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06 ottobre 2016 delle ore 09:08
"Milano Scultura", nuova edizione della fiera
milanese alle Ex Cisterne della Fabbrica del
Vapore. Ce la racconta il direttore, Valerio Dehò
Inizia domani "Milano Scultura", alla Fabbrica
del Vapore di Milano. Ormai una manifestazione
consolidata nel panorama cittadino, che Valerio
Dehò dirige da diverse edizioni, da quando la
piccola kermesse si chiamava ancora "Step Art
Fair", e debuttava nella "cattedrale" di via
Procaccini. Oggi un po' di cose sono cambiate,
e la vecchia "Step" - da due edizioni - è diventata
una fiera sulla "scultura nel campo allargato”,
ovvero intesa come medium possibile per unire
codici e linguaggi, e che quest'anno si svolgerà
per la prima volta nei locali delle Ex Cisterne
della Fabbrica. "Ormai per gli artisti la terza
dimensione è un corredo genetico, siamo
abituati a vivere un senso di partecipazione
all’esperienza artistica totale. La scultura è
diventata un riferimento indispensabile cui fare
riferimento per tutto ciò che non è architettura,
non è paesaggio e non è immagine
bidimensionale", scrive Dehò nello statement.
E noi lo abbiamo intervistato. Milano Scultura,
che prosegue l’attività di Step Art Fair, ha ormai
preso piede da diverse edizioni. Ci racconta
della sua evoluzione e ci può dare qualche
numero realizzato, anche negli scorsi anni? Mi
riferisco agli ingressi, agli incassi generali, al
numero di gallerie presenti etc... «La nostra è
una piccola mostra-mercato in cui non si paga
biglietto per entrarvi: è importante che dal
pubblico sia vissuta come un’occasione per
incontrare l’arte. Personalmente trovo che far
pagare per entrare ad una fiera, spesso costando
più dell’entrata ad una mostra, non sia etico. Ci
sono già i galleristi che pagano, il pubblico
dovrebbe entrare sempre gratis o con un
biglietto simbolico. Detto questo noi siamo fissi
come presenze sui 5mila visitatori, con Milano
Scultura abbiamo incrementato le presenze di
circa il 15 per cento. Anche con la neve di due
anni fa è stato lo stesso. Per le gallerie siamo
sempre attorno alla trentina, poi ci sono le
mostre, l’Accademia di Brera, etc. Ma per noi
la Fabbrica del vapore è il luogo perfetta e lo
spazio consente questi numeri che ci
consentono di lavorare bene e senza affanni».
Come si pone Milano Scultura nel panorama
delle fiere oggi, che da una parte all'altra del
mondo sono sempre più numerose e sempre più
dedicate a settori specifici? «La mia idea di
convertire una piccola fiera generica in una fiera
che fosse tematica e legata ad un linguaggio
ampio della contemporaneità, è nata proprio da
questa consapevolezza. Moltissime fiere sono
dei mercatini rionali a cui partecipano anche
gallerie di fantasia. Questo è stato determinato
dalla "fame” che hanno i galleristi di incontrare
il pubblico e gli acquirenti, visto che in galleria
si girano i pollici. Si cercano altri pubblici, altre
possibilità di vendita, è normale. Ma una fiera
dedicata alla scultura non c’era, mentre ora a
Lugano hanno dedicato una fiera alle opere su
carta. Mi fa piacere, vuol dire che abbiamo
ragione noi. Le grandi fiera vanno per conto
loro, ma le piccole devono dare qualcosa di
particolare, devono costruire un riferimento per
una tecnica, un linguaggio artistico. Il low price
ha stancato, non si può andare ad una mostra
mercato solo perché c’è un tetto ai prezzi. Alla
lunga è mortificante per gli artisti e il pubblico
». A proposito di questo, pensa che il futuro delle
fiere d'arte (e dunque anche della sua economia)
sia da ricercare più che in un mercato globale
in una serie di "segmenti" di un sistema più
ampio? «Il futuro delle fiere sta nelle idee e nella
capacità di organizzazione dei direttori artistici.
Servono idee e piccoli cambiamenti continui.
Art Basel & co. è un altro pianeta: noi ci
accontentiamo della Luna. Le fiere generiche
sono sempre dei grandissimi investimenti con
poco ritorno. Nel budget generale di un Ente
Fiera una fiera dell’arte in perdita più o meno
ci sta. Quindi se le gallerie hanno l’esigenza di
"farsi vedere” fuori dal loro contesto cittadino
o regionale, bisogna far crescere delle fiere
intelligenti, con costi limitati, con grande
capacità comunicativa, fornendo una scelta di
qualità oculata e non legata all’idea di pagare
intanto i costi dello stand. I galleristi se hanno
dei costi contenuti sono liberi di portare gli
artisti in cui credono e non quelli che è "più
facile vendere”. Molte fiere generaliste sono
diventate tristemente dei discount, e ci va solo
il pubblico che vuole fare degli affari. Nessuna
voglia di vedere qualcosa di nuovo e di diverso.
Anche nella crisi, ci vuole una certa dignità».
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