poco
più che amministratore di condominio) la riforma della Costituzione Per questa ci vogliono storici, costituzionalisti, filosofi del
linguaggio e il fior fiore delle intelligenze. Per essere “democratici” a ogni costo non possiamo negare scienze e competenze. La democrazia altrimenti diventa, come pensava Heidegger, “una mezza cosa”.
FURIO COLOMBO
È confermato: ci sarà
un Museo del Fascismo
CARO FURIO COLOMBO, ho sentito e letto molte notizie
su un Museo del Fascismo a Predappio. Non esiste un
museo dello schiavismo in America, se non come ricordo e rappresentazione di un orrore. Infatti nessuna
città del Sud schiavista degli Stati Uniti ha mai progettato o voluto un museo sulla condizione dei neri durante
il periodo della schiavitù vista come un normale evento
del Paese. Qualunque governo federale, repubblicano o
democratico, l’avrebbe vietato.
IVANA
LA CITAZIONE DELL'AMERICA mi serve per dire che il
problema dei rapporti razziali è ancora rovente in quel
Paese, come dimostrano i frequenti omicidi di giovani
neri non armati da parte delle varie polizie americane,
in tanti Stati di quella Federazione. Però ogni discorso o
celebrazione, anche indiretta e presentata come “tradizione” del sud statunitense nel periodo che precede la
guerra di Secessione, è vigorosamente impedito in ogni
aspetto, occasione o circostanza della vita pubblica. Il
museo del fascismo di cui si sta parlando (anche come
attrazione turistica) nella zona di Predappio (luogo di
nascita di Benito Mussolini) non può che essere immaginato come libero da valutazioni e giudizi storici,
privo di riferimenti alle leggi razziali e alla Shoah, immune dalle stragi italiane nelle varie zone occupate (si
diceva “conquistate”) in Africa, e definite prima “colonie” poi “impero”. E senza alcun ricordo di Gramsci,
Gobetti, Matteotti, dei fratelli Rosselli, della guerra ac-
zetti. Nel mondo c’è un livello di
crudeltà spaventosa, la tortura è diventata ordinaria. Un aggressore
‘ingiusto’ deve essere fermato, ma
senza bombardare o fare la guerra”. Espressioni giustissime. Oggi
Jorge Bergoglio usa gli stessi termini riguardo al calo dei matrimoni: “Oggi c’è una guerra mondiale
per distruggere il matrimonio”. Parole esagerate.
Il grande nemico che avrebbe dichiarato guerra al matrimonio, sarebbe la fantomatica teoria del
“gender”. Esistono gli studi di genere (gender studies) che sostengono che fino ad oggi la società si è
strutturata sulla prevalenza di un
genere su un altro. Il maschilismo,
attraverso il patriarcato, ha imposto per millenni il controllo sociale
su donne e infanzia, reprimendo le
diversità e segnatamente l’omosessualità. Ammesso che esista la teoria del “gender”, in che modo indurrebbe due persone che si amano a non sposarsi? Perché i suoi
presunti sostenitori dovrebbero
fare guerra al matrimonio? Fanta-
canto ai nazisti, distruzione completa del Paese e causa
di milioni di morti. Dunque, pagando al Comune (attualmente governato da un sindaco Pd) la modica cifra
di un biglietto, si troveranno riproduzioni accurate e
angoli di museo delle cere con aspetti e volti del fascismo, che sarebbe come narrare la Lega secessionista
con brava gente intorno a un focolare, che discute di
autonomia dei popoli invece di chiamare pubblicamente “scimmia” una ministra nera della Repubblica. Forse qualcuno pensa che un fascismo neutralizzato e riportato a radici familiari (la mamma maestra, il babbo
fabbro, il fratello buono) creerà ricordi benevoli per una parte della vita italiana finora tagliata via come se il
fascismo non vi fosse mai stato. Ma c'è stato, ha perseguitato, ucciso, distrutto e non può diventare un presepe. Impossibile non ricordare che l'Italia ha musei
della Shoah dedicati agli ebrei come minoranza ingiustamente discriminata, non come cittadini italiani cercati, arrestati e deportati da cittadini italiani nel mezzo
di un periodo storico che ha negato e devastato tutte le
istituzioni, una indegnità favorita anche dalla casa
reale di quel tempo. Il fascismo ha umiliato e offeso tutti
gli italiani e tutti gli italiani devono esigere che non vi
sia un museo (fatalmente celebrativo) del fascismo, a
Predappio o dovunque.
ANTONIO QUERO
Bravi gli ungheresi
a boicottare il referendum
Orban nel 1956 (al contrario di Napolitano) non era ancora nato! Ciò
nonostante il metodo di governare
è lo stesso di quelli di allora. Referendum non valido ma avanti lo
stesso con la sua linea politica. Ungheresi da ammirare, e non me lo
sarei aspettato, per aver usato la sola arma a disposizione. Il boicottaggio de referendum.
RICCARDO TACCA
Furio Colombo - il Fatto Quotidiano
00193 Roma, via Valadier n° 42
[email protected]
sie. Credo che questa volta i fan del
Papa saranno più cauti. Che cosa
scriveranno in proposito Eugenio
Scalfari o il prete e scrittore Mauro
Leonardi (Huffington Post)?
Staranno zitti, invece, coloro che
non perdono occasione per dargli
addosso e per accusarlo di lassismo.
RENATO PIERRI
Un No anche contro
il dominus Giorgio Napolitano
L’ultima affermazione pubblica
dell'emerito presidente Giorgio
Napolitano alla scuola di formazione politica del Pd per sostenere il
Sì, è l’ennesima dimostrazione di
come egli sia il dominus del governo Renzi. L’ispiratore e il regista
dell'intera operazione governativa
e parlamentare di modifica di ben
47 articoli della Carta costituzionale. L’ex capo dello Stato, ha approfittato del clima politico favorevole e di un Parlamento ridotto come non mai a “uno straccio”, per
tentare di realizzare un piano voluto da troppo tempo da altri. Que-
ste mi sembrano delle buone ragioni per votare No il 4 dicembre!
ENRICO SPINELLI
Grillo con Pizzarotti,
come B. ai tempi di Publitalia
Beppe Grillo è stato gelido sull’addio del sindaco di Parma, che ha
trattato da dipendente dello studio
Casaleggio e soci e non come amministratore di una città importante del Paese, che ha contribuito ad
aumentare la credibilità del M5S.
Un atteggiamento, che ha ricordato Silvio Berlusconi, agli inizi di
Forza Italia, nei primi anni 90,
quando selezionò i dirigenti e i candidati azzurri al Parlamento tra i
dipendenti di Publitalia, l’azienda
diretta da Marcello Dell’Utri. Poi il
Cav come di recente gli ha riconosciuto Massimo D’Alema, è diventato un leader della politica italiana, con tutti i difetti e le qualità. Ha
capito che la politica è un’attività
diversa dalla conduzione di un’azienda. L’auspicio è che presto lo
comprenda anche Grillo.
PIETRO MANCINI
Scalfari contro Zagrebelsky,
ormai parla come Berlusconi
Nonostante i suoi 93 anni, nonostante la sua saggezza e la sua sapienza di economista, storico, letterato e scrittore, Eugenio Scalfari
si è lasciato influenzare dal linguaggio politico-calcistico del suo
amico/nemico Silvio Berlusconi.
Domenica 2 ottobre, ha scritto che
Matteo Renzi ha battuto Gustavo
Zagrebelsky 2 a 0. In molti ricordano che cosa disse Berlusconi, durante la campagna elettorale del
1994. A proposito di Luigi Spaventa, suo avversario nel collegio di
Roma 1. Cito a memoria: “Io ho vinto cinque coppe dei campioni, Spaventa che cosa ha fatto?”. Ecco,
Berlusconi aveva vinto cinque coppe dei campioni, Spaventa nemmeno mezza. Così, domenica, secondo Scalfari, Renzi ha battuto Zagrebelsky 2 a 0. Inoltre, Scalfari è
arrivato a scrivere che il suo amico
Gustavo forse non sa bene che cosa
significhi “oligarchia”, e nemmeno
“come si è manifestata nel passato
prossimo e anche in quello remoto”. Poi ha fornito le necessarie
spiegazioni ai suoi “venticinque
lettori”, venticinque come i lettori
di Alessandro Manzoni (paragone
che testimonia la modestia del fondatore del quotidiano Repubblica).
Scalfari negli ultimi tempi sembra
aver perso l’autocontrollo e il senso
della misura.
DANIELE COSTANTINI
PROGRAMMITV
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01:05
01:35
Tg1
Storie Vere
Tempo & Denaro
La prova del cuoco
Tg1
La vita in diretta
Torto o ragione?
Il verdetto finale
Tg1
Tg1 Economia
La vita in diretta
L'Eredità
Tg1
Calcio: Qualificazioni
Mondiali 2018
Italia-Spagna
Tg1 60 Secondi
Petrolio
Tg1 NOTTE
Sottovoce
FILM Il venditore
di palloncini
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TELEFILM Senza Traccia
Tg2 Insieme
I Fatti Vostri
Tg2 GIORNO
Detto Fatto
TELEFILM The Good
Wife
TELEFILM Madam Secretary
Tg2
Tg Sport
TELEFILM Blue Bloods
TELEFILM N.C.I.S.
Tg2 20.30
TELEFILM Criminal Minds
TELEFILM American Gothic
Numero 1
La lancia del destino
-Il potere e l'amore
TELEFILM Hawaii Five-0
08:00
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Agorà
Mi manda Raitre
Elisir
Tg3
Chi l'ha visto?
Quante storie
Il tempo e la Storia
Tg3
Per sempre Assoluta
Aspettando Geo
Geo
Tg3
Blob
Gazebo Social News
Prova pulsante... Quasi
Quasi Rischiatutto
Un posto al sole
Per il ciclo Il mio nome
è Bond - 007 La morte
può attendere
Tg3 Linea notte
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11:30 Tg4
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14:00 Lo Sportello di Forum
15:30 Flikken - Coppia In Giallo
16:50 Dimmi la Verità
18:55 Tg4
19:36 Dentro La Notizia
19:55 Tempesta d'amore 10
20:30 Dalla Vostra Parte
21:15 FILM Un'ottima annata
- A Good Year
23:45 I Bellissimi di R4 - Fair
Game - Caccia alla spia
02:05 Tg4 - Night News
02:26 Media Shopping
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Forum
Tg5
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Uomini e Donne
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Il Segreto
Pomeriggio Cinque
Caduta Libera
Tg5
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Il Segreto
L'intervista
Tg5
Striscia La Notizia
Uomini e Donne
Tg5
Centovetrine
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Person of Interest
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Grande Fratello Vip
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Due Uomini e 1/2
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Grande Fratello Vip
Studio Aperto
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Colorado
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Studio Aperto
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Otto e mezzo
L'aria che tira
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04:40 Big Game
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18:00 Veep - Vicepresidente
incompetente
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19:25 Show me a Hero
20:25 Mad Men
23:05 The Newsroom
01:10 House of Cards
PIAZZA GRANDE
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
GIUSTAMENTE
I VERI MANDANTI
DELLA “RIFORMA”
T
ra due mesi esatti saremo chiamati a votare il
referendum costituzionale, che alla fine –
ma proprio alla fine –
Matteo Renzi ha deciso di fissare
per il 4 dicembre, giusto per avere
il tempo di occupare ancor più militarmente televisioni e giornali e
di provare a recuperare qualche
voto, magari ricorrendo alla solita
mancia elettorale. In tanti, tra cui i
più autorevoli costituzionalisti,
hanno in questi mesi ampiamente
e puntualmente esposto le ragioni
del No, hanno denunciato i rischi e
le criticità di un pastrocchio pensato male e scritto anche peggio,
hanno insomma spiegato perché è
necessario rispedire al mittente la
controriforma Renzi-Boschi-Napolitano.
DIFFICILE aggiungere altro, per
quanto attiene al merito della riforma. C’è però un ulteriore aspetto
che va spiegato agli elettori, ed è
quello dei mandanti di
questo delitto. Perché
Renzi è solo l’esecutore
materiale, assoldato
per abbattere la Costituzione democratica
nata dalla Resistenza,
figlia della lotta di Liberazione, ma i mandanti
sono altri.
Vanno ricercati in
quei gruppi di potere e
in quelle lobby più o
meno occulte, tanto
quelle legali quanto
quelle illecite, che sempre hanno condizionato e tuttora condizionano la storia del nostro
Paese affinché non diventi una vera demo-
C
aro ministro Delrio,
un anno fa diceva: “A
proposito di grandi
opere sospese sugli
stretti, ho sempre sostenuto che abbiamo altre priorità”. Poi il premier rilancia il
Ponte e lei è co-Stretto al dietrofront: “Non ho cambiato idea.
Sulle altre priorità abbiamo fatto
molto. Il Ponte non è una cattedrale nel deserto. Pronti a mettere soldi pubblici”.
E, per evitare accuse d’incoerenza, qualcuno si premura di citare in Wikiquote solo le ultime
dichiarazioni. Mal gliene incolse, perché lunedì Renzi #cambiaverso: “Il progetto del Ponte è
interessante ma non è una priorità”, e lei – per non restare col
cerino in mano –rifà dietrofront:
“Il dibattito sul ponte non mi inter essa”, scrive su Facebook,
“Non lo considero una priorità e
non lo sento come un problema.
(…) Considero una cavolata enorme pensare che le grandi opere siano lo sviluppo del Paese:
sono strumenti e non fini”. Non è
che sposandosi disse: “Non voglio figli”? (Ora ne ha nove).
NEL SUO CASO però è inutile at-
taccarsi alle parole. Quelle vanno
e vengono, mentre lei è uomo di
fatti: ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti al posto del dimissionario Lupi, che di parole a
Incalza ne disse un po’ troppe.
Ma è un altro il Lupi che qui m’in-
» ANTONIO INGROIA
A proposito
di una madre
che chiede giustizia
tiva voluta dai Padri costituenti.
Per sostituirla con una Repubblica
verticale, dove comandano in pochi e i cittadini vengono ridotti a
sudditi da governare.
IN NOME della parola d’or dine
crazia, quelle lobby che ben conosco perché le ho indagate nei miei
anni di pm a Palermo.
La posta in gioco è la realizzazione definitiva di un piano che viene
da lontano, dagli anni bui in cui Licio Gelli muoveva attraverso la P2
i fili del Paese, che manovrava per
realizzare il progetto eversivo tra-
sfuso nel Piano di rinascita democratica. Perché la riforma Renzi-Boschi è figlia di quel Piano, e di
quei progetti ad esso ispirati che si
sono affacciati alla ribalta in quarant’anni di assedio alla Costituzione. L’obiettivo è sempre lo stesso, cui hanno lavorato non solo
Gelli ma anche Craxi, Cossiga, Berlusconi e da ultimo Napolitano. L’obiettivo è
quello della definitiva
de cos tit uzi ona liz zazione e deparlamentarizzazione: sbarazzarsi della Costituzione
per cancellare la nostra
democrazia parlamentare (purtroppo spesso
preda delle oligarchie,
di cui parla Eugenio
Scalfari nel suo fondo
di domenica su Repubblica, solo perché la Costituzione non è stata
mai veramente attuata), e scongiurare il pericolo che possa mai attuarsi la democrazia orizzontale e partecipa-
DELRIO, PERCHÉ
QUELL’INCARICO
A WALTER LUPI?
» LUISELLA COSTAMAGNA
teressa: l’ing. Walter, funzionario del ministero, ex provveditore alle Opere Pubbliche di Liguria e Lombardia ed ex commissario per il Terzo Valico, che nel-
scutibili, Lupi fu coinvolto anni
fa nell’inchiesta su un villino affacciato sul Mar Ligure, proprietà del demanio e sede del Corpo
Forestale, che fu ristrutturato a
spese dello Stato
e trasformato in
parte in sua abitaIL FUNZIONARIO
zione con tanto di
Condannato e prescritto
idromassaggio.
Accusato di aper abuso d’ufficio
buso d’ufficio e
occupazione ae occupazione abusiva, lo
busiva, è stato
condannato in
ha rinominato nonostante
primo grado a un
il parere contrario dell’Anac anno, ma poi è arrivata la prescrizione (e la conle intercettazioni sugli appalti E- danna della Corte dei conti a rixpo veniva definito “Un uomo di sarcire 133 mila euro per danno
Gigi… come un suo impiegato” erariale).
(Gigi è l’ex sen. Pdl Luigi Grillo,
Conclusa la vicenda giudiziache poi ha patteggiato 2 anni e 8 ria, ad agosto 2015 entra in cammesi per associazione a delin- po lei: “Restituiremo alla gente il
quere finalizzata alla corruzione villino di Mulinetti”, promette a
e turbativa d’asta ed è indagato in Il Secolo XIX. Ma, come dicevaun’altra vicenda su mafia e ap- mo, un conto sono le parole un
palti). Al di là delle amicizie di- conto i fatti, e il villino, pur pas-
» 11
“stabilità”, si vuole ancora una volta consegnare il bastone del comando a un solo uomo al potere,
più facilmente manovrabile. Riecco dunque il sogno di Gelli e di quei
centri di potere – mafia, massoneria, grande finanza internazionale
– sempre insofferenti verso le Costituzioni democratiche antifasciste adottate dopo la Seconda guerra mondiale: la definitiva legittimazione costituzionale della Repubblica verticale, autoritaria, intollerante, sfrenatamente capitalista e neoliberista, diseguale, cinica
e guerrafondaia, a scapito della Democrazia orizzontale.
Renzi sta realizzando questo sogno, sta attuando il progetto autoritario di ribaltamento dei poteri
repubblicani. È un furto di democrazia che va sventato attraverso il
più democratico degli strumenti,
votando No. È tempo non solo di
resistenza costituzionale, ma anche di riscossa costituzionale: uscire dal fortino assediato per restituire orizzontalità alla nostra
democrazia, per fermare quel processo verticistico in cui le assemblee rappresentative contano sempre di meno e le oligarchie tecnocratiche sempre di più.
Ecco perché mi piace l’idea di una Woodstock del No lanciata da
Padellaro e Travaglio. Anche per
spiegare ai cittadini che rischi corriamo. Bisogna esserci e schierarsi.
Dalla parte della Costituzione,
sempre.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
» BRUNO TINTI
V
era Di Stefano, madre di Giordana, ammazzata da un ex fidanzato, Luca Priolo, racconta
il suo dolore a Selvaggia Lucarelli (il
Fatto Quotidiano, 5 ottobre). Dice: voglio “che non gli concedano sconti. In questo Paese se ti danno 30 anni
puoi finire per farne
12. Voglio una pena esemplare.” Non ha ragione e non ha torto.
Ho scritto molte volte
sulle pene “finte”. Fino a 3
anni in prigione non ci si va; pene di 4
o 5 anni significano pochi mesi; ogni
altra pena viene scontata per meno
della metà.
Questo sistema indigna le vittime e la
maggioranza dei cittadini: non lo capiscono. Eppure è un sistema giusto; il
problema sta nel fatto che è utilizzato
per ragioni sbagliate.
La Costituzione (art. 27) prevede: “Le
pene devono tendere alla rieducazione
del condannato”. Il che è ovvio: meglio
un cittadino rieducato e utile alla società
che una belva rinchiusa in una gabbia
che, per di più, costa un sacco di soldi.
Alle conseguenze di questo principio,
però, pensano in pochi: se la funzione
della pena è quella di rieducare il criminale, è ovvio che la prigione non può essere vista né come misura preventiva
(finché sta in galera non commette altri
reati) né come castigo; men che meno
come vendetta per conto della vittima.
Ne consegue che le leggi devono prevedere pene che, tenuto conto della gravità del reato commesso, consentano un
ragionevole periodo di tempo durante il
quale la rieducazione possa svolgersi; e
che lo Stato possa rinunciare alla eventuale residua sanzione quando essa sia
compiuta. Sotto questo profilo, la riduzione delle pene originariamente inflitte è un segnale positivo di buon funzionamento del sistema.
QUI SULLA TERRA i sistemi “virtuosi”
sando al Comune di Recco, a dicembre è ancora “occupato” da
Lupi, che non vuole andarsene e
lamenta: “Non mi è più stato dato
alcun incarico” al ministero.
Detto fatto, l’11 marzo 2016,
lei formula la proposta per un
“incarico dirigenziale di livello
generale di consulenza, studio e
ricerca, nell’ambito del Consiglio Superiore dei Lavori pubblici” (conferito per decreto a
maggio) e, tu guarda, 10 giorni
dopo, Lupi dice basta alle battaglie legali: resterà come inquilino del comune, con tanto di affitto da pagare.
PIÙ DELLE SUPPOSIZIONI, sia pu-
re suggestive, a noi come a lei, caro Delrio, piacciono i fatti: a gennaio lei chiese all’Anac (anticorruzione) un parere su Lupi e la
risposta fu inequivocabile: “Permangono le ragioni di opportunità e cautela che sconsigliano il
conferimento di incarichi a coloro che siano stati raggiunti da
precedenti condanne venute
meno per intervenuta prescrizione”.
Perché gliel’ha dato lo stesso?
E quanto guadagna per l’incarico
che l’Anac “sconsigliava”? Giusto dare un ruolo e denaro pubblico a chi ha trasformato un bene di tutti in casa al mare?
In questo caso rispondere non
è solo cortesia, è necessario.
Un cordiale saluto.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
funzionano raramente e quello dell’esecuzione penale meno degli altri. Le risorse disponibili per la sorveglianza e la
rieducazione dei condannati sono sempre insufficienti; inoltre l’inadeguatezza delle strutture e l’insufficienza del loro numero (le carceri esistenti sono meno della metà di quelle necessarie) rende difficile la gestione dei detenuti. Tutto ciò ha portato a una sorta di accordo
(inespresso) tra lo Stato e i criminali:
non fate casino e sarete liberati dopo aver scontato la metà della pena; sicché la
rieducazione è stata di fatto sostituita
dalla liberazione automatica trascorso
un certo periodo di tempo.
Gli Amministratori del sistema (i politici; i magistrati applicano le leggi, per
demenziali che siano) hanno poi constatato che in questo modo si otteneva anche un’altra utilità: non era necessario
costruire carceri.
Una volta abituata l’opinione pubblica alle pene finte e alle scarcerazioni accelerate, la necessità di diminuire la popolazione carceraria “sottoposta ad indicibili torture”non è stata percepita come una mistificazione; e il suggerimento di costruire nuove carceri è respinto
con l’abusato termine di giustizialismo.
A tutto questo si è aggiunta la campagna
a favore dell’ennesimo provvedimento
di amnistia e indulto che la politica non
guarda con disfavore: anche se pregiudica la repressione istituzionale della
criminalità, è comunque un modo di
svuotare le carceri.
Sicché Vera Di Stefano avrebbe certamente torto se abitasse in un Paese dove la giustizia fosse amministrata secondo i principi dell’articolo 27 della Costituzione. Ma poiché vive qui – in Italia –
ha assolutamente ragione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
12 » ESTERI
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
PORTOGALLO GUTERRES CONQUISTA L’ONU
Il successore di Ban Ki-moon all’Onu potrebbe essere l’ex premier portoghese. “Abbiamo un favorito
che è emerso chiaramente per il ruolo di prossimo
segretario generale, ed è Antonio Guterres”, ha annunciato l’ambasciatore russo al Palazzo di Vetro,
Vitaly Churkin, presidente di turno dei Quindici.
Churkin ha annunciato che il Consiglio di Sicurezza
si riunirà alle 10 (ora di New York). Ansa
FRANCIA/BELGIO RETE TERRORISTICA UNICA
Una rete ben organizzata dietro gli attacchi di Parigi
del 13 novembre e quelli del 22 marzo a Bruxelles. Lo
riporta il quotidiano Le Mondesottolineando i dati di
un computer sequestrato alla fine di marzo, dopo gli
attentati di Bruxelles, in un bidone dell’immondizia
vicino a uno dei nascondigli dei jihadisti, a Schaerbeek: testamenti, liste di bersagli. I terroristi si erano
premurati di crittografare tutti i dati.
KHMER ROSSI Il leader fu salvato dagli interessi delle potenze
» ROBERTA ZUNINI
L
a settimana scorsa a
New York, durante un
incontro a porte chiuse con un gruppo di siriani espatriati, il Segretario
di Stato americano John Kerry, inconsapevole di essere registrato, aveva espresso la
propria frustrazione di fronte
alle violazioni del diritto internazionale da parte del presidente siriano Bashar Al Assad che, appoggiato da Putin,
continua a bombardare scuole e ospedali. Nella registrazione pubblicata dal New
York Times si evince che Kerry ha lasciato la platea, già demoralizzata, del tutto sgomenta quando ha aggiunto
che di fatto “l’unico modo per
evitare che Assad resti al potere sia tenere elezioni che lo
annoverino tra i candidati”. I
suoi interlocutori hanno ribadito che, stando così le cose,
“nessuno può garantire loro
che saranno elezioni libere” e
Assad potrebbe dunque venire rieletto.
C’è stato un tempo, quarant'anni fa, nell’at tu al e
Cambogia, in cui erano gli Usa, assieme alla Cina, a sostenere un presidente e un premier, Pol Pot, legittimi, che
però tutti sapevano aver commesso l’unico genocidio all'interno della stessa etnia.
Anche se Assad potrebbe passare presto alla storia come
colui che ne ha commesso un
secondo. L’allora incapacità
dell’Onu di fermare i Khmer
rossi, e l’appoggio di una su-
Pol Pot aveva un seggio
all’Onu: come Assad
Contro il proprio popolo Pol Pot dominò la Cambogia tra il 1976 e il ‘79. Assad è al potere dal 2000 Ansa
Nuova Cambogia?
Il genocidio di 40 anni
fa e i massacri del
dittatore di Damasco
“difeso” dai russi
perpotenza, anzi due, a un regime genocida in chiave antisovietica (l’Urss appoggiava i
vietnamiti che poi invasero la
Cambogia) si sta ripetendo
oggi a parti invertite. Nel
1979, quando il Vietnam attaccò la Cambogia e rovesciò
il regime di Pol Pot, i khmer
rouge erano ormai annichiliti. Proprio come lo era Assad
fino a un anno fa, quando l'aviazione russa intervenne per
aiutarlo ufficialmente a distruggere i tagliagole dell’Isis, in realtà per fare piazza
pulita di tutti i gruppi ribelli,
anche moderati.
FU PROPRIO IL “FRATELLO numero 1” a confidare in seguito
a un suo uomo che “nel 1979
eravamo sul letto di morte”.
Ma Usa, Cina insieme ai Paesi
antisovietici dell’area lo salvarono e il genocida si rifugiò
nella giungla da dove continuò
a destabilizzare il paese e dove
visse il resto della sua lunga vita senza finire davanti ad alcun
tribunale internazionale. In
un articolo per il Corriere della
Sera datato 20 giugno 1992, Tiziano Terzani scriveva: “...siccome i khmer rossi lottavano
contro il Vietnam, appoggiato
dall’Urss, i loro crimini vennero come amnistiati. Così mantennero il loro seggio all’Onu e
oltre a Usa e Cina, vari Paesi
occidentali diedero loro, direttamente o indirettamente
ingenti aiuti. Una vergogna!
Ma così va il mondo”.
Già, così va il mondo e ben
poco è cambiato. Se volessimo
fare una trasposizione, con
tutte le differenze storiche e
geopolitiche del caso, bisogna
però constatare che in Siria ci
sono due dittatori nemici che
si stanno avvicinando alla
sconvolgente ferocia di Pol
Pot: Assad e il capo dello Stato
Islamico, il califfo Al Baghdadi, seppur si trovi nel confinante Iraq.
Oggi la situazione è dunque
ancora più complicata, perché
non si può certo comparare l’Isis con il Vietnam che davvero
impedì a Pol Pot di portare a
termine il genocidio contro il
proprio popolo. Appare tuttavia evidente che questa è la
prova provata che l’Onu, dove
il regime siriano conserva il
proprio seggio, è un macabro
teatro dell’assurdo che il veto
russo rende ancor più grottesco. Per vedere come la vicenda di Assad e la guerra civile
finirà bisognerà aspettare ancora a lungo. Nel frattempo,
come scrisse Terzani a proposito della “follia” cambogiana
usata per spiegare le mostruosità di cui sono state vittime i
suoi abitanti: “Niente è più falso di questa facile spiegazione.
Da decenni la Cambogia è vittima di interessi altrui...”. Si
può dire lo stesso per la Siria.
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Double face Salvano vite e testimoniano atrocità ma per alcuni sono vicini ad al Qaeda
SIRIA
L’ambiguo fascino dei “caschi bianchi”
» PIERFRANCESCO CURZI
In alcune
zone
controllate
dai
jihadisti
è normale
che ci siano
contatti
con i
volontari
della difesa
civile
L
i abbiamo visti salvare vite umane, strappare bambini
dalle macerie dei palazzi di Aleppo, sfidare le fiamme provocate dalle bombe al fosforo
sganciate dagli aerei di Assad e
Putin. Sono i White helmets, i
“caschi bianchi” della difesa civile siriana, che molti avrebbero visto bene come meritevoli
dell'assegnazione del Premio
Nobel per la Pace 2016. In questi
anni, soprattutto negli ultimi
tre mesi, hanno subìto tante
perdite.
Ma c’è una diversa versione
dei fatti: il gruppo non sarebbe
solo una formazione di volontari ma una costola delle milizie in
opposizione al regime di Assad,
Jabhat al-Nusra su tutti, la falange siriana di al Qaeda (da poco rinominata Fateh al-Sham).
Mosca ha apertamente accusato gli Stati Uniti, e non solo loro, di finanziare i gruppi ribelli,
gli stessi, ad esempio, che non
hanno aderito all'avvio della
tregua nel settembre scorso. La
speculazione attorno ai caschi
bianchi è complessa: potrebbero co-esistere due o forse più
corpi differenti che utilizzano
gli stessi nomi e livree, pur appartenendo ad estrazioni diverse: volontari puri, ex muratori, fornai, dottori ecc., oppure
soccorritori e all'occorrenza
soldati.
TUTTO RUOTA attorno ai finan-
ziamenti. I caschi bianchi di Aleppo, ad esempio, da mesi lamentano il mancato pagamento
dello stipendio, al punto da attivare una serie di proteste nei
confronti del governo ad interim in opposizione a Damasco:
“In alcune zone controllate da
Fateh al-Sham, vedi Idlib - afferma un giornalista siriano che
preferisce restare anonimo - è
normale che ci siano dei contatti
e delle collaborazioni con i volontari della difesa civile. Si parla di salvare vite umane in città.
In prima linea Un volontario
dei caschi bianchi ad Aleppo Ansa
Chi li finanzia sono proprio le
ong e qui nascono i problemi con
gli ex al-Nusra. Tanti cercano di
distorcere i fondi per proprio
conto, il marchio resta, le finalità pure, cambiano soltanto i
‘datori di lavoro’. Chi dice che i
caschi bianchi sono volontari
travestiti da miliziani dice una
cosa non completamente cor-
retta, ma con una parte di verità”. Cresce il sospetto che in Siria siano in parecchi a rispondere alle necessità e agli interessi
degli schieramenti in campo. Ognuno sta cercando di tirare per
la giacca i colleghi di Khaled Omar, il casco bianco, morto in un
raid aereo il 12 agosto ad Aleppo,
divenuto celebre per una foto
che nel 2014 aveva strappato un
neonato dalle macerie.
Secondo il regime di Damasco, a introdurre il corpo di difesa civile in Siria, diversi anni
fa, è stato un contractor inglese,
supportato dai miliardi di un
tycoon siro-britannico. La presenza dei caschi bianchi dunque, risponderebbe a interessi
internazionali e metterebbe in
forte dubbio l'indipendenza e la
neutralità dei White helmets. Sta
di fatto che dall’inizio della
guerra civile, i soccorritori hanno perso 300 uomini durante interventi di salvataggio e sotto i
bombardamenti.
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IL CASO
Il monsignore
di Aleppo
testimone
di mezze verità
» ANDREA VALDAMBRINI
“A
d Aleppo ovest, conviviamo
costantemente con la morte. Solo
nell’ultima
settimana
sono state
uccise 75
persone,
ferite più
di 100”. Dice di voler
parlare della vita quotidiana della “sua”
città l’arcivescovo maronita di Aleppo Joseph
Tobji. Dice di voler raccontare “l’altra metà della
sotria”: quella che i media
occidentali, concentrati
sui crimini del regime di
Assad, o i bombardamenti
con i russi per riconquistare la parte est di Aleppo, di solito preferiscono
omettere.
Il religioso viene da un
intenso tour europeo iniziato a fine settembre e
culminato a Roma. Ieri è
stato ospite d’onore di una conferenza stampa
sulla crisi siriana presso
la Camera dei deputati,
invitato dal portavoce
M5S, Manlio Di Stefano.
Ha denunciato l’operato
dei “terroristi” - coloro
che più comunemente i
media definiscono “r ibelli moderati” anti-Assad - ha invocato la pace
per i siriani che devono
subire sulla loro pelle
questa “terza guerra
mondiale”.
“Parlo da uomo di
Chiesa, non da politico”.
La distinzione, però sembra qualche volta artificiosa. Da una parte c’è il
racconto in prima persona: “I terroristi hanno tagliato l’elettricità, bloccato i rifornimenti d’acqua. Ogni anno piombano sulla parte ovest della
città, dove vivono la maggior parte degli abitanti
di Aleppo, e la assediano
per giorni, settimane”.
Ma di quali “terroristi”
stiamo parlando? “Non
credo che ci siano ribelli,
né tantomeno ribelli moderati. Queste persone
sparano, sgozzano. Uno
di loro ha mangiato il cuore di un soldato siriano”.
Però ci sono anche le
denunce di crimini contro il regime di Damasco.
“Non so di cosa parla”, Gli
si chiede allora delle foto
di Caesar, in questi giorni
in mostra a Roma, che documentano le torture
nelle carceri di Assad.
“Non ne sono al corrente,
non posso rispondere”.
Sorride e se ne va.
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ESTERI
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
BELGIO EX MILITARE ACCOLTELLA 2 AGENTI
Hicham D., 43 anni, ieri ha accoltellato due poliziotti a Bruxelles, la Procura ritiene si sia trattato di
un atto di terrorismo. Il soggetto era conosciuto per
i suoi precedenti penali e per aver avuto contatti
con persone partite per combattere in Siria in nome
del jihad, secondo le notizie recuperate dall’emittente Rtbf. Hicham è stato un militare fino al 2009.
Ieri due falsi allarmi-bomba nella Capitale. LaPresse
NOBEL L’IMPRESA DELLA NANOMACCHINA
Il Nobel per la Chimica è stato assegnato a
Jean-Pierre Sauvage, Sir J. Fraser Stoddart e Bernard L. Feringa per la costruzione della più piccola
macchina molecolare, capace di riprodurre movimenti che le cellule compiono in condizioni naturali, come le contrazioni muscolari. Le ricerche dei
tre premiati hanno aperto la strada alla possibilità
di realizzare dispositivi sempre più minuti. Reuters
Perfida Albione: “Schedati”
i lavoratori non-britannici
Brexit docet: le aziende dovranno pubblicare annunci rivolti
agli inglesi per 28 giorni prima di guardare al mercato internazionale
a che fare con un idraulico
britannico sa perché i polacchi e gli italiani vanno a ruba
in Gran Bretagna. E la lista
delle competenze straniere
che sono arrivate per coprire
le carenze locali sarebbe
lunghissima.
» CATERINA SOFFICI
I
Londra
l governo di Theresa
May vira decisamente a
destra e annuncia, per
bocca della ministra degli Interni Amber Rudd, che
le imprese saranno costrette
a rivelare il numero dei dipendenti stranieri alle autorità, perché da ora in poi la
priorità dei posti di lavoro
dovrà andare ai cittadini britannici. Stretta anche sugli
studenti internazionali, per
cui verranno emessi visti di
ingresso più duri, in modo
da disincentivare gli arrivi.
L’annuncio è stato dato al
Congresso del partito conservatore che si sta tenendo
in questa settimana a Birmingham. “Ma non chiamatemi razzista”, ha precisato
la ministra, anche se è difficile definire in altro modo
un rappresentante di governo che si appresta a stilare liste di proscrizione di lavoratori in base alla provenienza
geografica.
LA STERZATA sui lavoratori
stranieri ha lo scopo di disincentivare gli arrivi e di limitare il numero di ingressi nel
Regno Unito, che l’a nno
scorso hanno raggiunto la cifra record di 327 mila unità,
rispetto ai 100 mila immigrati che il partito Tory considera il tetto massimo accettabile. Le frontiere quindi si stanno già chiudendo,
ancora prima dell’hard Bre-
STATI UNITI
MA IL DISCORSO è ancora
May Day Europa La premier Theresa May svolta a destra LaPresse
Saluti da Londra
La ministra Rudd
chiede gli elenchi dei
dipendenti: “Ma non
chiamatemi razzista”
xit che Theresa May ha promesso agli euroscettici. Un
brutto segnale che ha fatto
crollare la sterlina al minimo
storico contro il dollaro.
Finora il governo ha cercato di rassicurare i partner
europei e i cittadini stranieri
residenti in Gran Bretagna
dicendo che “niente cambierà”. I lavoratori in Gran
» 13
Bretagna sono quasi 32 milioni e di questi gli stranieri
(sia europei che extracomunitari) sono 5,2 milioni e il
tasso di disoccupazione è il
più basso dell’Ue ma questo
pare non basti, ai falchi conservatori. Hard Brexit, la linea dura impressa dai Tory a
Birmingham, significherà
che le aziende dovranno
pubblicare annunci di richiesta di personale in Gran
Bretagna per 28 giorni, prima di potersi rivolgere all’estero.
Una regola del genere esiste già, ma nessuno l’ha mai
rispettata. Anche perché
nessuno vorrebbe un aiuto
cuoco inglese e chi ha avuto
più complesso. La ministra
ha detto che le aziende aggirano la regola e preferiscono
assumere personale immigrato già competente piuttosto che spendere tempo e
soldi per la formazione dei
lavoratori britannici. “Il test
cui saranno sottoposte le aziende dovrebbe assicurare
che i lavoratori che arrivano
per riempire dei vuoti nel
mercato del lavoro, non
prendano il lavoro che può
essere svolto dai britannici”,
ha chiarito la Rudd.
Il direttore della Camera
di Commercio Britannica Adam Marshall ha già bollato
il piano e ha usato parole pesanti contro il governo: “Sarebbe molto triste se avere
degli dipendenti internazionali diventasse un marchio
di infamia per un azienda”.
Insomma, c’è il serio rischio che Britain First non
sia più solo il nome del piccolo partito xenofobo e razzista che scandalizzò il mondo per aver girato le spalle al
musulmano Sadiq Kahn durante il discorso di insediamento da nuovo sindaco di
Londra.
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Ukip con il vizietto italiano:
fra liti e dimissioni l’unica
alternativa è sempre Farage
Diane James ha mollato dopo 19 giorni:
“Non ho sufficiente autorità, me ne vado”
Londra
L
a politica britannica sta
diventando sempre più
simile a quella nostrana.
Non c’è Brexit che tenga:
più cercano di allontanarsi
dalla contaminazione
“me d it e rr a n ea ”, più si
comportano come noi.
La nuova puntata della
saga dell’Ukip, il partito
nazionalista e indipendentista britannico, è andata in onda ieri quando
Diane James, 56 anni, la
leader eletta appena 19
giorni fa dopo le dimissioni di Nigel Farage, ha annunciato le proprie dimissioni. Una decisione presa
per ragioni “professionali
e personali” ha scritto sul
suo profilo su Twitter: “È
chiaro che non ho sufficiente autorità, né il pieno
supporto dei colleghi per
realizzare i cambiamenti
che credo necessari e sui
quali ho fondato la mia
campagna”.
POI LE FRASI di rito: “Con-
tinuerò a impegnarmi come parlamentare europeo
eletto nelle file dell’Ukip”.
Perché questa è l’altra cosa
strepitosa dell’Ukip, il partito euroscettico per eccellenza: la maggioranza dei
suoi rappresentanti sono
parlamentari europei. E
non è un caso visto che con
l’attuale sistema maggioritario secco in patria riescono a malapena a mandare
un rappresentante a Westminster.
Sotto l’ala protettrice di
Bruxelles pascolano invece tutti gli altri, eletti in
gran numero con il sistema
proporzionale. Tra di loro
anche Nigel Farage, che si è
dimesso a giugno la vittoria della Brexit “perché voleva riappropriarsi della
propria vita” ma non ha
certo mollato il seggio di
Bruxelles.
ALLA NOTIZIA delle dimis-
sioni della James è partito
N. Farage e Diane James LaPresse
subito il toto-Farage. In
mattinata tutti lo davano
già con un piede di nuovo
sulla plancia di comando
del partito. Era già stato
leader dell’Ukip dal 2006
al 2009. Poi era tornato nel
2010.
E ancora era stato rieletto nel 2015 e si era dimesso,
ma il partito aveva respinto le sue dimissioni e quindi era rimasto al suo posto.
Anche se con Farage non si
può mai dire l’ultima parola, ieri ha categoricamente
smentito: “Non torno
neanche per dieci milioni
di dollari”.
CAT. SOF.
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Numeri 2 Nel dibattito tra i candidati ‘vice’ il repubblicano surclassa l’uomo scelto dalla Clinton
Pence, l’altra faccia (che funziona) di Trump
» GIAMPIERO GRAMAGLIA
I
l sospetto dev’essere venuto anche a Donald Trump:
che il suo vice Mike Pence,
più che giocare per lui, abbia
giocato in proprio, in chiave
2020, nel duello televisivo
con Tim Kaine, il vice tutto
casa e chiesa di Hillary Clinton. John Podesta, il presidente della campagna di Hillary, lo dice senza fronzoli:
Pence ha magari vinto, come
indicano i sondaggi, il duello
con Kaine, ma Trump ha perso perché il suo running mate
pensava a conquistarsi visibilità e credibilità a futura memoria, davanti a una platea
stimata a 50 milioni di telespettatori (non male dopo gli
84 milioni del primo confron-
to tra i due sfidanti per la Casa
Bianca). Il discorso è di parte:
Podesta prova a girare la frittata e a trasformare una sconfitta in una vittoria. Ma Pence
è stato, nei modi e nei toni, un
anti-Trump: voleva comunicare serenità e autorevolezza, apparire una persona di
buon senso, proprio l’opposto dell’aggressività impulsiva del suo capofila, di cui però
giustificava anche le tesi e i
gesti più paradossali. Kaine,
invece, doveva essere quasi
impercettibile come uomo,
per non scalfire il primato di
Hillary, una donna verso la
presidenza. L’ha aiutato il fare un po’ dimesso da professore di scuola media e l’odore
di sacrestia che gli resta addosso dai suoi trascorsi gesui-
tici. Pence lo ritroveremo sui
percorsi della Casa Bianca:
candidato 2020 alla nomination repubblicana, che
Trump non ce la faccia l’8 novembre o che ce la faccia ma
poi non regga il peso dell’età
per un secondo mandato.
Kaine è già arrivato dove non
pensava d’arrivare e non ha
l’ambizione di andare oltre:
se Hillary vince, ne sarà il vice; se Hillary perde, resterà
senatore fino al 2019. Ma la
corsa alla Casa Bianca non è
per lui.
I DUE VICE giocano a parti ro-
vesciate rispetto ai loro boss:
Kaine è aggressivo, Pence
mostra una forza tranquilla.
Gruppi d’ascolto e un sondaggio a caldo Cnn/Orc gli danno
Opposti
Tim Kaine a
sinistra, e Mike
Pence, vice di
Trump nel loro confronto
televisivo, ennesimo duello
verso la conquista della
Casa Bianca
Reuters
la vittoria, 48 a 42%, anche se
le battute più efficaci sono del
democratico: “Trump ha il
suo Monte Rushmore personale”, dice, con le effigie di
Putin, Kim, Saddam e Gheddafi. I temi del confronto sono
stati l’immigrazione, la sicurezza, la lotta contro il terro-
rismo, l’economia – poco – e
l’assistenza sanitaria, gli errori fatti e gli insulti lanciati nella campagna. Kaine rinfaccia
a Trump le offese e le discriminazioni contro i messicani,
i musulmani, le donne; Pence
ricorda il “cesto di miserabili”
detto dalla Clinton di metà dei
sostenitori di Trump. È tutto
un ‘Hillary pensa’ e ‘Donald
dice’: un intreccio di attacchi
reciproci mai l’un l’altro, ma
sempre all’altrui capofila. Domenica, nel secondo dibattito con Hillary, Trump, che
parte in svantaggio, dovrà tenere a mente la lezione: quest’anno, il pubblico sembra
preferire chi smorza e si difende a chi punge e attacca.
Ma lui, se si snatura, delude i
suoi fan e non convince gli incerti. Il polso degli elettori è
regolare, verso il match di domenica fra l’ex first lady e il
magnate: Hillary è avanti di
una manciata di punti. Il vice-presidente Joe Biden si
sbilancia: “La Clinton vincerà nettamente”.
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14 » CRONACA
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
MR. ESSELUNGA
Impero Caprotti a figlia
e moglie, alla segretaria
il 50% dei risparmi
ONDATA BIBLICA
» ENRICO FIERRO
È
un bollettino di guerra.
Numeri drammatici di una marea umana che
sembra inarrestabile.
Questo ci racconta la tragica contabilità degli sbarchi avvenuti nei
giorni scorsi. Oltre 10 mila migranti salvati in 72 operazioni solo negli ultimi due giorni. Più di 4
mila tratti in salvo ieri nel Canale
di Sicilia. Viaggiavano a bordo di
27 gommoni, 5 barche e un barcone, i soccorritori hanno contato 27 morti.
BERNARDO CAPROTTI mette il destino di Esselunga nelle mani della moglie e della figlia Marina. Era questa la sua volontà, messa nero su bianco nel testamento aperto ieri. La “legittima”riserva il 25% dell’asse
ereditario alla moglie Giuliana Albera e il 50%
ai figli di primo letto Giuseppe, Violetta e a Marina (il 16,66% a testa). Il restante 25% di cui
poteva disporre lo ha diviso tra Giuliana e Ma-
q
rina, cosicché le due donne avranno il 66,7%
del capitale. Caprotti ha lasciato la metà dei
suoi risparmi alla segretaria Germana Chiodi,
alla quale negli anni passati aveva già fatto una
donazione milionaria, e per l’altra metà ai nipoti. Nella stessa giornata si è riunito il cda di
Supermarkets Italiani, la holding che controlla
Esselunga, che ha deciso “di non dar corso, allo
stato, a operazioni relative alla controllata Es-
Acque pericolose Diecimila salvati in due giorni, 27 morti
L’intelligence: “Gli scafisti approfittano dell’ultimo mare calmo”
Migranti, record
di fine estate
Comuni al collasso
Fatto a mano
siamo più in grado di accogliere
rifugiati –ha detto nei giorni scorsi Simona Bordonali, assessore
all’immigrazione della Regione
Lombardia – ne abbiamo già accolti 22 mila”. No anche dall’Associazione nazionale piccoli Comuni d’Italia: “Diciamo no ad accordi sulla pelle delle nostre comunità, fatti con una associazione, l’Anci, che da anni non ci rappresenta più”, si legge in una nota
della presidente Franca Biglio.
INSOMMA sulla pelle di immigra-
GLI APPRODI, sempre gli stessi:
Sicilia e Calabria. Oltre mille a Palermo, una cinquantina a Porto
Empedocle, 664 a Messina, 725
sbarcati a Vibo Valentia, 417 a
Reggio Calabria (tutti salvi, tranne una donna di 25 anni incinta al
quinto mese). Per oggi è attesa ad
Augusta nave Libra della Marina
Militare con 1008 disperati, mentre nave Astral trasporterà un carico di morte: 22 cadaveri a bordo
di un peschereccio. Numeri di una tragedia che sembra non volersi fermare, che vanno a ingrossare
la statistica sugli sbarchi avvenuti
nel 2016 sulle coste italiane: 142
mila migranti (153 mila nel 2015 e
170 mila nel 2014), 3100 morti. E
che rendono drammaticamente
credibile la previsione di poche
settimane fa fatta da Martin Kobler, capo della missione Onu in
Libia: dal Paese nordafricano sarebbero pronte a partire 235 mila
persone.
“È come se la rete internazionale degli scafisti avesse deciso di
approfittare del mare calmo prima dell’arrivo della cattiva stagione”, un funzionario dell’intelligence spiega così l’intensificarsi
degli sbarchi di questi ultimi giorni. La rete internazionale dei trafficanti d’uomini, è questo il problema numero uno che Europa e
Nazioni Unite, non sono riuscite
ancora ad affrontare. “Nel Norda-
selunga”, un impero da 7,3 miliardi di fatturato
e 290 milioni di utile con un valore nell’ordine
dei 6 miliardi per il quale erano arrivate proposte d’acquisto dai fondi Blackstone e Cvc, al
vaglio dell’advisor Citigroup. La holding inoltre
ha cooptato e nominato presidente Piergaetano Marchetti al posto del fondatore, una figura
di garanzia come già il presidente della controllata Esselunga, Vincenzo Mariconda.
Messina Dopo lo sbarco LaPresse
Lite sulle quote
I piccoli centri
contro il piano-Fassino
per un’accoglienza
diffusa da Nord a Sud
fuso coinvolgimento di elementi
graci ed ucraini”, gestisce il traffico nel Mediterraneo orientale.
Secondo gli analisti, la guerra in
Siria potrebbe di nuovo dirottare
migliaia di profughi verso l’Italia
(attraverso la rotta libica) nel caso
in cui la rotta balcanica diventasse
del tutto impraticabile.
frica –si legge nell’ultima relazione dei nostri servizi di sicurezza –
opera una filiera multietnica, organizzazioni libiche, egiziane, somale, eritree, sudanesi, nigeriane
e maliane”. Una rete “a prevalente
matrice turco-irachena, con il dif-
EMERGENZA, quindi, che non
sembra dare segnali di rallentamento e che rischia di travolgere
il precario sistema di accoglienza
italiano. Nelle settimane passate
il governo ha affidato a Piero Fassino il compito di coordinare la di-
stribuzione sul territorio dei profughi. Una presenza e un ruolo
(quello di “zar” dell’immigrazione) poco gradita dallo stesso ministro dell’Interno Angelino Alfano. La “filosofia” dell’ex sindaco
di Torino è così riassumibile:
creare un sistema più ampio, fondato su una distribuzione dei profughi più diffusa “per evitare addensamenti su poche realtà”.
Coinvolgimento dei sindaci nelle
scelte e meccanismi premiali per
i Comuni ospitanti. Tutto bene,
ma sulla carta, perché da alcune
realtà, soprattutto del Nord, arrivano già i primi no, grazie. “Non
ti, rifugiati, richiedenti asilo, profughi, si gioca la solita partita che
oscilla tra rifiuto tout courtdi ogni
forma di accoglienza e affarismo
nella gestione dei fondi messi a disposizione per i centri di accoglienza. Stenta a decollare una politica internazionale che affronti
il dramma immigrazione dalle radici. L’ultimo accordo siglato tra
Ue e autorità afghane su rimpatri,
riammissioni e reintegri, che
punta tra le altre cose alla “possibilità di costruire un terminal
per i rimpatri nell’aeroporto di
Kabul”, ha sollevato più di una polemica. “Scambiare l’assenso del
governo afghano per i rimpatri
dei propri cittadini con aiuti umanitari e allo sviluppo, è una assoluta vergogna”, si legge in una nota di Amnesty International.
“Questo rappresenta un altro momento oscuro delle relazioni esterne dell’Europa. Scambiare il
rimpatrio di persone che hanno
raggiunto l’Ue in cerca di asilo,
con aiuti umanitari e allo sviluppo
di cui c’è un bisogno vitale, è sordido e immorale “, ha aggiunto
Horia Mosadiq di Amnesty, ricordando la frase riferitagli da un ministro afghano: “Questo accordo è
una coppa avvelenata che il governo è stato obbligato a bere”. Insomma, se la politica internazionale della Ue è fatta di “coppe avvelenate” prepariamoci a nuovi
drammatici sbarchi.
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I numeri
3100
I migranti
morti durante
le traversate
nel Canale di
Sicilia dal
gennaio 2016
72
Le operazioni
di salvataggio
portate a
termine tra
martedì e
mercoledì:
salvate oltre
10 mila
persone
1008
Gli stranieri
imbarcati ieri
su nave Libra
della Marina
militare,
attesa ad
Augusta. Ieri
sbarchi a
Palermo,
Porto
Empedocle,
Messina, Vibo
Valentia,
Reggio
Calabria
16 »
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
Cultura | Spettacoli | Società | Sport
Secondo Tempo
L’INTERVISTA Chuck Palahniuk e il sequel di Fight Club
I
» FRANCESCO MUSOLINO
Il libro
l telefono squilla. In Italia è
quasi mezzanotte ma Portland, Oregon, è pomeriggio.
Chuck Palahniuk solleva la
cornetta, una manciata d’ore
prima che esca Fight Club 2 ,
da oggi nelle librerie italiane
per Bao Publishing. Tornano
i suoi protagonisti – Se bastian, Marla e Tyler Durden –
esattamente vent’anni dopo
il libro (e il film di David Fincher) che ha dato uno scossone alla cieca fede nel capitalismo made in Usa. E per stupire tutti, Palahniuk ha scelto
un graphic-novel con le tavole
di Cameron Stewart. E spaziando dal Ragnarok ad ardite teorie sull’aggressività giovanile sino alla continua ricerca del consenso che fatalmente sfocia nelle dittature,
il 54enne Palahniuk ha detto
la sua anche sulle elezioni:
“Se Trump vincesse non sarebbe una tragedia”.
Tyler Durden
è tornato
“e dà pugni
a chi legge”
Mister Palahniuk perché un
graphic-novel?
Fight
Club 2
l
Chuck
Palahniuk
Pagine: 280
Prezzo: 25e
Editore: Bao
Publishing
Pillola
Questo linguaggio mi consente di mostrare immagini
dure e scene provocatorie,
garantendomi un ampio margine d’azione per colpire in
faccia il lettore e scuoterlo.
La routine sta uccidendo la
sessualità di Marla e scatena gli istinti di Sebastian, liberando Tyler. Possiamo sopravvivere alla normalità?
La chiave è tutta nel dialogo.
Dobbiamo riuscire a stare insieme soprattutto nei momenti difficili senza pretendere che gli altri si debbano
prendere cura di noi. Anche
nel matrimonio, alla passione
sessuale iniziale deve subentrare per forza di cose un amore più profondo.
Parole sagge.
È la vita, amico mio. All’entusiasmo giovanile deve subentrare l’esperienza.
I PROGETTI DI GUS
VAN SANT
Una miniserie Abc in inverno, "sempre che
Trump, se
vince, non la
blocchi", e un
film su John
Callahan, fumettista disabile scomparso 6 anni
fa. Questi i
progetti nel
futuro di Gus
Van Sant a
cui il Museo
Nazionale
del Cinema di
Torino dedica
una mostra
n
In Fight Club 2
svela la vera
natura di Tyler
Durden, tornando indietro
sino alla Bibbia.
struggere le credenze che sono radicate in noi fin dall’infanzia. Le nostre ideologie
stantie ci impediscono di crescere e diventare grandi.
Ma siamo noi a creare le ideologie o sono le idee a coltivare gli uomini?
Siamo portati a credere che le
del saggista americano Joseph Campbell.
Lui concentra la sua attenzione sull’assenza dei genitori
secondari. Pensate al ruolo
sociale dei preti o degli allenatori sportivi, oggi dove sono andati a finire? E senza adulti di riferimento là fuori, i
ragazzi finiscono per cadere
nelle mani delle
gang giovanili
che ne contengono e ne aizzano la violenza.
Cito anche The
Sibling Society
di Robert Bly secondo cui le gerarchie autoritarie verranno
rifiutate e noi
stiamo andando
incontro a una
società orizzontale, composta
da figli incapaci
di assumersi le
respons abilità
di un ruolo adulto. Ci pensi, i
demagoghi appaiono dopo ogni guerra e ogni volta cercano di coalizzare proprio l’odio degli orfani, dei reietti.
Graphic Novel
Questa formula consente
margine d’azione
Trump o Clinton? È una
vittoria comunque
Tyler ha un volto, Cameron Stewart lo ha creato
partendo dalle
vecchie fotografie di un mio amico. Tyler rappresenta l’imb roglione per eccellenza, un diavolo
che ti sussurra
parole di fuoco
all’orecchio. Tyler Durden
somiglia a Loki, all’Hermes
della mitologia antica. Penso
che ci sia un po’ di Tyler Durden dentro ciascuno di noi.
Ma lasciarlo uscire fuori può
essere molto pericoloso.
Le cito una sua frase cult:
“Le cose che possiedi alla fine ti possiedono”. Dobbiamo distruggere tutto per essere liberi?
Dobbiamo assolutamente di-
nostre convinzioni condivise, dalla politica alla religione, siano la base della società.
Ma ne siamo davvero certi?
Chi può dire che le idee che
riempiono le nostre menti
non siano state generate al solo scopo di radicarsi, per perpetuarsi all’infinito?
Il mondo è cambiato in
vent’anni e per spiegare la
violenza che rischia di travolgere tutto, lei cita la tesi
Il consenso condiviso diventa sempre più importante
oggi. È questa è la nuova dittatura?
Sì, è esattamente questo il
punto. Ma non mi faccia dire
altro, non roviniamo la sorpresa ai lettori.
D’accordo. Ma che ruolo giocano in tal senso i social network?
Ma io sono quasi un anziano!
I social network creano maggior consenso e mettono ai
margini chiunque abbia opinioni diverse dalle nostre. In
generale, sono convinto che
troppa tecnologia non faccia
bene alle relazioni umane.
Mister Palahniuk le elezioni
Usa sono dietro l’an go lo.
Cosa ne pensa di Hillary
Clinton e Donald Trump?
A mio avviso si tratta di una
vittoria in entrambi i casi. La
Clinton porterebbe alla Casa
Bianca delle idee progressiste che approvo ma la vittoria
Le tavole
20 anni dopo
Alcune pagine
volute
da Chuck
Palahniuk
per il sequel
del libro cult
pubblicato nel
1996, dal quale
è tratto il film
di Trump rinsalderebbe i democratici, li spingerebbe a fare fronte comune. Oggi la sinistra americana è fratturata
e si sta autodistruggendo con
lotte fratricide.
Donald Trump potrebbe essere utile?
Pensate all’effetto che hanno avuto Ronald Reagan e
Margaret Thatcher in passato. Sì, un maschio bianco e
conservatore potrebbe ricompattare le frange della sinistra. Sia Hillary Clinton
che Trump porteranno dei
benefici e noi dovremo farne
tesoro per consolarci della
loro elezione…
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SECONDO TEMPO
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
Brucia l’auto di Serse Cosmi
Emis Killa, nuovo album
Morto l’autore di “Thriller”
L’allenatore del Trapani ha
trovato la sua Audi semidistrutta
fuori dalla sua abitazione
a Pizzolungo. La Digos indaga
Uscirà il 14 ottobre “Terza stagione”,
nuovo album del rapper Emis Killa,
guest star Neffa, Maruego, Fabri
Fibra, Jake La Furia, Coez e Giso
È morto il cantautore compositore,
produttore e musicista inglese Rod
Temperton, noto per essere l’autore
di “Thriller” di Michael Jackson
L’INCONTRO
» 17
GIAMPIERO SOLARI Il regista di Fiorello e Celentano
torna in Rai con lo show di Bolle, “La mia danza libera”
Elogio “dei furti e degli errori”
da un decano degli autori tv
» MALCOM PAGANI
M
orandi e Celentano, Fiorello e Virginia Raffaele,
Panariello,
Pausini, Renato Zero e Cortellesi. Giampiero Solari, direttore della scuola d’ar te
drammatica Paolo Grassi di
Milano, consulente Sky per
l’intrattenimento, ha 59 anni
e da quasi 20 firma indifferentemente da autore o da
regista alcuni dei programmi
di maggiore successo della tv
italiana.
DA D E U S e x - m a c h i n a
nell’ombra, dice, sta benissimo: “Vivo da uomo libero che
non deve rendere conto a
nessuna immagine. Rendo
conto soltanto a ciò che credo
e al personaggio con cui mi
immedesimo. Cerco di entrare nel suo mondo, di capire
cosa pensa, di intuire quale
lato nascosto di sé possa portare sul palcoscenico. È il mio
lavoro, un’occupazione che
non avrei mai creduto di riuscire a fare, il mestiere a cui
oggi non saprei rinunciare”.
Solari è nato a Lima da madre peruviana e padre ligure
e considera il tema dell’immigrazione l’architrave su
cui si edificherà l’Europa di
domani: “La migrazione –
dopo una prima fase confusa
e forse violenta – diventerà
normalità e cambierà per
sempre il volto dell’Europa.
Non è l’apocalisse, ma solo un
fenomeno inevitabile che va
affrontato e compreso senza
inutili allarmismi”. Anche
per questo, ma non solo per
questo, Solari vuole che i suoi
allievi entrino in contatto diretto con chi viene da fuori,
con le loro storie, con il loro
bagaglio di visioni, paure, ricchezze e sofferenze.
In attesa de La mia danza
libera, il programma show su
Roberto Bolle in onda su Rai1
in prima serata di cui Solari
ha curato idee e scrittura, il
regista attende la seconda edizione di Morsi, la rassegna
di Teatro-danza realizzata
dalla scuola Grassi e in scena
dal 17 ottobre e fino al 28:
“Qualcuno dice che sono bulimico e forse è vero, ma una
sola cosa non riesco a farla e
vivo per insegnare. È stato
così fin da ragazzino, a Lima,
dove papà che era uno stimato cantante si separò dalla
propria occupazione principale per aprire un teatro dove
ospitare grandi balletti e
spettacoli internazionali. Ho
imparato i rudimenti in Sudamerica e poi, tornato in Italia, per frequentare proprio la Paolo Grassi sotto la
supervisione di Carlo Cecchi, ho iniziato a insegnare
recitazione quasi subito. Avevo 24 anni. Non ho più
smesso”.
Con l’italiano da gaucho e
l’accento spagnoleggiante,
Solari ha sempre covato idee
non ortodosse: “Idee che
conciliassero l’alto e il basso,
come accade regolarmente
Tra palco
e schermo
Giampiero Solari è anche
direttore della
scuola d’arte
drammatica
Paolo Grassi
di Milano Ansa
mente quel che lui ha intuito
da artista ammazzerebbe
l’intuizione e quindi anche il
risultato”. Chi chiama Solari,
in un esplicito non detto, lo
pretende: “La tv di Stato dovrebbe trasmettere messaggi
che esulino dalla stretta logica del mercato, ma al tempo
stesso per ragioni persino ovvie non può limitarsi a sbandierare il solo vessillo della
cultura fine a se stessa”. Solari è un uomo colto: “Ma ho
sempre pensato che non esista nulla di peggio che imporre la propria cultura a un pubblico che chiede intrattenimento intelligente e non educazione o precetti calati
dall’alto”.
QUANDO era giovane, dice:
Il mestiere
è rubare,
abbeverarsi
di quel che
è stato già
scritto. È
quando la
rubi che
una cosa
diventa tua
nelle pagine di Shakespeare o
di Molière. Non mi sono mai
piaciuti quelli con la puzza
sotto il naso e men che mai
quelli secondo i quali il mondo era bianco o nero, senza alcuna sfumatura”.
NE DISCENDONO teorie originali e non ortodosse, prima
delle quali, secondo Solari, è
la santa attitudine del furto
artistico: “Il nostro mestiere
è rubare, non copiare, abbeverarsi a quel che è stato già
scritto con la presunzione,
magari, di rielaborarlo.
Quando rubiamo è bellissimo. È quando la rubi che una
cosa diventa tua”. Chi ha di-
viso le ore con Solari, giura
che la maniacalità della messa in scena e della preparazione sopravanzino l’i mprovvisazione: “È vero, sono
maniacale e dietro ogni spettacolo c’è tantissimo lavoro.
Ma impegno non significa
strategia né calcolo, altrimenti per l’arte non rimane
più spazio. Prendiamo Fiorello: è un genio, però è assolutamente consapevole di
tutto quello che fa sul palco e
non credo sia meno maniacale di me. Abbiamo lavorato
moltissimo sul metodo, ed è
proprio questo metodo che
permette il guizzo del momento. Spiegargli razional-
“Con Paolo Rossi, un fratello,
ci prendevamo in giro perché
Paolo passava dal cabaret del
Derby a Shakespeare senza
soluzione di continuità. Ma
io non ho mai pensato che il
Derby fosse il male. L’importanza della tv generalista è
l’equilibrio. Mantenere la tua
dignità, non venderti, ma desiderare che quel che proponi arrivi a tutti e non solo a
quelli che la vedono come te”.
Cadendo, inciampando, magari sbagliando: “Ho sempre
sbagliato e voglio che i miei
alunni non abbiano paura di
sbagliare. Da direttore ho anzi un solo manifesto esistenziale: l’elogio dell’e r r or e .
Senza non si cresce. Di perfezione si muore”.
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TUTTI INSIEME A Indio, Usa, Rolling Stones, Bob Dylan, Paul McCartney, Neil Young, Roger Waters e Who
MUSICA
L’eterno rock degli irriducibili Magnifici 6
70enni
d’oro
I biglietti
esauriti
da tempo,
da 200
a 1.600
dollari,
cachet per
gli artisti
da 100
milioni
di dollari
» STEFANO MANNUCCI
U
n paese per vecchi? È
l'area attorno a Indio,
in California, dove ogni anno si tiene il festival di
Coachella e dove da domani a
domenica verranno celebrati
i fasti della gerontocrazia
rock, che i maligni dipingono
già come un passo d’addio per
i Magnifici Sei in cartellone.
Il doppio weekend (si replica dal 14 al 16 ottobre) di
“Desert Trip” offre scalette
copie-e-incolla: la prima sera
protagonisti sul palco Rolling Stones e Bob Dylan, la
seconda Paul McCartney e
Neil Young, mentre la data finale sarà appannaggio di Roger Waters e degli Who. Un
megabusiness in cui gli orga-
nizzatori della GoldenVoice
hanno messo sul piatto 100
milioni di dollari (gran parte
dei quali per i cachet degli artisti), contando di incassarne
ben 160.
Un’incerta battaglia contro
l’insidia prostatica di fronte ai
baby-boomers in platea, ormai anche questi verso la settantina?
I BIGLIETTI, andati da tempo a
di Indio hanno poca intenzione di ritirarsi su una sedia a
dondolo con il plaid sulle gambe. Ancora oggi fanno tour che
ramazzano intorno ai 500 milioni di dollari. Gli Stones proprio oggi – non casualmente –
annunceranno “qualcosa di
grosso”, e dovrebbe trattarsi
del disco tutto blues in uscita a
breve (con ospite Eric Clapton), mentre l'11 novembre arriverà il dvd dello storico live a
Cuba e da giorni è disponibile
un box con le versioni in mono
dei dischi anni Sessanta.
ruba, vanno dai 1.600 dollari
delle poltronissime fino ai 200
dei posti in piedi, centinaia di
acri più in là: l’esborso per i fan
sale ulteriormente per i salatissimi parcheggi, i posti tenda, le commissioni, e –per i nababbi – i menù proposti dagli
chef del Festival, roba da gran
gourmet fino a un conto di diecimila dollari, mica hot dog e
mostarda.
È la chiusura definitiva del
cerchio mitico della “purezza”
e della “libertà” del pensiero
NON PARREBBE: le star del G-6
L’annuncio
Oggi i Rolling
Stones (foto)
annunceranno un nuovo
cd di classici
blues, con Eric
Clapton Ansa
rock? Beh, quanto a regole qui
siamo agli antipodi di Woodstock: chi viene beccato a fare
sesso in pubblico, a spacciare
droghe, a pisciare sul prato o
semplicemente beve troppo
verrà espulso da quei simpaticoni del servizio d'ordine.
Ma è davvero un ultimo valzer per le pantere grigie?
Dylan riparte per una tournée negli Usa, Waters ha in testa la riduzione teatrale-operistica di The Wall, Young prepara novità e ha lanciato una
canzone-manifesto contro l'oleodotto dentro una riserva indiana, Sir Paul ha pronto un disco di inediti “senza curarmi di
quanto venderà” giura, e gli
Who li abbiamo appena visti in
Italia. Altro che nonnetti.
E c’è da star certi che a Indio
scaglieranno pure anatemi
contro Trump: Waters l'ha definito “un coglione”, Young
l'ha incenerito per l'uso dei
suoi pezzi nei rally, McCartney è sceso in campo al fianco
di Hillary. Al G-6 rock si potrebbe decidere la corsa per la
Casa Bianca. Hai visto mai.
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18 » SECONDO TEMPO
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
Cinema
IL FILM
DA VEDERE
Da oggi in 700 sale italiane, “Pet - Vita da animali” ricorda “Toy Story
- Il mondo dei giocattoli”, ma con qualche riflessione in più sugli umani
Vita da botteghino: cani o gatti
purché l’idea non sia originale
S
Box Office
1Alla
ricerca
di Dory
2.128.514
euro
Tot.
12.958.135
euro in 3 sett.
2
Bridget
Jones’s
baby
1.374.430
euro
Tot. 3.760.981
euro in 2 sett.
3
Cafe
Society
1.232.505
euro
Tot. id. in 4 gg.
4
Al posto
tuo
528.400 euro
Tot. id. in 4 gg.
» FEDERICO PONTIGGIA
ì, l’avevamo già visto. La prima volta, 21 anni fa: Toy Story
- Il mondo dei giocattoli, capolavoro Pixar del 1995. Vi
ricordate? Via gli umani, i
giocattoli ballavano: su tutti,
Buzz Lightyear e Woody. Barattate i giocattoli con gli animali domestici, sostituite
alla Disney-Pixar la Illumination Entertainment di
Chris Meledandri (Cattivissimo me, Minions), ed ecco
Pets - Vita da animali, che in
originale ha un titolo più rivelatore: The Secret Life of
Pets.
POCO IMPORTA, via gli uma-
ni, i cani, i gatti e gli altri animali da appartamento ballano: come? Ovvio, come avevamo già visto fare in Toy Story, perché le dinamiche che
animarono l’incontro-scontro tra lo sceriffo Woody, il
giocattolo preferito dal bambino Andy, e l’usurpatore galattico Woody ora toccano a
Max, un trovatello terrier innamorato – ricambiato – della sua padrona Katie, e il sopraggiunto Duke, un randagio ingombrante, trasandato
e poco addomesticato.
Ormai è chiaro a tutti, a
Hollywood devono aver appurato senza tema di smentita che le storie non sono infinite e le storie buone sono
finite, indi il calco – nelle varianti remake, sequel, adattamento, trasposizione, copia
conforme, scopiazzatura
confessa, scopiazzatura implicita, scopiazzatura senza
vergogna, etc. – se la coman-
da. A questo proposito, la casa di produzione losangelina
Annapurna Pictures (@AnnapurnaPics) se n’è uscita recentemente con un tweet che
cristallizza ironicamente lo
stato dell’arte: tra le ragioni
addotte da uno studio, e riversate su un apposito modulo prestampato, per rifiutare
una sceneggiatura negli anni
20 c’era “l’idea è già stata realizzata”; un secolo più tardi lo
script verrebbe rispedito al
mittente per il motivo opposto, “l’idea non è già stata realizzata”.
Felicemente triste, e irrefutabilmente vero. Derubricata l’originalità a fortuita evenienza, un film – ma il discorso vale per tantissimi altri ambiti artistici e culturali -
Formula
sicura
Un fotogramma di
“Pets – Vita
da animali”
di e piccini. Sa Dio quanto ne
abbiamo bisogno: il box office italiano è reduce da un
-26% (22-25 settembre) e un
-32% (29 settembre-2 ottobre) sul 2015 negli ultimi due
weekend, e la nuova stagione ha già fatto scempio degli
italiani e benedetto un solo
titolo, l’animazione Disney
Alla ricerca di Dory – un sequel, tanto per cambiare –
che ha sfondato quota 13 milioni di euro.
Dopo Dory Questo “Pets” non è
un capolavoro ma garantisce sale
piene, di cui il box office italiano
ha bisogno, reduce da un -32% (29
settembre-2 ottobre) rispetto al 2015
DA OGGI nelle nostre sale su
oggi non si può giudicare
sull’idea, sul soggetto, bensì
“solo” sulla sua trasformazione, sulla sceneggiatura:
l’invenzione, se c’è, va ricercata a valle, non è più materia
di selezione ma (ri)combinazione, (ri)assemblaggio.
Ebbene, questo Pets non è
un capolavoro quale Toy
Story, ma la sua parte – derivativa – la fa bene, garantendo frizzi e lazzi per gran-
più di 700 schermi, vuole essere the next big thing, come
dicono gli americani, e ha le
carte in regola per esserlo: regia di Chris Renaud e Yarrow
Cheney, tallona cani, gatti e
conigli (Nevosetto, il capo
della banda degli Animali
Abbandonati) in un’avventura errante a New York, sia sopra che sotto, imbarcando
conflittualità canine, accalappiacani, amori mordaci
(Max e la Pomerania fighetta
Gidget) e rave a quattro zampe con annesso pogo heavy-metal.
Non tutto scorre, la parte
centrale è un po’ farraginosa,
ma il prologo con la presentazione della doppia vita dei
nostri amici e l’insorgenza
della rivalità tra Max e Duke
e, ultima parte, lo slapstick animale tra fughe e fogne che
porta allo scioglimento sono
godibilissimi. E, surplus di
senso, ci fanno riflettere su
come la progressiva e imperante antropomorfizzazione
dei nostri animali da compagnia ormai renda superflua la
cinematografica sospensione dell’incredulità: Max, Duke, Gidget parlano sul grande
schermo e noi, adulti o bambini, in platea non abbiamo
nulla da eccepire, anzi, quasi
ce lo aspettiamo. A tal punto
che, ci potete scommettere,
qualcuno tra gli spettatori
più cinofili e/o gattofili chiederà al proprio quadrupede
del cuore: “Che ne dici, ti è
piaciuto il film?”.
Già, la Vita da animali ormai è la nostra, con buona
pace di Esopo (e Fedro) e del
metamorfico Ovidio: scrivessero oggi, leggeremmo Il
vecchio e l’uva, e non batteremmo ciglio. Ah, ovvio,
Hollywood ci farebbe subito
il film: Masters – Vita da umani?
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NELLESALE Spazio al documentario: “Al di qua” e “L’uomo che scriveva sull’acqua”, storia di Indro Montanelli
Germano-San Francesco, non un biopic
Deepwater: la montagna e il topolino
Il sogno di Francesco
Regia: Renaud Fely e Arnaud Louvet
Attori principali: Elio Germano, Jérémie
Renier
Durata: 90 min.
,,,,,
“LA CONOSCI la gioia di cui Francesco parla?”,
chiese la volpe a Elia. Dietro alla domanda, posta
dallo stesso santo al confratello, si celava il senso profondo dell’ideale francescano, dell’immenso Sogno che quel nobile umbro spogliato di
ogni avere andava predicando e praticando senza sosta. Nutriti di bacche, vestiti di stracci e proprietari di niente se non della fede in Dio, Fran-
cesco e seguaci non erano ancora riconosciuti
dalla Chiesa: era il 1209 e la Regola scritta dal
poverello d’Assisi suonava troppo radicale per
l’approvazione di papa Innocenzo III. A mediare
pensò proprio Elia, uomo-simbolo del compromesso e della complessità tragica dell’umanità
peccatrice. Non è un biopic su San Francesco l’esordio in regia del duo francese Fely-Louvet,
bensì una riflessione profonda sul peso di un’utopia rivoluzionaria di fronte alla mediocrità e
all’ipocrisia del Potere. La figura e le gesta sempre attuali di Francesco si prestano alla perfezione, per credenti e non, all’obiettivo così come l’obiettivo dei registi è solido dentro a un’arte povera e “naturale”. Germano e Renier incantano.
ANNA MARIA PASETTI
Deepwater
Regia: Peter Berg
Attori principali: Mark Wahlberg, Kurt Russell, John Malkovich
Durata: 97 min.
,,,,,
Il santo Elio Germano nei panni
di San Francesco d’Assisi
GOLFO del Messico, 20 aprile 2010: un incidente sulla piattaforma di estrazione petrolifera
ratteri, l’incidente trova impreparati soprattutto
gli sceneggiatori, con il saputo Wahlberg ignaro
su Skype e il capo Russell alle prese con la doccia
più lunga e incongrua della storia. Arrivano le
fiamme, ma la puzza di bruciato c’era già.
FED. PONT.
Al di qua
Regia: Corrado Franco
Durata: 80 min.
,,,,,
Il disastro ecologico “Deepwater”
di Peter Berg
Deepwater Horizon provoca 11 morti e molti feriti tra i lavoratori e la fuoriuscita di tonnellate di
greggio (oltre 50 mila barili) per tre mesi. Un disastro ambientale senza precedenti. Da un articolo del New York Times, ora se ne occupa anche
il grande schermo: Deepwater - Inferno sull’oceano di Peter Berg, che fa di Mark Wahlberg il capotecnico elettronico della Transocean, Mike
Williams, sorpreso ma non vinto dalla colonna di
gas metano che risalì dalla trivella fino alla piattaforma scatenando l’apocalisse. Pregevoli le intenzioni, di livello il cast – il migliore è Kurt Russell, della partita John Malkovich e Kate Hudson
– e ingente il budget (110 milioni), ma la montagna partorisce un topolino destinato ad annegare: dopo buone premesse e costruzione dei ca-
TALVOLTA il cinema riesce a diventare una palestra per la coscienza senza contagiarla di retorica. È quanto compie Al di qua di Corrado Franco, oggetto filmico tra il documentario sociale, la
preghiera e la poesia che non lascia indifferenti.
A fuoco sono 40 poveri estremi situati a Torino:
soli, depressi, senzatetto, lavoro e famiglia. Alcuni di loro sono “raccolti” da don Gian Paolo
Pauletto, fondatore dell’associazione “Materiali
di scarto”, che ben traduce il ritratto che la società odierna fa dell’umanità residuale. Girato in
un b/n intervallato da immagini sacre a colori, e
pervaso della musica di Bach dove non vi sono
letture o testimonianze, racconta l’idea che questi disperati si sono fatti dell’al-di-qua: un luogo
di “egoismo, violenza, angoscia”, dove “se stai
male, sono affari tuoi”. Il lavoro di Franco sarà
presentato a Torino il 7/10 e a Roma sarà in programmazione al Tiziano dal 10/10.
AM PAS.
SECONDO TEMPO
Giovedì 6 Ottobre 2016 | IL FATTO QUOTIDIANO |
» 19
Teatro
“ORESTEA” In occasione di Romaeuropafestival, il drammaturgo costretto ad arrendersi ai mancati
permessi: gli animali non avevano il nullaosta per il palco. Fischi, stupore e richiesta di restituzione soldi
S
Nulla
da fare
“Orestea”
di Romeo
Castellucci
Ricarica
ono costernato, ma quello
che oggi andrà in scena al
teatro Argentina è una versione ridotta della mia Orestea, mancherà il terzo e ultimo atto, sono mancate le
necessarie autorizzazioni
per portare degli animali sul
palco, senza di loro il mio
spettacolo è menomato”. Sono le 21.15 di martedì sera e
Romeo Castellucci, uno dei
drammaturghi più apprezzati al mondo, è al centro del
palcoscenico, usa un tono
stentoreo e grave, platea e
piccionaia sono gremiti e in
silenzio, il brusio preoccupato comincia a correre tra
gli spettatori; c'è chi con presunzione sussurra alla compagna della poltrona accanto
che “si tratterà probabilmente di una sfumatura originale dell’autore. Vedrai, ci
prenderà in contropiede”.
CASTELLUCCI PIEGA IL CAPO,
TORINODANZA,
ARPA GRAFFIANTE
Armonie suonate con uno
strumento
soave come
l'arpa e movimenti di
danza classici incontrano
il graffio duro
della danza e
della musica
contemporanea nello
spettacolo
'Paradoxe
Melodie', dal
7 all'8 ottobre alle Fonderie Limone
di Moncalieri,
della canadese Daniele
Desnoyers
n
prende sempre più consistenza. Il Teatro di Roma
precisa al F a tt o che “no n
c’entrano in alcun modo con
quanto accaduto, che questo
cambio di programma danneggia anche loro e in molti
ci stanno chiedendo un risarcimento di una parte del
biglietto o in toto”e che tutto
“è riconducibile all’organizzazione del Romaeuropa
Festival 2016”. Una delle
rassegne culturali più autorevoli di questi ultimi 30 anni e che in cartellone si fregiava proprio di avere fino al
6 ottobre la “commedia organica (?)” firmata dal grande artista cesenate, con sul
palco un cavallo, un asino e,
appunto, le scimmie.
» LISA IOTTI
E DAVID PERLUIGI
le sue giustificazioni si dilungano per cinque minuti
circa, strige tra le mani un foglietto dove ha appuntato alcune cose. Gli applausi sono
pochissimi e trattenuti. Poi
la voce che filtra da dietro le
quinte e passa rapida a tutto
il teatro, l’arcano è scoperto
e si rivela nella forma di un
macaco. Sì, è per colpa dei
macachi. Un gruppetto di
cinque piccole scimmie ha
mandato a monte quello che
a dicembre scorso a Parigi,
nel prestigioso Odéon, era
stato salutato dalla critica
come “un meteorite caduto
sulla Capitale francese da una distanza spaziale e temporale”(da ATeatro). Il tutto
a meno di un’ora dall’apertura del sipario.
In tanti tra il pubblico sono
lesti a infilare la mano in tasca o nella borsa per assicurarsi di avere ancora il biglietto e così scattare verso la
cassa per l’immediato rim-
CASTELLUCCI, ancora scosso,
Niente macachi in scena:
Castellucci costretto
a tagliare lo spettacolo
borso. I più fortunati hanno
pagato 20 euro, gli altri 35 per
la platea. I biglietti delle tre
date in cartellone nel settecentesco stabile romano sono andati esauriti da tempo
con liste di attesa infinite.
L’opera, un rovesciamento originalissimo della tragedia di Eschilo, della durata di
150 minuti, viene, delittuosamente tagliata di 25 minuti. Il
pubblico esce attonito alla fine dello spettacolo, in tanti
sono delusi. Si commenta nel
foyer, gli spettatori in abito elegante si intrattengono per
capire le ragioni e le responsabilità, responsabilità che
subito vengono rimpallate.
“Pare che alcuni funzionari
hanno bloccato l’entrata in
scena delle scimmiette, sembra siano troppo anziane per
essere domate in scena. Ma
non chiedeteci altro, noi siamo solo gli ospitanti”, esclama una signorina al botteghi-
25 minuti
in meno
È la riduzione
“romana”
per uno
spettacolo
osannato
in Francia
no del Teatro di Roma, l’ente
gestore dell’Argentina.
I più attenti però associano la parola “macaco” a
quanto viene riportato in
piccolo in fondo alla brochure dello spettacolo: “Gli animali presenti in scena sono
forniti dal Parco Faunistico
Zoo delle star di Daniel Berquiny e dal Cirque de Rome
di Solovich Dumas”. Due autorità nelle attività circensi.
E quella che è solo una voce
preferisce non commentare.
Per tutta la giornata di ieri,
Romaeuropafestival 2016 ha
cercato di dipanare la matassa burocratica, ma anche la
seconda data in cartellone è
andata scena “m u t il a ta ”
dell’ultimo atto. Si tenta almeno di salvare l’ultima prevista per oggi alle 19. Al Fatto
u n’impiegata del Festival
spiega: “I macachi sono una
specie protetta, la Prefettura
non può fornire il nullaosta.
Abbiamo dimenticato questa
specifica sul tipo di primate
che avremmo voluto utilizzare. E le norme sono rigide
su questo. È colpa nostra”.
Romeo Castellucci ha ricevuto quest’anno il Leone
d’Oro alla carriera alla Biennale del Teatro di Venezia,
per il lavoro svolto fin dal
1981 con la sua compagnia, la
Socìetas Raffaello Sanzio,
per chi lo segue da sempre:
solo un piccolo risarcimento.
Di certo è stato da sempre
ben poco capito e apprezzato
dalle nostre istituzioni.
Chi lo conosce bene afferma che è autore che non accetta compromessi: o macaco o nulla.
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CIAKSIGIRAI protagonisti di “A piedi nudi nel parco” del 1967 sul set di “Our Souls At Night”, film Netflix
Indro. L’uomo che scriveva
sull’acqua
Regia: Samuele Rossi
Durata: 74 min.
,,,,,
SOPRAVVIVERE e male, senza Indro Montanelli. A 15 anni dalla scomparsa (22 luglio 2001),
il docufilm di Samuele Rossi si rimette sulle tracce di un uomo complesso e giornalista fuoriclasse, illuminandone la schiena dritta e l’impermeabilità al potere.
Dalle cronache dai fronti bellici all'uscita dal
Corriere della Sera, dall'attentato delle Brigate
Rosse alle dimissioni da
Il Giornale (da lui fondato) dopo la discesa in
campo di Berlusconi, la
parabola umana e professionale di Indro viene
incarnata da Roberto
Herlitzka (maturo) e Domenico Diele (giovane),
circoscritta su un ring da
quattro scrivanie (Corrie- Indro Roberto
re della Sera, Giornale, Ro- Herlitzka
ma e Milano) e supportata da materiale d’archivio. Non mancano le testimonianze: tra gli altri, Ferruccio de Bortoli, Fedele Confalonieri, Nicola Lagioia, Paolo Mieli e
Marco Travaglio.
FED. PONT.
» FABRIZIO CORALLO
R
obert Redford e Jane Fonda sono tornati a recitare insieme a quasi 50 anni
da A piedi nudi nel parco, la commedia
romantica di Gene Saks di cui furono protagonisti a New York nel 1967. Sono infatti attualmente sul set di Our Souls At Night, un
nuovo film prodotto da Netflix e diretto da Ritesh Batra che trasferisce in immagini il romanzo omonimo di Kent Haruf ambientato in
Colorado. Interpretata anche da Matthias
Schoenaerts, Judy Greer e Bruce Dern, la storia vede in scena una vedova che va a visitare
un conoscente vicino di casa a sua volta vedovo: entrambi anziani e con i figli adulti e lontani i due cercheranno di costruire un rapporto di coppia per tutto il tempo che resterà loro
da vivere.
CELEBRE per aver diretto Ethan Hawke e Julie
Delpy nella trilogia che comprende Prima
dell’alba, Prima del tramonto e Prima di mezzanotte (nonché i recenti Boyhood e Tutti vogliono qualcosa) Richard Linklater sta per tornare sul set per dirigere Bryan Cranston, Steve
Carell e Laurence Fishburne in Last Flag
Flying. Il 56enne regista texano lo ha sceneggiato con lo scrittore del romanzo omonimo
Darryl Ponicsan, diventato celebre nel 1970
come autore di quel The Last Detail diventato
poi oggetto di una trasposizione di successo
Robert Redford
e Jane Fonda,
50 anni dopo
di nuovo insieme
rie), Massimiliano Gallo, Arturo Muselli e Tony Tammaro. Vi si raccontano le vicende di
Rosa, una parrucchiera e ragazza madre che
dopo aver lavorato in un salone del Vomero
alle dipendenze di una donna più matura, Patrizia, perde il lavoro e cerca di mettersi in proprio in un locale dei Quartieri spagnoli: inizia
così il confronto-scontro tra la ex titolare e Rosa, aiutata dal suo ex compagno e da un gruppo
di giovanissime amiche.
IL SEMPRE più conteso Pierre
Niney e Charlotte Gainsbourg
sono gli interpreti di Promessa
all’alba, il quinto lungometraggio di Eric Barbier che adatta il
romanzo omonimo di Romain
Gary già portato al cinema da
Jules Dassin nel 1970 con Melina Mercouri e Assaf Dayan
protagonisti. Il film attualmente in fase di montaggio racconta
la storia autobiografica del futuro grande scrittore: dall'infanSTEFANO Incerti ha concluso Il premio Oscar
zia in Polonia con sua madre, ex
da qualche settimana le ripre- Robert Redford Ansa
attrice che lo alleva da sola e colse de La parrucchiera, una
tiva per lui grandi ambizioni, alnuova commedia pop ambientata a Napoli da la sua adolescenza a Nizza in esilio, ai suoi anni
lui scritta con Teresa Ciabatti, Marianna Ga- da studente a Parigi, al duro apprendistato corofalo e Mara Fondacaro di cui sono prota- me aviatore e alle sue avventure in guerra tra
gonisti Pina Turco e Cristina Donadio (en- Francia, Inghilterra e Africa.
trambe reduci dal successo di Gomorra - la se© RIPRODUZIONE RISERVATA
per il cinema con Jack Nicholson intitolata in Italia L’ultima corvè. Di quel film di Hal
Hasby diventato di culto Last
Flag Flying rappresenta una
sorta di sequel attraverso il
racconto in chiave di commedia delle vicende di due ufficiali che aiutano un ex prigioniero a riportare a casa il corpo del figlio ucciso in Iraq.
20 » ULTIMA PAGINA
Dalla Prima
» MARCO TRAVAGLIO
F
u allora che – come ricorda
Benigni – i 556 costituenti si
accorsero di avere scritto un
mare di boiate e “auspicarono”
che qualcuno le riformasse.
Possibilmente prendendo articoli tipo il 70, che avevano colpevolmente concentrato in 9
parole in italiano comprensibili
a tutti, e portandoli a 438 vocaboli in un idioma non indoeuropeo incomprensibili a chicchessia. Dove e quando i 556 pasticcioni abbiano lasciato detto o
scritto questo loro “auspicio”,
non è dato sapere, ma se lo dice
Benigni devono averlo senz’altro fatto. Probabilmente scrissero una lettera-testamento sigillata con la ceralacca, con 556
firme autografe, e indirizzata
“Al più noto comico toscano del
momento” con l’avvertenza di
aprirla solo nel 2016. Renzi, riconoscendosi nel destinatario,
ha subito aperto il prezioso incunabolo non appena un tombarolo aretino l’ha rinvenuto nella
necropoli di Banca Etruria. Poi,
nel dubbio di non essere lui il comico toscano più noto, ma solo il
secondo in graduatoria, l’ha
passata a Benigni (e pure a Verdini, dopo una scenata di gelosia). Perciò i due buontemponi
vanno in giro a ripetere che stanno rispettando le ultime volontà
dei costituenti. Renzi, mesi fa,
parlò addirittura di “una norma
transitoria” tramandatagli da
quei vegliardi con su scritto
“Così non va bene” (soggetto
sottinteso: la Costituzione). E
qualcuno, non ritrovandola fra
le norme transitorie della Carta,
pensò a un caso di telepatia o di
spiritismo. Ma ora è tutto chiaro, anche se il testamento completo non viene ancora comunicato: si procede a rate, come per
il terzo segreto di Fatima.
Però Benigni la sa lunga:
“Non è, come qualcuno dice,
che ‘la riformeremo dopo’.
No, non accadrà mai più. Poi,
certo, ci sono da rivedere alcune cose”. Quindi i costituenti furono perentori. Appena aperta la lettera, la loro
Carta andava cambiata subito, anche a costo di farla riscrivere dal primo che capita: “Adesso o mai più”. L’anno prossimo, per dire, sarebbe tardi:
roba di congiunzioni astrali
sfavorevoli, oroscopi, lune,
maree, cose così. Come per i
matrimoni e le vendemmie,
va colto l’attimo, ecco.
Purché – precisarono i 556,
secondo l’esegeta Benigni –non
si sfiorassero “i primi 12 princìpi”: quelli no, quelli “sono intoccabili: diritti e doveri straordinariamente belli e intoccabili”. Tra questi, se non andiamo
errati, dovrebbe esserci l’articolo 1: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la
esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione”. Articolo
lievemente incompatibile con
l’intreccio fra l’Italicum e la Costituzione Boschi-Verdini, che
trasformano l’Italia in una Repubblica fondata su un pugno di
capi-partito che si nominano
2/3 dei deputati e tutti i senatori, all’insaputa del popolo non
più sovrano, ma suddito. Ma
forse questa è una di quelle cose
che, per dirla con Benigni, “sono da rivedere”. Lui infatti voterà Sì, ma in calce alla scheda
scriverà di suo pugno: “Poi, per
favore, rivedete due o tre cose”.
Firmato: “Il comico toscano più
famoso del momento”. Così, se
lo scrutatore pensa a Renzi,
gliela gira. E quello le due o tre
cose le rivede di sicuro.
M
a allora, che cos’è Fuocoammare? Certo, non è un film da
Oscar, almeno come lo intende Paolo Sorrentino, che sull’Italia ha firmato un memorabile
film-souvenir. Ma gli oltre due milioni di spettatori che lunedì lo hanno visto su Rai3 si sono accorti che non è
nemmeno un documentario, forse
meno ancora di quanto non sia un
film. Come sempre nel cinema di
Gianfranco Rosi, è l’incontro tra un
luogo e un tempo; l’isola di Lampedusa ritratta come il punto in cui Sud e
| IL FATTO QUOTIDIANO | Giovedì 6 Ottobre 2016
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Il miracolo
“Fuocoammare”
(e chissene
di Hollywood)
» NANNI DELBECCHI
Nord – ma anche passato e futuro – si sono dati appuntamento. Caso più unico che raro nel
2016, Rosi non è uno storyteller
né ci tiene a esserlo; si accontenta di
un medico, un bambino, dei pescatori
e di un fiume biblico di profughi “nel
ruolo di se stessi”; racconta la poesia
amara dello “scendere e ’l salir per le
altrui scale” alternando corpi, volti e
orizzonti; un impasto di tragedia e comunione umana che fa di lui l’erede
del cinema di Pasolini. Veder passare
Fuocoammare su Rai3 nella Giornata
delle vittime dell’immigrazione
è stato salutare; bisognerebbe
farlo vedere per legge a Daniela
Santanchè ogni volta che va in tv
a gridare all’invasione (quindi, quasi
tutti i giorni). E forse, più che interrogarsi su qual è la casella giusta, ha
senso chiedersi se è o no un film d’autore. Non ci sono dubbi, quello di Rosi
è un autentico, rigoroso film d’autore
girato nel pieno declino del cinema
d’autore. È per questo e non per altro
che, come dice Sorrentino, difficilmente se lo fileranno a Hollywood.