Il Foglio - 5 Ottobre 2016

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Transcript Il Foglio - 5 Ottobre 2016

IL FOGLIO
Redazione e Amministrazione: Via Vittor Pisani 19 – 20124 Milano. Tel 06 589090.1
ANNO XXI NUMERO 235
quotidiano
Sped. in Abb. Postale - DL 353/2003 Conv. L.46/2004 Art. 1, c. 1, DBC MILANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016 - € 1,80
DIRETTORE CLAUDIO CERASA
Gli intellettuali sul carro anti intellettuale di Trump: l’eterogenesi dei fini come metodo di vita e di governo
New York. Gli intellettuali che sostengono Donald Trump non
condividono un manifesto né un programma, ma s’assestano su
una convinzione: “Date le scelte possibili alle elezioni per la presidenza, crediamo che Donald Trump sia il candidato che ha più
DI
MATTIA FERRARESI
possibilità di restaurare la promessa dell’America, e vi chiediamo di sostenerlo così come lo sosteniamo noi”. La lista di nominativi che segue questo stringato appello, una chiamata alle armi più che una dichiarazione programmatica, è quanto di più eterogeneo si possa immaginare. Si va da Peter Thiel, imprenditore
della Silicon Valley libertario e gay che giusto l’altro giorno in una
conferenza all’American Enterprise Institute ha detto che “l’America è il paese della frontiera, non siamo leali verso la nostra tradizione se non cerchiamo qualcosa di nuovo” e si arriva fino a Ru-
Le stilettate di de Bortoli e Mucchetti
al piano JP Morgan portano acqua
alla banca di Guzzetti e Bazoli
E Draghi da che parte sta?
Roma. Dopo la conquista estiva della Rizzoli Corriere della Sera da parte della cordata guidata dall’outsider Urbano Cairo con
Intesa Sanpaolo a discapito di quella patrocinata da Mediobanca, è attorno al Monte
dei Paschi che sta riemergendo un conflitto che molti pensavano sorpassato. Uno
scontro al calor bianco che ha come epicentro la madre delle crisi bancarie e vede sfidarsi Intesa, polo d’interessi cattolici e lombardi, e Mediobanca, dall’influenza residua
ma sufficiente a conservare il ruolo fondativo di
“tempio” della finanza laica e passe-partout per blasonate istituzioni angloamericane in Italia. Lunedì
con due articoli complementari Ferruccio de Bortoli sul Corriere della Sera,
di cui è ex direttore, e il senatore pd ed ex corrierista MATTEO RENZI
Massimo Mucchetti,
sul
Fatto quotidiano, hanno demolito il piano
di ricapitalizzazione da 5 miliardi di Mps affidato dal governo di Matteo Renzi a JP
Morgan con la collaborazione di Mediobanca dopo un incontro con il ceo della banca
d’affari americana Jamie Dimon a luglio. Il
governo prima pensava di sfidare le nuove
regole europee del bail-in e azzardare il
suo opposto, il bail-out. Le critiche affondano sui criteri della “opaca” operazione che
vede gli americani determinati a lucrare
sulle commissioni e sulla cartolarizzazione
dei crediti deteriorati. JP Morgan, sulle basi di un pre-accordo di sottoscrizione per
l’aumento di capitale, fornirebbe un prestito ponte di tre anni in cambio della garanzia sul totale monte sofferenze di Mps, 28
miliardi, valutato al 17 per cento del valore di carico contro il 33 riconosciuto dal
fondo Atlante di Giuseppe Guzzetti, capo
della fondazione Cariplo, che si è prenotato per rilevare una fetta minore dei credi(Brambilla segue nell’inserto IV)
ti cattivi.
Geopolitica in banca
La “guerra economica americana”
anti Berlino, gli investment banker
referendari in Italia e altri intrecci
Roma. Le azioni delle banche italiane
vengono scambiate in Borsa “a sconto” rispetto a quelle della concorrenza europea,
con un differenziale che si sarebbe ampliato nello scorso mese fino al 30-32 per cento,
secondo gli analisti di Credit Suisse. I quali
ieri, in un report per i clienti, hanno spiegato che ad allontanare gli investitori contribuiscono “le incertezze politiche, gli elevati stock di Npl (non performing loans, ndr) e
la percezione di un rischio sistemico”. Lo
scenario dell’uscita dell’Italia dall’euro –
successivo a una eventuale vittoria del No
al referendum costituzionale, seguita da dimissioni del presidente del Consiglio Matteo Renzi e ascesa del Movimento 5 stelle –
“richiede una sequenza di eventi improbabili o internamente incoerenti”. Eppure già
ipotizzarlo ieri ha contribuito a deprimere
i titoli bancari a Piazza Affari. Al punto che
il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, si è messo quasi sulla difensiva, dopo
aver evocato due giorni fa – intervistato dal
Foglio al Teatro Parenti di Milano – “una
crisi di sfiducia” in caso di vittoria del No
al referendum: “Se c’è un timore a livello internazionale che lega l’esito del referendum
alla stabilità dei mercati – ha detto ieri il numero uno di Via XX Settembre – non è qualcosa che ho messo in giro io, è qualcosa che
gli ‘investment bankers’ fanno regolarmente, purtroppo ormai da settimane”. Nel pieno di nuove turbolenze del settore del credito in Europa, le banche allo stesso tempo sono percepite come attori minacciosi della
politica internazionale. L’Italia non è l’unica arena di questa forma di estrema “politicizzazione” degli istituti. Un esempio viene dalla Germania e dalle polemiche geopolitiche che montano attorno a Deutsche
(Lo Prete segue nell’inserto IV)
Bank.
chiarazione di intenti per capire che i firmatari di questo appello senza agenda politica arrivano a Trump da strade diverse e perfino opposte. Hanno idee antitetiche sul contenuto della “promessa dell’America” di cui parlano, e nondimeno pensano che il candidato repubblicano sia l’uomo giusto per restaurarla. Come ha
osservato Ross Douthat sul New York Times, una parte ha aderito all’appello perché è convinta che Trump, se sarà eletto, governerà come un repubblicano mainstream, un’altra parte ha invece firmato proprio perché è convinta che taglierà con la tradizione del Gop di Reagan e dei Bush. In questa grandiosa eterogenesi dei fini il consenso si concentra sul mezzo, Trump, carro vasto
e carnascialesco sul quale c’è posto un po’ per tutti. Ognuno ci sale per i motivi che giudica più opportuni, coltivando una certa
immagine della “promessa dell’America” che chiede di restaurare. Non è forse questo carattere amorfo e, per così dire, neutra-
le, una delle chiavi per decrittare l’ascesa di Trump? In apparenza lo stile becero e sboccato lo rende il più inflessibile e divisivo
dei candidati, genere “o con lui o contro di lui”, ma in realtà la
sua natura è liquida e il vuoto delle sue convinzioni politiche lascia spazio a chi di mestiere produce idee. La alt-right xenofoba
lo considera, hegelianamente, una “astuzia della ragione”, portatore inconsapevole di una missione più alta. Quale sia esattamente questa missione è oggetto di interpretazione, ma a questo punto si tratta di un’incertezza programmatica. Il resto lo fa l’avversione a Hillary e alla dinastia Clinton, collante formidabile, spesso avulso – a sua volta – da considerazioni ideologiche. Così l’appello senza contenuti degli “scrittori e studiosi” è la presa di posizione meno polarizzata che esista, nel mezzo di un contesto politico in cui chiunque, dal barista al presidente, da anni dice che
la polarizzazione è il morbo che sta strangolando l’America.
LA GUERRA DEI DUE MONDI
La società degli angeli
LA TRUFFA DEL GRILLISMO
Dietro la sfida del referendum non c’è solo lo scontro tra costituzionalisti
ma c’è una partita più grande che riguarda la scelta tra due modelli di paese:
competizione vs concertazione. Cosa sono i due universi non comunicanti
“Il Papa ha ragione, la teoria del
gender è una guerra alla civiltà
occidentale”. Parla Bérénice Levet
A Roma non sono in crisi solo una sindaca e un’assessora. E’ in stato patologico
un intero progetto antipolitico fondato sul pressappochismo, la demagogia,
l’inettitudine, l’obliquità, l’uso sbagliato del congiuntivo. Non coglionateci, ok?
Secondo round dopo Rcs
Sul Monte dei Paschi si
scontrano Intesa
Sanpaolo e Mediobanca
sty Reno, cattolico direttore della rivista conservatrice First
Things, che ha scritto di recente un libro sulla “resurrezione dell’idea della società cristiana”. La tesi fondamentale è che i due pilastri del potere americano, la cultura liberal-democratica e l’economia di mercato, si trasformano in mortali debolezze se non
rimangono ancorate alle loro fondamenta cristiane. Uno s’affanna per raggiungere la Singularity, l’altro per rivalutare il Sacro
Romano Impero. In mezzo ci sono intellettuali di matrice neocon
come Michael Ledeen, liberisti sul genere di F. H. Buckley, neospengleriani à la David Goldman, tradizionalisti antiliberali, nostalgici del nazionalismo e internazionalisti delusi dalla globalizzazione. C’è pure un grande tycoon canadese che ha sperimentato sulla propria pelle l’accanimento per via giudiziaria dell’establishment liberal sui player non allineati: Conrad Black è a
tutt’oggi persona non grata negli Stati Uniti. Non occorre una di-
G
ustavo Zagrebelsky ha ragione quando
dice che dal suo punto di vista il confronto con Matteo Renzi è stato inutile, perché
in ballo, ha detto l’inquisitore del No, oggi
non ci sono solo diverse idee di Costituzione ma ci sono visioni del mondo diverse e opposte che semplicemente vivono come extraterrestri in universi diversi, non comunicabili. Il punto in effetti è esattamente questo ed
è inutile girarci attorno: nella gustosa dialettica tra il fronte del No e il fronte del Sì esistono valide ragioni per contestare o elogiare alcune specifiche modifiche presenti nel
ddl Boschi ma al netto delle considerazioni
di natura tecnica la vera ciccia della questione riguarda le due visioni opposte del
mondo che si trovano alla
radice delle motivazioni
che spingono ora ad avvicinarsi verso il Sì, ora ad avvicinarsi verso il No. E andare a studiare le due visioni ci può aiutare a capire per quale ragione
l’elettore di centrodestra non sa ancora del
tutto da che parte virare: Sì o No?
Matteo Renzi sostiene da mesi che l’Italia-che-dice-no lo fa
solo ed esclusivamente
per inviare un avviso di
sfratto al presidente del
Consiglio. In parte è vero
ma lo è fino a un certo punto. Perché dietro alle ragioni
del No, o almeno dietro a molte di
esse, c’è una precisa e consapevole visione
del mondo che viene manifestata in modo
franco, a viso aperto, e che prevede la difesa di un sistema politico e istituzionale come quello attuale. Costruito deliberatamente per avere governi deboli, per non offrire
eccessivi poteri al presidente del Consiglio,
per non dare agli elettori il pieno potere di
scegliere da chi farsi governare, per far sì
che nessuna minoranza sia del tutto tagliata fuori dalle dinamiche di governo e per
alimentare di continuo quello che è il vero
baco della Costituzione italiana: l’affermazione di una democrazia che ha deciso di
concentrarsi più sulle esigenze del demos
che sulle esigenze del cratos. In altre parole: una democrazia che rappresenta il popolo ma senza avere di fatto i poteri per farlo.
Il tic ideologico che si nasconde dietro il
fronte del No – e che inevitabilmente porta
a considerare Renzi come un perfetto erede di Berlusconi – coincide dunque con una
precisa attitudine di una parte importante
del nostro paese sintetizzabile più o meno
così: la politica non deve essere messa nelle condizioni di prendere tutte le decisioni
che ritiene giusto prendere per la semplice
ragione che chi governa deve accettare di
essere governato da alcune delle grandi forze invisibili del paese (non è un caso che
contro questa riforma siano schierate molte forze che negli ultimi vent’anni hanno
provato con successo a governare coloro che
dovevano governare: il capo della Cgil, il capo degli ambientalisti, il capo dei sindacato dei magistrati, il capo dei magistrati di sinistra, il capo dei girotondini). Quello che in
queste ore nessuno dice con chiarezza è che,
comunque la si pensi, il succo della sfida referendaria è questo ed è tutto in una precisa dialettica. Da un lato c’è la competizione,
la possibilità di dare a chi vince le elezioni
(chiunque esso sia) gli strumenti per governare senza essere ostaggio degli ottimati,
senza dover rinunciare al primato della politica, senza dover necessariamente rappresentare platonicamente più il partito dei sapienti che il partito degli eletti. Dall’altro lato invece c’è una più inevitabile tendenza
Maria Laura Rodotà, della
quale, per un motivo o per
l’altro, molti di voi potrebbero aver sentito parlare, ha
compiuto ieri un altro gesto
notevole. Ha postato su Twitter, cioè, una
foto di Ivanka Trump, figlia del candidatissimo yankee, accompagnandola con un distico: “Ricorda qualcun*”. Dove a balzare
agli occhi, prima di tutto, era la raffinatezza di quel *, che lasciava alla malizia attenta del lettore se potesse mai sottoindere
una a, o piuttosto una o. Ora. Non bisognava poi essere così esclusivisticamente maliziosi per accorgersi, e al volo, della forte
alla concertazione, una predisposizione involontaria o forse volontaria a promuovere
un sistema dove nessuno vince davvero, dove nessuno decide davvero, dove nessuno è
responsabile di nulla. Si può discutere
quanto si vuole del merito della riforma Costituzionale e della qualità dell’Italicum. Ma
non si può non riconoscere una cosa semplice: un combinato disposto che diminuisce le
possibilità che vi sia un Parlamento ingovernabile – attraverso (a) una legge elettorale
che offre alla lista vincente un numero di
parlamentari minimo per poter governare e
(b) una riforma costituzionale che cancella
il rapporto di fiducia tra il governo e il Senato – rafforza i governi e
rende gli esecutivi potenzialmente più forti e,
più responsabili. Si può
dire poi, come sostiene
giustamente Stefano Parisi, che il problema di
questa riforma è che non
si semplifica tutto quello
che si doveva semplificare – e che il Senato è abolito solo a metà, che i poteri del presidente del
Consiglio purtroppo non
vengono toccati direttamente, che il premio di
maggioranza alla Camera
non offre garanzie di stabilità assolute in quanto
regala a chi vince le elezioni solo 24 parlamentari in più rispetto a quelli
necessari per avere la maggioranza alla Camera e che per dare alla classe politica la possibilità di liberarsi dal cappio della società degli ottimati bisognerebbe reintrodurre l’immunità parlamentare.
Si può dire tutto questo e ci si può rattristare per una riforma non perfetta ma non si
può non riconoscere che la sfida del referendum è una sfida che non può essere capita fino in fondo se ci si perde nei dettagli
e se non si capisce che quella in corso è una
sfida dove la lotta vera è tra chi si augura
che l’Italia si doti dei requisiti necessari anche se non sufficienti per non essere ostaggio dei professionisti del veto e tra chi accetta di lasciare tutto immobile e di danneggiare non tanto Renzi ma tutti coloro che sognano di ritrovarsi un giorno con una politica
forte che esercita il suo potere in nome del
popolo che lo ha eletto e non in nome di una
società civile che sfruttando un sistema imperfetto prova ogni giorno a commissariare
la politica. Alla luce di quanto descritto, si
capisce dunque la ragione per cui la sconfitta del fronte del Sì coinciderebbe con l’affermazione di un’altra precisa tentazione
politica: il ritorno della cultura proporzionale, l’idea che la rappresentatività sia più
importante della governabilità. Una cultura
legittima ma che semmai fosse necessario
dimostra che la guerra dei due mondi non
è solo tecnica ma è soprattutto culturale. E’
tra chi crede che non debba esistere nessun
governo capace di decidere autonomamente e tra chi crede che un governo debba avere i requisiti minimi per, suggerirebbe Fabio Rovazzi, andare a comandare. Dice bene
il nostro amico Massimo De Angelis: “Renzi ha mostrato nel confronto con Zagrebelsky tutte le ragioni del Sì. Fa ancora fatica
a tirare fuori quella forse decisiva: far vincere il Sì serve non tanto ad abbassare i costi della politica ma in primo luogo ad avere una politica forte, necessaria proprio per
bilanciare i ‘poteri forti’ evocati da Zagrebelsky (finanza globale, etc.) che se la spassano con parlamenti lenti e frammentati che nemmeno la dieta polacca dell’Ottocento. La verità è questa. Smettiamola di farci le seghe”.
somiglianza della signora Ivanka con la signora Patrizia D’Addario (in Berlusconi).
Né, di conseguenza, per capire come la Maria Laura avesse saputo cogliere, con quell’unico piccione, la doppia fava della politica interna e della estera. Abbatteva infatti, con quelle che lei, apprezzata femminista, stava segnalando come un paio di troie,
i due maschi indecenti di due diversi continenti. Disse una volta Charles Bukowski,
noto maschilista e stranoto beone: “Scopare la mente di una donna è un vizio da raffinati intenditori, gli altri si accontentano
del corpo”. Sublime. A trovarla, la mente di
Maria Laura.
Questo numero è stato chiuso in redazione alle 20.30
Roma. La ministra francese dell’Istruzione,
Najat Vallaud-Belkacem, è “dispiaciuta” per
l’affermazione di Papa Francesco, “leggera e
infondata”, che accusa i manuali scolastici
DI
GIULIO MEOTTI
francesi di diffondere “un indottrinamento
sulla gender theory”, una “colonizzazione
ideologica”, che il Pontefice ha paragonato a
una “guerra mondiale”. Ma a Parigi c’è una
pensatrice laica che plaude alle parole di
Francesco. E’ la filosofa Bérénice Levet, studiosa di Hannah Arendt, docente all’Ecole
Polytechnique e al Centro Sèvres, autrice con
Alain Finkielkraut di “Un coeur intelligent”,
ma famosa soprattutto per il libro “La théorie du genre, ou le monde rêvé des anges”
(Grasset), che si è unita al campo di quelle accademiche, come Claude Habib, che esaltano
la polarità sessuale invece di volerne la morte. Levet ha definito il ministro Belkacem “Robespierre in gonnella”.
“Il Papa ha ragione”, dice al Foglio Bérénice Levet. “Questa del gender è una guerra per
neutralizzare la differenza sessuale, una forma
di neopuritanesimo contro il desiderio eterosessuale e per parificarlo a quello omosessuale. I sostenitori del gender si inebriano dell’obsolescenza delle identità e della ‘flessibilità
sessuale’. E’ una rottura dell’ordine naturale e
biologico. La civiltà deve diventare una relazione fra individui indifferenziati. Dal momento
in cui tutto è ‘costruito’, tutto può essere decostruito. La scuola è impegnata in una politica di
ingegneria sociale. C’è una volontà di trasformare la società per ottenere un relativismo
completo. Se c’è una lezione dal totalitarismo
nazista e stalinista, è che l’uomo non è un materiale che può essere modellato”. La teoria è
ideologia, nel senso letterale, come è intesa da
Hannah Arendt: “I suoi assiomi, le idee, diventano logica implacabile. Le identità sessuali sono puri edifici storici, la differenza è solo anatomica. E’ quindi necessario, se vogliamo vivere in un mondo giusto e uguale, decostruire
l’ordine di genere. E costruire il corpo politico
esclusivamente su individui ridotti a una presunta neutralità, angeli, per definizione genderless”. Secondo Levet, dietro questa teoria
c’è una “ossessione del desiderio, un’aspirazione a esorcizzare la carica erotica delle donne”.
Si tratta di un nuovo puritanesimo, appunto:
“L’innocenza originaria sarebbe stata persa
quando la levatrice annunciò ai genitori il sesso del bambino. Le nuove tecnologie riproduttive incoraggiano questo puritanesimo. La procreazione senza macchia non è più il privilegio
di Maria”. Femministe e Lgbt hanno un nemico comune: “L’eterosessuale bianco occidentale”. E condividono lo stesso obiettivo: “Un mondo in cui la prima coppia, per dirla in senso figurato, non è più Adamo ed Eva. Una società
umana la cui alterità sessuale, ovvero l’eterosessualità, non è più il fondamento. Abolire la
struttura di genere delle società, questa è l’agenda politica di femministe e Lgbt”. Quali sono le origini culturali di questa teoria che oggi
spopola nella gauche francese ma non solo
(pensiamo ai campus americani)? “La decostruzione di Derrida e Foucault che parlava della
‘morte dell’uomo’”, conclude Levet. “E’ una
guerra contro la civiltà occidentale”. E’ anche
la schizofrenia della sinistra. “E’ l’islamo-goscismo. La sottomissione della donna nell’islam?
Meglio occuparsi di Dominique Strauss-Kahn”.
Schiantarsi in un sorriso
R
atmir Nagimyanov era russo,
aveva un bel sorriso spavaldo.
S’è buttato con una tutina alare
dall’Aiguille du Midi, e si è schianCONTRO MASTRO CILIEGIA - DI MAURIZIO CRIPPA
tato. E’ il 36esimo jumper che muore quest’anno. Non c’è bisogno di specificare che
io ho paura anche a tuffarmi nelle onde di
Rimini, dalla battigia piatta di sabbia, tanto per tentare, con una battuta cretina, di segnare una distanza antropologica (si dirà?)
dai ragazzi che sfidano se stessi e la sorte
negli sport estremi. Il jumping, lo skydiving,
i tuffi dalle scogliere. Non c’è nessuna distanza da segnare. Anzi è piena di vita questa “voglia di superare i propri limiti”, come
dice il jumper Steph Davis, nello “sport più
figo del momento”. “Bello, primordiale ed
estremamente addictive”, nelle parole di
Andrew Bisharat, ex jumper. Ci sono modi
più stupidi di vivere, e morire, senza aver
mai tentato la felicità. Anche questo è occidente: il sole che cade. Rimane la malinconia di un sorriso spavaldo.
I
l caso dell’assessora Paola Muraro è diventato un rimpallo stucchevole sul tema del
garantismo e dei due pesi e misure nell’applicarlo agli amici e disapplicarlo ai nemici. La
DI GIULIANO FERRARA
questione non è lì, e ovviamente non è nel decidere, cosa impossibile, per una eventuale
colpevolezza finale, accertata in modi acconci, dell’amministratrice della giunta Raggi indagata e “opportunamente” esposta da un
coacervo di iniziative tra le quali primeggiano, a parte il merito giudiziario, soffiate alla
stampa e intercettazioni intrusive, anche di
natura privata. Il Foglio ha già detto la sua.
Mafia Capitale è una fanfaluca, attaccare la
Muraro perché complice di Mafia Capitale è
anch’essa una fanfaluca. Bisogna astenersi
dal convalidare, anche solo per spirito di ritorsione polemica, i teoremi generici, astratti,
tortuosi e poco credibili della pubblica accusa e della campagna ridicola imbastita al suo
seguito. Marco Travaglio da tempo ha chiesto
le dimissioni della Muraro, ma la sua è una
preoccupazione politica anche piuttosto strumentale, il puntiglio di uno che del garantismo non sa che farne e che sta sempre e comunque dalla parte dell’azione penale, uno
che su robe come Mafia Capitale ci campa da
tribuno e da editore.
Il fatto è che l’assessore all’Ambiente, in
una città come Roma e in un contesto come
quello della gestione dei rifiuti nella capitale del paese, la città più grande, più gonfia e
più sporca, non è un dettaglio di secondo livello. La Muraro sarà sicuramente non colpevole, almeno fino a prova contraria, di quanto le si addebita, ma è il perno di un sistema
lubrificato di malagestione o di gestione dubbia del settore ambientalmente ed economicamente cruciale delle discariche, del trattamento dei rifiuti eccetera. Lo è da molti anni, nella sua funzione di consulente e di eminenza grigia di strutture comunali e di intermediario con affaristi e imprenditori del settore di varia provenienza e credibilità amministrativa. Chi ha scelto e perché di mettere la
Muraro nel cuore operativo di una giunta amministrativa che perde pezzi e ingrassa ogni
giorno di polemiche opache, che si nutre di
evidenti rancori di partito, è sotto osservazione della ragioneria municipale per incapacità anche solo a capire i problemi della città,
indebitata e sulla via fallimentare, che ha già
nell’ex assessore al Bilancio un critico severo, in mezzo a scelte giudicate discutibili di
collaboratori dell’ufficio del sindaco, a compensi non in linea con le promesse, e che ha
gestito malamente un viavai di assessori, di
capi di gabinetto, di vice sindaci senza un elemento di continuità o di discontinuità visibile?
Quando Grillo e Casaleggio, evidentemente preoccupati della circostanza per loro ambigua, e scandalosa agli occhi perfino della
maggioranza d’emergenza che ha votato la
Raggi sull’onda della montatura in disfacimento di Mafia Capitale e del fallimento dei
partiti romani, dicono che “non siamo mai
stati così uniti”, è chiaro che ci stanno coglionando come due leaderini qualsiasi e con un
linguaggio qualsiasi, un gergo partitocratico
che non si sentiva da tempo nella sua impudenza. Ecco. Dovrebbero invece spiegare come mai il movimento del non-statuto, la grancassa webbara che pretende di selezionare la
classe dirigente al di fuori di un meccanismo
di scelta serio, con tanto di penali e di altri
strumenti di controllo paramafioso degli
“eletti”, ha prodotto con la Raggi, non solo e
non tanto una irredimibile incompetenza, ma
anche un groviglio di non detto, di vischiosità,
di impenetrabilità politica.
La questione non è un assessore con l’imputazione di falso in bilancio, o con un curriculum che appare ogni giorno di più incompatibile con un ricambio e una spinta riformatrice negli apparati amministrativi, piuttosto
si tratta del primo vero esperimento di governo del movimento che si vuole extra-politico,
mondo dei difetti della manovra di potere, e
che invece si rivela la quintessenza dell’umbratile, dell’indecifrabile, dell’inganno reciproco, della malmostosità e dell’inidoneità al
governo della cosa pubblica. Troppo facile dire che si applica alla Muraro lo stesso iniquo
metodo che è applicato ai cosiddetti membri
della “casta” o, viceversa, imputare a lei di essere quel che è, non il massimo quanto a trasparenza. Troppo facile sorridere di quel suo
sguardo sghembo, di quelle affermazioni rituali e insincere secondo cui lei è lì all’Ambiente per fare la rivoluzione e gli interessi
si coalizzano per colpirla. Anche lei ci cogliona, quando parla così. Meglio cercare di avvicinarsi alla verità: la giunta Raggi è bacata
dal di dentro, il meccanismo della scelta e
della promozione di uomini e ruoli ha mostrato di essere una collosa sequela di imposture. Non sono in crisi solo una sindaca e un’assessora, è in evidente stato patologico un intero progetto antipolitico fondato sul pressappochismo, sulla demagogia, sull’inettitudine,
sull’obliquità e sull’uso sbagliato del congiuntivo. Che i grillini cerchino di tenere botta e di nascondere la realtà è comprensibile,
perché lo facciano i loro fiancheggiatori e tifosi nel mondo dei media è meno chiaro.
ANDIAMO A NON COMANDARE
Lamenti, progetti e (ancora) qualche speranza del M5s su Raggi
Roma. I grandi capi, Davide Casaleggio e
Beppe Grillo, forse sperano ancora di poter
aggiustare la cosa, anche se, piano piano, e
quasi senza farsene accorgere, anche loro sono passati dal pieno sostegno al “è lei che decide”. Nel frattempo i parlamentari, malgrado gli inviti a non parlare, continuano a sfogare i loro umori con i giornalisti, solo che
adesso chiedono di restare anonimi, e dunque in realtà non smettono di manifestare un
confuso sentimento di preoccupazione e di
panico (“Ignazio Marino uccise il Pd romano,
lei può fare di meglio: può uccidere il Movimento cinque stelle nazionale”). Lei è Virginia Raggi, ovviamente, il sindaco attorno al
quale si condensano tutti i crucci esistenziali di un Movimento in cui si comincia a parlare, anche se in modo disordinato ed emotivo, di exit strategy, di una via d’uscita che a
febbraio o marzo potrebbe realizzarsi nell’abbandono del sindaco al suo impantanato
destino. Possibile? Difficilissimo.
“Dovevamo entrare in Campidoglio, aprire
i cassetti, e svelare tutte le schifezze delle
precedenti amministrazioni. Come pillole.
Una alla volta. Da giugno fino al referendum,
una lunga campagna elettorale. Si doveva fare un’operazione di trasparenza e di propaganda sui debiti e sul bilancio del comune
sfasciato dal Pd. E invece niente”, raccontano alcuni attivisti che frequentano, e hanno
frequentato, il Consiglio comunale. “Dovevamo portare i bilanci del comune in tribunale. Avviare un percorso di fallimento. Questa
era una cosa fortissima. Un segnale chiaro di
cambiamento. E su questo era d’accordo anche Alessandro Di Battista, persino lui, che
in realtà, spente le telecamere, è un cauto”.
Diceva in quel periodo Roberta Lombardi,
deputata, capocorrente del M5s, tessitrice di
rapporti e di ambizioni romane: “Chi vota
M5s sa che vota un movimento che non fa
compromessi”. Era novembre 2015, e la strategia del M5s, concordata anche a Milano, era
basata – raccontano – su un principio molto
semplice: o la va o la spacca. “Andati al governo di Roma avremmo dovuto fare un mezzo terremoto al giorno. Anche sbagliando. Ma
sapevamo di dover dare subito segnali di novità e dinamismo”. Diceva dunque la Lombardi: “Se c’è una legge sui licenziamenti nella Pubblica amministrazione, la legge Madia,
serva da monito sapere che verrà applicata”.
E ci si riferiva ai dipendenti comunali, al corpo dei vigili urbani, e a quel sistema super indebitato delle ex municipalizzate (Ama e
Atac, soprattutto) che nel 2013, secondo Marcello De Vito, altro dirigente romano del Movimento, era “una specie di Iri che va smontata pezzo per pezzo”. Ma allora poi cos’è successo? Risposta: “Per vincere, ma in realtà
forse avremmo vinto comunque, sono stati
fatti accordi con i sindacati di base, con l’Atac, con i rentier dei disservizi pubblici, alla
fine persino con Cerroni. Loro ci hanno aiutato contro Marino. E noi li abbiamo cooptati al nostro interno. Grillo chiamava i sindacati ‘morti’, ‘zombi’, ‘venduti’… Ma se ora la
Raggi non riesce a fare niente è anche perché è sottoposta a continue richieste e mediazioni… L’assessore al Bilancio lo voleva nominare la Lombardi, che è quella che ha
stretto i legami con i sindacati. Ha contratto
debiti, ha fatto promesse”. Si dovevano portare i libri in tribunale. “Ma la campagna elettorale poi l’abbiamo fatta rassicurando tutti”.
E adesso, per adesso, è una palude esposta
al ridicolo. (sm)
ANNO XXI NUMERO 235 - PAG 2
Venti stagioni doc
Che cosa c’entrano Trump, la
Clinton, Caitlyn Jenner e Paola
Taverna? Guardate “South Park”
C
ome sta
“South Park”
arrivato alla
stagione numero
20? Come stanno i
mocciosi
LE SERIE TV SPIEGATE A GIULIANO
Cartman, Kenny, Stan e Kyle, con il bip
che copre le parolacce a protezione
degli spettatori della loro età?
Scherzano sulla campagna elettorale e
sul dibattito tra Donald Trump e Hillary
Clinton. Come tutti: anche la nuova
stagione del “Saturday Night Live” è
partita mettendo in testa ad Alec
Baldwin il ciuffo del miliardario (pare
ormai anche primatista nel salto delle
tasse). La rivale Hillary ha il volto – e
l’abito rosso – di Kate McKinnon.
Risultato: il più alto indice d’ascolto da
otto anni a questa parte (tra gli altri
picchi elettorali, Tina Fey vestita –
sempre di rosso – da Sarah Palin, e il
dibattito Bush-Al Gore). Donald Trump
che imita Hillary Clinton curva e
zoppicante – “non riesce a camminare
fino alla macchina, come farà a
combattere l’Isis?” – è invece garantito
genuino, non c’è stato bisogno di un
imitatore.
“South Park” reinventa il match tra
Hillary Clinton e Mr Garrison,
insegnante della scuola frequentata dai
mocciosi (nell’originale è doppiato da
Trey Parker, che assieme a Matt Stone
ha inventato i personaggi e avviato la
serie). Ha cambiato sesso una volta,
diventando Mrs Garrison – molto prima
di Mort Pfefferman che all’inizio di
“Transparents” diventa Maura, in cifre
undici stagioni fa. Poi è tornato maschio
(ma sempre prima che Jill Solloway
avesse in mente la serie sul genitore
transgender). Per questo ha scelto come
vicepresidente Caitlyn Jenner: ora in
costume di raso sulla copertina di
Vanity Fair, a Montreal 1976 campione
olimpico di decathlon.
“Fottere a morte gli immigrati” è la
promessa elettorale di Mr Garrison,
amichevolmente detto “giant douche”
(stronzo gigante, potremmo osare,
mentre Hillary è chiamata “turd
sandwich”, dove “turd” sta per merda).
Promettere è facile, eseguire difficile:
gli avversari politici calcolano che le
persone da fottere siano sette milioni e
seicentomila. “Non ce la farò mai”,
lamenta il candidato e intanto cerca un
modo di perdere le elezioni (neanche
Trey Parker e Matt Stone, che ne hanno
scritte e dette di tremende, sono però
riusciti a mettere nei loro copioni una
battuta come “è un complotto per farci
vincere”, la frase resta solidamente nel
curriculum da comico di Paola Taverna).
Fare stronzate non serve (e del resto
non è servito neppure al Movimento
Cinque stelle parlare di scie chimiche).
Spiega Mr Garrison, prigioniero di un
paradosso tipo Comma 22: “Dovrei far
qualcosa di terribile, ma ogni volta che
ne combino una grossa mi amano di più”
(ebbene sì, le serie d’animazione danno
un bell’aiuto a capire quel che succede
attorno a noi). La decisione è presa:
resterà seduto durante l’inno nazionale.
Non il solito vecchio inno degli Stati
Uniti. Il nuovo commissionato a J. J.
Abrams di “Lost”: ha salvato “Star
Trek”, ha salvato “Star Wars”, potrà
anche salvare quel che resta della
nazione (“reboot”, dicono, “nuovo
inizio”: esattamente come nelle saghe
televisive che hanno bisogno di un
rilancio dopo tanti sequel).
Neanche questo funziona. J. J. Abrams
non ha cambiato l’inno ma le modalità
dell’ascolto: in piedi con la mano sul
cuore, seduti, sdraiati, che tutto va bene.
La puntata elettorale si intreccia con i
troll della rete – altro tema di grande
attualità. “A nessuno importa di me”, si
lamenta il ragazzino, e minaccia scelte
irrevocabili. Come la ragazzina che sta
sul ponte in preda a pensieri cupi. Ma
uno vuole solo togliersi da Twitter, e
l’altra dal ponte butta il solo il cellulare.
Mariarosa Mancuso
PREGHIERA
di Camillo Langone
Preghiera
borghese
numero 1. Si legga “Gin
tonic a occhi chiusi” di Marco Ferrante (Giunti) per ricordarsi l’esistenza
delle virtù borghesi e la loro perenne
utilità. Il lavoro. Il matrimonio. I figli.
Il cattolicesimo non è quasi nemmeno
più un ricordo nella borghesia romana
raccontata dal borghese pugliese Ferrante (lo iato geografico aggiunge allo
sguardo da dentro lo sguardo da fuori,
quindi sto elogiando un romanziere onnivedente). Eppure è forte la tensione
a riprodursi in questo ambiente ostile
all’aborto, che estingue, e al divorzio,
che impoverisce. Aborto e divorzio sono ormai cose da Aprilia, da Latina, da
Tor Tre Teste, forse pure della Balduina, non più della Roma dei quartieri
alti che nei quartieri alti vuole restare. La pianificazione è un’altra virtù
borghese (la spontaneità è molto Tor
Tre Teste) e i padri si preparano ai
giorni che verranno: “Ha quattro figli
da crescere, gli deve trasmettere sicurezza morale e un po’ di denaro”. Una
sbandata può capitare (anche i borghesi sono uomini), l’importante è non dimenticarsi l’indirizzo di casa: “Direbbe
che ama sua moglie, nel modo in cui
pensa che si debba amare una moglie”.
Si legga “Gin tonic a occhi chiusi”, fertility novel di piacevolissima lettura, e
magari lo si metta in pratica.
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
U N A C H I A C C H I E R A T A C O N I L D I R E T T O R E D I L E 1 ( E L’ 1 C O N T A )
Un giornale che funziona è un bell’oggetto da possedere, ci dice Fottorino
Parigi. Per raccontare in poche righe
una delle avventure giornalistiche più interessanti degli ultimi anni in Francia,
basta lasciar parlare chi quest’avventura
l’ha lanciata, nel 2014, dopo un’intera vita trascorsa da battitore libero nelle migliori redazioni di Parigi, con una passione per i grandi racconti che lo ha accompagnato dai suoi esordi a Libération come
“pigiste” fino alla direzione del Monde:
Eric Fottorino. Con Le 1, fondato assieme
all’amico Laurent Greilsamer e alla moglie Natalie Thiriez quattro anno dopo
l’addio turbolento al quotidiano dell’establishment parigino in polemica con il trio
di finanzieri Bergé-Niel-Pigasse, Fottorino racconta ogni settimana le pieghe di
un grande soggetto d’attualità attraverso
lo sguardo di scrittori, intellettuali, ricercatori, politologi, filosofi e artisti che si
esprimono su un unico foglio di 84 cm, ripiegabile tre volte su se stesso. “Il primo
formato – dice Fottorino al Foglio – quando è totalmente piegato (formato A4), invita a un approccio sensibile, emotivo, letterario del soggetto. Dispiegandolo una
prima volta (formato tabloid), si accede a
un secondo universo: quello dell’analisi,
dell’expertise, ma anche della filosofia.
Quando lo dispiegate completamente (formato A1), vi invita a un viaggio, a un altrove dove l’immaginazione e la razionalità
si riuniscono. Il giornale è stato chiamato così perché la cifra 1 rappresenta l’unità del sapere, che è insieme la cono-
scenza razionale e la conoscenza sensibile”. Nell’aprile 2014, Le 1 era una scommessa, oggi è un successo editoriale che
ha già fatto emuli in Italia, con Origami,
settimanale della Stampa, vende più di 30
mila copie e vanta 14 mila abbonati. “La
carta ha chiaramente un futuro – dice Fottorino – ma non senza condizioni. La principale condizione perché la carta continui a vivere è la stampa di giornali di qualità, belli da leggere e da possedere, giornali che corrispondano alle attese dei lettori nella nostra epoca, quella del digitale, dell’accelerazione, degli smartphone e
della proliferazione dei media. Le 1 è na-
BORDIN LINE
di Massimo Bordin
In una notte di fine giugno
dell’ultimo anno del secolo
scorso, a Bologna successe
qualcosa di rimarchevole. Quelli del
Partito comunista persero le elezioni comunali che avevano sempre vinto negli
ultimi 54 anni, più della metà del “secolo breve”. Anche nell’ultimo decennio
con il nuovo nome di Partito Democratico della Sinistra (Pds) avevano continuato a vincere. A governare arrivò Giorgio
Guazzaloca per il centro destra. Vinse
per una incollatura, ma vinse. Figura conosciuta in città, era stato a lungo presidente della Camera di commercio. La
to da una constatazione: i giornali cartacei non sono più adatti ai lettori di oggi. E’
una stampa troppo abbondante, che ripete quello che viene detto alla televisione
e alla radio: ci sono troppe cose da leggere. Quando ho lasciato il Monde, mi ricordo che i lettori cancellavano l’abbonamento non perché non amavano la linea
editoriale, ma perché non avevano il tempo di leggerlo. C’era nei lettori quasi un
senso di colpa, una specie di ansia nel vedere la pila di copie non lette per mancanza di tempo accumularsi”, spiega. “L’idea che ha portato alla creazione di Le 1
è quella di un giornale che si potesse legsua macelleria, nota in tutta Bologna, e il
suo successo professionale incarnavano
innegabilmente lo spirito della città, in
tempi di antipolitica. Ma forse non ce l’avrebbe fatta senza l’aiuto della manifestazione di chiusura della sinistra quando dal palco Serena Dandini, antica nobiltà portoghese con accento di Roma
Nord, arringò le masse ponendo la seguente domanda: “Non vorrete mica far
governare la vostra bella città a un macellaio?”. E fu il disastro. Diciassette anni dopo, la rievocazione può avere senso se si considerano alcuni commenti, da
Alberto Asor Rosa a Furio Colombo, sul
faccia a faccia Renzi-Zagrebelsky, antica
nobiltà ucraina.
gere dall’inizio alla fine e che fosse capace di uscire dalla consanguineità giornalistica. Abbiamo voluto aprire lo spirito
dei lettori aprendo anzitutto il nostro spirito giornalistico alla visione portata su
un soggetto di attualità da scrittori, ricercatori ed esperti di altri settori, dalla fisiologia alla storia, dall’economia all’antropologia. Ugualmente importante, per
me e per la mia squadra, è la questione
dell’indipendenza, il fatto di non avere
pubblicità e di non essere controllati da
un grande gruppo editoriale”.
Tra i modelli cui si è ispirato Fottorino c’è il New Yorker per i grandi racconti, l’Economist per l’analisi, e anche il Foglio, per la foliazione agile e la rinuncia
alla tentazione generalista, perché “la
sfida è porsi la domanda giusta”. “Siamo
sensibili alla bella scrittura, ai testi lunghi. Ci piace l’idea di rallentare per riflettere e puntare sulla dimensione grafica: per noi Le 1 non è un giornale, è un
oggetto, un oggetto di stampa bello da
possedere. Le 1 è un qualcosa che le persone acquistano, leggono e conservano”,
spiega l’ex direttore del Monde. “I miei
amici mi dicono che nel fine settimana
gettano tutti i loro quotidiani, ma conservano Le 1. E’ la conferma che non è un
semplice giornale, ma un oggetto. Per noi
la dimensione grafica ed estetica è importante tanto quanto quella giornalistica e intellettuale”.
Mauro Zanon
IL CORSARO SCALFARI VS ZAGREBELSKY E URBINATI. CALABRESI PACIERE
Lettori di Rep. scombussolati, non sanno cosa indossare per il referendum
Roma. “Sta per venire la rivoluzione e
non ho niente da mettermi” (Umberto Simonetta, 1973). I lettori di Repubblica, almeno quelli dello zoccolo duro, scrutano
con ansia il guardaroba: non ci trovano
nulla di adatto ad affrontare con proprietà
etica ed estetica il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Portarsi sobriamente come il Direttore Mario Calabresi, che valuta “nel merito” la faccenda
trascurandone complottismi politici, pedigree offesi, antichi girotondi degli anni
ruggenti? O imbarcarsi con il Fondatore
corsaro Eugenio Scalfari, il quale domenica 2 ottobre ha assegnato nel duello Matteo Renzi-Gustavo Zagrebelsky su La7 del
30 settembre “un bel 2-0 in favore di Renzi”? Scalfari ha teorizzato spesso il (proprio) libertinismo politico, e magari ai
tempi di Ezio Mauro il Fondatore sarebbe stato riaccompagnato al recinto, con
l’ok dell’Editore. Ma anche qui: Carlo De
Benedetti ha appena rilasciato un’intervista spiccia al Corriere della Sera confermando che voterà No, ma voterebbe Sì se
il premier (“che ha grandi qualità”) cambiasse l’Italicum, e comunque il giorno dopo “Renzi e Parisi si accorderanno ridimensionando la sinistra e restituendo
Matteo Salvini alle valli”. E comunque Zagrebelsky è di Repubblica una firma storica, certo da poco un po’ trasmigrato verso il Fatto travagliesco, ma ospite fisso alla “Repubblica delle Idee”, vera kermes-
se identitaria, autore con l’ex direttore
Mauro del libro-dialogo, “La felicità della
democrazia”, il cui titolo è tutto un programma. Nel guardaroba un classico imprescindibile, un cachemere bordò. Ma
tra i lettori e telefonate roventi sulla linea
del Direttore. Così ieri prova a correggere il tiro Nadia Urbinati, neopresidente di
Libertà e Giustizia, infaticabile teorica
con Stefano Rodotà-tà-tà, Sandra Bonsan-
Scalfari lo dichiara sconfitto, inerpicandosi su vette consone: la distinzione tra democrazia diretta cara al costituzionalista
principe, e oligarchia, preferita dal Fondatore che cita Platone e Pericle. Panico
ti e, appunto, Zagrebelsky, della “svolta
autoritaria” di Renzi. Urbinati contesta a
Scalfari che il vero dilemma, altro che oligarchia, è “tra potere concentrato e potere diffuso”, il primo va da sé renziano, il
secondo “con un pantheon di studiosi da
Montesquieu a Condorcet, dai Federalisti
americani a J.S. Mill”. Ma vola un pochino alto. Ecco allora scendere in campo
Salvatore Settis, archeologo, ex rettore
della Normale di Pisa, già quotidiano oppositore della politica culturale berlusconiana, e ora anche della “deforma” (copyright) del ministro renziano Dario Franceschini. Settis lascia perdere la filosofia e
morde ai polpacci. Chiede a Repubblica
di pubblicare una lettera aperta a Giorgio
Napolitano. Il titolo: “La riforma ricalca
quella di Berlusconi”: insomma, il vecchio
porto sicuro del repubblichino d’antan.
L’ex capo dello stato, sollecitato da Calabresi, risponde “brevemente ed eccezionalmente per cortesia verso il direttore di
Repubblica” (e si immagina con quanta
voglia). Il succo: non è vero, non “si dilatano” i poteri del premier, macché deriva
autoritaria, macché uomo solo al comando. Dopo tre giorni di rogne Calabresi tenta la conclusione buonista: “Stimoliamo il
dibattito, contribuiamo a un confronto civile e informato”. Quanto a lui, “non entro
nel merito”: scusi, ma perché no? Lo spogliatoio però resta in subbuglio, il
pantheon pure, e i lettori repubblichini
tradiscono una qualche nostalgia: di quando aprivi l’armadio e il vestito giusto per
la rivoluzione lo trovavi al volo, con allegato abbonamento a Micromega.
Renzo Rosati
I P L E B I S C I T I U N I T A R I E L’ U L T I M O L I B R O D I B E G G I A T O
L’indipendentismo veneto fatto sulla pelle del Risorgimento è una truffa
L’
uscita del volume di Ettore Beggiato
(“1866: la grande truffa. Il plebiscito
di annessione del Veneto all’Italia”, Editrice Veneta) ha riacceso la vecchia polemica sui modi in cui fu realizzata l’Unità
d’Italia, basata su brogli elettorali orchestrati da casa Savoia mentre le popolazioni, in questo caso quella veneta, sarebbero state contrarie all’annessione. L’autore
peraltro non nasconde la speranza che Venezia e il Veneto possano decidere con un
referendum di riacquistare la propria indipendenza.
Il libro è stato pesantemente criticato
sull’Arena per questioni di merito e di metodo storiografico e per l’uso strumentale
della vicenda a fini politici. Carlo Lottieri lo ha difeso sul Giornale. Ma sullo stesso Giornale Dino Cofrancesco è intervenuto sottolineando che, al di là della discutibilità dei risultati, il dato storico più importante dei plebisciti indetti nel corso
dell’unificazione fu il cambiamento delle
fonti di legittimazione del potere che essi
implicavano. E ha pienamente ragione.
Sottoporre a plebiscito la decisione di annessione equivalse comunque a riconoscere la sovranità popolare come fattore,
sia pure non esclusivo, di legittimazione
della sovranità di principi e stati che, sino allora, era avvenuta esclusivamente
“per grazia di Dio” e/o per volontà delle
grandi potenze, come nel caso della creazione del Regno del Lombardo-Veneto nel
1814-’15, che aveva posto la parola fine alla storia della Serenissima.
Nello specifico veneto, Beggiato ha ragione: una percentuale di Sì del 99,9 per
cento dei votanti, non è credibile di essere rappresentativa degli orientamenti della popolazione veneta. Da ciò tuttavia non
si può dedurre meccanicamente che la
maggioranza dei veneti fosse contraria all’annessione, o, peggio, che tutto il Risorgimento sia stato un piccolo gioco truffaldino organizzato dall’alto e senza concorso di popolo. Dire questo significa, specie
nel caso del Veneto, dimenticare che esso, assieme alla Lombardia, fu la culla del
Risorgimento, prima e ben più di casa Savoia. Significa dimenticare la crescente
insofferenza che dopo il 1815 le aristocrazie e le borghesie lombarde e venete ebbero contro il regime politico e le relazioni economiche e sociali imposte da Vienna alle due regioni italiane. Il carico fiscale rovesciato su di esse le fece sentire subito fortemente sfruttate a favore degli altri territori dell’Impero. Carlo Cattaneo
sottolineava nel 1849 che il Lombardo-Veneto, con un ottavo della popolazione, forniva un terzo delle entrate fiscali dell’Impero. Illustri studiosi di storia economica
veneta hanno accertato, spulciando per
anni archivi pubblici e privati e rapporti
delle camere di commercio venete, che
dal 1818 in poi Vienna attuò una politica
doganale che mise le industrie cotoniere e
laniere lombarde e venete alla mercé della concorrenza dei panni della Boemia e
della Moravia, peraltro smaccatamente favoriti anche in materia di forniture militari.
La sollevazione di Milano e Venezia del
1848-’49, oltre che dalla richiesta di indipendenza e libertà politica, nacque anche
da queste cose e fu pagata col sangue, non
con i voti. Gli esuli del Lombardo-Veneto
dopo il 1848-’49 furono la spina dorsale del
movimento nazionale italiano. Il primo
presidente della Società nazionale voluta
da Cavour fu il veneto Daniele Manin. Tralasciamo i Mille, ma il corpo dei garibaldini cacciatori delle Alpi, formato da decine
di migliaia di volontari che combatterono
nel 1859-’60 e che nel 1866 furono gli unici italiani a battere gli austriaci, ebbe concorso non secondario di veneti.
D’altro canto non si hanno notizie di
umori antiunitari e ancor meno di eclatanti proteste in Veneto negli anni successivi
al 1866, come invece si ebbero nel Mezzogiorno dopo il 1861. Tutt’altro. Il ceto imprenditoriale veneto, guidato da Alessandro Rossi, e la rappresentanza parlamentare veneta, guidata da Luigi Luzzatti, assunsero un ruolo di primo piano nella vita nazionale. Luzzatti (presidente del Consiglio nel 1910-’11) fu il massimo responsabile della politica commerciale dell’Italia
con l’estero dagli anni Settanta alla Prima
guerra mondiale, e massimo artefice quin-
di del passaggio dal liberismo al protezionismo tra il 1878 e il 1887. All’ombra della tariffa del 1887 il Veneto ebbe ciò che i
suoi imprenditori avevano sempre sognato (un mercato nazionale protetto dalla
concorrenza estera) e fu regione di punta
nel processo di industrializzazione nazionale. Sarebbe stato così nel contesto austriaco? La borghesia e il mondo imprenditoriale veneto nel 1866 pensarono di no,
e negli anni precedenti avevano preferito
battersi per la creazione in Italia di quello stato autenticamente liberal-costituzionale e con pari diritti etnico-territoriali
che dall’Austria non avevano mai avuto.
I veneti oggi possono avere tutte le loro
ragioni per essere insoddisfatti dei rapporti con lo stato nazionale. Ma non si dica che il popolo veneto passando nel 1866
all’Italia fu truffato né tanto meno che il
Risorgimento è stato un imbroglio a danno di una parte qualsiasi degli italiani. Società civile e classe politica e dirigente
italiana da 30-40 anni a questa parte hanno letteralmente divorato tutto quello che
era stato costruito nei precedenti centodieci e più anni di storia. Non divoriamo
anche la memoria storica del Risorgimento, perché esso resta una delle poche realizzazioni, se non l’unica, per la quale il
mondo ancora non ci ride dietro e ci guarda con rispetto, se non anche con ammirazione.
Guido Pescosolido
L’ E R G A S T O L O “ O S T A T I V O ” I N I T A L I A , U N A L T R O S C E M P I O
Le armi, Trump, e quel sondaggio sulla pena di morte in America
U
n accreditato sondaggio
annuale, di cui ho letto
sul New York Times, avverte
che per la prima volta nella
storia la maggioranza dei citta-
PICCOLA POSTA - DI ADRIANO SOFRI
dini degli Stati Uniti si dichiara contraria
alla pena di morte. La trovo una formidabile notizia, sostanzialmente e simbolicamente. Verrà il giorno in cui si conoscerà
il nome dell’ultimo giustiziato, e forse
non è lontano. Nel 1994, poco più di
vent’anni fa, era l’80 per cento degli americani a dichiararsi in favore della pena
capitale. Le tendenza opposta non ha fatto che crescere poi, per una serie di cause: lo spaventoso numero di assassinati
legali dimostrati poi innocenti, le peripe-
zie dei metodi dell’omicidio legale, i costi
finanziari eccetera, ma soprattutto il turbamento crescente per la contraddizione
fra quella pratica e una società che si
vuole civile. Questo complicato intreccio
di cause era riassunto dall’Economist a
gennaio (ne trovate un resoconto sul Post.it): è interessante che a quella data si
valutasse che i favorevoli alla pena di
morte fossero ancora il 60 per cento. Ci
sono due ragioni peculiari per congratularsi della notizia sul sondaggio: che viene in un periodo in cui particolarmente
calda è la discussione sul “libero” spaccio di armi, e nel periodo in cui tiene
metà della scena un personaggio come
Trump. La speranza sul progressivo rigetto della schifezza della pena di morte è
amareggiata da un suo complemento
americano ma non solo americano. Là le
voci contrarie alla pena capitale ricorrono spesso all’argomento del carcere inesorabilmente a vita, una pena di morte
centellinata. Non solo americano, perché
come si sa, se solo lo si voglia sapere, l’Italia ha introdotto una mostruosa dizione giuridica, l’ergastolo cosiddetto “ostativo”, che cioè non può mai avere fine per
quanto tempo trascorra e quali che siano
i cambiamenti attraversati dal condannato, salvo che questi “collabori”, cioè denunci altre persone. Condizione ulteriormente mostruosa e caricatura del pentimento beninteso. L’ergastolo “ostativo” è
una micidiale violenza fatta al dettato e
allo spirito della Costituzione. Oggi lo denunciano prima di tutto con voci intelligenti e sconvolgenti molti di quegli erga-
stolani che hanno saputo riscattarsi in
carcere e nonostante il carcere, e con loro “i soliti radicali” (anch’io) e un numero crescente di persone che hanno professionalmente a che fare con la giustizia,
la galera e i detenuti: giuristi, magistrati,
avvocati, dirigenti e personale di carceri. Il Papa, anche, che al suo Stato ha
provveduto in fretta. Oggi succede anche
che all’ergastolo “ostativo” siano contrari anche i maggiori responsabili dell’amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia. Bel paradosso, cui
contrasta l’estensione progressiva e quasi per inerzia dell’ergastolo “ostativo” a
categorie di condannati diverse da quelle che pretesero di giustificarne l’introduzione. Americani e italiani, ancora uno
sforzo.
Adolf Duterte
Vedere i propri figli uccisi nelle
Filippine, ad Aleppo, nei Balcani.
E’ la nostra resa e umiliazione
H
itler ha
sterminato tre
milioni di ebrei, nelle
Filippine ci sono tre
milioni di
tossicodipendenti.
SUL LETTINO - PSICANALISI DELLA POLITICA
Sarei felice di sterminarli”, ha detto il
presidente Rodrigo Duterte. “Se la
Germania ha avuto Hitler, le Filippine
possono contare su di me”, ha precisato
per chi non credeva alle proprie orecchie,
producendosi in altre bestialità che il
lettore può trovare nell’illuminante
pagina di Giulia Pompili. Ma accidenti,
come faccio a mettere sul lettino uno così,
uno con le idee tanto chiare che già le ha
messe in opera ammazzando un paio di
migliaia di spacciatori, di drogati o
presunti tali, sicché allo sterminio degli
ebrei Duterte è capace di avvicinarsi
davvero, sterminio che come tutti sanno
tranne lui è di sei milioni. Ma forse lo sa,
e tiene la popolazione in riserva per altri
stermini, quello dei grassi ad esempio, o
dei magri, o dei sordi, chissà. Lettino?
Manco nel cesso lo metto, nemmeno se
comincia a pisciare sangue e così impara
a versare quello altrui; sul lettino anche
tre alla volta metterei invece i potenti
della terra, che a parte qualche rimbrotto
di Obama si sono guardati bene
dall’intervenire contro il massacratore.
Quello spara ai ragazzi tutta la notte e
manco ripulisce il sangue. Altro che
drogati, qui si tratta di figlicidio, li ho visti
morti sulla strada, hanno sedici anni e la
morosa che piange, un presidente
dovrebbe tutelare i cittadini, i minorenni
in particolare, invece li ammazza. Le
bestialità promesse da Trump sono niente
al confronto, e dopo un meritato successo
il politically incorrect sta stufando, a furia
di inneggiare allo scorretto si rischia di
ritrovarsi in un mondo di scorregge
nucleari.
Adolf Duterte è un novello incubo, ma
che dire dei cinquanta milioni di cittadini
cattolici che votandolo si trovano a
inneggiare allo sterminio? La chiesa ha
cercato in tutti i modi di fermare Duterte,
e torna a suo onore, ma perché ancora il
Papa non l’ha scomunicato, di qualsiasi
religione sia costui? Farebbe colpo.
Intollerabile il silenzio, Santità, eppure
dicono che lei crede nell’esistenza del
Diavolo, perché allora esitare, cosa
aspetta a raccomandarlo a Lucifero? E
l’Onu può tenere in grembo uno così? Ma
certo che può, figurarsi, a confronto di
Kim Jong-un che spara i razzi Duterte è
un simpaticone; ma a pensarci bene anche
Kim è un simpaticone, riappaiono morti
vivissimi, non sarà tutto un gioco, un bel
carnevale? Come no.
Occorrono interventi, violenti e decisi,
violentemente e con decisione ha scritto
Adriano Sofri sul Foglio. Condivido e
rilancio, aborro il pacifismo, da quando
sono nato lotto con me stesso, non solo
l’intervento sia violento e deciso, ma anche,
in casi estremi, la resa, la resa dei forti, la
resa di chi mai vorrebbe arrendersi. Non
dico la pace, così imbrogliona e difficile a
farsi, ma dico proprio la resa, quella cosa
vergognosa cui nessuno ambisce, anche se
storicamente spesso si guadagnò l’onore
delle armi, e della prigionia.
Nell’ingarbugliata, martoriata, indemoniata
Siria e in tanti luoghi attorno, nessuno ha
deposto le armi, nessuno ha compiuto l’atto
estremo e inderogabile di umiliarsi davanti
al nemico pur di salvare le donne e i
bambini. So che è un sacrificio tristissimo,
ma penso che in cambio della salvezza dei
bambini i nemici legittimi di quel mostro
di Assad avrebbero dovuto, dovrebbero,
offrire la propria resa pur di salvare i figli
di Aleppo e dintorni. Migliaia, forse
centomila fanciulli uccisi! Guai ostinarsi
sulla pelle dei bimbi, essa prima di tutto va
salvaguardata. Mai privilegiare il proprio
orgoglio, sempre far precedere la salvezza
del figlio, meschino sacrificarne la vita in
cambio di una più che legittima giustizia.
Se i potenti della terra non scendono in
campo contro Assad, occorre scendere
nell’attiguo campo dell’onore, la resa,
occorre donare la propria umiliazione o
prigionia o addirittura fucilazione per la
salvezza dei figli. Vi ricordate il re
Salomone e le due donne? La madre fu
pronta al massimo dei sacrifici, rinunciare
al proprio figlio, donarlo all’altra, alla
strega, pur di lasciarlo in vita.
Non so, dico non so, se i
quattrocentomila morti del macello
balcanico siano stati giusti, ho fortissimi
dubbi. Adesso è tutto tranquillo e le
bandiere dell’indipendenza svettano e il
turismo marcia, ma averlo pagato così
tanto! La patria? Certo, ma più dulce et
decorum est pro filio mori. Forse per
l’indipendenza c’erano altri modi, altre
attese. Lunghe, lunghissime, esasperanti?
La pazienza è gloria.
Umberto Silva
TUTTA COLPA DEL LIBERISMO
Il liberismo di Facebook
combattuto con Facebook
(…) Oggi la vera dittatura
da contrastare è quella delle
multinazionali americane che ci hanno inglobato in un universo di consumo dal
quale è diventato quasi impossibile sottrarsi. Ma è questa la responsabilità che sento
come autore, quella di dar vita a segni in
conflitto con la dipendenza da YouTube o
da Facebook, quella di convincere la Rai
della necessità di non inseguire i modelli di
MTV e di Discovery Channel o delle televisioni a pagamento, di quella che io chiamo
la televisione a pezzi. (…)
Michele Santoro, Facebook, 2 ottobre
ANNO XXI NUMERO 235 - PAG 3
La collaborazione Obama-Putin non regge alla prova Aleppo (e non solo)
C’
è una qualità mostruosa della guerra in Siria ed è quella di guastare in
modo rovinoso ogni cosa che provi ad avvicinarvisi. Tocca ora alle relazioni tra
America e Russia, che pure fino a pochi
anni fa galleggiavano nella stabile attesa
di un “reset” (copyright: Hillary Clinton)
che diventasse un’intesa cordiale e duratura. Ottobre doveva essere il mese in cui
Washington e Mosca dopo un
anno di negoziati ufficiali e
meno ufficiali avrebbero infine trovato un accordo militare e politico e avrebbero collaborato contro lo stesso nemico, come non succedeva
dalla Seconda guerra mondiale. Invece è successo l’inverso. Il disaccordo in Siria si
è trasmesso anche alle relazioni russo-americane fuori
dalla Siria. Lunedì il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la sospensione di un accordo militare
sul plutonio firmato nel 2010 (per l’America aveva firmato Hillary Clinton, allora
segretario di stato) e che era sopravvissuto intatto finora, e poi ha sottoposto al Parlamento una proposta di legge con le condizioni per sospendere la sospensione:
vuole la fine delle sanzioni americane imposte alla Russia per la situazione in
Ucraina, un risarcimento economico per i
danni causati da quelle sanzioni e anche
che la presenza di soldati americani nelle basi Nato nell’est dell’Europa torni a
essere quella di sedici anni fa. “L’Amministrazione Obama ha fatto tutto quello
che era in suo potere per distruggere il
clima di fiducia che poteva incoraggiare
la cooperazione”. L’accordo non è il pezzo più importante delle relazioni fra i due
paesi nel dopo Guerra fredda, ma potrebbe servire come anticipazione di altre sospensioni. Inoltre, segnala Fox News, la
Russia ha appena spostato in Siria – per
la prima volta fuori dai confini nazionali
– alcuni sistemi di difesa missilistica di tipo Gladiator che hanno un
solo scopo: respingere le incursioni aeree nemiche. Difficile giustificare la loro presenza con la campagna contro lo Stato islamico e altri
gruppi terroristici (che non
hanno aerei) promessa da
Putin alle Nazioni Unite nel
settembre di un anno fa. Insomma, a settembre si negoziava per creare un’inedita
alleanza antiterrorismo, e a
ottobre c’è vento di Guerra fredda. Su tutto pesa l’incognita delle elezioni presidenziali americane. Se vince Hillary, Putin avrà calcolato bene: tanto valeva giocare d’anticipo e provare a prendersi
Aleppo con una campagna senza precedenti di raid aerei, e in questo modo
rafforzare l’alleato locale Bashar el Assad, si sa che c’è poco spazio per intese
con la senatrice e che se vince lei i negoziati non saranno per nulla più facili. Se
invece vince Trump, l’America non avrà
più voglia di dire la sua sulla situazione in
Siria e – a quanto pare di capire dalle dichiarazioni fatte finora dal candidato repubblicano – Putin potrà fare quello che
vuole. Come ora.
In dubio pro reo. Anche per il caso Cucchi
La giustizia punisca chi ha responsabilità dirette: le vendette non servono
L
La vicenda giudiziaria legata alla
morte di Stefano Cucchi durante la
sua detenzione per questioni di droga è
arrivata a un passaggio cruciale. Dopo la
seconda assoluzione in appello dei medici restano indagati i carabinieri che lo
hanno tenuto in custodia. Il giudice delle indagini preliminari ha disposto una
perizia, che ha portato gli esperti a stabilire che si è trattato di “una morte improvvisa e inaspettata per epilessia in un
uomo con patologia epilettica di durata
pluriennale, in trattamento con farmaci
anti-epilettici”. Quindi per gli esperti
non c’è connessione causale tra il pestaggio subito da Cucchi durante le fasi dell’arresto e il suo decesso la settimana
successiva. In seguito al deposito di questa perizia, i legali dei carabinieri implicati chiederanno l’archiviazione delle
accuse a loro carico, mentre la sorella
del deceduto, al contrario, ritiene che ci
sarà un processo per omicidio preterintenzionale. La decisione del gip non sarà
semplice, soprattutto per il clamore mediatico del caso e per la forte corrente
colpevolista che si è diffusa.
La via maestra, però, sarebbe quella
di applicare il principio giuridico garantista “in dubio pro reo”, che dovrebbe far
propendere per l’archiviazione. Si può
obiettare che quel principio vale soprattutto per un giudizio di merito, che deve
verificare la consistenza delle prove,
mentre nella fase preliminare basta che
ci sia una concatenazione di indizi sufficiente a passare a un processo che accerti se quegli indizi sono suffragati da prove sufficienti oppure no, e che il principio che favorisce l’imputato in caso dubbio valga solo a quel punto. Anche questa è una tesi ragionevole, il che rende
davvero complessa la decisione del gip.
Le conclusioni di molti esperti intervenuti finora sono abbastanza chiare nell'indicare una probabile causa del decesso,
non direttamente collegata alla violenza
dell’arresto. L’importante è che si agisca
in base a prove e riscontri, non a prevenzioni, contrarie o favorevoli che siano all’Arma, né a compiacenze verso la pressione mediatica. Quella di Cucchi resta una
tragedia terribile, per la quale è giusto
provare pietà, ma che non può portare a
vendette contro chi non ha responsabilità
dirette e provate nell’accaduto.
Shakespeare non parla multikulti
Nel 2066 l’Inghilterra del melting pot non userà più il suono “th”
N
el 2066, i linguisti prevedono che il
suono “th”, il marchio distintivo
dell’inglese, svanirà completamente a
Londra, perché ci sono così tanti stranieri che non sanno pronunciare le consonanti interdentali. E’ l’avvento del “Multicultural London English”, fortemente
influenzato dagli immigrati dei Caraibi,
dell’Africa occidentale e delle comunità
asiatiche, e che prende il posto del celebre e universale “Estuary English”,
quello originario dell’estuario del Tamigi. Nel giro di pochi decenni, l’immigrazione avrà modificato profondamente il
linguaggio, secondo gli esperti dell’Università di York. Il suono “th” è destinato a essere sostituito dalla “f”, “d” e “v”,
il che significa che “mother” sarà pronunciato “muvver”. Altre modifiche previste per il 2066 includono lo “yod dropping”, in cui la “u” viene sostituita con lo
“oo”. Ciò significa che “Duke” diventa
“dook”, “news” si pronuncia “nooze”.
Allo stesso modo la “l” alla fine delle parole verrà abbandonata in modo che le
parole “Paul” e “pool” suoneranno tutte allo stesso modo. “Text” perderà la “t”
finale per diventare “Tex”. La Cattedrale di San Paolo (Saint Paul) cessa d’essere Saint Paul e diviene “Saint Po”. Il
numero tre, “three”, è pronunciato “ri”,
le cose, “things”, diventano “fings”. Un
fenomeno che conferma la crescente
erosione delle “caste” britanniche, soprattutto nel grande spazio centrale dove albergano le varie middle classes, con
tutte le loro suddivisioni. Una rivoluzione era già avvenuta quando era scomparso l’inglese di Oxford o della Bbc ed
era rimasta soltanto la “Received Pronunciation”, la pronuncia standard, usata dai più, dalla regina come dal funzionario di banca. E’ vero anche che è da
cinquecento anni che i volgarismi arricchiscono la lingua inglese e ne diventano parte. Senza questo fecondo contributo, l’inglese antico non sarebbe mai cresciuto fino a diventare la lingua di
Shakespeare. Ma questo nuovo studio
non è un mero esercizio di linguistica: ci
dice dell’impatto profondo che l’immigrazione di massa sta avendo nelle società europee ad avanzato multiculturalismo. Un impatto che non si avverte soltanto nelle mense scolastiche di Stoccolma, nelle vignette dei giornali di Parigi,
negli indici di natalità a Milano, nelle
strade di Colonia, ma anche nella semplice fonetica della lingua più universale che sia mai stata creata.
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
Se anche un pretzel può vincere un Nobel
EDITORIALI
Cosa c’è in ballo tra Russia e America
IL FOGLIO QUOTIDIANO
I FISICI CHE HANNO DATO UNA REALTÀ A CIÒ CHE ERA MISTERIOSO, EFFIMERO ED ESOTICO
U
n problema di “italianissima” procedura. Parrebbe questa la ragione dell’assegnazione del Nobel per la fisica 2016.
Dopo l’evento mediatico mondiale dell’eDI
UMBERTO MINOPOLI
co della prima onda gravitazionale, ipotizzata e attesa da un secolo, osservata nel
settembre 2015 dall’interferometro laser
del Ligo (in collaborazione con l’italiano
Virgo), tutti avrebbero scommesso sul Nobel ai cacciatori dell’oggetto più enigmatico e controverso della fisica della relatività: le onde gravitazionali, l’ultimo esame per Einstein. Ma è tutto rinviato pare,
curiosamente, per un difetto tecnico nella domanda di ammissione della candidatura del Ligo: un banale ritardo. La verità,
però, al di là della plausibilità dell’inciampo procedurale, è che non è affatto facile il lavoro dei valutatori dei premi in
Fisica nella realtà di oggi. La fisica, dall’ultimo quarto del 900, si è profondamente trasformata, sofisticata, complicata. Per
molti versi la stessa relatività e l’originaria fisica quantistica appaiono oggi preistoria: un mondo quasi classico e nostalgico di scoperte, controllabili con la strumentazione tradizionale delle procedure
sperimentali e del lavoro classico di labo-
Non è facile assegnare un
Nobel. La fisica, dall’ultimo
quarto del ’900, si è
profondamente trasformata
ratorio o di osservazione. Tutto cambiato.
Il territorio della fisica è rivoluzionato.
L’esplorazione e la ricognizione del suo
oggetto riguarda oggi territori di ricerca,
all’apparenza insondabili, che sprofondano nelle dimensioni, impensabilmente,
minuscole, strane, controintuitive del microcosmo subatomico o in quelle dell’immensamente grande, dei fenomeni che avvengono agli orli dell’universo osservabile. Niente è più, per questa nuova fisica,
sufficiente nel corredo concettuale della
fisica classica e, anche, di quella della prima metà del 900, Einstein e Bohr compresi.
Uno dei tratti caratteristici della nuova
fisica è che si è fatto incredibilmente più
sottile il confine tra esperimento e teoria.
Un fisico oggi deve lavorare su oggetti in
cui la scommessa dell’ipotesi è, irrimediabilmente, più ampia della certezza sperimentale. Un fisico, anche sperimentale,
deve assegnare più spazio all’inventiva, alla sfida dell’ipotesi da verificare, al giudizio del peer-to-peer, al rischio dell’errore,
al conflitto di scuole e indirizzi. Il fisico
oggi, ha scritto Rovelli, è anche un po’ filosofo. Capita sempre più di dover decidere di assegnare premi a dirompenti teorie,
a scommesse sulla realtà, più che ad effettivi esperimenti o acquisizioni già catalogabili come scoperte. Non era così fino alla metà del secolo scorso. Ne è testimonianza il genio di Einstein. Non prese mai
il Nobel per la sua teoria della relatività,
quasi una filosofia e un’ipotesi (rivoluzionaria) sul funzionamento del mondo. Lo
Il fisico contemporaneo è anche
un po’ filosofo. Non era così fino
alla metà del secolo scorso e il
genio di Einstein lo testimonia
prese per il suo esperimento sull’effetto
fotoelettrico: un esperimento fisico, di
portata immensa ma riproducibile in ogni
laboratorio.
Oggi, al contrario, con l’affermarsi sempre più del probabilismo e della stranezza quantistica, i riconoscimenti devono
andare, sempre più, a dirompenti innovazioni ma che, spesso, rappresentano necessariamente previsioni più che effettive
scoperte. Tipico il bosone di Higgs, ad
esempio. Sir Peter Higgs (con il fisico belga Englert) ha conquistato, nel 2013, il Nobel quarant’anni dopo la teoria da lui formulata: l’origine della massa delle particelle elementari. Per quattro decenni la
sua è stata una pura ipotesi predittiva ( ovviamente con solidi indizi) sul funzionamento della materia subatomica e su un
D
aniela Santanchè parla ai giornalisti
perplessi di Novella 2000 e Visto,
riuniti per il suo primo discorso da editore. “La Santanchè così come la vedete
voi sta sulle palle anche a me, io però sono un’altra cosa”. La frase arriva verso la
fine di “Sono una donna, sono la Santa”
ma offrire uno sguardo più largo sulla
sua arcidiscussa figura è lo scopo del suo
nuovo libro. E’ un’apologia scritta con
buona proprietà di linguaggio, chiaro e
coinvolgente. Da giovane universitaria a
Torino sceglie subito la parte politica impopolare, indossa gonne e twinset, in
barba alla maggioranza di sinistra in
jeans sdruciti. Grazie al padre imprenditore dei trasporti, diventa come lui un asso a biliardo, spennando polli quand’era ancora ragazzina. Voleva fargli cambiare idea, perché lui mai nascondeva il
sommo dispiacere che lei non fosse maschio.
Da lui impara quanto importante sia
essere economicamente autonomi. A tredici anni vuole fare uno stage a Londra.
“Con quali soldi?”, le chiede papà Ottavio. L’adolescente sgobba a raccogliere
fragole, con la schiena incurvata da mane a sera. I soldi non bastano ma il padre
la fa partire, a patto di ripagarlo al suo
ritorno, pulendo i bagni dei camionisti fino a prestito estinto.
Rifiuta il femminismo perché propone
di distruggere la famiglia tradizionale e
sostiene l’omologazione tra maschi e
decisivo dilemma fisico: perché esistono
tante e differenti particelle? Persino la
convalida della previsione con la prova al
Cern dell’esistenza effettiva del bosone
deve rispettare comunque insolite cautele: la materia quantistica è veramente irriducibile a certezza assoluta. Questo concetto classico di certezza, nella fisica contemporanea, ha dovuto, irrimediabilmente, concedere territorio a quello di probabilità: la vera rottura epistemologica della
fisica quantistica, della nuova fisica. Si
pensava, ottimisticamente, ancora meno
di un secolo fa, che lo spazio delle certezze, della conoscenza oggettiva della realtà
sopravanzasse, in fisica, quello dei dilemmi e delle cose sconosciute, delle domande inevase. E invece, relatività e quantistica ci espongono a un paradosso: più conosciamo del funzionamento della natura
più aumentano le domande inevase.
Dopo solo 60 anni la realtà della fisica
è l’opposto dell’ottimismo conoscitivo illuminista del 900: nel macrocosmo la fisica
deve fare i conti con fenomeni sconosciuti (materia oscura, energia oscura) che
contano per oltre il 90 per cento nella contabilità delle cose che non comprendiamo
del funzionamento dell’Universo; nel microcosmo il mistero della materia esotica
è l’espressione elegante con cui rileviamo
dimensioni, comportamenti, stati inediti e
impensabili, sinora, del comportamento
della Natura. Il concetto stesso di strumenti di indagine, di laboratorio, di macchina sperimentale per le scoperte fisiche
del nuovo secolo cambia profondamente. I
territori della fisica si fanno così profondi,
variegati, lontani spazialmente (nel microcosmo e nel macrocosmo) che l’esplorazione, l’osservazione e la verifica sperimentale implicano sofisticazioni tecnologiche,
quasi inconcepibili, solo 60 anni fa: pensiamo ai grandi acceleratori (il solo modo
per penetrare le profondità della materia
e il mistero delle sue origini); pensiamo
agli interferometri giganteschi che devono
catturare oscillazioni, onde, rumori dalle
dimensioni impercettibili; pensiamo agli
osservatori radio e ottici collocati nello
spazio interplanetario per cogliere dinamiche e oggetti cosmici che ci restituiscono una realtà del tutto impensata e sconosciuta del cosmo. In questa dinamica è
quasi impossibile, ormai, pensare alla scoperta in fisica come un lavoro individuale.
Niente è più afferrabile attraverso il lavoro di un unico scienziato. Solo il lavoro di
team e il collegamento di rete dei cervelli, degli sperimentatori, dei fisici teorici,
dei tecnici delle grandi macchine e impianti di osservazione e sperimentazione
garantisce il risultato scientifico.
Ogni premio in fisica oggi è il riconoscimento ad un grande cervello collettivo, ad
un general knowledge che è il vero protagonista della scoperta, dell’innovazione,
dell’ipotesi teorica. No. Non è affatto facile assegnare oggi un Nobel in fisica. Non
è semplice il mestiere dei valutatori.
Prendiamo il Nobel assegnato ieri. Scuota già l’oggetto del premio: “Studi sulle
transizioni di fase topologiche della materia esotica”. Non uno ma due aggettivi di
riferimento dell’oggetto del Nobel che
sembrerebbero allusioni misteriose o
stravaganti: topologico ed esotico. E alludono, invece, a concetti e ipotesi di portata incommensurabile. Con topologiche si
intende in fisica gli stati, le forme le configurazioni che, in determinate condizio-
LIBRI
Daniela Santanchè
SONO UNA DONNA, SONO LA SANTA
Mondadori, 176 pp., 17 euro
femmine, senza costruire nulla. (“L’unica
‘conquista’ è stata l’aborto legale, così comodo per i maschi. E per dirla tutta, è
una libertà lugubre: ‘Mors tua vita
mea’”). Santanchè non parla di aborto
ma alla maternità fa un panegirico. E’
delusa di non averne avuti tre, di figli.
L’unico, Lorenzo, è il centro assoluto dei
suoi affetti. Diversamente dalle tante italiote in adorazione dei “piezz’e core”,
non ha mai preso le sue parti contro un
insegnante, cosa più unica che rara. Un
professore di estrema sinistra tira una
sberla al figlio dandogli del fascista perché aveva osato dirsi contrario a un articolo di Avvenire sull’accoglienza degli
immigrati. Lei gli dice: “Se te l’ha dato
ha fatto bene”, poi di nascosto va a fare
un casino dal preside. Sarà pure di destra rispettare l’autorità ma una volta
era così anche nei paesi anglofoni, prima
dell’ascesa del pervasivo politicamente
corretto. Dà un valore enorme al compi-
ni fisiche, la materia atomica può subire
senza sottostare a rotture o aggiunte di
pezzi. Detto così resta di difficile comprensione. Spesso nella nuova fisica per
raffigurarsi una cosa difficile da afferrare si ricorre a figure tratte dalla realtà che
avvicinano il concetto. Celebre lo spaziotempo curvo di Einstein che viene raffigurato nella forma della tovaglia di tela
deformata da una palla pesante posta al
suo centro. Straordinaria la trovata della
giuria del Nobel di rendere percepibile il
concetto di topologia con l’esempio del bagel, del pretzel e del panino: tre forme di
pane di diversa topologia, perché, contenendo buchi nella loro differente forma,
nessuna è traducibile nell’altra senza rotture di continuità. David Thoulesse, Duncan Haldane e Michael Kosterlitz hanno
studiato le inedite forme e proprietà geometriche cui la materia va incontro durante cambiamenti del suo stato che non comportino rotture di continuità: tutte le forme che assumerebbe un panino senza diventare un bagel, senza rompersi o bucarsi. Rispettando, insomma la sua topologia.
Sino a metà del secolo scorso delle forme
topologiche che la materia poteva assumere si conoscevano solo alcuni stati possibili: solido, liquido, gassoso, plasma. Già ne-
Il concetto classico di certezza,
nella fisica contemporanea, ha
dovuto cedere inevitabilmente
territorio a quello di probabilità
gli anni 40 si aggiunse la conoscenza di altri possibili stati della materia: il condensato Bose-Einstein o quello di Fermi-Dirac che indagano, rispettivamente, il comportamento di bosoni e fermioni in temperature vicine allo zero assoluto. Ma è con
i progressi della fisica quantistica che si
è dischiusa un intero continente di stati e
comportamenti della materia in condizioni di realtà esotica. Vale a dire: in condizioni dominate dalla prevalenza degli effetti quantistici rispetto a quelli della
realtà macroscopica che conosciamo. Negli acceleratori di particelle, in fenomeni
come i raggi cosmici (la radiazione invisibile che dallo spazio profondo colpisce
ogni secondo la terra), in condizioni di decadimento radioattivo si formano particelle e configurazioni degli atomi assai diverse, morfologicamente e come comportamento fisico, dalla materia che conosciamo in forma liquida, gassosa, solida o di
plasma. Questi atomi o particelle diverse
consentirebbero, probabilmente, se potessimo utilizzarli, facoltà e utilità di straordinaria portata.
La materia nella forma di quegli atomi
significherebbe, forse, avanzamenti epocali in termini di superconduttività elettrica e magnetica, fluidità e velocità, moltiplicazione degli spazi di utilizzo fisico,
forza e resistenza delle catene atomiche
che potrebbero rivoluzionare tipi e tecnologie dei materiali, velocità e portata dell’informatica di nuova generazione (computistica quantistica), usi energetici. Davvero un salto di civilizzazione tecnologica.
Come spiegare il concetto di
topologia? E cos’è questa materia
esotica? Le sue applicazioni sono
una rivoluzione tecnologica
Il problema sinora era questo: questa materia esotica era inconoscibile. Per un fatto pratico: compariva in modo effimero in
alcune condizioni (raggi cosmici, acceleratori, radioattività) ma durava poco. Cioè
decadeva e scompariva in un tempo microscopico.
Noi definiamo questa materia come
esotica per questo: esiste (come esiste tutta la strana fisica quantistica) ma è nascosta nei recessi del microcosmo e, soprattutto, dura poco. E’ inafferrabile e, dunque, incontrollabile. Ma la sua applicazione schiuderebbe territori immensi al progresso delle tecnologie. Thoulesse, Haldane e Kosterlitz hanno dischiuso una nuova
frontiera: dare realtà a ciò che era, sinora, misterioso, effimero ed esotico. Un bel
passo.
to di “cura” della donna (come le femministe della differenza), rendere a marito
e figli gradevole la casa, i pranzi: quelle
cose che fanno un focolare accogliente.
Rivendica la femminilità, è felice di essere geisha per il suo uomo, ha mani di
fata. (Non lo scrive, ma per dieci anni a
San Vittore insegna a ricoprire divani e
poltrone e a cucire tende, dando alle detenute un mestiere una volta tornate in
libertà). Si consiglia di arrivare in fondo
al libro perché diventa ancora più interessante. E’ un politico con molte legislature alle spalle, una donna di successo
nelle comunicazioni, crede nel perdurare della carta stampata e ci investe denaro, siede in diversi consigli di amministrazione e ha un giro d’affari notevole.
Ma quando è arrivata a Roma come deputata (qui non lo scrive) ogni mattina
chiamava la cameriera a Milano per accertarsi che al suo ora ex compagno Canio Mazzaro fosse stata data la camicia
calda stirata di fresco. Gulp. Un altro ex,
Alessandro Sallusti, le telefona mentre
lei è in un consiglio d’amministrazione
furibondo perché manca un bottone alla
camicia. Lei non s’irrita, perché coccolare il suo uomo le sta a cuore. E’ stata, tra
le altre cose, la prima relatrice donna
della legge Finanziaria in Parlamento.
Ed ecco la sua frase chiave, condivisa anche da Simone de Beauvoir: “La parità
sono i soldi. Punto”. Per Daniela, misssione compiuta.
La Giornata
* * *
In Italia
PADOAN RITIENE REALIZZABILI GLI
OBIETTIVI ECONOMICI DEL GOVERNO.
Il ministro dell’Economia ha risposto alle
perplessità sollevate dalla Banca d’Italia e
dall’Ufficio parlamentare di bilancio. Padoan ha sostenuto che una crescita dell’1
per cento nel 2017 è “ambiziosa, ma realizzabile” e che nasce “non da una scommessa, ma dalla Legge di bilancio” del 2016. Le
commissioni Bilancio riunite di Camera e
Senato hanno chiesto un approfondimento
da parte del ministro sul Def.
* * *
Cucchi non morì per le percosse. I periti
nominati dal gip nel processo sulla morte
di Stefano Cucchi hanno stabilito che le
sue lesioni “non possono essere considerate correlabili causalmente o concausalmente, direttamente o indirettamente anche in modo non esclusivo, con l’evento della morte”.
* * *
Il Papa nelle zone terremotate. Francesco
ha visitato in automobile i paesi distrutti
dal sisma del 24 agosto, incontrando i bambini di una scuola temporanea. Dopo aver
pregato davanti alle macerie, ha pranzato
con gli sfollati. “Io vi sono vicino. Sono con
voi”, ha detto loro il Pontefice, rientrato a
Roma a metà del pomeriggio
* * *
Contatti tra Ue e Italia sulle banche. La
Commissione europea ha trovato valide le
ragioni presentate dal governo italiano per
il rinvio a data da destinarsi della cessione delle cosiddette good banks: Banca Marche, Banca Etruria, CariChieti, CariFe. La
vendita era prevista per fine settembre.
* * *
La Banca d’Italia chiede più innovazione.
Il direttore generale della Banca centrale,
Salvatore Rossi, ha espresso le sue preoccupazioni per l’incapacità delle imprese
italiane di crescere e innovarsi. Ha incoraggiato cambiamenti nella mentalità degli
imprenditori e nei vincoli sistemici.
* * *
Borsa di Milano. FtseMib +0,21 per cento.
Differenziale tra Btp e Bund a 140 punti.
L’euro chiude in ribasso a 1,11 sul dollaro.
Nel mondo
IL FONDO MONETARIO RIVEDE LE
STIME SULLA CRESCITA ECONOMICA.
L’istituto guidato da Christine Lagarde ha
presentato martedì le previsioni per il 2016
e il 2017. A livello globale, è prevista una
crescita del 3,1 nel 2016 e del 3,4 per cento nel 2017. Negli Stati Uniti le stime sono
state ridotte rispettivamente dello 0,6 e dello 0,3 per cento, mentre quelle dell’Eurozona sono aumentate dello 0,1 per cento in
entrambi gli anni. La crescita in Italia è stata ridotta dello 0,1 per cento, attestandosi
allo 0,8 nel 2016 e allo 0,9 nel 2017.
* * *
Nuove possibilità di negoziato sulla Siria.
Il segretario di stato americano, John
Kerry, ha spiegato di nutrire ancora la speranza di trovare un accordo con la Russia,
nonostante la rottura formale di lunedì. Il
portavoce del Cremlino, Dimitry Peskov, ha
auspicato che gli Stati Uniti agiscano “con
saggezza” e ricompongano lo strappo diplomatico sul conflitto mediorientale.
Il ministero della Difesa russo ha confermato l’invio di una batteria di sofisticati
missili antiaerei S-300 a difesa della propria base a Tartus, in Siria.
* * *
Rinviate le elezioni palestinesi. L’Autorità
nazionale palestinese ha deciso per la sospensione indefinita delle elezioni amministrative, risultando impossibile organizzare le consultazioni nella Striscia di Gaza
e a Gerusalemme est.
* * *
Ritirate le accuse contro Boehmermann.
Il comico tedesco aveva irriso il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, suscitando
le proteste di Ankara. La Procura di Berlino ha fatto decadere il procedimento di oltraggio a capo di stato per mancanza di elementi certi di reato.
* * *
Assegnato il Nobel per la fisica. I ricercatori britannici David J. Thouless, Duncan
M. Haldane e J. Michael Kosterlitz, sono
stati insigniti del riconoscimento per gli
studi sugli stadi inusuali della materia.
IL FOGLIO
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ISSN 1128 - 6164
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ANNO XXI NUMERO 235 - PAG 4
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
ANNO XXI NUMERO 235 - PAG I
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
Cari genitori, lasciate perdere le false credenze e vaccinate i vostri figli
N
ella nostra quotidianità abbiamo ben chiara la
differenza tra i fatti e le opinioni. Quando commentiamo una partita di calcio ci accapigliamo sull’arbitraggio, sulla prestazione dei singoli giocatori,
sulla tattica seguita dagli allenatori; ma anche nel
contrasto più furioso nessuno si mette a litigare sul
punteggio finale, perché lo consideriamo un fatto e
come tale non lo mettiamo in discussione. Anche se
ci spostiamo su temi che riguardano la prevenzione
dei danni questa distinzione non manca. Qualcuno si
opporrà al divieto di fumare nei locali pubblici, ma
nessuno dirà che il fumo fa bene; altri affermeranno
che le pene per chi guida ubriaco sono eccessive, ma
non sosterranno che dopo avere bevuto la guida è più
sicura; qualche motociclista incosciente girerà senza casco, ma non si difenderà davanti al poliziotto
che lo multa dicendogli che in questo modo si sente
più protetto in caso di incidente. Purtroppo questa
corretta percezione svanisce quando parliamo di vaccini: hanno salvato e salvano innumerevoli vite e hanno risparmiato e risparmiano all’umanità una quantità impressionante di dolore; hanno un profilo di sicurezza e un rapporto rischi-benefici ineguagliato; la
loro somministrazione è infine economicamente vantaggiosa. Questi sono fatti, dimostrati scientificamente e inoppugnabili, tanto certi quanto il punteggio finale di una partita di calcio. Eppure basta aprire internet per vedere i vaccini dipinti letteralmente come una minaccia gravissima per la nostra salute.
E’ facile descrivere le gravi conseguenze di queste
false credenze, al contrario è molto più difficile individuarne con esattezza l’origine. Sicuramente un
ruolo cospicuo lo ha giocato la comparsa di nuovi
mezzi di comunicazione che, come giustamente ha
detto Umberto Eco, danno voce a chiunque e hanno
sostituito la vecchia enciclopedia, dove scrivevano
solo gli esperti qualificati. Ma probabilmente sono rilevanti anche la perdita di prestigio delle istituzioni
e in particolare della figura del medico, la sfiducia
nella scienza, una visione molto negativa delle multinazionali. Eppure la medicina ha fatto passi da gigante (come dimostrato dall’allungarsi formidabile
dell’aspettativa di vita), la scienza ci ha cambiato in
meglio l’esistenza sotto innumerevoli aspetti, le multinazionali non sono certamente degli istituti di beneficenza ma – oltre ad avere messo a punto farmaci
che curano malattie prima mortali – nel 2015 in Italia hanno fatturato circa 300 milioni di euro con tutti i vaccini, e 1.700 milioni di euro con i farmaci per
curare una sola malattia infettiva per la quale non
abbiamo il vaccino, l’epatite C. Tutti questi fatti, pur-
troppo, appaiono spesso inefficaci nello smascherare le bugie.
Di nuovo, mentre la scienza ci offre dati precisi
sull’efficacia e la sicurezza dei vaccini e ci indica con
esattezza tempi e modi della somministrazione,
quando ci troviamo a ragionare su come invertire
questa deriva antiscientifica le certezze sono davvero poche. Una di queste è però l’esigenza di ascoltare, spiegare, rassicurare e soprattutto porgere le
informazioni in modo corretto. Questo è un compito
degli operatori sanitari, visto che dietro a un genitore spaventato e disinformato c’è spesso un medico
frettoloso; è anche un dovere dei giornalisti, in quanto così come a un dibattito sulla prevenzione e la cura del diabete non è opportuno invitare un pazzo che
sostiene che questa malattia si cura mangiando torte,
allo stesso modo non si può dare spazio in un giorna-
le o in un programma televisivo a un medico che spaventa i genitori raccontando pericolose bugie, totalmente infondate dal punto di vista scientifico, che
mettono a rischio la salute dei nostri figli e di tutta
la società. Un’azione volta a ripristinare la fiducia
nei vaccini, in ogni caso, è indispensabile. Infatti se
non riusciremo a persuadere i genitori con le parole, ben presto ci penserà la vita a convincerli con i
fatti, perché quando scoppierà un’epidemia e dovremo contare i morti, a quel punto tutti correranno a
vaccinarsi. E’ avvenuto in passato ed è stato quello
che ha vinto ogni resistenza nei confronti della vaccinazione contro il vaiolo, e se continuiamo a non
vaccinare accadrà in futuro. Questo è un fatto: la mia
opinione è che sarebbe meglio non arrivare a questo
punto, ma fermarsi prima.
Roberto Burioni
IL VACCINO NON E’ UN’OPINIONE
La società è messa in pericolo da aspiranti chimici cultori della pseudoscienza. Un libro in uscita
di Roberto Burioni*
A
vete appena acquistato questo libro,
fatto per cui io e l’editore vi siamo
sinceramente grati. L’avete pagato una
certa cifra, che legittimamente potete
considerare eccessiva oppure ragionevole.
Avete sicuramente osservato la copertina,
che può esservi piaciuta o no. State
leggendo quello che scrivo ed è nel vostro
pieno diritto amare o detestare il modo in
cui lo faccio. Queste sono opinioni e sono
tutte legittime. Però questo volume ha 168
pagine e pesa 240 grammi (naturalmente
questo valore può essere un po’ diverso,
superiore o inferiore, a seconda della carta
su cui la vostra copia è stata stampata).
Dopo averlo letto potrete liberamente
affermare che è scritto male o che è scritto
Oggi chi sostiene che 2+2=5,
invece di finire dietro la lavagna,
può essere considerato un
coraggioso pensatore indipendente
bene; che è noioso oppure che è divertente,
ma non potrete dire che pesa 2400 grammi
o che ne pesa 18. Perché il peso è un fatto
e non è un’opinione.
Se una bilancia dice che questo libro pesa 240 grammi, anche se il 99 per cento della popolazione mondiale fosse convinto che
pesa due chili, tutti avrebbero torto, non
potendo essere i fatti approvati a maggioranza, come le opinioni. Si può ovviamente discutere che la bilancia sia tarata bene
o si può sostenere che sia malfunzionante.
Quando parliamo dell’aspetto della copertina ogni opinione ha la sua dignità; ma se
mettiamo in dubbio la funzionalità delle bilance, la mia opinione d’ignorante non vale quanto quella di un ingegnere che per
mestiere progetta strumenti di misurazione. Questo, d’altra parte, è scontato nella vita di ogni giorno: un macellaio che, dopo
avere pesato un chilo di carne, dicesse a un
cliente che gliene farà pagare due, perché
nella sua personale esperienza ritiene che
all’interno del suo negozio la forza di gravità sia diversa, andrebbe molto presto in
rovina, in quanto nessuno comprerebbe
più nulla da lui.
Con i vaccini ci troviamo nell’identica situazione. La bilancia, in questo caso il metodo scientifico, ci dice che sono sicuri e affidabili e che proteggono i bambini e l’intera società da pericolosissime malattie.
Però se vi collegate a Internet trovate un
gran numero di medici e personaggi vari
che vi dicono l’esatto contrario e che – come il macellaio che bara sul peso della carne e non crede nella forza di gravità – vi vogliono fregare. Con la differenza che mentre il macellaio disonesto minaccia solo il
vostro portafoglio, i praticoni che affollano
la rete sostenendo di non credere ai vaccini non solo mettono in pericolo il vostro
conto corrente, ma anche la salute vostra,
dei vostri figli e dei figli degli altri.
Purtroppo Internet è un luogo dove fatti
e opinioni si mescolano e si confondono,
dove tutte le voci – autorevoli o no – sono
sullo stesso piano, dove non esiste alcun filtro, dove se si parla della prevenzione degli incendi troverete insieme e indistinti il
pompiere e il piromane; dove incontrerete
a dibattere su cosa possa provocare l’autismo un ricercatore che studia il tema con
sacrificio da una vita e una playmate stagionata che afferma di essersi laureata all’università di Google e di avere capito l’origine dell’autismo del figlio grazie
all’“istinto di mamma”. D’altra parte, oltre
a innumerevoli siti secondo i quali i vaccini causano l’autismo o fanno diventare gay
(per esempio, www.mednat.org/sesso/omo-
sex.htm), troviamo luoghi telematici che ci
dimostrano che la terra è piatta (www.theflatearthsociety.org), che è cava al suo interno (www.ourhollowearth.com), che i
Beatles non sono mai esistiti (www.thebeatlesneverexisted.com) e addirittura che
l’aeroporto di Denver è la sede del diavolo in persona.
Insomma, nel mondo reale chi sostiene
che due più due fa cinque viene messo dietro la lavagna con il berretto da somaro,
mentre su Internet può essere facilmente
considerato un coraggioso pensatore indipendente determinato a lottare contro la
lobby delle calcolatrici, che per interessi
inconfessabili e terribili vuole far credere
a tutti noi che il risultato dell’addizione sia
invece quattro.
Certo, ci sarebbe da ridere di fronte a
tutto questo. Purtroppo però quando queste bugie diventano pericolose, non possiamo più ridere. Se mai ci fosse qualcuno
che, ritenendo la terra piatta, trovasse dei
piloti disposti a condurre un aereo in base
a questa convinzione, voi capite che non ci
sarebbe più da scherzare, perché sarebbero a rischio non solo i passeggeri e i piloti
“terrapiattisti”, ma pure quelli degli altri
aeroplani e anche noi che – sebbene consapevoli della rotondità della terra – potremmo vederci piombare sulla testa uno
di quei velivoli.
Capisco che bisognerebbe scrivere un libro che spieghi che la terra è tonda, che i
Beatles sono esistiti e che l’aeroporto di
Denver non è la sede del demonio.
Tuttavia in queste pagine mi limiterò a
spiegarvi che i vaccini sono sicuri ed efficaci e che a non vaccinarsi (e a non vaccinare i figli) si corrono rischi molto gravi. Ve
lo farò capire con i fatti, inoppugnabili,
supportati da decenni di ricerca scientifica
condivisa e accettata dalla comunità medica mondiale, smascherando le mille bugie
che vi raccontano personaggi ignoranti o in
malafede (o entrambe le cose insieme). Bugie che, se credute, mettono a rischio i vostri figli e l’intera società nella quale viviamo. Così, nel malaugurato caso in cui queste menzogne vi abbiano impaurito o impressionato, spero di riuscire a tranquillizzarvi e a condurvi verso scelte basate su
fatti veri e indiscutibili.
Perché, per l’appunto, il vaccino non è
un’opinione. (…)
Immaginate per un attimo d’incontrarmi
a cena e che io inizi a raccontarvi d’essere
un campione di sci, uno tra i più forti del
mondo. Voi giustamente mi chiedereste a
quali competizioni ho partecipato e quali
gare ho vinto. Io vi rispondo che non ho mai
preso parte a nessuna gara e che ovviamente non ne ho mai vinta nessuna. A quel pun-
Ogni medico antivaccinista dice
d’essere un grande scienziato e
illustre immunologo. Tutto
autocertificato, naturalmente
to mi domandate il motivo della singolare
decisione e io vi spiego che non m’iscrivo
nemmeno alle gare, perché i cronometristi
sono corrotti e, pur sapendo che il migliore sono io, non mi farebbero vincere, alterando i tempi. Stupiti del malcostume che
impera sui campi di sci, insistete nel voler
capire e mi chiedete allora se mi è mai capitato d’essere scelto come membro della
squadra di uno sci club. La risposta è che
anche gli sci club sono corrotti e non vogliono dare spazio a un atleta indipendente: per questo scio sempre da solo. “Ma come fai a dire che sei un fantastico sciatore?” sbottereste, un po’ seccati, e io vi racconterei che misuro da solo i tempi che faccio scendendo dalla collinetta dietro casa.
“Potete trovarli sulla mia pagina Internet,
“I vaccini sono sicuri. Chi vi dice il contrario o è ignorante o è in malafede” (LaPresse)
li tengo sempre aggiornati”. Sono certo che
a questo punto anche chi tra voi fosse meglio disposto nei miei confronti mi considererebbe un millantatore e altrettanto sicuramente non mi affiderebbe i figli per guidarli in una lunga escursione sciistica su
piste difficili e pericolose.
Ebbene, questo è ciò che facciamo quando seguiamo i consigli dei medici antivaccinisti. Ognuno di questi signori dice d’essere un grande scienziato e un insigne immunologo; tutto autocertificato, naturalmente, come i tempi delle mie eccezionali
prestazioni sugli sci, perché non ha mai
messo a confronto le sue idee e teorie con
quelle di altri medici. Si limita a pubblicarle sul proprio sito Internet e a diffonderle
nei convegni a pagamento, dove non ci sono altri esperti, ma solo genitori impauriti
e ingannati. Se andate a controllare le pubblicazioni di queste persone, al massimo
v’imbattete in libri autopubblicati oppure
in articoli usciti su giornali di nessuna importanza.
Alcuni, che si ritengono geni incompresi e maltrattati dalla vita, sostengono addirittura d’avere trovato nei vaccini uranio
radioattivo, tritolo e bombe a mano. Ma tutto questo è avvenuto nel loro laboratorio
autogestito, autofinanziato e autocontrollato ed è stato pubblicato esclusivamente nei
loro siti Internet e mai condiviso con la comunità scientifica, rendendo i loro esperimenti tanto affidabili e tanto rilevanti
quanto quelli che Pietro, mio nipote dodicenne, conduce in camera sua con la scatola del Piccolo Chimico che gli ho regalato
per Natale. Siccome dimostrare che i vaccini sono contaminati sarebbe una scoper-
ta da premio Nobel, visto che tutto il mondo ritiene i vaccini sicuri e li utilizza in piena tranquillità, siamo praticamente davanti a un tennista che gioca da solo contro il
muro e dice di essere più bravo di Roger
Federer. Quando gli chiedete perché non
va agli Internazionali d’Italia, vi risponde
che, se lo facesse, gli altri giocatori gli carpirebbero i colpi segreti. Così continua a
giocare contro il muro, con qualche spettatore che lo guarda e applaude. Diventa difficile capire chi sia più scemo, se il tennista davanti al muro, convinto d’essere un
campione, o gli spettatori che continuano
a fare il tifo per lui senza accorgersi dell’inganno.
Per essere più espliciti, questi signori
propagano teorie opposte a quelle che sono ritenute giuste e assodate da tutta la comunità medico-scientifica mondiale. In altre parole, si ritengono dei geni che sono
riusciti con la loro intelligenza in quello
che sfugge a tutti gli scienziati. Affermano
di avere dimostrato che oltre alla luna c’è
un nuovo satellite che gira intorno al nostro pianeta; però non si confrontano con
altri astronomi per controllare se la loro
scoperta rivoluzionaria è vera e allora rimane il dubbio che forse si siano scordati
di pulire una macchia sulla lente del telescopio, e chi se ne intende avverte subito
che questa eventualità è la più probabile,
perché da certi loro discorsi si capisce benissimo che non sanno neanche pulire una
lente.
Se ci pensate, è facile far credere d’essere capaci di suonare il sassofono a chi
non lo sa suonare per nulla; molto più difficile ingannare un musicista, che dopo tre
parole si rende subito conto di avere davanti un millantatore. Impossibile farla
franca con un direttore d’orchestra nel momento in cui ci si siede tra gli strumentisti:
le stecche si sentono subito e l’impostore
viene smascherato. Vi siete chiesti perché
tutti i medici antivaccinisti lavorano sempre da soli e non li trovate mai a insegnare in università serie, a curare in ospedali
con una reputazione o a fare ricerca in istituzioni con una tradizione? Perché le loro
balle verrebbero scoperte immediatamente, e i colleghi li caccerebbero via!
Allora fate attenzione a chi affidate i vostri bimbi per la gita sugli sci. A pensarci
bene, non è difficile distinguere un bravo
sciatore da un cialtrone. Lo sciatore capace ha fatto delle gare (magari non le ha vinte, ma ha partecipato), la sua perizia è stata riconosciuta da altri sciatori che lo hanno sfidato in qualche competizione, spesso
lavora in una scuola di sci con altri maestri,
che tengono al buon nome della loro scuola, riconoscono immediatamente il cialtrone e lo sbattono subito fuori se si accorgono di averne uno come collega.
Il cialtrone scia sempre da solo o s’intrattiene al rifugio con persone che non sanno
sciare e che magari si fanno imbambolare
dalle sue parole. Attenti: tenetelo lontano
dai vostri figli. Le piste di sci sono pericolose e il mondo – con i suoi virus e i suoi
batteri – lo è molto di più. Pensateci bene
e non fatevi ingannare quando si tratta di
capire chi sa sciare davvero, perché nessun
altro, tranne voi, difenderà i vostri figli dal
pericolo che certi somari rappresentano.
(…)
Arrivati al termine di questo libro, penso che sia utile ricapitolare sette punti, che
– vi ricordo ancora – sono fatti e non opinioni.
1. I vaccini sono sicuri. E’ un fatto. Non
hanno sostanzialmente effetti collaterali di
rilievo. Quindi vaccinate in assoluta tranquillità. Le conseguenze gravi derivanti
dalla vaccinazione sono rarissime (meno di
un caso su un milione di vaccinati, e spesso si risolvono solo con uno spavento), immensamente più rare di quelle dovute alle
infezioni che vengono evitate vaccinando i
bambini. Chi vi dice il contrario o è ignorante o è in malafede o è entrambe le cose
insieme, essendo in questo caso specifico
consentito il cumulo delle cariche. Non
ascoltatelo, perché vi sta dicendo una bugia. Se è un medico o un qualunque operatore sanitario, fuggite a gambe levate.
2. I vaccini sono efficaci. E’ un fatto. Le
malattie dalle quali proteggono sono molto pericolose, anche se pensate che non lo
siano (tipicamente con la frase: “Io l’ho presa e non mi è successo niente”). Inoltre,
Non esistono due campane da
ascoltare, come non esistono due
campane cui dare retta sul fatto
che la terra è tonda
nessuna di queste malattie è scomparsa,
anche se non la vedete più. Se non vaccinate i vostri figli, li esponete a un rischio
grave e ingiustificato.
3. I vaccini sono utili. E’ un fatto. Sui vaccini non esistono due campane da ascoltare, come non esistono due campane cui dare retta sul fatto che la terra è tonda o che
la benzina è infiammabile. Esiste l’intera
comunità scientifica mondiale che – insieme a tutte le associazioni che si battono per
migliorare la qualità della vita nei paesi in
via di sviluppo – afferma l’utilità dei vaccini; poi c’è una schiera piccolissima, ma rumorosa, di persone senza alcuna autorevolezza scientifica, che per motivi che spesso
corrispondono al loro interesse personale
sostengono il contrario.
4. I vaccini rinforzano il sistema immunitario. E’ un fatto. Non solo non lo indeboliscono, ma addirittura lo rendono più efficiente e capace di contrastare le minacce,
stimolandolo nel modo più naturale possibile. I vostri bimbi hanno delle difese che
possono essere accresciute in tutta sicurezza dai vaccini somministrati nei modi e nei
tempi prescritti. Ritardare le vaccinazioni
serve solo a lasciare i vostri figli più a lungo senza protezione, ed è un guaio, perché
quello è il momento in cui sono maggiormente vulnerabili. I vaccini sono raramente controindicati: il vostro pediatra sa se il
vaccino si può fare o se è meglio rimandare, perciò seguite le sue indicazioni. Se invece afferma di essere genericamente contrario ai vaccini, cambiate subito pediatra.
5. I vaccini rendono la nostra comunità
più forte. E’ un fatto. Se tutti sono vaccina-
Non c’è alcun complotto delle
case farmaceutiche, che
guadagnano molto di più dalle
malattie che dai vaccini
ti, i virus e i batteri non riescono a circolare. Anche chi non si è ancora vaccinato, chi
non si è potuto vaccinare perché malato,
chi ha perso l’immunità a causa di una patologia o di una terapia resterà al sicuro.
Vaccinare i propri figli è dunque anche un
atto di amore e di responsabilità verso gli
altri.
6. I vaccini non causano l’autismo o altre
gravi malattie. E’ un fatto. Le sentenze con
le quali alcuni giudici hanno accordato indennizzi dopo vaccinazioni, in mancanza di
un nesso causale scientificamente provato
tra il danno e il vaccino, non dimostrano
nulla contro i vaccini. Pongono al contrario un interrogativo sul funzionamento della giustizia.
7. I vaccini non sono un complotto delle
multinazionali del farmaco. E’ un fatto. Le
case farmaceutiche guadagnano molto più
dalle malattie che dai vaccini. Per questo,
se non vaccinate i vostri figli, le multinazionali farmaceutiche avranno per voi una
sincera gratitudine.
Insomma, i vaccini sono strumenti fondamentali per proteggere in tutta sicurezza i
bimbi vostri e degli altri da malattie molto
pericolose. Se tutti i bambini in tutto il
mondo venissero vaccinati, potremmo far
scomparire dalla faccia della terra diversi
virus e potremmo davvero smettere di vaccinarci per sempre contro di loro, come abbiamo fatto con il vaiolo. E’ un fatto.
Concludendo, io immagino che dopo la
lettura di questo libro abbiate cambiato
opinione sui vaccini e – vaccinando i vostri
figli – abbiate deciso di fare la vostra parte per rendere il mondo un posto migliore,
nel quale le sofferenze e le morti causate
dalle malattie avranno meno spazio di prima.
Questo non è un fatto e neppure un’opinione. E’ solo la mia speranza.
Scienza vs ciarlatani
* Pubblichiamo alcuni stralci di “Il vaccino non è un’opinione”, da poco uscito
per Mondadori (159
pp., 16,50 euro). L’autore, Roberto Burioni,
di cui in questa pagina pubblichiamo un
intervento scritto in
esclusiva per il Foglio,
è medico e professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Su Stamina, vaccini e false cure contro il cancro, “Le Iene” sono anche peggio della Brigliadori
Roma. Il problema non è Eleonora Brigliadori, ma sono “Le Iene”. Nei giorni scorsi il
programma d’intrattenimento televisivo ha
denunciato le teorie pericolose e strampalate per guarire il cancro dell’ex show girl che
invita ad abbandonare la “medicina ufficiale” per unguenti omeopatici e introspezione
psicologica. Il servizio ha suscitato molto clamore perché l’ex presentatrice, impegnata
con i suoi adepti in un rituale new age, ha aggredito fisicamente l’inviata delle Iene, che
le ricordava come le sue teorie mettessero a
rischio la vita delle persone malate. Purtroppo la Brigliadori, da diverso tempo, propaganda teorie assurde e pseudocure pericolose: è una sostenitrice della medicina antroposofica e dell’agricoltura biodinamica, è tra i
volti più o meno noti che diffondono la bufala secondo cui i vaccini causano l’autismo ed
è una sostenitrice della “Nuova medicina
germanica”, teoria fondata da un medico radiato e latitante convinto che i tumori dipendano da un “conflitto” o trauma psicologico.
Insomma tutta spazzatura scientifica, che
però ha una sua diffusione nel variegato
mondo complottista e soprattutto fa leva sulla disperazione e sulla sofferenza dei tanti
malati che si aggrappano a chiunque prometta una guarigione. E queste false speranze sono esattamente ciò che in campo medico, e
non solo, le Iene hanno diffuso per anni con
servizi sensazionalistici, in cerca di qualche
punto in più di share televisivo.
Le Iene sono ricordate soprattutto per i
servizi a favore del “metodo Stamina”, una
terapia a base di cellule staminali priva di
qualsiasi efficacia e validità scientifica, inventata in un sottoscala da uno scienziato
della comunicazione. Per capire la differenza tra l’impatto della Brigliadori e quello delle Iene, bisogna forse ricordare che in seguito a quella campagna mediatica un autore di
“comunicazione persuasiva” come Davide
Vannoni divenne improvvisamente più credibile di scienziati come Michele De Luca dell’Università di Modena e Graziella Pellegrini del San Raffaele, i primi al mondo a produrre una cura efficace e scientificamente
valida con le staminali. Si fatica a crederlo
oggi, ma solo tre anni fa, in seguito alla pressione politico-mediatica innescata da quei
servizi televisivi, il Parlamento ignorò le opinioni degli scienziati e si piegò alle chiacchiere dei ciarlatani.
Prima del “metodo Stamina”, le Iene hanno dato credito alla falsa storia secondo la
quale i vaccini sono all’origine dell’autismo.
La stessa pericolosa teoria ribadita dalla Brigliadori, con l’aggravante – nel caso delle Iene – di un’esposizione più convincente. Non
basta. Come la Brigliadori, le Iene hanno propagandato “cure naturali” contro il cancro.
Sono andate fino a Cuba per magnificare le
proprietà “antitumorali” del “veleno di scorpione”, intervistando un tassista cubano che
parlava di un fantomatico “vaccino” contro i
tumori inventato sull’isola. Le Iene si sono
persino recate in una fattoria cubana, dove
il medicamento “antitumorale” viene prodotto dall’inventore, un “artigiano locale allevatore di scorpioni”. Una storia che ricorda
quella del “siero di Bonifacio”, l’estratto di
pipì di capra spacciato come cura contro il
cancro da un veterinario di Agropoli negli
anni 60 (il padre di tutti i casi Stamina e Di
Bella che sarebbero seguiti).
Con i soliti servizi sensazionalistici e senza
alcuna evidenza scientifica, ma basandosi soltanto sulle impressioni di alcuni pazienti, le
Iene hanno diffuso l’idea che il tumore si possa guarire con una dieta vegana, come suggerito in un libro senza alcuna credibilità, “The
China study”. L’autorità in oncologia interpellata era nutrizionista e attivista vegana, presentata come medico del San Raffaele. Il servizio ebbe un tale impatto che il San Raffaele fu costretto a prendere le distanze dalla
dottoressa – “L’Irccs San Raffaele osserva che
non esiste alcuna dimostrazione del valore
della dieta come terapia oncologica” – dopodiché la “dottoressa” si scoprì essere solo una
consulente che si recava in ambulatorio ogni
due settimane. Persino l’Airc (Associazione
italiana per la ricerca sul cancro) si è sentita
in dovere di smentire la bufala: “Le Iene han-
no sostenuto che la dieta vegana può curare
il cancro: un’affermazione che non ha alcun
riscontro scientifico”. Le Iene hanno dedicato altri servizi a malattie rare, per alcune delle quali non si conoscono neppure le cause
(come la Mcs), dando credito a cure senza validità scientifica in cliniche estere che speculano sui viaggi della speranza dei malati.
“Raccontate cose con un linguaggio da piazza
del paese, quando si sta parlando di malattie,
di scienza e di drammi umani”, gridò ai microfoni della trasmissione, nel pieno della vicenda Stamina, il compianto Paolo Bianco, direttore del Laboratorio di cellule staminali
della Sapienza di Roma. Il vero dramma è che
allora le Iene consideravano Vannoni un luminare e trattavano le sfuriate del prof. Bianco come quelle della Brigliadori.
Luciano Capone
ANNO XXI NUMERO 235 - PAG II
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
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Il Foglio te ne dà 250.
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sconto del 20% sull’acquisto di selezionati e prestigiosi
vini della cantina Bertani.**
*Utilizzabili per richiedere un bonus sconto di 50 euro sulla bolletta di Enel Energia.
Scritto per essere letto
un passo avanti
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
DIPARTIMENTO DELLA GIOVENTU’ E DEL SERVIZIO
CIVILE NAZIONALE
AVVISO DI GARA
E’ indetta una gara, mediante procedura aperta, per l’affidamento di servizi
inerenti la copertura assicurativa dei volontari del servizio civile. Categoria di
servizi: n. 6. La prestazione del servizio è riservata ad imprese autorizzate ai
sensi di legge all’esercizio dell’assicurazione nei rami oggetto di polizza (infortuni-malattia- RC- assistenza) e in possesso dei requisiti specificati nel disciplinare di gara. La gara sarà aggiudicata in favore dell’offerta
economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 95, comma 2 del Codice
dei contratti pubblici. Durata del servizio: 24 mesi, con opzione a favore dell’amministrazione aggiudicatrice, per mantenere il servizio per ulteriori mesi
12. Il valore totale stimato dell’appalto è di Euro 3.400.000,00 (Tremilioniquattrocentomila/00), al lordo delle imposte e di ogni altro onere. Il Dipartimento non assumerà con l’aggiudicatario impegni di volume. Premi unitari
(espressi al lordo delle imposte e di ogni altro onere) posti a base di gara e
diversificati in relazione al numero complessivo di giovani che saranno assicurati nella vigenza contrattuale. Il bando di gara, spedito in data 13 settembre
2016 all’Ufficio pubblicazioni della UE, è stato pubblicato sul supplemento
alla Gazzetta Ufficiale della UE (GU/S180) il 17 settembre 2016 (3239182016). Il bando di gara è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana - V Serie speciale - contratti pubblici, n. 110 di venerdì 23
settembre 2016 ed è consultabile, unitamente ai documenti complementari,
sul profilo del committente http://www.gioventuserviziocivilenazionale.gov.it.
Le offerte contenute in format digitali PDF come meglio specificato nel documento tecnico allegato al disciplinare di gara, dovranno pervenire, a pena di
esclusione, entro le ore 17:00 del giorno 7 novembre 2016, alla casella di
posta elettronica certificata: [email protected]. E’ possibile ottenere
chiarimenti o ulteriori informazioni sulla presente procedura mediante la proposizione di quesiti scritti da inoltrare al RUP, all’indirizzo di posta elettronica
indicato nel bando, non oltre nove giorni prima della scadenza del termine
fissato per la presentazione delle offerte.
Il Dirigente dell’Ufficio Organizzazione e Comunicazione
Cons. Pasquale Trombaccia
SERVIZIO SANITARIO REGIONE TOSCANA - ESTAR
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BANDO DI GARA PER ESTRATTO
In esecuzione della Det 1094 del 19/09/16 ESTAR indice, ai sensi del D.Lgs. 50/16, la
seguente gara regionale: P.A. telematica, per la conclusione di convenzioni per l’affidamento triennale, in lotti, della fornitura di MATERIALE VARIO PER STERILIZZAZIONE
occorrenti alle AA.SS. della Regione Toscana. Gara 6507710 CIG 6792994BF9, importo stimato € 11.621.343,44 oltre Iva. Il Bando di Gara è stato inviato alla GUUE
il 21/10/16. Le offerte dovranno pervenire entro il termine perentorio del 28/10/16 ore
13:00. Gli atti di gara sono visionabili su: https://start.e.toscana.it/estar.
Firenze, 5 ottobre 2016
IL DIRETTORE GENERALE Dr. Nicolò Pestelli
REGIONE LAZIO
AZIENDA SANITARIA LOCALE VITERBO
Via E. Fermi 15 - 01100 VITERBO
SEZIONE I: AMMINISTRAZIONE AGGIUDICATRICE. I.1)
Denominazione: Azienda Sanitaria Locale Viterbo - Via E.
Fermi 15 - 01100 Viterbo.
SEZIONE Il: OGGETTO DELL’APPALTO. II. 1.1) Denominazione conferita all’appalto: Procedura aperta per la fornitura
di servizi di Assistenza Domiciliare (ADI) ed Assistenza Domiciliare Integrata ad Alta Intensità (ADIAI) occorrente alla
AUSL Viterbo. II. 1.5) CPV 85142000-6.
SEZIONE IV: PROCEDURA. IV 1.1) Tipo di procedura: aperta. IV. 2. 1) Criteri di aggiudicazione: secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. IV. 3.2) Pubblicazioni
precedenti relative allo stesso appalto: Bando di gara GUE
n. 2014/S 114-200919.
SEZIONE V: AGGIUDICAZIONE DELL’APPALTO. V. 1) Data
di aggiudicazione 31/08/2016 R.T. Life Cure/Splendid Società Cooperativa Sociale. Importo annuo di € 2.054.850,00
IVA/e.
SEZIONE VI: ALTRE INFORMAZIONI. VI. 2) ClG
55374364BEI. 4) Data di spedizione del presente avviso
28/09/2016.
IL DIRETTORE GENERALE Dr.ssa Daniela Donetti
AZIENDA LOMBARDA EDILIZIA
RESIDENZIALE MILANO
ESTRATTO ESITO DI GARA
Repp. nn. 21÷22/2016. CUP: I44B15000480002. Appalto
di lavori, ai sensi dell’art. 53, comma 2, lett. a) del D.Lgs.
163/2006 e s.m.i., relativo ad interventi di installazione di un
sistema di Tecnologia di Security per quartieri Aler composto
da un impianto di videosorveglianza in cortili chiusi e spazi
aperti su stabili di proprietà Aler nel Comune di Milano - Q.re
Mazzini, vie varie, Q.re. Fulvio Testi, Q.re Cascina Anna, Q.re
Zama Salomone, vie varie - ed installazione in alloggi sfitti
e/o inutilizzati di impianti di allarme nel Comune di Milano,
vie varie, nell’ambito del secondo programma di attuazione
del PRERP 2014-2016 - Linea di Azione C - D.G.R.
X/4142 del 8 ottobre 2015. Rep. 21/2016 - offerte ricevute:
137. Aggiudicatario: Edil Impianti S.r.l. (cap) CF/P.IVA:
06983440964 - Se.Ma. S.r.l. (mand) CF/P.IVA 06396940964;
Rep. 22/2016 - offerte ricevute: 138. Aggiudicatario: PPG
Domogest S.r.l. CF/P.IVA: 02927360962. Numero dell’avviso
nella GURI: numero 113 del 30/09/2016. Lo stesso è
disponibile sul sito internet dell’Azienda www.aler.mi.it
nonché sul sito www.arca.regione.lombardia.it.
IL DIRETTORE AFFARI GENERALI
Avv. Domenico Ippolito
AZIENDA SANITARIA LOCALE LATINA
Bando di gara - CIG 66096897E8
A.S.L. Latina, V.le Pierluigi Nervi, Pal.G2, 04100 LT, indice procedura aperta
per l’Affidamento del servizio di manutenzione delle aree verdi di pertinenza di
tutte le strutture, sedi dei servizi della ASL di Latina, per la durata di 24 mesi
rinnovabili per 12 mesi, per una spesa biennale complessiva stimata in E.
420.000,00 + IVA. Aperta. Criterio di aggiudicazione: Offerta piùvantaggiosa
(qualità40 - prezzo 60). Termine ricezione offerte: 08/11/16 ora 12.00. Gli atti
di gara sono pubblicati sul sito www.asl.latina.it. Il Bando integrale èstato inviato
alla GUCE il 23.09.16. Per informazioni tel. 0773 6556471 Fax 0773 6553361.
IL DIRIGENTE U.O.C. ABS PM dott. Salvatore Di Maggio
ALTO VICENTINO AMBIENTE S.R.L.
Bando di gara - CIG n. 68059217AD
Questa società ha indetto una procedura aperta con il criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’appalto del servizio sostitutivo di mensa aziendale diffusa mediante utilizzo di card
elettronica (badge) e buoni pasto cartacei, per un importo biennale di €
213.600,00 IVA esclusa. Termine ricezione offerte: 28/10/2016 h 13,00.
Apertura dei plichi: 02/11/2016 h 9,30. Il bando integrale e il disciplinare
sono reperibili su: www.altovicentinoambiente.it Info: Tel. 0445/575707 [email protected]
IL DIRETTORE GENERALE dr. Riccardo Ferrasin
ANNO XXI NUMERO 235 - PAG III
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
I CIVILI CONTRO I RAID AEREI
I Caschi bianchi che tirano fuori chi resta sotto le bombe in Siria sono anche
un esempio di interferenza occidentale di successo, ci spiega l’addestratore inglese
anche di recente in Siria, questi avvenimenti sono all’ordine del giorno. Per cui
cerca di capire che non posso fornire più
dettagli oltre al fatto che i centri sono sei.
di Shelly Kittleson*
Questa che segue è l’intervista fatta a Istanbul, in Turchia, allo specialista inglese James
Le Mesurier che ha fondato i Caschi bianchi. I
Caschi bianchi sono un gruppo di volontari siriani che da tre anni si occupa di estrarre i vivi e i morti da sotto le macerie degli edifici colpiti dai bombardamenti nelle zone fuori dal
controllo del governo. Quando hanno cominciato erano in venticinque, ora sono in tremila, con ogni genere di mestiere alle spalle, si
stima che abbiano salvato circa sessantamila
vite e hanno un budget annuale di circa ventisei milioni di dollari, che come spiegano loro arriva grazie ai contributi di governi democratici: Stati Uniti, Gran Bretagna, Giappone,
Germania, Francia, Olanda e Danimarca. Tra
i fondi che finanziano i Caschi Bianchi c’è anche quello creato in memoria della parlamentare inglese Jo Cox, uccisa a giugno pochi gior-
Ho sentito da diversi membri della difesa
civile storie delle difficoltà che hanno dovuto affrontare, soprattutto all’inizio, per arrivare in Turchia e ricevere l’addestramento e
tornare di nuovo in Siria. Hai qualche storia
sull’addestramento o sulle difficoltà incontrate per entrare a farvi parte?
Durante un corso di addestramento nell’estate del 2014, il secondo giorno abbiamo
visto uno dei ragazzi che zoppicava e gli abbiamo chiesto se tutto andava bene. “Sì,
tutto ok, non preoccupatevi”, ha risposto. Il
terzo giorno, visto che chi partecipa ai corsi indossa uniformi leggere color ocra, abbiamo visto del sangue all’altezza del suo
polpaccio e infine ha ammesso che era sta-
Erano 25, oggi sono più di
tremila. Almeno 140 sono morti,
perché lavorare sotto le bombe
è un’attività quasi suicida
Ora l’addestramento in sei
centri differenti è fatto in Siria da
istruttori sirani “e questo è un
grande successo”
ni prima del voto sulla Brexit. Fino a poco
tempo fa i Caschi bianchi non erano ancora
conosciuti sulla scena internazionale, ma nell’ultimo mese sono successe due cose che ne
hanno accresciuto la popolarità. A metà settembre Netflix ha fatto uscire un documentario di quaranta minuti su di loro prodotto grazie a decine di ore di filmati girati durante le
operazioni di salvataggio sotto i raid aerei. E
a ottobre il governo di Bashar el Assad e il governo russo dopo la rottura della tregua fragile tentata con l’Amministrazione Obama hanno cominciato una campagna di bombardamenti aerei contro la parte est di Aleppo, in
mano all’opposizione, che è stata definita “la
più dura dei cinque anni di guerra”, ed è stato inevitabile che le operazioni dei Caschi bianchi finissero infine per attirare l’attenzione.
Più di centoquaranta di loro sono già morti,
perché lavorare sotto le bombe è un’attività
quasi suicida. Una tattica usata dagli aerei da
guerra è il cosiddetto “double tap”: c’è un primo bombardamento seguito a distanza di pochi minuti da un secondo bombardamento
contro lo stesso punto per colpire i soccorritori (una tattica usata anche dai terroristi dello
Stato islamico, però con le autobomba). Come
tutto quello che riguarda il conflitto in Siria,
anche i Caschi bianchi sono finiti in mezzo alla propaganda più rancida: il governo siriano,
i media russi e alcuni siti di tendenza anti imperialista molto a destra o molto a sinistra sostengono che si tratta di “terroristi” o di “agenti dell’occidente” o anche di entrambe le cose
(ovvio no?). Valga per i siriani che hanno la disgrazia di finire sotto un palazzo colpito l’antica regola del soccorso in mare, che è considerato un obbligo e che si presta a prescindere, senza considerazioni militari e politiche
(dan.rai)
to colpito prima di iniziare il viaggio. Aveva una semplice banda elastica sulla ferita.
Un pezzo di proiettile aveva perforato una
parte del suo polpaccio ed era finito dall’altro lato. Credono così tanto in quello
che stanno facendo. Il fatto di viaggiare dopo essere stati colpiti da un proiettile nella gamba e camminarci sopra per quattro
giorni. E’ straordinario. Temeva che non gli
avremmo consentito di prendere parte ai
corsi se ci avesse detto quel che gli era successo.
Come e perché ha creato i Caschi bianchi?
Il mio background è nei processi di stabilizzazione. Lavoro in medio oriente da
circa vent’anni. Ho lavorato in zone di conflitto in tutto il medio oriente, e l’approccio
standard dei governi che vogliono stabilizzare degli stati falliti o fragili di solito segue due linee guida: la democratizzazione
e il buon governo e il rafforzamento del settore della sicurezza. Questa è una semplificazione eccessiva, ma in generale queste
sono le due opzioni. Ho speso tutta la mia
carriera a lavorare sull’una o sull’altra. Ho
iniziato a lavorare in Siria nel 2011 e quello che ha iniziato a prendere corpo era il
solito lavoro di supporto secondo manuale: sostenere un paese che stava cadendo
verso una instabilità drammatica e implementare una serie di programmi di democratizzazione e buon governo per la popolazione siriana. Quello che stava succeden-
Un uomo dei Caschi bianchi durante un’operazione di soccorso nella zona di Bab Neirab ad Aleppo nell’agosto 2014 (foto LaPresse)
Chi lavorava con te a quel tempo?
Lavoravo con uno dei miei tanti partner
che prestavano servizio ai governi. Ma tutti i programmi che offrivamo alla popolazione civile riguardavano la democratizzazione e il buon governo. C’erano un sacco di
lezioni, di workshop, distribuivamo un sacco di equipaggiamento… e mi ricordo che
loro ci ringraziavano per i computer portatili e per gli strumenti di comunicazione
che li aiutavano a connettersi a internet,
ma aggiungevano che questo non li aiutava
a proteggersi dalle bombe. Quell’incontro
mi ha lasciato davvero scoraggiato. Ma mi
ha costretto a riflettere, e il risultato è stato un meeting con una fantastica organizzazione di soccorso con sede qui a Istanbul,
AKUT. Ora, la zona di Istanbul è incredibilmente sismica e così AKUT ha un team di
bravissimi volontari che normalmente fanno ciascuno il suo lavoro ma che se c’è un
terremoto si mettono in azione e soccorrono le persone intrappolate sotto ai palazzi.
E’ difficile vivere a Istanbul senza pensare
che prima o poi nel corso della vita capiterà un gigantesco terremoto. Così ho incontrato il capo di queste squadre di soccorso e l’idea è stata: se voi potete soccorrere le persone da un palazzo che è crollato in seguito a un terremoto, forse è possibile salvare le persone da un palazzo che
è crollato in seguito a un bombardamento?
La sua risposta è stata che era ovviamente
possibile ma che nessuno l’aveva mai fatto
nel mezzo di una zona di guerra. Io avevo
lavorato in molte zone di guerra ma in quel
momento non sapevo ancora niente di ri-
cerca e soccorso ma sapevo molto delle zone di guerra, mentre lui sapeva molto di ricerca e soccorso e molto poco di zone di
guerra. Così quella stessa settimana lui ha
portato alcuni suoi collaboratori e io ho
portato due dei miei, e abbiamo chiesto ad
alcune persone che venivano da Aleppo di
portare alcune testimonianze di palazzi
crollati – fotografie e video – e abbiamo fatto brainstorming per un paio di giorni.
Come avete scelto le persone che venivano
da Aleppo?
Uno era tra i partecipanti del primo incontro [con i leader delle aree tenute dall’opposizione siriana] che aveva insistito
molto sul fatto che la sua gente era bombardata e c’era bisogno d’aiuto. Gli altri erano
persone con cui eravamo in contatto grazie
al nostro lavoro. Ma l’estensione dei bombardamenti era tale che si poteva fermare
chiunque per strada e chiedere: “Vorrei
che mi dicessi com’è essere bombardato”,
e avresti avuto una risposta pregnante. Così abbiamo fatto questo brainstorming e ci
è venuta l’idea di un breve corso di sette
giorni per istruire dei volontari – presi letteralmente dalla strada –, dare loro un po’
di training e un po’ di equipaggiamento e
poi mandarli indietro a salvare vite. Abbiamo tenuto il primo corso nel marzo del 2013
per ventidue banchieri, muratori, autisti di
taxi, idraulici ed elettricisti provenienti da
un piccolo villaggio giusto a nord di Aleppo, chiamato Hraitan. Queste persone non
sapevano nemmeno cosa aspettarsi e in sette giorni li abbiamo istruiti e mandati in-
dietro a salvare vite. Sono tornati indietro
un venerdì, mi ricordo, perché quella domenica ci hanno mandato [un video] via
email di un soccorso che avevano fatto
quella mattina e che mostrava una famiglia
salvata. Dicevano che se non avessero ricevuto l’equipaggiamento quella famiglia sarebbe morta.
Che tipo di equipaggiamento avete mandato?
In quel momento soltanto degli strumenti di scavo basilari che funzionavano a batterie e strumenti di soccorso – equipaggiamento che potesse essere portato a mano.
C’era da un lato l’equipaggiamento che serviva per trovare qualcuno sotto un palazzo
e poi, una volta che la persona era stata trovata, c’era l’equipaggiamento per scavare
in maniera sicura e rapida nel cemento per
arrivare alla persona intrappolata. Così
persone normali prese dalla strada, con un
po’ di istruzioni e un po’ di attrezzi giusti,
dopo due giorni stavano già salvando vite.
Questo succedeva nel marzo 2013. Oggi (fine maggio 2016) ci sono 114 team in tutto il
paese con poco meno di tremila volontari
che hanno salvato più di cinquantamila
persone.
Mi puoi parlare di questi corsi?
Il primo corso che abbiamo tenuto era
per Aleppo, il secondo per Idlib. Nel secondo corso, c’erano 21 persone, 19 delle quali sono ancora con i Caschi bianchi. Uno di
questi è Majd Khalaf (ora fa parte del team
di comunicazione negli uffici di Istanbul) e
uno era Raad Salah, che oggi è il capo dei
Caschi bianchi. Da allora abbiamo fatto più
di cinquanta corsi. Abbiamo iniziato con la
ricerca e il soccorso urbano ma oggi abbiamo dei training più avanzati che includono
la rimozione di bombe inesplose, corsi medici avanzati, corsi di soccorso dagli attacchi chimici, corsi di gestione avanzata e di
risposta d’emergenza – tutto ciò che può
servire per un’organizzazione di ricerca e
soccorso ad ampio spettro. I corsi erano tenuti in paesi amici vicini. Qui in Turchia,
nel sud della Giordania, ma a partire dall’anno scorso i migliori studenti sono stati
addestrati come istruttori e ora abbiamo
settantacinque istruttori che lavorano in
sei differenti centri di addestramento dentro la Siria: tre a nord, due nella parte centrale del paese e uno al sud. A questo punto, tutto l’addestramento, eccezion fatta per
le parti più tecniche, è fatto in Siria da
istruttori siriani, e questo è un grande successo. A questo punto, loro possono insegnarci più cose di quante noi non ne possiamo insegnare a loro.
Dove sono i centri esattamente?
Purtroppo, 125 dei nostri volontari sono
stati uccisi (fino al maggio 2016). Cinque sono stati uccisi soltanto un paio di settimane
fa in un centro nel nord della Siria, ad Atareb. Sei mesi fa vi avrei detto tranquillamente dove sono i centri. Bombardare i
centri di difesa dei civili è una violazione
del diritto internazionale umanitario nello
stesso modo in cui lo è bombardare gli
ospedali. Purtroppo, come abbiamo visto
Hai fondato l’organizzazione Mayday Rescue nel 2014. Perché c’era bisogno di crearlo e in che modo è separata dalla Syria Civil
Defense?
Mayday è una ong internazionale. Ho visto i risultati dei primi addestramenti e, in
base alla mia esperienza di lavoro in zone
di guerra, ci sono miliardi di dollari che
vengono spesi nelle forze di polizia, per ricostituire gli eserciti, per ricreare i governi e i governi locali e ricostruire le scuole.
Non avevo mai visto però programmi pensati per creare dei team di soccorso locali,
e l’idea mi è venuta da un sondaggio sulla
fiducia del pubblico nei confronti delle varie professioni. Il primo schema mostrava
le professioni di cui ci si fida di meno. Visto che il sondaggio era globale, faceva riferimento a zone di conflitto in giro per tutto il mondo in posti come Iraq, Afghanistan,
Yemen, Somalia, Siria. Al più basso livello
di fiducia c’erano i funzionari pubblici
eletti, i poliziotti e i soldati. Mi ricordo che
guardando quel sondaggio pensai che fosse
strano, perché le persone che addestriamo
nei nostri programmi di democratizzazione
e buon governo e in quelli basati sulla sicurezza sono tutte persone che godono del
più basso livello di fiducia presso la popolazione di quei paesi. Ricordo di aver girato pagina – ricordate che stavo facendo addestramento di salvataggio – e di aver visto
il secondo schema, quello con le professioni che godono di maggior fiducia. E non solo negli stati in guerra ma in tutto il mondo, queste professioni sono i soccorritori, i
paramedici – e negli stati occidentali i
pompieri e i militari. Ma guardando solo
agli stati più fragili, le più fidate erano le
professioni di servizio. E quello che mi ha
colpito è che non c’era nessun programma
internazionale di peso – o nessuno programma che potessi trovare – che sfruttasse l’idea della fiducia pubblica per gestire
servizi essenziali nel mezzo delle zone di
guerra. Immagina di essere un membro
della comunità o di un villaggio in Iraq, Yemen, Afghanistan, Somalia. Cosa ti interessa di più? Vuoi dollari che saranno spesi
“Ho iniziato con un team di
volontari che recuperano le persone
dopo i terremoti. Loro sapevano di
soccorso, io di guerra”
James Le Mesurier da sempre
lavora nei processi di
stabilizzazione, con un occhio alla
fiducia della popolazione
do sul campo, però, soprattutto verso la fine del 2012, era terribile. La popolazione
civile siriana era bombardata dallo stato
con tutte le forze a sua disposizione, ed era
senza difese. Chi viveva nelle aree non più
occupate dal regime di Assad era bombardato e bombardato e bombardato. Poi all’inizio del 2013 ho fatto una riunione con i
leader di queste comunità, e il messaggio
è stato: “Abbiamo bisogno di aiuto perché
siamo bombardati ogni giorno.
per il tuo governo locale o per i poliziotti o
per la gendarmeria fuori dal villaggio? O
vuoi che questi soldi siano spesi in gruppi
di abitanti del villaggio che saranno lì per
te se qualcosa succede? Non c’è nessuna
ong al mondo che lavori in questo spazio.
Così ne ho creata una, e questo è Mayday.
*Shelly Kittleson è una giornalista freelance americana che spesso lavora sul confine turco-siriano.
Un Casco bianco soccorre un bambino nel quartiere di al Firdous ad Aleppo lo scorso giugno (foto LaPresse)
ANNO XXI NUMERO 235 - PAG IV
Strategie incrociate
Google vuole diventare una
potenza dell’hardware e mira ad
Apple, che ha piani complementari
Roma. In uno degli eventi tecnologici
più importanti dell’anno, ieri a San Francisco Google ha raccontato al mondo che
intende diventare una potenza nell’hardware. Non sarà solo la migliore compagnia in quanto a motore di ricerca e servizi di email, non competerà soltanto per il
mercato dei video online o per il cloud:
farà “cose”, cose concrete e maneggiabili e
acquistabili, e non soltanto i “moonshot”,
i progetti futuristici ma remoti, come la
macchina che si guida da sola. Di “cose”,
Google ieri ne ha presentate una caterva:
due smartphone, nuovi assistenti virtuali
per rendere la propria abitazione più
“smart”, un apparecchio per lo streaming
in alta definizione da attaccare alla tv, un
dispositivo per la realtà virtuale, un router
innovativo. Inoltre, ha insistito molto sugli
avanzamenti della sua intelligenza artificiale, che adesso sarà integrata nella maggior parte di ciò che Google produrrà. Buona parte dei prodotti era già stata anticipata dai rumors o dai leak, e sui siti di tecnologia già circolavano le foto dei nuovi e
assai appetibili smartphone denominati
Pixel. A San Francisco, le sorprese sono
state molto limitate. La novità è stata l’insistenza, quasi l’ossessione nel piazzare il
marchio di Google dappertutto. Questo è
“fatto da Google”, ecco l’“esperienza Google”, il “potere di Google” è nelle tue mani. Tutto, dal nome dell’evento ai teaser
pubblicitari che hanno inondato internet
nelle settimane scorse, era “Made by Google”, e il segnale è quello di un importante cambio di strategia.
Per tutto ciò che riguarda l’hardware e
specie nel mercato mobile, quello degli
smartphone e dei tablet, Google ha sempre
usato una strategia asimmetrica. Mountain
View produceva il software, i programmi,
le app, ma poi spettava ad altre case, legate a Google da partnership più o meno
strette, la produzione degli oggetti, degli
smartphone e dei tablet. Il sistema operativo mobile di Google, Android, è di gran
lunga il più diffuso al mondo, ma Google
non ha mai prodotto nessuno smartphone.
La società si è quasi sempre limitata, con
poche eccezioni, a erogare servizi mentre
alla costruzione degli apparecchi su cui
questi servizi avrebbero dovuto girare ci
hanno pensato Samsung, Lg, Motorola,
Huawei e tutte le grandi case che producono tecnologia consumer. Questa strategia
ha molti vantaggi dal punto di vista economico, ma ha un nemico temibile, come ha
notato Vlad Savov su The Verge: l’assenza
di sinergia. Google deve fare un software
che sia buono per tutti, e che dunque finisce per non essere davvero buono per nessuno. E’ l’esatto contrario della strategia di
Apple, che produce device e programmi
pensati apposta l’uno per l’altro. Questo significa che per molti versi nessun prodotto su cui girano i servizi di Google è mai
riuscito a essere all’altezza degli standard
di Apple – quanto meno con continuità e affidabilità. Samsung, per esempio, c’è riuscita di recente (i suoi ultimi smartphone sono migliori dei nuovi iPhone secondo molti esperti), ma lo scandalo delle batterie
esplosive ha rovinato gran parte del buon
lavoro fatto. Per questo Google ha deciso
che gli smartphone e gli altri apparecchi
tecnologici se li vuole fare, o quanto meno
progettare, da sé: Made by Google è il nuovo Made by Apple, e Google l’ha reso evidente con infinite frecciatine rivolte a Cupertino durante tutto l’evento.
Mountain View vuole invadere il campo
dominato da Apple, mossa rischiosa che
Microsoft, per esempio, ha tentato e fallito
a più riprese – qualcuno ricorda lo Zune, il
pompatissimo concorrente dell’iPod? Ma
l’invasione arriva in un momento in cui anche Apple sta cambiando la sua strategia,
perché dopo aver venduto oltre un miliardo di iPhone sa che il mercato si sta saturando e che ripetere il miracolo con un
nuovo prodotto sarà impossibile. Le vendite di iPhone, iPad e Macbook sono in calo
o stagnanti, e Cupertino sta diversificando
le sue fonti di guadagno proprio investendo sui servizi, da iTunes ad Apple Music ai
servizi di iCloud. Nell’ultima trimestrale,
quello dei servizi era uno dei settori in
maggiore crescita, con un più 19 per cento
su base annua e un fatturato di 6 miliardi
di dollari. Una frazione dei 42,4 miliardi di
fatturato totale, ma in crescita consistente.
Così, le due superpotenze non solo del tech ma dell’intera economia americana (Apple e Alphabet, il conglomerato che comprende Google, sono le due società con
maggior capitalizzazione di mercato al
mondo) incrociano le loro strategie, finora
in gran parte tangenziali, e colpiscono l’una nel campo dominato dall’altra.
Eugenio Cau
IL RIEMPITIVO
di Pietrangelo Buttafuoco
A margine del caso “Elena
Ferrante” – svelare l’identità della
scrittrice più amata dal pubblico internazionale – quello che più colpisce è
scoprire che esista ancora un pubblico
in Italia. L’arte, la fatica dell’immaginazione, la messa in opera del racconto –
insomma, la letteratura – ha un riscontro di mercato se la signora s’è potuta
comprare delle case importanti e mettere da parte un patrimonio. Ed è l’aspetto più insolito della vicenda quando in
Italia si vendono quattro copie in tutto
tra le librerie superstiti, i film durano
in sala un solo sabato e una sola domenica, i teatri faticano e i musicisti – nell’Italia del bel canto – s’attardano a far
la posteggia nelle metropolitane per arrotondare. E colpisce, quindi, il fatto
proprio inaudito: che esista un pubblico
gioiosamente pronto a spendere per godere l’arte. Elena Ferrante, buon per
lei, non solo fa soldi. Fa pedagogia.
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 5 OTTOBRE 2016
L’allergia di Renzi e Berlusconi per le coalizioni (tranne una, no?)
Al direttore - Berlusconiano in servizio
permanente effettivo, almeno fino al giorno
del referendum, il presidente Renzi ormai
gradisce soltanto interlocutori di sperimentato antiberlusconismo (da Travaglio a Zagrebelsky). Quel che però al vero Berlusconi non è mai mancato, mentre in Renzi
stenta a manifestarsi, è il senso della coalizione, sempre prevalente su ogni esigenza
del proprio partito, del proprio governo, perfino di se stesso. Di qui per molti l’accostamento di Renzi a Fanfani è quello di Berlusconi a De Gasperi anche al di là di tempora et mores…
Luigi Compagna
Renzi e Berlusconi non sono fatti per
fare le coalizioni. Renzi non vorrebbe il
premio di coalizione anche per questo
(perché ripetere l’errore di Veltroni del
2008 con Di Pietro?). Berlusconi vorrebbe il proporzionale anche per questo
(perché dover decidere prima delle elezioni con chi andare a governare?). L’unica coalizione possibile e naturale e di governo era quella tra loro – ah, il Nazareno – e non è un caso che Renzi e Berlusconi abbiano cominciato a perdere colpi proprio dopo la fine di quell’abbraccio.
Al direttore - Vorrei inviare attraverso di
te la mia solidarietà a Elena Ferrante per la
barbarie che ha subito solo per avere scelto
di pubblicare in pieno anonimato le sue ope-
re. Quarant’anni fa desideravo più di ogni
altra cosa diventare giornalista, ma certo
non per stanare poeti e scrittori. Nel corso
del mio lavoro ho avuto molta fortuna eppure da anni spesso mi vergogno della categoria cui appartengo. Sentimento acuto eppure piuttosto generico, almeno fino a domenica. Specifico, invece, dopo il follow the money strada battuta a mezzo stampa solo per
far del male a uno scrittore. Il malvagio
Uriah Heep prevale, ormai, senza avversari.
Ma per favore non dategli il Premiolino (a
proposito, esiste ancora?).
Giampiero Beltotto
Al direttore - Vorrei fornire supporto a
quanto da voi scritto sulla completa impraticabilità della proposta scalfariana di tagliare il cuneo fiscale di 80 miliardi facendolo pagare a coloro che guadagnano dai
120.000 euro in su. Proposta fra l’altro ripresa anche da Carlo De Benedetti in una sua
Alta Società
London news. Holland&Holland, il
marchio più aristocratico della moda
inglese maschile e femminile, si affida a
due donne molto aristocratiche e chic.
La top model della nobiltà scozzese
Stella Tennant e la super dandy Isabella Cawdor, columnist di Vogue edizione inglese.
recente intervista. I dichiaranti 120.000 euro e più sono in Italia 250.000. 80 miliardi diviso 250.000 fa 320.000 euro a testa. Ogni anno. Come faccia chi guadagna 120.000 euro
su cui paga già di sole imposte sul reddito
47.000 euro restando con 73.000 euro a pagarne altri 320.000 è un mistero aritmetico.
Né la cosa cambia se si sale negli scaglioni di
reddito giacché aumenta la percentuale di
tasse già pagate, rimane, secondo Scalfari,
anche la progressività della nuova tassa e diminuisce drasticamente il numero dei dichiaranti. Solo chi guadagna intorno al milione resterebbe dopo avere pagato tasse ordinarie e nuova tassa con qualche spicciolo
in tasca. Ma una calcolatrice, no?
Chicco Testa
Al direttore - Da un sondaggio Ipsos sulle
intenzioni di voto per il referendum costituzionale, si apprende che: il 52 per cento degli italiani sarebbe per il No e il 48 per cento per il Sì, con una maggioranza di Sì nel
centro-nord dell’Italia e una maggioranza di
No nettamente concentrata nel centro-sud.
La storia non si ripete mai allo stesso modo,
com’è noto, ma certo colpisce il probabile riproporsi, ancora oggi, di una tipica divisione
geografico-elettorale del voto referendario
degli italiani, che ha avuto uno dei precedenti storici più noti nel referendum Monarchia/Repubblica del 1946. In quell’occasione,
il meridione votò per la Monarchia, contro il
cambiamento costituzionale dello Stato in
senso repubblicano. Insomma, nel fronte che
allora nelle regioni del Sud si oppose al cambiamento istituzionale finì per raccogliersi
uno schieramento meridionalista sociale e
politico che – per le forze che lo costituirono
e le tendenze che raccolse – alla lunga contribuì non poco ad imporre una torsione in
senso assistenzialistico e statalistico alla modernizzazione del mezzogiorno. Ed ai giorni
nostri? Cosa sta avvenendo? Un neo meridionalismo del rifiuto e della negazione assoluta si propone quale muro all’innovazione
riformista dell’assetto istituzionale dell’Italia. Ma c’è un’aggravante: a differenza del
1946, nel Sud di oggi il ceto dirigente politico latamente inteso (tranne alcune eccezioni) e la rete della mediazione sociale diffusa
sono dominati dall’antipolitica, dal mito della decrescita e da una vischiosa gestione politico-giudiziaria ed anti-centralistica del governo del territorio. Ed è grave che non poche componenti moderate di centro-destra e
di centro-sinistra, pur sensibili ad una politica del cambiamento e dello sviluppo, rischino di essere come incapsulate, risucchiate ed annullate nel fronte del meridionalismo anti-sviluppista, avverso a qualsiasi
cambiamento e dimagrimento della spesa
pubblica, della burocrazia e dello Stato.
Dunque, riflettiamo su questa analogia storica, sulle sue similitudini e differenze: la sua
comprensione possa essere di stimolo all’impegno di tutti i riformisti, dovunque siano collocati, affinché quel muro sia abbattuto.
Alberto Bianchi
Tutte le domande a cui Padoan non ha ancora risposto sul caso Mps
Al direttore - Il ministro dell'Economia, nell'intervista al Foglio e nella lettera al Corriere,
ha dato risposte stupefacenti alle questioni che
Ferruccio de Bortoli e io avevamo posto sul caso Mps. Questioni di metodo e di merito che, ove
non risolte, innescherebbe reazioni a catena pericolose per l'intero sistema bancario italiano,
e dunque per il Paese. Mps ha in pancia decine
di miliardi di titoli di stato, 5 miliardi di obbligazioni subordinate e 45 miliardi di crediti deteriorati. In caso di salvataggio con la disciplina del bail in e/o del burden sharing, verrebbe
inflitto agli obbligazionisti di Mps un salasso
dieci volte superiore a quello subito dagli obbligazionisti di Banca Etruria e delle altre tre banchette. Ancor peggio, verrebbe confermata l'ulteriore svalutazione al 18 per cento dei crediti in
sofferenza, con la conseguenza di costringere le
altre banche italiane bisognose di capitali – a
partire da Unicredit – di dover svalutare in proporzione le proprie sofferenze, aumentando così il fabbisogno di nuovi capitali tanto difficili
da reperire. Ma partiamo dal metodo, perché il
mancato rispetto delle forme – questa specie di
dribbling istituzionale dei consigli di amministrazione – non porta mai bene. Mi sarei dunque
aspettato che Padoan smentisse di aver mai telefonato all'allora amministratore delegato di
MPS, Fabrizio Viola, annunciandogli il licenziamento, in qualità di ambasciatore di palazzo Chigi. Forse avrebbe anche dovuto confessare: “Si, è vero, avevo incoraggiato il presidente
Massimo Tononi a sostenere con pubbliche dichiarazioni il povero Viola, sul quale in agosto
già cominciavano a correre voci. Poi vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non
dimandate…”. E così ci siamo giocati anche il
presidente di Mps che, per dignità, si è dovuto
dimettere anche lui, una volta saltato l'ad.
Passiamo alle questioni di merito. Visto che
ha deciso di parlare, un ministro dell'Economia, che detiene il maggior pacchetto azionario di Mps, avrebbe dovuto chiarire se ritiene
sempre attuabile il piano studiato da JP Morgan presentato al mercato il 29 luglio o se lo ritenga non realistico e dunque da modificare.
Nel primo caso, l'azionista Padoan dovrebbe
spiegare perché mai sia necessario un nuovo
consiglio il 24 ottobre anziché lavorare ventre
a terra per eseguire la delibera di luglio. Nell'altro caso, l'azionista Padoan dovrebbe spiegare
perché mai, essendo fallito il primo piano, non
si debba verificare, assieme alle nuove proposte
di JP Morgan, anche le proposte di Corrado
Passera. Ora su Passera corrono giudizi e pregiudizi, a causa della sua esperienza politica.
Personalmente, non ho mai avuto particolari
convergenze con l'ex ministro dello Sviluppo
economico. Per quel che vale, ricordo come lui,
da banchiere di Intesa Sanpaolo, sostenesse
una direzione del "Corriere", quella di Paolo
Mieli, che aveva un'idea dell'editoria e del giornalismo assai diversa da quella che, nel mio
piccolo, ho coltivato. E ricordo anche come sulla delicatissima partita Unipol-Fonsai, il ministro Passera sostenesse il tandem Arpe-Palladio
contro Mediobanca, mentre chi scrive denunciava l'ombra di Generali e le mire di Intesa
Sanpaolo sulla compagnia fiorentina che si nascondevano dietro quella strana coppia. Non di
meno, credo che il piano Passera meriti di essere scrutinato. Magari per concludere che non
sta in piedi. Respingerlo senza leggerlo fa pensare che si tema di doverne ammettere una
qualche consistenza. O magari la possibilità di
una convergenza sul sempre più misterioso
nuovo piano di JP Morgan, con Mediobanca in
posizione di prudente supporto. Sento dire che
JP Morgan porterebbe a Siena il fondo sovrano del Qatar. Nessuna opposizione di principio
sui fondi sovrani. Quello norvegese rappresenta un modello straordinario di finanza politicamente corretta. Pure quello catarino può andare, se compra muri o griffe dell'alta moda.
Dal Qatar possiamo anche acquistare del gas.
Ma vogliamo dare la terza banca italiana al
fondo sovrano di regno sospettato di rapporti
con il terrorismo islamista? Le banche sono gli
animali più delicati e pericolosi dello zoo della
finanza… Padoan, invece, ha scelto di fare un
puro atto di fede in JP Morgan. Senza avere in
mano una firma su nulla di vincolante. Avendo evidentemente concesso alla banca americana un'esclusiva sulla parola e senza termine nè
condizioni. Amen.
Massimo Mucchetti
L’ombra lunga del Qatar e altre domande impenitenti al governo su Mps
Al direttore - Tra i tanti problemi che
affannano l’Italia, i più gravosi del momento sono quelli dell’intero sistema bancario e in particolare del Monte dei Paschi
di Siena che se dovesse saltare trascinerebbe con sé parte rilevante del sistema
finanziario italiano. C’è insomma un rischio sistemico. Il primo azionista del
Monte dei Paschi di Siena è il Tesoro italiano con il 4 per cento e la banca capitalizza in Borsa, a oggi, solo alcune centinaia
di milioni di euro, quasi 1/7 del proprio
patrimonio netto. In più il titolo rischia di
essere afflitto da illiquidità sia perché pochi vendono a questi prezzi stracciati sia
perché pochi comprano “al buio” perché
poco o nulla si sa sulle strategie che il governo vorrà mettere in atto nelle prossime
settimane. Quel che è certo, comunque, è
che ora non si può perdere tempo. Qualche domanda allora va fatta, visto anche
l’immobilismo del Parlamento, per conoscere; a) quali sono i ritardi di JP Morgan
sul progetto illustrato ai vertici istituzionali e a quelli della banca, le loro cause e
il loro costo vista la stranezza di una
“esclusiva di fatto” data alla banca d’affari americana rappresentata in Italia dall’ex ministro dell’Economia Vittorio Grilli (ma quando la politica smetterà di chiamare i tecnici al governo dell’economia?);
b) il progetto JP Morgan, in parte ancora
nebuloso, è stato messo in concorrenza
con altri piani di intervento di cui si ha notizia dalle cronache degli ultimi mesi a cominciare da quello di Passera? Se non lo
è stato, risparmiatori e opinione pubblica
potrebbero conoscere i motivi visto, tra
l’altro, che la vulgata corrente, quando si
tratta del Monte dei Paschi di Siena, parla sempre dell’ombra lunga della massoneria (personalmente crediamo che quest’ultima non esiste visto che nessuno dichiara di appartenerci e che servizi segreti, carabinieri, Guardia di Finanza e grande informazione non danno segnali di
questa esistenza); c) quali sono i motivi
per cui il Tesoro non dovrebbe partecipare all’aumento di capitale visto che c’è nel
caso del Monte un rischio sistemico e con-
siderato che la Commissione europea
qualche settimana fa ha dato il via al Tesoro portoghese per un aumento di capitale per la Cassa Depositi del Portogallo;
d) se risulta vera la notizia secondo cui alcuni investitori legati al Qatar sarebbero
disponibili a mettere nel banco senese un
miliardo di euro. Ricordiamo a noi stessi
che il Qatar è ritenuto da tutte le cancellerie internazionali uno stato che finanzierebbe frange terroristiche dell’Isis. Naturalmente questo non impedì a Mario Monti una joint venture tra il fondo strategico
italiano (Cassa depositi e prestiti) e la Qatar Holding con un capitale di 300 milioni. Il Qatar ha già acquistato asset importanti nel settore immobiliare, turistico e
della moda, ma altra cosa sarebbe un investimento importante nel settore del credito visto che tutti i servizi del mondo occidentale e parte di quelli orientali proprio sul terreno finanziario danno la caccia ai finanziatori dell’Isis. Non vorremmo, insomma, ospitarli noi per superficialità o per necessità in una delle maggiori
banche italiane. Può darsi che ciò che riportiamo sia solo una bufala ma possiamo
chiedere al governo e al comitato parlamentare di controllo sui servizi segreti lumi su queste notizie o anche questo importante comitato è scomparso? Ne va, naturalmente, della sicurezza nazionale, per
difendere la quale gli italiani, giustamente, pagano un prezzo importante sul terreno delle libertà e della privacy. Infine
un’ultima domanda. Qual è il motivo per
cui il ministro dell’Economia continua a
non insorgere per i tempi strettissimi che
la direzione generale europea sulla concorrenza ha dato all’Italia per vendere le
4 banche (Etruria, CariFe, CariChieti e
Banca Marche) visto che la direttiva Brrd
(quella del bail-in insomma) dà un tempo
di due anni, termine rinnovabile di anno
in anno? Anche i bambini sanno che se si
deve vendere in tempi strettissimi (10 mesi) il prezzo lo fanno i compratori e sarebbe tempo che nella politica italiana tornasse un po’ di serietà e di concretezza.
Paolo Cirino Pomicino
Sui guai di Mps va in scena il secondo round di Intesa vs Mediobanca
(segue dalla prima pagina)
Il fondo Atlante è gestito da Quaestio, società di gestione del risparmio presieduta
da Alessandro Penati, docente dell’Università Cattolica, che da fustigatore delle Fondazioni di origine bancaria s’è infine alleato con Guzzetti, già politico Dc da diciannove anni guida la Fondazione Cariplo (azionista pesante di Intesa) e da oltre quindici
è dominus dell’associazione delle Fondazioni, l’Acri (che è anche azionista di Cassa depositi e prestiti), per l’ultima “operazione di
sistema” benedetta da Giovanni Bazoli, presidente emerito di Intesa (in pensione). Se lo
sconto voluto da JP Morgan per le sofferenze di Mps fosse applicato all’intero sistema
bancario, come benchmark, potrebbe mandare le banche in rovina. Un’eventualità che
Gian Maria Gros-Pietro, presidente di Intesa
in quota alla Fondazione torinese Compa-
gnia di Sanpaolo, aveva condannato a giugno
parlando di “questi operatori che sequestrano tutto, vendono e lasciano le macerie. A
noi va bene un investitore come Atlante che
punta al 6 per cento in qualche anno senza
far fallire nessuno”, diceva parlando del fondo guzzettiano nel quale in aprile 67 investitori, comprese banche private e Cdp, avevano messo 4,2 miliardi, presto consumati per
soccorrere Popolare di Vicenza, sollevando
Unicredit dall’onere di farlo, e Veneto Banca. De Bortoli denuncia anche la “forzatura”
con cui l’ex ad di Mps Fabrizio Viola è stato sostituito col capo di JP Morgan in Italia,
Marco Morelli, il quale ricopriva posizioni
apicali in Mps all’epoca del disgraziato acquisto di Antonveneta. Con Viola, un po’ a
sorpresa, ha lasciato il suo incarico di presidente di Mps anche Massimo Tononi, ex
presidente di Borsa Italiana, che aveva in-
contrato Romano Prodi in Goldman Sachs,
l’ha seguito all’Iri e poi, nel suo ultimo governo, al ministero dell’Economia come sottosegretario deputato anche a gestire la privatizzazione di Enel. Tononi, tramite Prodi,
è stato chiamato nel board della finanziaria
di Bazoli, la milanese Mittel. Venne indicato per la presidenza di Mps, in sostituzione
di Alessandro Profumo, dalla Fondazione
Mps, ora ridotta ai minimi termini, e dai fondi sudamericani Btg Pactual e Fintech Advisory. Quest’ultimo fondo messicano, che
aveva il 4,5 per cento e da agosto è sceso della metà, fu portato sul Monte grazie ai servigi di un fedelissimo di Bazoli come Gaetano
Micciché, capo dell’investment banking di Intesa, Banca Imi, come ricostruito dalla giornalista Camilla Conti nell’e-book “Gli Orologiai” (Informant, 2015). Pier Carlo Padoan ha
risposto all’accusa di avere concertato l’al-
lontanamento di Viola dal ruolo di ministro
del Tesoro, primo azionista di Mps (4 per
cento), dicendo che Morelli è stato votato dal
cda e che sarà sottoposto al vaglio della Banca centrale europea, reggente Mario Draghi.
Difficile dire se Draghi sia contro l’operazione, come suggeriscono le cronache. Dimon
arrivò in Italia per intercessione di Vittorio
Grilli, capo di JP Morgan Europa, ex ministro dell’Economia con Monti, nonché vicedirettore generale del Tesoro con delega alle privatizzazioni quando il direttore generale era Draghi. Se non è JP Morgan chi salva Mps? Per Mucchetti vale la pena di considerare il piano di Corrado Passera, ex ad
di Intesa, chiamato da Prodi a capo di Poste
nel ’98, che ha già “ottenuto il via libera da
fondi di chiara fama” e “non cederebbe le
sofferenze a un prezzo vile”.
Alberto Brambilla
Tra Db e Mps, tutte le letture geopolitiche sul caos bancario europeo
(segue dalla prima pagina)
Lunedì scorso il tedesco Peter Ramsauer, presidente della commissione per
gli Affari economici del Bundestag, in
un’intervista ha paragonato la minacciata
multa americana di 14 miliardi di dollari
nei confronti di Deutsche Bank a “un’estorsione” con “tutte le caratteristiche di una
guerra economica”. Dichiarata, ovviamente, da Washington nei confronti di Berlino.
Markus Feber, un altro politico tedesco, ha
fatto capire che la mega ammenda in questione sarebbe una sorta di ripicca americana alla decisione della Commissione europea di multare Apple e altri colossi della Silicon Valley. Bloomberg, in una sua
analisi dedicata al “nervo scoperto nazionalista toccato dai guai di Deutsche Bank”,
ha osservato che tali reazioni fanno parte
di una forma di “vittimismo” e di una “nar-
rativa popolare sempre più diffusa” in Germania, già vista all’opera sia contro il Ttip
(l’accordo di libero scambio tra Ue e Stati
Uniti) sia contro le politiche espansive della Banca centrale europea. Né l’unica lettura geopolitica dell’affaire Deutsche Bank
è quella cripto anti americana: alla fine
della scorsa settimana, quando il primo
istituto di credito tedesco ha vacillato più
vistosamente in Borsa, Yigit Bulut, consigliere del presidente turco Recep Tayyip
Erdogan, aveva ipotizzato che un fondo sovrano di Ankara o un pool di banche pubbliche del suo paese dovessero intervenire
per salvare il gruppo domiciliato a Francoforte. Una boutade, probabilmente, che
voleva suonare però come un affronto al
paese leader dell’Ue.
Attori mediorientali in movimento se ne
intravedono anche nel credito italiano. In-
fatti, mentre la banca d’affari JP Morgan è
sospettata di favoritismi governativi sul
dossier Monte dei Paschi di Siena e accusata perfino di essere l’autrice occulta della
riforma costituzionale, si susseguono le voci di una sua alleanza con il Qatar per puntellare Mps. In questi giorni Corrado Passera – che anima una cordata alternativa di
investitori finora usciti sconfitti dal confronto con JP Morgan su Mps – non manca
di far notare ai suoi interlocutori le conseguenze geopolitiche di un ingresso della
monarchia sunnita nel capitale della terza
banca italiana. Anche se dalla Banca d’Italia non drammatizzano, puntando alla “stabilità” dei futuri investitori più che alla loro “nazionalità”, il dubbio di Passera non
è peregrino.
Infine George Friedman, analista americano di geopolitica, segnala un nesso tra
economia tedesca e crisi bancaria italiana.
Questa volta però complottisti e anti
merkeliani non saranno soddisfatti. Friedman infatti ricorda che la metà del pil di
Berlino è frutto dell’export e che con tutti
i loro appelli “alla disciplina e alla frugalità” i tedeschi “non potranno nascondere
il fatto che la loro prosperità dipende dalla domanda dei loro consumatori”. Se il sistema bancario italiano finisse in ginocchio, trascinerebbe in basso pil e occupazione di tutta l’Eurozona: “La cancelliera
Angela Merkel non avrà voglia di spiegare
ai suoi concittadini che l’economia tedesca
dipende dal benessere degli italiani”, ma
“le imprese tedesche sono consapevoli del
pericolo” che corrono. Geopoliticamente
parlando, secondo Friedman, Berlino non
tifa per il caos bancario in Italia.
Marco Valerio Lo Prete
La catastrofe di Oslo
Lo storico Karsh sulle conseguenze
di un’intesa che legittimò i terroristi
palestinesi e terremotò Israele
L’
attuale situazione dei rapporti fra Israele e l’Autorità palestinese, le incertezze
dell’odierno quadro politico israeliano, la
diffusione dell’antisemitismo nel mondo occidentale e l’inesistenza di un vero processo
di pace sono state causate dal tragico errore compiuto dal governo israeliano nell’accettare e poi sottoscrivere gli accordi di Oslo
(nelle sue due fasi) con Arafat tra il 1993 e il
1995. E’ questo il succo del quaderno n. 123
del Begin-Sadat Center for Strategic Studies
della Bar-Ilan University, dal titolo significativo “The Oslo Disaster”, scritto dal grande
storico ebreo Efraim Karsh. “Facciamo la
pace con i nemici”, disse il primo ministro
Yitzhak Rabin agli israeliani, dopo la firma
degli accordi, mentre, qualche giorno prima
della conclusione del negoziato, Arafat affermò in modo fin troppo chiaro: “In futuro,
Israele e Palestina saranno un unico stato
nel quale gli israeliani e i palestinesi vivranno insieme”. Quest’affermazione fu del tutto
trascurata dai negoziatori israeliani. Alcuni
anni dopo, nel 2000, quando il “processo di
pace” si era già rivelato privo di significato,
un leader dell’Olp, Faisal Hussein, disse in
un’intervista ad Al-Arabi che gli accordi di
Oslo erano “un cavallo di Troia indispensabile per raggiungere il fine strategico di una
Palestina dal fiume Giordano al mar Mediterraneo”, “cioè – conclude Karsh – una Palestina al posto di Israele”.
Il ragionamento di Karsh porta alla conclusione che Oslo fu una iattura sia per
Israele sia per il popolo palestinese. I palestinesi della West Bank, prima di Oslo, avevano buoni rapporti con Israele, tramite i
leader locali interessati al benessere dei
propri concittadini. Ma Oslo conferì di fatto
una legittimità all’Autorità palestinese che
prima non aveva. Per mezzo di intimidazioni e minacce di ogni tipo, i leader dell’Ap assoggettarono la loro popolazione a un indottrinamento massiccio, incentrato sul falso
slogan dell’illegittimità dello stato di Israele e rispolverando le vecchie accuse medievali contro gli ebrei. Non mancarono durissime repressioni. “Rabin – scrive Karsh – fu indotto dal ministro degli Esteri Peres (appena scomparso, ndr) e dal suo vice Yossi Beilin ad abbandonare gli abitanti della West
Bank e di Gaza a un’organizzazione terroristica”. Così, Oslo rappresentò un vero e proprio spartiacque: la legittimazione politica a
livello internazionale e locale attribuita all’Ap fu sfruttata da Arafat per scatenare una
campagna di odio contro lo stato ebraico,
nell’indifferenza internazionale e nella passività del governo di Rabin. Il “processo di
pace” di Oslo fu soltanto una foglia di fico
per mascherare un intento ben diverso: la distruzione dello stato di Israele.
Eppure, l’appoggio dato da Arafat all’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein – invasione condannata da tutti gli stati
arabi – aveva prodotto un grave isolamento
dell’Ap, senza che Israele approfittasse della situazione, essendo ancora colpevolmente
legato agli schemi di Oslo, che l’Ap aveva abbondantemente violato già dal momento della firma. Tutto quello che è seguito sino a oggi è la conseguenza – scrive Karsh – del fatidico errore dell’allora governo laburista d’Israele che, nei fatti, aveva riconosciuto Arafat come l’unico interlocutore nel “processo
di pace”. Per di più, la legittimazione dell’Ap
consentì all’organizzazione palestinese di ottenere ascolto nei paesi occidentali e nelle
stesse organizzazioni internazionali, benché
in diverse circostanze Arafat avesse scatenato ondate di terrore e di uccisioni in Israele. Ma ormai parte dell’opinione pubblica internazionale, abilmente suggestionata dalla
propaganda palestinese e preda di un rinascente antisemitismo, era sorda alle denunce dei governi israeliani. “L’Olp si era accreditata agli occhi della comunità internazionale – afferma Karsh – come il rappresentante legittimo, pacifico e democratico di un futuro stato palestinese contro l’evidenza dei
fatti”. Nello stesso tempo, Hamas aveva a sua
volta ricevuto legittimazione da parte di Arafat di condurre azioni terroristiche contro
Israele, prima che Gaza, nel 2005, cadesse
nelle sue mani.
Gli accordi di Oslo, a detta di Karsh, ebbero un effetto negativo sul sistema politico
di Israele. Nei 23 anni successivi a Oslo solo
un governo concluse il suo mandato. La violenza palestinese, prodotta dalla legittimazione dell’Olp, sconvolse la vita degli israeliani a più riprese, soprattutto dopo il 2000,
quando Arafat respinse le offerte di pace di
Barak. Arafat sapeva che il terrorismo era
stato “legittimato” a Oslo. E la vita politica di
Israele ne subì le conseguenze, sino a oggi.
Antonio Donno
INNAMORATO FISSO
di Maurizio Milani
Lettera d’amore completa a Charlie XLX (popstar). Amore! Ti amo.
Sai da quando? Da quando ti ho
visto nel tuo video ballare e cantare sul
tetto di uno scuolabus. Per me fai bene a
comportarti così. Ieri l’ho fatto anch’io.
Amore farò tutto quel che fai tu. Mi chiamo Maurizio e abito in provincia di Isernia, lavoro all’osservatorio astronomico
di Arecibo (New Messico), devo monitorare gli asteroidi. Non tutti solo quelli che
arrivano dalla costellazione del Toro. Nel
1985 frequentavo il conservatorio minorile. Venni sbattuto fuori perché suonavo
l’oboe al contrario. Al pomeriggio vendo
anche biancheria a domicilio. Oggi per
esempio sono nelle Asturie. Suono il
campanello delle case e propongo tovaglie, lenzuola, ecc. C’è dei giorni che non
vendo nemmeno una salvietta, altri invece che vendo 10 corredi completi da sposa. Charlie ti amo tanto. Sei bellissima.
La più bella cantante del mondo. Questa
è la prima lettera d’amore che scrivo a
una donna. Vorrei chiederti l’amicizia su
Facebook ma ho vergogna. Puoi chiedermela tu? Ciao amore! Tuo Maurizio.