Neurologia - Fonema Comunicazione

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Transcript Neurologia - Fonema Comunicazione

Il Cervello in Numeri
Neurologia
a cura di
ottobre 2016
EDITORIALE
Cambiamenti sostanziali in ambito biomedico,
frutto di miglioramenti non solo nella ricerca
ma anche nell’assistenza
SCENARI
ORIZZONTI
Cure personalizzate, due elementi sono
fondamentali per il successo: la tempestività
dell’intervento e la possibilità di predire la
risposta a una determinata terapia
Patient Reported Outcomes: le misurazioni effettuate direttamente
dal paziente, possono integrare i dati di efficacia e di tollerabilità,
abitualmente utilizzati per registrare un farmaco e valutarne
l’impiego in clinica
SE PERDI LA MEMORIA, PERDI TUTTO.
FOCUS
Parkinson: da uno studio italiano finanziato
dalla UE , la realtà virtuale contribuisce al
miglioramento dei protocolli riabilitativi
NEWS
Salute Donna: Se ponderata e pianificata dal punto di vista delle
scelte terapeutiche la gravidanza può essere portata avanti anche
da una donna affetta da Sclerosi Multipla, senza conseguenze sul
decorso della malattia e sul nascituro
L’Alzheimer è una malattia che porta via con sé i ricordi di una vita. Federazione Alzheimer
Italia riempie questo vuoto, stando accanto al malato e alla sua famiglia.
Scopri come, visita il sito www.alzheimer.it o scrivici all’indirizzo [email protected]
Questo supplemento è stato realizzato da Fonema Comunicazione srl Le Scienze non ha partecipato alla sua realizzazione e non ha responsabilità per il suo contenuto
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Neurologia
Editoriale
L’Europa della ricerca: dove la competitività incontra
la cooperazione
Primario dell’Unità di Neurologia,
Neurofisiologia Clinica e
Neuroriabilitazione dell’Ospedale
San Raffaele di Milano
L
a creazione di uno spazio che promuova l’eccellenza scientifica, la
competitività e l’innovazione attraverso una migliore cooperazione e
un coordinamento adeguato tra i diversi
operatori: è questo il sentiero verso cui
si è incamminata la ricerca biomedica
in Europa. «E visto il panorama poco
edificante dell’Unione Europea - spiega
il professor Giancarlo Comi, direttore del
Dipartimento Neurologico e dell’Istituto
di Neurologia Sperimentale dell’HSR di
Milano - possiamo almeno contare sul
fatto che la collaborazione tra scienziati
è solitamente più fertile di quella tra politici. Le scoperte scientifiche sono sempre meno legate a un’intuizione geniale
di un ricercatore per la complessità di
strumenti e competenze specifiche che
il progresso scientifico oggi richiede. Il
raggiungimento di una massa critica in
termini qualitativi e quantitativi per il
successo di un progetto scientifico richiede il coagularsi di network di esperti
supportati da adeguate infrastrutture.
Questi network non possono che avere
un carattere internazionale e ne consegue che anche i finanziamenti della ricerca devono assumere un carattere di
internazionalità e valicare i confini delle
Francesca Romana Buffetti
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ATROFIA CEREBRALE,
LA QUANTIFICAZIONE
POTREBBE ARRIVARE
NELLA PRATICA CLINICA
AFFIDABILITÀ DELLE
TERAPIE CONSOLIDATE
PER LA SCLEROSI
MULTIPLA
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GESTIONE DELLA SCLEROSI
MULTIPLA NELLE DONNE IN
GRAVIDANZA
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TEMPESTIVA E PERSONALIZZATA,
LA RIVOLUAZIONE TERAPEUTICA
È INIZIATA. I NUOVI TRATTAMENTI
DELLA SCLEROSI MULTIPLA
PERMETTONO UN APPROCCIO
EFFICACE E INNOVATIVO
FOCUS
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PATIENT REPORTED
OUTCOMES: IL MALATO
TORNA AL CENTRO
DELLA SUA TERAPIA
NEWS
SCENARI
INDICE
niche, incluse ovviamente quelle neurologiche, gli sviluppi in ambito genetico e
la disponibilità di biomarcatori consentono una revisione sistematica della nosografia, scomponendo e riaggregando
patologie e proponendo la possibilità di
ottimizzare l’assistenza attraverso un approccio personalizzato». Per migliorare
gli attuali sistemi di finanziamento è necessario, quindi, prima di tutto rivalutare
le priorità. L’invecchiamento della popolazione suggerisce che nei prossimi anni
le richieste di assistenza sanitaria aumenteranno soprattutto nel settore della
salute mentale, dell’assistenza a lungo
termine e nella cura delle persone con
malattie croniche. Per questo, è necessario riallocare le risorse e riorganizzare il
sistema sulla base delle nuove richieste
sanitarie. «Il nuovo modello assistenziale
- conclude Comi - deve tener presente la
continuità tra la fase acuta e la fase cronica della patologia, deve saper connettere
la realtà ospedaliera con il territorio di
riferimento e deve sfruttare al meglio sia
le risorse finanziarie che le nuove risorse
terapeutiche. È una sfida non solo italiana ma sopranazionale, in cui anche le
società scientifiche, sono chiamate a fare
la loro parte, incrementando gli aspetti
educazionali, interagendo a livello istituzionale, partecipando alla definizione dei
nuovi modelli assistenziali. La SIN è da
tempo in prima linea su tutti questi fronti
con la creazione di una Scuola di Neurologia, il rafforzamento della capillare presenza nel territorio con il potenziamento
dell’organizzazione regionale, la partecipazione alla produzione di linee guida e
di percorsi terapeutici assistenziali, l’instancabile attività dei suoi Gruppi di studio e delle sue associazioni d’area.
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MALATTIA DI PARKINSON:
STATO DELL’ ARTE E
NUOVE PROSPETTIVE
TERAPEUTICHE
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MOVIMENTI NON FLUIDI,
TREMORE E STIPSI, COSÌ
IL PARKINSON CAMBIA
LA VITA
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RIABILITAZIONE NEL
PARKINSON, NUOVE
TECNICHE TRA FISICO E
MENTE
Si ringrazia
SIN - Società Italiana di
Neurologia
Il Presidente, Prof. Leandro
Provinciali
Il Prof. Giancarlo Comi per la
cortese attenzione riservata
alla supervisione dello speciale
Federazione Alzheimer Italia
Italia Longeva
In Agenda
47° Congresso della Società
Italiana di Neurologia
Venezia, 22-25 Ottobre
2016
Francesca
Romana Buffetti
Laureata in lettere
e filosofia con una
specializzazione in
Antropologia Medica,
ha collaborato con i
maggiori quotidiani
nazionali. Dirige la Rivista
Scenografia&Costume e
lavora per diverse testate
online
Elida Sergi
Giornalista professionista
dal 2008, dopo aver
collaborato con Repubblica
e Il Gruppo 24 Ore, scrive
oggi per l’Agenzia Ansa,
dove si è specializzata nelle
tematiche legate alla salute
e al benessere
ORIZZONTI
Giancarlo Comi
singole nazioni. Grande importanza hanno perciò assunto i programmi di ricerca
dell’European Research Council per l’entità dei finanziamenti erogati e per la forte spinta all’internazionalità dei progetti
di ricerca. Lo stesso MIUR e il Ministero
della Salute stanno andando verso forme
sempre più integrate di aggregazione a
livello nazionale e internazionale, anche se
per il momento con risultati non del tutto soddisfacenti». Appare anche di grande interesse che anche le associazioni dei
malati, si indirizzino nel finanziamento
di programmi internazionali di ricerca:
un esempio rilevante in tal senso è la
Progressive Multiple Sclerosis Alliance
che vede impegnate le principali associazioni per la lotta contro la malattia,
protagonista tra le altre anche la Fondazione Italiana Sclerosi Multipla. Con un
programma a lungo termine l’iniziativa
ha favorito il crearsi di network internazionali di ricerca per risolvere il problema delle forme progressive di malattia.
Cambiamenti sostanziali nell’ambito
biomedico avvengono non solo nella ricerca, ma anche nell’assistenza. I poderosi sviluppi della ricerca hanno infatti
prodotto la necessità di adeguamenti degli assetti assistenziali che consentano di
sfruttare al meglio le recenti scoperte. La
razionalizzazione e l’efficientamento della spesa sanitaria, assicurando un accesso adeguato all’assistenza, rimangono
un obiettivo strategico fondamentale per
tutti i Paesi membri dell’UE. «La necessità di riorganizzazione avviene purtroppo in concomitanza con una profonda e
persistente crisi economica - continua
il professor Comi - che ha aumentato le
pressioni esercitate sui sistemi sanitari
in molti paesi europei, dove sempre più
spesso vengono attuate misure di contenimento della spesa sanitaria pubblica.
Per la maggior parte delle malattie cro-
Una pubblicazione realizzata da Fonema Comunicazione srl • Editorial manager: Giuseppe Burzo • Project director: Ginevra De Fassi Negrelli
• Redazione: [email protected], Francesca Romana Buffetti, Elida Sergi • Contatti: www.fonemacomunicazione.com
[email protected] - Tel. +39 0692948749 - Fax +39 0692932720 - Fonema Comunicazione @FonemaC
Impaginazione e grafica: Paola Cucchiarini • Stampa: Ciscra spa
Carta Giornale Migliorato ISO 72° da 55 gr/mq • Distribuzione: Le Scienze
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IL GUSTO DI VIVERE?
È UN POTENTE ALLEATO
PER AUMENTARE LA
LONGEVITÀ
Editoriale
Neurologia
Obiettivo cure omogenee in tutta Italia, formazione medici
e prevenzione
F
avorire risposte omogenee in
termini di assistenza sul territorio nazionale. E poi promuovere
profili di cura rivolti a tutte le fasi delle
malattie neurologiche (da quella acuta
alla riabilitazione o alle cure palliative),
stimolare l’educazione alla prevenzione e al monitoraggio delle malattie del
sistema nervoso e potenziare la formazione e l’aggiornamento dei neurologi.
In più, convincere i referenti della sanità
a investire nella crescita delle strutture
dotate delle competenze necessarie.
Queste le sfide future che si propone
la SIN, Società Italiana di Neurologia,
secondo quanto spiega il presidente
Leandro Provinciali. “A fronte di una riduzione delle risorse appare inevitabile
ricorrere a modifiche organizzative, se
non si vuole limitare pesantemente l’assistenza fornita - spiega Provinciali - uno
dei cambiamenti auspicati è basato sui
criteri di appropriatezza e di efficienza
delle risposte assistenziali disponibili,
utilizzando come riferimento la competenza specialistica nell’erogazione dei
servizi. Sulla base di tali presupposti,
è opportuno adottare estensivamente
le risposte assistenziali che si sono già
mostrate efficienti. Ad esempio, è stato
documentato che un approccio competente ha consentito migliori risultati e
risparmio di risorse in molte malattie,
come l’ictus, le cefalee, i traumi cranici, i
tumori cerebrali e altre. Indubbiamente
il potenziamento delle strutture neurologiche potrà consentire un notevole
risparmio di risorse, attraverso percorsi
assistenziali appropriati e più efficienti”.
“È già in atto, in alcune Regioni, un cambiamento significativo dell’organizzazione assistenziale dedicata ai soggetti con
malattie del sistema nervoso - aggiunge
il presidente della SIN - le modifiche introdotte sono basate sull’organizzazione delle cure ospedaliere in termini di
assistenza semintensiva e ordinaria e di
quelle territoriali in relazione ai bisogni
assistenziali. La Società Italiana di Neurologia sta incentivando una sintesi operativa”. “Le difficoltà avvertite in ambito
neurologico sono state spesso frutto di
decisioni frettolose e approssimative
prese in seguito alla riduzione delle ri-
sorse - prosegue- un esempio può chiarire questa considerazione: in alcune
situazioni si è rinunciato ad attuare il
modello dell’Unità Ictus, adottato in tutti
i paesi occidentali, facendo afferire le urgenze neurologiche (soprattutto ictus)
alla Medicina d’Urgenza: dopo alcuni
mesi si è rilevato come tale organizzazione mostrasse sensibili carenze, oltre
ad essere percepita come una limitazione pesante della risposta ai bisogni. Alla
stessa maniera altre urgenze neurologiche, come quelle di origine traumatica,
hanno avuto risposte inappropriate a
cui si è sopperito con rimedi inefficienti
sul piano umano e gestionale. Un’ ulteriore criticità si è osservata nelle malattie ‘croniche’ del sistema nervoso alle
quali talora vuole essere riservata una
competenza ‘generalista’ a cui spesso
conseguono risposte non soddisfacenti e crescita dei bisogni assistenziali”.
“Come SIN - conclude Provinciali- stiamo promuovendo azioni finalizzate a
migliorare gli standard terapeutici delle
malattie del sistema nervoso attraverso
tre azioni: la disponibilità e la diffusione
delle linee guida disponibili; l’attivazione di un servizio di consulenza a favore
dei soci da parte degli opinion leader
più accreditati e la promozione di corsi,
soprattutto a distanza, con rilevanti contenuti operativi”.
Elida Sergi
Leandro Provinciali
Presidente SIN - Societa’ Italiana
di Neurologia
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Neurologia
Scenari
Patient Reported Outcomes: il malato torna al centro della
sua terapia
I
l ruolo sempre più centrale che il
paziente affetto da Sclerosi Multipla ricopre nelle cure che lo riguardano ha dato, negli ultimi anni, forte
impulso allo sviluppo di strumenti atti
a misurare gli esiti soggettivi percepiti
dal paziente stesso. Le misurazioni effettuate direttamente dal malato, infatti, possono integrare i dati di efficacia e
di tollerabilità, abitualmente utilizzati
per registrare un farmaco e valutarne
l’impiego in clinica. «La SM può avere
un decorso spontaneo molto variabile spiega Carlo Pozzilli, Professore Ordinario di Neurologia alla Sapienza di Roma
e responsabile del Centro Sclerosi Multipla del S. Andrea - ed è quindi difficile
valutare la reale efficacia di un farmaco.
I trial clinici si basano sulla scala EDSS
(Expanded Disability Status Scale), uno
strumento molto usato per misurare
le caratteristiche cliniche dei pazienti
affetti da Sclerosi Multipla e valutare
l’effetto di trattamenti sulla progressione della malattia. Si utilizza per quantificare in maniera obiettiva il livello di
disabilità. Oggi è ormai lampante come
le misurazioni effettuate direttamente
dal paziente possano integrare i dati di
efficacia e di tollerabilità, abitualmente
utilizzati per registrare un farmaco e valutarne l’impiego in clinica». «I “patient
reported outcomes”, o PRO, sono costituiti prevalentemente da questionari
strutturati che permettono di ottenere
informazioni sullo stato di salute direttamente dal punto di vista del paziente
senza l’interposizione e l’interpretazione del medico - aggiunge la dottoressa
Marta Radaelli del San Raffaele di Milano. Questi questionari indagano i diversi
aspetti della malattia, come quello motorio, cognitivo, sfinterico, la destrezza
manuale, fondamentale per l’inserimento lavorativo, la capacità di muoversi in
ambienti esterni e di svolgere le attività
della vita quotidiana. Inoltre i questionari sulla qualità della vita permettono
di valutare direttamente l’impatto che
la malattia ha nella vita quotidiana del
paziente. Insomma, coprono i diversi
aspetti della vita e dei comportamenti
di una persona con SM, dal suo stesso
punto di vista. E danno una fotografia
di come stia andando la malattia. Una
fotografia che può essere diversa, complementare e, per certi versi, molto più
ampia della sola valutazione medica basata sul numero di lesioni attive osservabili con la risonanza magnetica o di un
numero che indica il livello di disabilità
acquisita». Un approccio moderno alla
SM quindi, che integra i dati di efficacia
e di tollerabilità con dati che indicano
quanto il paziente percepisca quel farmaco utile a controllare il suo problema
di salute. «Spesso il giudizio espresso dal
paziente - prosegue il professor Pozzilli sulla percezione di un sintomo e quanto
questo impatti sulla vita quotidiana, è
differente da quello valutato dal clinico.
Soprattutto nella considerazione di una
ricaduta, il giudizio può essere discordante, perché non legato a una nuova
lesione né all’attivazione di una già esistente. In ogni caso, effettuare una nuova Risonanza Magnetica significa avere
a disposizione uno strumento sicuro ed
affidabile». «Oltre a questo - spiega ancora la dott.ssa Radaelli - per attribuire
al dato soggettivo raccolto con i PRO una
dignità scientifica che gli permetta di essere considerato quanto i dati oggettivi,
è necessario che sia chiaro cosa misurare e che venga seguita una metodologia
validata per sviluppare i questionari di
misurazione da sottoporre ai pazienti e
che tali strumenti siano validati nella popolazione di pazienti a cui si vuole somministrare ». Il vantaggio dei PRO? «Riportare il paziente al centro della terapia
- conclude Pozzilli - e avviarsi verso una
medicina sempre più personalizzata:
l’aumento delle possibilità terapeutiche
a disposizione per la Sclerosi Multipla ci
permette di trattare i malati in maniera
Carlo Pozzilli
Professore Ordinario di
Neurologia, Università Sapienza,
Roma. Responsabile Centro
Sclerosi Multipla Ospedale
S. Andrea, Roma
Marta Radaelli
Neurologa presso Dipartimento
Neurologico HSR Milano
diversa a seconda dei sintomi. Per questo, la collaborazione tra medico e paziente diventa fondamentale».
Francesca Romana Buffetti
Atrofia celebrale, la quantificazione potrebbe arrivare nella
pratica clinica
A
pplicata in molte malattie
neurodegenerative, come l’
Alzheimer e le demenze fronto-temporali, l’atrofia celebrale, ossia
la valutazione della perdita di volume
cerebrale, è ormai studiata anche nella
Sclerosi Multipla. La sua quantificazione è un approccio utile per valutare
quanto una condizione patologica possa
aver determinato un progressivo danno
neurodegenerativo del sistema nervoso
centrale. “La quantificazione dell’atrofia cerebrale e, possibilmente, della sua
progressione, rappresentano due misure molto importanti per capire meglio
quali siano le associazioni con i diversi
disturbi clinici dei pazienti con Sclerosi
Multipla” spiega Massimo Filippi, professore ordinario di Neurologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele. “Grazie
alla risonanza magnetica, si è dimostrato come la quantificazione dell’atrofia e
della sua progressione siano correlate
con la disabilità locomotoria e con i disturbi cognitivi e possano anche predire l’evoluzione clinica a medio e lungo
termine; - prosegue il Prof. Filippi - attualmente l’atrofia cerebrale è utilizzata
soprattutto nel contesto dei trial clinici
e nell’ambito dei protocolli di ricerca.
Sono tuttavia convinto che l’applicazione anche nel contesto clinico sia possibile in un futuro molto prossimo, ossia in
pochi anni”. “La quantificazione - rileva
- richiede alcuni accorgimenti tecnici e
metodologici. Innanzitutto, sarebbe utile acquisire delle sequenze di RM ad alta
risoluzione. Inoltre, per poter valutare
una variazione nel tempo, è fondamentale che il paziente venga studiato sempre con la stessa apparecchiatura. Infine,
è consigliabile l’uso di software specifici
per una quantificazione automatica,
rapida e affidabile del volume cerebrale, che dovrebbe essere effettuata da
centri dedicati. Una semplice valutazione visiva può non essere una strategia
sufficientemente sensibile, riuscendo
solo a evidenziare quadri già particolarmente avanzati”. ”L’atrofia è misurabile con tecniche avanzate di risonanza
magnetica che prevedono modalità di
acquisizione facilmente standardizzabili
e protocolli di processing, che sebbene
facilmente acquisibili non sono ancora
ampiamente diffusi - aggiunge il Prof.
Gioacchino Tedeschi, Direttore della I
Clinica Neurologica della Seconda Università di Napoli. Grazie all’impiego di
queste tecniche avanzate, sappiamo che
anche in fase iniziale di malattia i pazienti possono presentare un grado di
atrofia superiore a soggetti sani di pari
età; che la presenza di atrofia è predittiva di un’evoluzione meno favorevole e
che la progressione nel tempo depone
per una prognosi meno buona. Al momento, le metodiche sono disponibili
solo in centri di ricerca e permettono di
misurare solo differenze di gruppo ( ad
esempio pazienti verso soggetti sani),
mentre non è ancora possibile esportarli sul singolo paziente. Va però detto che
quando un centro ha stabilito parametri
interni di “normalità” o un consorzio di
centri ha identificato parametri condivisi, è facilmente intuibile che il singolo
paziente che cade fuori da questi range
possa essere considerato ‘atrofico’ ”. “Per
fermare o rallentare il processo di neurodegenerazione – conclude Tedeschi avremmo bisogno di farmaci ad azione
neuroprotettiva, mentre quelli di cui disponiamo attualmente modificano il decorso di malattia principalmente grazie
a meccanismi antinfiammatori. Alcune
nuove molecole però hanno dimostrato
un possibile effetto protettivo nei confronti dell’atrofia e potrebbero essere da
preferire”.
Elida Sergi
Massimo Filippi
Ordinario di Neurologia
dell’Università Vita-Salute San
Raffaele
Gioacchino Tedeschi
Direttore della I Clinica
Neurologica della Seconda
Università di Napoli
6
Neurologia
News
Farmaci consolidati, sicurezza anche nel lungo termine
Si utilizzano come primo approccio terapeutico in
casi a decorso normale e non aggressivo
Gianluigi Mancardi
Direttore della Clinica
Neurologica, Università di
Genova
S
icuri, anche sul lungo termine.
Una garanzia per i medici che li
prescrivono e per i pazienti che
devono farne uso. I farmaci consolidati
per la cura della Sclerosi Multipla, come
il glatiramer acetato, si possono utilizzare, nei casi cosiddetti a decorso normale
e non aggressivo, come primo approccio
terapeutico, iniziando il prima possibile una volta diagnosticata la malattia e
‘monitorando’ con attenzione le risposte
per passare, nel caso di ricadute o attività di malattia osservata alla risonanza
magnetica, ad altri farmaci più adeguati
alla gestione di una malattia molto attiva o progressiva, che tuttavia hanno un
profilo di sicurezza meno vantaggioso .
A spiegarlo è Gianluigi Mancardi, Ordinario di Neurologia e Direttore Dipartimento di Neuroscienze presso l’Università di Genova. “Naturalmente sono
tutti farmaci che hanno una storia lunga
ormai di decenni, li conosciamo molto
bene soprattutto per quello che riguarda il loro profilo di sicurezza - spiega
Mancardi - si tratta di farmaci che si possono somministrare con tutta tranquillità, di cui conosciamo gli effetti collaterali
e con un profilo di sicurezza molto buono. Hanno qualche limitazione, poichè
sono per via iniettiva e hanno un profilo
di efficacia tale da renderli adatti nei pazienti con una malattia non particolarmente aggressiva. La sicurezza garantita
dai farmaci consolidati, in commercio
da circa 20 anni è, oltre che indiscussa,
anche mantenuta a lungo termine, come
attestato dagli studi pubblicati e confermato dalla pratica clinica, sostenuta da
vent’anni di esperienza. “Sia il glatiramer acetato che il beta-interferone sono
i primi farmaci che sono entrati in commercio a metà degli anni Novanta quindi
abbiamo ormai vent’anni di esperienza
- rileva infatti Mancardi - questi farmaci hanno anche sul lungo termine degli
ottimi profili di sicurezza. Il problema è
essere sicuri che la loro efficacia sia adeguata e bisogna essere certi che non sia
necessario in un determinato paziente
passare a farmaci più potenti”. “Se ne fa
un utilizzo nei casi a decorso normale,
poco aggressivi, e riescono a ridurre la
frequenza delle ricadute del 30-40% e
anche l’attività dimostrata in risonanza
magnetica del 50-60%. Sono farmaci
efficaci, però abbiamo ora a disposizione anche altri farmaci, che incidono
ancora di più sulla storia della malattia,
esponendo tuttavia il paziente a maggiori rischi in termini di tollerabilità, in
quanto associati a possibili rischi infettivi e sofferenza di altri organi o apparati,
motivo per cui richiedono un maggiore
monitoraggio del paziente. Al momento
di iniziare ogni nuova terapia, bisogna
valutare la situazione di ogni paziente
e pesare attentamente i benefici clinici
con i potenziali prezzi da pagare in termini di sicurezza. Con i farmaci come il
glatiramer acetato e il beta-interferone i rischi che corriamo in termini di sicurezza
e tollerabilità sono bassi”. Per questo
motivo è molto importante diagnosticare la malattia il prima possibile, agli
esordi, quando questa non è ancora particolarmente aggressiva, in modo da po-
«Naturalmente sono tutti farma-
ci che hanno una storia lunga
ormai di decenni, li conosciamo molto bene soprattutto per
quello che riguarda il loro profilo di sicurezza, si tratta di farmaci che si possono somministrare con tutta tranquillità, di
cui conosciamo gli effetti collaterali e con un profilo di sicurezza molto buono. Hanno qualche
limitazione, poichè sono per via
iniettiva e hanno un profilo di
efficacia tale da renderli adatti nei pazienti con una malattia
non particolarmente aggressiva
»
ter iniziare subito la terapia. “La malattia
va presa all’inizio, all’esordio - continua
l’esperto - e la terapia va iniziata il più
presto possibile: una delle tecniche terapeutiche più utilizzate è cominciare proprio con le terapie consolidate, a buona
tollerabilità e basso rischio, e controllare
nel tempo il paziente. Se risponde, continuare la terapia; se non risponde passare a terapie più efficaci. Se la forma non
è particolarmente aggressiva iniziamo
con questo tipo di terapie, se la forma è
aggressiva e il paziente sta male usiamo
subito dei farmaci più potenti. Dipende
dalla forma clinica della malattia. Questi sono farmaci utilizzati nelle forme a
decorso normale che non hanno parti-
colare aggressività”. Di recente glatiramer acetato è stato reso disponibile per
i pazienti con una nuova formulazione
che riduce il numero di somministrazioni, passando dalla iniezione giornalieria
ad un’iniezione tre volte alla settimana. I
benefici clinici sono quelli di un farmaco
consolidato, ma con un miglioramento
notevole dal punto di vista della maneggevolezza. Un vantaggio indiscusso per i
pazienti. “Il nuovo dosaggio da 40 mg lo
stiamo utilizzando - conclude Mancardi - il vantaggio è che invece di fare un’
iniezione ogni giorno il paziente ne fa tre
alla settimana e per lui è molto meglio”.
Elida Sergi
News
Neurologia
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Sclerosi Multipla e gravidanza: un’incompatibilità che non
esiste. La malattia non influenza la fertilità e non rappresenta
un ostacolo al desiderio di maternità
Maria Giovanna Marrosu
Prof. Ordinario di Neurologia,
Dipartimento di Scienze Mediche
e Sanità Pubblica Università di
Cagliari
A
d oggi, in Italia, la Sclerosi Multipla colpisce circa 68mila persone, in prevalenza donne in
età fertile, tra i 20 e i 40 anni, dato che
rende il tema della genitorialità particolarmente rilevante. Le più recenti
evidenze scientifiche hanno dimostrato
come la Sclerosi Multipla non sia incompatibile con il desiderio di avere un figlio.
La malattia, infatti, non influenza la fertilità - né maschile né femminile - e non
rappresenta un ostacolo alla gravidanza.
«Se ponderata e pianificata dal punto di
vista delle scelte terapeutiche - spiega
Maria Giovanna Marrosu, professoressa
di Neurologia all’Università di Cagliari -
la gravidanza può essere portata avanti
anche da una donna affetta da Sclerosi
Multipla, senza conseguenze sul decorso della malattia e sul nascituro. Gli studi
hanno dimostrato che gli immunomodulatori, come l’interferone o il glatiramer acetato, non influenzano in alcun
modo la fertilità e non provocano danni
al feto. C’è di più, è stato dimostrato che
l’interruzione dei farmaci, necessaria
durante la gravidanza, non provoca ricadute, ma anzi, che la donna in quei mesi
è protetta dalla riacutizzazione». Altrettanto possibile, l’allattamento: «Secondo
alcuni studi, l’allattamento al seno svolge un ruolo protettivo nei confronti delle
ricadute, mentre, secondo alcuni neurologi gli studi sono ancora troppo incerti
per stabilire se davvero ci sia un’azione
immunosoppressiva anche nell’allattamento. Solitamente si consiglia alle
pazienti di allattare per i primi tre mesi
e poi sottoporsi a una Risonanza Magnetica per analizzare se c’è stato un
aumento delle lesioni. Nel momento in
cui si riprende la terapia farmacologica
l’allattamento va comunque interrotto.
Va sottolineato, inoltre, che l’analgesia
durante il parto non comporta alcun rischio». L’enorme variabilità dei decorsi
della malattia e della risposta ai farmaci
rende oggi necessario un dialogo continuo tra medico e paziente, laddove al
paziente viene chiesto di partecipare
attivamente alla scelta della terapia a
seconda delle proprie esigenze di vita:
«Quando devo comunicare la diagnosi a una giovane paziente - racconta la
professoressa - è mio compito non solo
spiegare le prospettive di vita, ma anche
stabilire il trattamento a seconda di una
serie di fattori che esulano dalla malattia
stessa. Il desiderio o meno di avere un
figlio, infatti, può incidere sulla terapia.
Fino a qualche anno fa, per un giudizio
basato sull’opinione comune e non su
una reale base scientifica, era uso dissuadere la paziente dal desiderio di maternità. Oggi, grazie agli studi effettuati,
nessuno la scoraggerebbe mai, a meno
che non sia presente una disabilità importante e la donna possa trovarsi senza
sostegno ad affrontare la gravidanza. Le
situazioni vanno chiaramente ponderate di volta in volta». Allo studio ancora il
nesso tra le variazioni ormonali durante
la gravidanza e la patologia: «Si tratta di
meccanismi complessi che riguardano
il ruolo di alcuni ormoni nel processo
di demielinizzazione. È una delle strade intraprese dalla ricerca». Da diverso
tempo, la professoressa Marrosu coordina il Gruppo di Studio Sclerosi Multipla
afferente alla SIN (Società Italiana Neurologia), nato allo scopo di facilitare la
conoscenza tra i neurologi dei program-
mi di ricerca, la discussione di protocolli
comuni e di studi multicentrici, per la
valutazione dell’efficacia e dell’efficienza
degli interventi terapeutici: «È stato proprio uno studio italiano coordinato dalla
professoressa Amato - spiega la Marrosu - a confermare l’assenza di effetti
collaterali sulla gravidanza di farmaci
impiegati per modificare il decorso della
Sclerosi Multipla e a scartare la possibilità di rischi per il nascituro derivanti
dall’uso sempre più diffuso e precoce
dei farmaci immunomodulanti. La ricerca ha permesso inoltre di costruire un
ampio database di informazioni che permetterà con successive analisi di valutare altri aspetti critici. Non solo, al gruppo
di studio, coordinato dal mio predecessore, il professor Ghezzi, si deve il lavoro
scientifico che ha dimostrato la sicurezza dei farmaci utilizzati nella SM anche
in età pediatrica, ai minori di 18 anni».
Un gruppo di studio, quello della SM, tra
i più attivi in termini di lavori scientifici:
«La SM è una malattia molto diffusa dal
forte impatto sociale ed emotivo, vista
l’importanza epidemiologica che riveste.
Il fatto che oggi esistano diverse terapie
che la rendono una malattia non curabile, ma trattabile, stimola un significativo
e positivo fervore scientifico», conclude
la professoressa.
Francesca Romana Buffetti
« È stato proprio uno studio italiano coordinato dalla professoressa Amato
a confermare l’assenza di effetti collaterali sulla gravidanza di farmaci
impiegati per modificare il decorso della Sclerosi Multipla e a scartare la
possibilità di rischi per il nascituro derivanti dall’uso sempre più diffuso
e precoce dei farmaci Immunomodulanti »
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Neurologia
News
Tempestiva e personalizzata, la rivoluzione terapeutica è iniziata.
I nuovi trattamenti della Sclerosi Multipla permettono un
approccio efficace e innovativo
È
una rivoluzione terapeutica
quella in atto nel campo della Sclerosi Multipla secondo il
professor Giancarlo Comi, primario del
Dipartimento Neurologico e dell’ Istituto di Neurologia Sperimentale del San
Raffaele di Milano: «Come spesso accade - dice il professore - è necessario allontanarsi dai processi che si osservano
per comprenderli davvero. Distaccandosene, infatti, diventa chiaro come dopo i
primi trattamenti messi a punto negli
anni Novanta, come l’interferone e il glatiramer acetetato, immunomodulanti in
grado di ridurre l’attività di malattia di
circa un terzo, si sia passati ai primi anni
duemila a un farmaco assai più potente,
ma con un importante rischio di morte
o disabilità grave, il natalizumab, per arrivare negli ultimi 3-4 anni a un’ondata
di nuovi farmaci, inclusi i primi farmaci
orali, con un miglior equilibrio tra efficacia e sicurezza. Lo scorso autunno sono
stati presentati i risultati di studi definitivi di un nuovo farmaco, l’ocrelizumab,
un anticorpo monoclonale umanizzato
che distrugge selettivamente i linfociti
B. Il farmaco per il suo meccanismo d’azione associa a una grande efficacia un
profilo di sicurezza molto rassicurante,
almeno per un uso limitato nel tempo.
Ciò consente un salto di qualità nella
cura della malattia perchè il favorevole
profilo d’azione consente di impiegare
il farmaco anche nelle fasi iniziali di malattia, una strategia definita di induzione.
Tale strategia consiste nell’aggredire immediatamente la malattia con una forte terapia e poi, una volta ottenutone il
controllo, si può passare a una terapia di
mantenimento a basso rischio di effetti
avversi. L’aspetto sorprendente di questo farmaco è che ha funzionato anche
nei pazienti con forme primariamente
progressive di malattia per i quali fino ad
oggi non esistevano trattamenti efficaci.
ocrelizumab ha ridotto in modo significativo il rischio di progressione della
disabilità e l’incremento di atrofia cerebrale nei due anni di trattamento che la
sperimentazione clinica prevedeva. Solo
una parte dei pazienti ha risposto alla
terapia, per lo più quelli che presentavano una residua attività infiammatoria
rivelata dal persistere di attacchi e dalla
comparsa di nuove lesioni alla risonanza magnetica dell’encefalo, ma si tratta
di un progresso significativo che apre
una possibilità anche per i pazienti affetti da forme progressive di malattia.
Ritornando ai pazienti con forme di malattia a ricadute e remissioni, la varietà di
farmaci disponibili caratterizzati da profili d’azione diversi e la disponibilità di
diverse strategie terapeutiche consente
di mettere in atto una terapia personalizzata. L’approccio personalizzato consente di individuare per ogni paziente,
in ogni momento della sua storia, quale
sia il trattamento più opportuno: un metodo che mira ad ottimizzare il rapporto
rischio-benefici e a conseguire, in una
proporzione significativa dei pazienti,
un controllo significativo della malattia.
«Oggi è possibile adattare l’intervento
terapeutico a seconda dei pazienti affetti
da Sclerosi Multipla, massimizzando i
benefici e minimizzando i rischi. Si tratta,
tra l’altro, di un approccio che favorisce
il risparmio di risorse economiche, perchè evita l’impiego improduttivo di farmaci spesso molto costosi. Due elementi
sono fondamentali per il successo di una
terapia personalizzata: la tempestività
dell’intervento e la possibilità di predire
la risposta a una determinata terapia.
Per questo motivo la diagnosi precoce è
di grande rilevanza e ci si appresta a produrre nuovi criteri diagnostici che consentano di anticipare ulteriormente i già
brevi tempi di diagnosi. Dall’altra parte
la medicina predittiva ha avuto una vera
e propria esplosione, soprattutto grazie
alla disponibilità di nuovi biomarcatori.
La predizione dell’evoluzione della malattia e della risposta ai singoli tratta-
Giancarlo Comi
Primario dell’Unità di Neurologia,
Neurofisiologia Clinica e
Neuroriabilitazione dell’Ospedale
San Raffaele di Milano
menti è assai complessa nella Sclerosi
Multipla, ma significativi passi avanti si
sono fatti negli ultimi anni. Di grande importanza in tale direzione sono gli esami
di risonanza magnetica e neurofisiologici. Come in una partita a scacchi diventa
essenziale predire ed anticipare le mosse dell’avversario. Dato che le malattie
croniche neurodegenerative condividono alcuni aspetti patofisiologici comuni,
c’è infine la speranza che le scoperte in
un determinato campo possano giovare
anche ad altre patologie e si possa giungere a una condivisione di strategie terapeutiche».
Francesca Romana Buffetti
Nuovo trattamento con anticorpo monoclonale
In Italia la Sclerosi Multipla colpisce 72.000 persone
Il rapporto donna/uomo è
a
24%
47%
Funziona su pazienti con:
SM Recidivante Remittente
(SMRR)
SM Progressiva Secondaria
(SMPS)
con recidive
di riduzione del rischio di
progressione della disabilità clinica
(confermata dopo almeno 12 settimane)
24%
di riduzione del tasso
annualizzato di recidive
di riduzione del rischio
di progressione della
disabilità clinica
(confermata dopo almeno
24 settimane)
43%
29%
di riduzione del rischio di
progressione della disabilità
(confermata a 12 settimane)
di tempo in meno a
percorrere una distanza
di 7,6 metri
94%
di diminuzione
del numero totale di lesioni
3,4%
80%
il calo medio delle
lesioni nuove o
aumentate di volume
Fonti: Studio Opera I, Opera II e Oratorio
L’anticorpo monoclonale umanizzato
colpisce in modo selettivo
solo le cellule B
lasciando intatte
le altre cellule
del sistema immunitario
17,5%
di riduzione del tasso di
perdita del volume cerebrale
(periodo di 120 settimane)
di riduzione del
volume delle lesioni
(periodo di 120 settimane)
Per la prima volta
il trattamento è attivo
anche per pazienti con
SM Primariamente Progressiva
(SMPP)
Risultati dell’utilizzo
dell’anticorpo monoclonale
rispetto al placebo
10
Neurologia
Focus
Malattia di Parkinson: stato dell’arte e nuove prospettive
terapeutiche
O
ggi la malattia di Parkinson colpisce in Italia circa 300.000 persone, per lo più maschi, con età
d’esordio generalmente in età adulta.
Non essendo ancora noti i fattori causali
della malattia, non esistono terapie eziologiche, ma a disposizione dei pazienti
ci sono terapie sintomatiche efficaci per
migliorare la mobilità, la rigidità e il tremore. «I farmaci sono ormai collaudati
e trattano in modo molto soddisfacente
la malattia fino a uno stadio non molto
avanzato, - spiega Alfredo Berardelli,
professore presso il Dipartimento di
Neurologia e Psichiatria della “Sapienza” di Roma - la somministrazione di
levodopa è attualmente il gold standard e migliora in modo soddisfacente
i disturbi motori». Da qualche anno, al
trattamento farmacologico viene affiancata la terapia chirurgica, destinata
alle fasi più avanzate: «L’intervento di
neurochirurgia si basa sulla stimolazione profonda di alcune zone cerebrali
mediante elettrodi collegati ad un generatore di impulsi elettrici impiantato
in una tasca cutanea sotto la clavicola.
È molto utile in quei pazienti che non
rispondono alla terapia farmacologica o
in cui si presentino discinesie da levodopa, ovvero quei movimenti involontari
indotti dal farmaco stesso. Inoltre, è in
studio una metodica non invasiva che
utilizza ultrasuoni altamente focalizzati
per il trattamento dei tremori. In futuro potrebbe rivelarsi efficace anche per
altri sintomi della malattia, ma ancora
è troppo presto per fare una valutazione. Con l’evoluzione della malattia e la
comparsa di complicanze motorie, sono
previste anche infusioni duodenali di
levodopa». Parte integrante di qualsiasi
trattamento si è rivelata l’attività fisica,
in quanto migliora la plasticità cerebra-
le: «I parkinsoniani che svolgono attività
continua – ricorda Berardelli - stanno
meglio di quelli che non la praticano.
Per questo, bisogna stimolarli di più». La
ricerca, oggi, si focalizza sui meccanismi
che scatenano la patologia, caratterizzata dalla degenerazione della substantia
nigra, dove sono localizzati i neuroni che
producono la dopamina, neurotrasmettitore fondamentale per l’esecuzione
dei movimenti: «L’attenzione è rivolta
su una proteina - dice Berardelli - l’alfa
sinucleina, che accumulandosi genera
aggregati, fondamentali nella morte dei
neuroni dopaminergici. Sono in corso
dei trial europei su una terapiea in grado
di bloccare l’accumulo di questa proteina. In un studio condotto dalla Sapienza
è emerso che la variazione del livello
della proteina nella saliva si correla con
la gravità dei sintomi motori. Ora siamo
al lavoro per capire se questo biomarker
Alfredo Berardelli
Professore ordinario presso
il Dipartimento di Neurologia
e Psichiatria della Facoltà di
Medicina e Odontoiatria della
“Sapienza”, Università di Roma
possa essere utile anche nel distinguere
il Parkinson dai parkinsonismi atipici,
che nelle fasi iniziali sono di difficile diagnosi».
Francesca Romana Buffetti
Movimenti non fluidi, tremore e stipsi, così il Parkinson cambia la vita
P
oca fluidità dei movimenti, tremore, difficoltà nell’andatura
e nell’equilibrio e poi stipsi e
necessità di urinare di frequente, oltre
che apatia. Questi i principali problemi che incidono sulla qualità di vita dei
pazienti affetti dal Parkinson. Le terapie, che si focalizzano sul trattamento
dei sintomi, contribuiscono a garantire
una discreta gestione della malattia e
a queste si affiancano nuovi farmaci, la
neurochirurgia funzionale e la terapia
fisica. A spiegarlo è Alberto Albanese,
Responsabile UO Neurologia dell’Istituto Clinico Humanitas. “Vi sono diverse
terapie per i sintomi che, nel complesso,
contribuiscono a garantire una discreta
qualità di vita ai pazienti. Sono in fase di
commercializzazione nuovi farmaci che
si basano su meccanismi d’azione innovativi e hanno l’obiettivo di migliorare i
sintomi poco controllati dalla terapia già
disponibile, le discinesie (i movimenti
involontari ndr) - spiega Albanese - la
neurochirurgia funzionale ha fatto passi
da gigante, consentendo di gestire molti
sintomi potenzialmente invalidanti prima che influiscano sulla qualità di vita”.
“C’è inoltre oggi una rinnovata attenzione per i sintomi non motori - aggiunge
- poiché sono disponibili poche possibilità terapeutiche. Un aspetto particolare
è rappresentato dai deficit cognitivi lievi,
per i quali sono in corso sperimentazioni
innovative. Un settore in rapida espansione è rappresentato infine dalla terapia fisica che consente di gestire equilibrio, andatura e capacità di eseguire
più compiti contemporaneamente”. “La
maggior parte delle terapie oggi disponibili sono sintomatiche - rileva ancora
l’esperto - i diversi studi volti a valutare
la possibilità di influire positivamente
sul decorso della malattia hanno finora
dato esito negativo. C’è molta ricerca di
base sui meccanismi che causano degenerazione dei neuroni, per lo meno
per alcune forme di Parkinson geneticamente determinate. La strada è ancora
lunga, anche se, rispetto ad altre malattie neurodegenerative, abbiamo un’idea
chiara di cosa cercare”. “La prescrizione
medica - conclude Albanese, che fa riferimento in particolare alla levodopa,
il farmaco considerato più efficace - è
complessa e richiede molta aderenza
da parte del paziente, al contrario della
i pazienti l’unico approccio utile è quello della riabilitazione”. “Per l’intervento
riabilitativo esistono principi generali,
come peraltro anche per le terapie farmacologiche, che però devono essere
sempre ‘personalizzati’ sulle caratteristiche del singolo paziente - prosegue
l’esperto - sono state inoltre sviluppate
in questi ultimi anni alcune tecniche di
riabilitazione che abbinano agli esercizi
di tipo fisico, anche degli interventi di
tipo cognitivo, legati all’attenzione e alla
concentrazione. Ad esempio tecniche
basate sulla simulazione mentale del
movimento, o sull’osservazione dell’azione, che hanno il duplice vantaggio
di consentire al paziente di fare degli
esercizi e rafforzare l’effetto di questi
ultimi con un aspetto di tipo cognitivo”.
“La terapia riabilitativa è sempre com-
plementare a quella farmacologica, non
può sostituirla, le due cose vanno di pari
passo - sottolinea Abbruzzese - in linea
di massima va bene per tutti. Un limite
importante è però quello delle capacità
intellettive. Ad esempio se il paziente,
come purtroppo succede nelle fasi molto avanzate di malattia, ha una demenza, che talvolta è associata al Parkinson,
questo può rappresentare un limite per
la riabilitazione”. “Per quanto riguarda i
benefici – conclude - alla fine dello scorso anno abbiamo portato a termine uno
studio finanziato dall’UE che era mirato
all’esercizio sul tapis roulant, con l’immersione in un ambiente di realtà virtuale, che ha dimostrato un effetto migliore
rispetto all’esercizio fisico semplice. Nei
pazienti è stata infatti riscontrata una
riduzione del rischio e del numero di ca-
Alberto Albanese
Responsabile UO Neurologia
dell’Istituto Clinico Humanitas
terapia chirurgica, che si basa sull’erogazione di stimoli elettrici generati da parte di pacemaker programmabili”.
Elida Sergi
Riabilitazione nel Parkinson, nuove tecniche tra fisico e mente
F
ondamentale soprattutto considerando che il Parkinson è una
malattia progressiva e quindi i
sintomi con il passare degli anni si aggravano o se ne aggiungono di nuovi, la
riabilitazione si basa sempre più su tecniche moderne che combinano l’aspetto
motorio con quello cognitivo. A spiegarlo è Giovanni Abbruzzese, professore
ordinario dell’Università di Genova. “Col
passare degli anni ci sono una serie di
sintomi che si aggravano o nuovi sintomi che compaiono e purtroppo le terapie farmacologiche di cui disponiamo
perdono con il tempo parte della loro
efficacia - spiega Abbruzzese - nelle fasi
più avanzate di malattia vi sono alcuni
sintomi, disturbi dell’equilibrio e del
cammino, che non sono sensibili alle terapie farmacologiche. Per poter aiutare
dute dopo il trattamento. Questo grosso
studio è durato vari anni e i risultati sono
in corso di pubblicazione”.
Elida Sergi
Giovanni Abbruzzese
Professore ordinario
dell’Università di Genova
Orizzonti
Neurologia
Il gusto di vivere? È un potente alleato per aumentare
la longevità
L
’obiettivo della longevità? «Vivere meglio possibile più a lungo possibile - dice il professor
Roberto Bernabei, presidente di Italia
Longeva, agenzia nazionale per la longevità attiva - Chi invecchia meglio vive di
più, perché qualità e quantità della vita
vanno di pari passo. Non potendo incidere direttamente sulla lunghezza della
nostra esistenza, conviene che ci sforziamo di migliorarne la qualità: se non altro
perché gli studi ci dicono che la genetica
influisce sulla durata della vita solo per
un 20%. Quindi la determinazione del
numero dei nostri giorni è per buona
parte nelle nostre mani. Il vero obiettivo della longevità, allora, è tentare di far
durare più a lungo possibile il senso di
responsabilità e l’interesse per una vita
sana, autonoma e autosufficiente. Detto
in altre parole, è lo sforzo di preservare
una qualità di vita che aiuti a non perdere il “gusto della vita”». Con l’invecchiamento, tuttavia, diminuiscono sia i neuroni cerebrali che il peso dell’encefalo;
trasformazioni che in qualche modo influiscono sulle demenze senili, dalle più
lievi alle più gravi: «Vi sono poi patologie
neurologiche – che pure rientrano nella
macrocategoria delle demenze – le quali
danno luogo a un repentino decadimento mentale: le più diffuse fra gli anziani
sono Alzheimer e Parkinson. Tutte queste patologie incidono sulla memoria,
sull’attenzione, sulla concentrazione e,
negli stadi più avanzati, sulla capacità
di parlare, di comprendere, di riconoscere persone e stimoli esterni. Così il
paziente finisce per non essere in grado di svolgere le più semplici mansioni
quotidiane e ciò apre la strada a malnutrizione, rischio di infezioni e patologie
cardiocircolatorie. Le malattie del sistema nervoso sono fra i primi nemici della
longevità, perché minano quel “gusto di
vivere”, quintessenza della qualità della
vita». La complessità, anche dal punto
di vista fisiopatologico, di queste patologie rende difficile stabile in che misura la prevenzione sia efficace, tuttavia
esiste una strategia: «Si può riassumere
in uno slogan - illustra ancora Bernabei - mangiare bene, allenare il cervello
e fare di tutto per dormire bene. Per la
prevenzione dell’Alzheimer, infatti, più
che all’alimentazione presterei un’at-
tenzione particolare al sonno: sembra
che dormire bene faciliti la rimozione di
proteine tossiche dal cervello, riducendo l’accumulo di beta-amiloide e quindi
l’innescarsi dei meccanismi di tossicità
che causano questa malattia. Per le demenze in genere è provato che alla loro
origine ci sia anche la carenza di folati e
vitamina B12. In generale direi che poco
sodio e tanti Omega 3, ma anche poco
colesterolo e tante fibre, sono abitudini
che non possono che aiutare, e non solo
a livello di sistema nervoso». Indicazioni,
quelle del professore, confermate anche
dall’esistenza delle Blue Zone: «Si tratta
di aree geografiche in cui le persone vivono più a lungo della media. Il concetto
è nato quando lo studioso Gianni Pes,
italiano, ha tracciato sulla cartina geografica una serie di cerchi blu, per individuare queste zone. Poi, l’americano Dan
Buettner le ha identificate: l’Ogliastra in
Sardegna, regione della quale è originario Gianni Pes, l’isola di Okinawa in Giappone, il distretto di Nicoya in Costa Rica,
l’isola di Icaria in Grecia e la comunità di
avventisti di Loma Linda, in California.
Vi risiedono piccole popolazioni che
conducono una vita frugale. Ci ricordano che cibi elaborati, sedentarietà, isolamento sociale, vizi e ogni altra abitudine
che si discosti dallo stile di vita di popoli
pastorali, con un’alimentazione essenziale e la necessità di spostarsi al seguito
delle greggi, sono le strategie meno efficaci per candidarsi alla longevità», conclude il professore.
Francesca Romana Buffetti
Roberto Bernabei
Presidente Italia Longeva
11
I.P.
XLVII CONGRESSO
SOCIETÀ ITALIANA
DI NEUROLOGIA
Venezia, 22-25 Ottobre 2016
Polo Congressuale - Lido di Venezia