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“L’importanza del Coachee nell’Executive Coaching”
di
Roberto Degli Esposti
Il mestiere del Coach è per per sua natura così
ovvio da apparire di difficile comprensione.
Sembra un paradosso ma non lo è. Ancora più
ovvio appare nella sua declinazione di “Business
Coach”, l’unica che frequento sia personalmente
sia insieme ai miei colleghi di Performant by SCOA.
Un decisivo contributo a chiarire cosa sia il mestiere del Coach arriva dalla traduzione del termine
in Italiano: allenatore. Si tratta quindi di una
professione che dato un campo di applicazione e
uno o più soggetti abilita e sostiene il miglioramento della loro performance.
In fondo è tutto qui. Anche se in questo tutto c’è,
almeno dal punto di vista di chi esercita questo
mestiere, una ricerca, una preparazione, una
vicinanza ed una illuminante gratificazione che
questa semplice definizione può rendere meno
evidente.
Nell’affiancare una o più persone perchè attivino
prestazioni di livelli superiori rispetto al passatonon buone, non ottime, ma migliori- si può inciampare spesso in un dilemma: quando finisce il
percorso? Quando si può dire che il lavoro è finito?
Chi è l’arbitro che fischia la fine della partita e
premia il risultato?
Il Coachee. E’ solo il Coachee a poter dare per
raggiunto un obiettivo che egli se stesso si è posto
e per molti questo obiettivo di miglioramento è
sempre il prossimo. Il tratto più consistente e
comune che riscontro nei percorsi con Executive ed
imprenditori di successo è la solida inesauribile
determinazione a migliorarsi, l’impegno e l’applicazione con cui lo fanno ed il gusto, il piacere
sincero e gratificante di cui godono nello sfidarsi,
nel mettersi alla prova.
Seguo Coachee da anni.
Alcuni miei colleghi internazionali mi raccontano
di percorsi che proseguono praticamente per tutta
la carriera.E in tutti questi casi si tratta di persone
di talento (riconosciuto) di successo (progressivamente incrementato) e di straordinaria confidenza con la ricerca ed il superamento dei propri
limiti. E’ talvolta questa ricerca, magari combinata con la decisione non del tutto consapevole di
seguire un percorso di Coaching che può
portare la relazione di aiuto ai confini
della professione del Coach.
Succede ad esempio che la decisione di
intraprendere un percorso sia arrivata
su “suggerimento” (dell’azienda, del
capo, del miglior amico) ma non maturata consapevolmente.
Questa circostanza può determinare l’insuccesso
del percorso, ovvero il mancato ottenimento del
miglioramento delle performance, ma sovente può
indurre lo stesso Coach ad evadere dal suo territorio
per perlustrarne altri (in particolare quello
dell’analisi psicologica) alla ricerca della chiave di
accensione dell’ingaggio del Coachee.
So che può succedere e so che è successo. E quando
davvero accade i rischi possono essere elevatissimi.
Succede tanto più frequentemente quando il Coach
ha una preparazione da analista, da psicologo o,
peggio ancora, pensa di averla.
Nel tracciare il confine tra la professione del Coach
e le molteplici soluzioni in grado di offrire supporto
agli individui ed ai gruppi vedo aprirsi come sempre
succede un doppio fronte: normare, quindi regolamentare ai diversi possibili livelli (leggi, albi, codici,
etc) e dibattere sull’inesauribile tema dell’etica
(etica professionale, comportamentale, individuale, sociale, etc).
Trovo questa naturale evoluzione delle cose decisamente noiosa quanto irrilevante.
Me ne tengo alla larga, salvo rispettare le norme
(quando ci sono) ed i codici di deontologia professionale (quello della WABC, Worldwide Association
of Business Coach nel mio caso). Ma oltre a questa
diligenza non vado. Non prendo in considerazione
nessun contributo ne attivo ne passivo a queste
dimensioni.
Posseggo una formidabile risorsa e due tecniche in
cui sono profondamente confidente.
La mia risorsa è il Coachee. La sua apertura al
percorso di miglioramento e la sua consapevolezza
che di questo e nient’altro si tratta. La sua
dedizione ed il suo impegno. L’osservazione del
progredire delle sue performance. Questa è la fonte
da cui attingo la convinzione che sto facendo il mio
mestiere di Coach E poi gli strumenti. La domanda.
E l’ascolto. Passo ore con i miei Coachee ad ascoltare e a fare domande.
E dunque nel dubbio ne faccio una in più, chiedo
ancora una volta se lei, lui o loro stanno misurando
e verificando progressi nella loro performance.
Poi con grande piacere li ascolto e mi godo la
risposta.