Fundraising: ecco quello che la politica deve sapere

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venerdì 07 ottobre 2016, 17:30
Autofinanziamento
Fundraising: ecco quello che la politica deve sapere
L'intervista a Raffaele Picilli, esperto in fundraising e fondatore di Raise in the Wind
di Camilla Doninelli
Dal 2017 i Partiti italiani dovranno arrangiarsi da soli. O meglio dovranno autofinanziarsi. Il modo migliore è quello di
utilizzare il metodo del fundraising. Ed qui che casca l’asino. Per molti, o forse per i più, il fundraising non è altro che una
semplice raccolta di fondi per un periodo circoscritto. Questo è il modo migliore per sbagliare. Il lavoro del fundraiser,
soprattutto in ambito politico, è molto di più, è molto più difficile e ha bisogno di tempo e programmazione.
Ecco perché abbiamo intervistato Raffaele Picilli, esperto in fundraising e people raising per organizzazioni Nonprofit ed
Enti Pubblici. Nel 2001 ha fondato il network di consulenti per il Nonprofit Raise the Wind. Dal 2014 è partner di
CostruiamoConsenso, network di consulenti per la politica, membro del board di EUConsult Italia e Presidente del
Comitato Organizzatore del Nonprofit Leadership Forum.
Fundraising. Il modo sostitutivo per il finanziamento ai partiti?
Bisogna fare una premessa. La raccolta fondi si è sempre fatta nel nostro Paese e di solito è stata portata avanti dalle
organizzazioni Nonprofit, il terzo settore. Tutt’oggi è una pratica diffusissima. Ma il fundraising non è soltanto la raccolta
fondi, non è corretta la traduzione. Fare fundraising è molto più complesso, perché al centro del fundraising c’è il donatore
con la sua fidelizzazione, c’è la trasparenza, è molto più complesso. Oggi le organizzazioni Nonprofit in Italia, ma anche molti
enti pubblici come ospedali, università fanno fundraising e raccolgono delle somme importanti che servono per i loro
progetti. Adesso il problema è trasportare la causa sociale non soltanto per i partiti, ma in generale per la politica. Nel 2017
saranno aboliti i finanziamenti pubblici ai partiti. Diciamo che oggi non tutti i partiti beneficiavano dei finanziamenti, ma il
problema ci sarà sia a monte che in periferia. Oltre ai partiti ci sono le sezioni locali che hanno bisogno di essere sostenute,
ma anche i singoli candidati che hanno bisogno di solei per le elezioni. Il problema sarà diffuso, bisognerà convincere gli
italiani a sostenere la politica. Non è solo il problema dei partiti che oggi non sono pronti a fare fundraising, perché la
maggior parte si limita a pochissime azioni, bisognerà lavorare per convincere i cittadini che è importante sostenere la
politica.
Far ricredere i cittadini sulla politica è l’elemento, in Italia, più difficile visti i precedenti…
Noi siamo abituati ad avere un concetto del politico spesso sbagliato, di quello che sperpera i soldi e ne fa un utilizzo
personale. Questo non aiuta la politica e soprattutto il fundraising per la politica. Oltretutto, in Italia, c’è il concetto del ‘do ut
des’, il voto di scambio. Questo vuol dire che io sostengo la tua campagna elettorale e dopo ti verrò a trovare chiedendoti in
cambio qualcosa.
Il classico fenomeno del clientelismo, molto lontano dal concetto di fundraising…
Si. Bisogna trovare il modo per evitare chi ci sia questo gioco.
Estratto ad uso rassegna stampa dalla pubblicazione online integrale e ufficiale, reperibile su http://www.lindro.it/fundraising-ecco-quello-che-la-politica-deve-sapere/
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I modelli da seguire sono quelli di matrice anglosassone. Possono funzionare anche da noi?
Sarebbe molto bello seguire alcuni modelli stranieri, ma noi siamo in Italia e dobbiamo rapportarci al nostro caso. Gli
americani ci possono mostrare dieci tipi di tecniche di fundraising, ma per l’Italia andrebbero bene due o tre per vari motivi.
Innanzitutto perché ci manca la cultura della donazione, poi perché non siamo abituati, e infine perché abbiamo un rapporto
molto distante con la politica (in America si dice ‘il mio deputato’, noi questo non lo diciamo). Gli americani per evitare il
fenomeno del clientelismo hanno creato delle figure intermedie che raccolgono fondi per la politica che richiamano PAC o i
super PAC (Political action committee). Hanno una funzione di filtro. Il cittadino dà il soldi al PAC e questo decide di darli al
candidato X o Y o Z legandosi al programma elettorale del candidato. E’ una formula molto interessante perché per evitare il
voto di scambio, in Italia, il 2x1000. Una quota piccola ed è difficile sapere chi è il donatore. Sono stati pochissimi i sonatori
sul totale dei contribuenti il primo anno, il secondo anno è andato leggermente meglio. Forse bisognerebbe incentivare non
tanto il tesseramento ma la membership, diventare un sostenitore del Partito.
Membership e tesseramento sono due affiliazioni differenti, giusto?
Sì. Se lo intendiamo all’americana, la membership è essere come socio di un club. Quindi non è detto che in quel momento ti
senti parte a tutti gli effetti di un partito prendendone la tessera e assumendo certi impegni, ma diventi semplicemente un
sostenitore di quel gruppo. Un esempio è la differenza tra socio e sostenitore. Il socio vota il proprio presidente o segretario;
il sostenitore dà semplicemente i soldi, come se rimanesse all’esterno a guardare quello che si fa, non governa la vita
dell’organizzazione. Parlo di membership perché potrebbe essere fissata ad un costo minimo tale da non creare situazioni di
imbarazzo. L’latro grande problema è la mancanza di codici per le donazioni.
Che vuol dire?
Mi domando chi può donare i soldi ad un Partito. Qual è il codice etico? Nessuno se l’è dato. Lo sto dicendo da due anni.
Un vademecum?
Vuol dire da chi posso prendere i soldi e da chi non li posso prendere. Il terzo settore, il mondo del Nonprofit utilizza questi
metodi.
Torniamo al concetto di trasparenza?
Oggi i partiti sono obbligati a rendicontare il loro bilancio. Il 94% lo fa. Il problema è che chiunque potrebbe raccogliere fondi
esterno ai partiti. Allora, in questo caso, dov’è il controllo? Non c’è. In Italia, quasi nessuno, controlla in maniera approfondita
le organizzazioni Nonprofit che raccolgono i fondi. Gli americani o gli inglesi hanno il . E’ un controllore a tutti gli effetti, ha
anche poteri di indagine e può bloccare una determinata organizzazione e la conseguente raccolta di fondi in caso di
ispezione. In generale il cittadino deve pretendere di sapere come sono stati spesi i soldi che ha donato ad
un’organizzazione sia che si parli di partiti politici sia associazioni. Alla fine dell’anno bisognerebbe rendere obbligatori report
con le indicazioni di spesa. Anni fa l passione politica era così sentita che venivano donati appartamenti ai partiti. Oggi
questa cosa impensabile perché non c’è più attaccamento. Nando Pagnoncelli ha detto che nel 2013 il 38% - 39% degli
elettori ha cambiato idea sul voto politico, questa è una tragedia. Un dato del genere dimostra che non c’è più affezione.
Quindi come accostare il fundraising - politica - elettore?
Uno dei principi fondamentali del fundraising è il donatore regolare non occasionale, non serve a nulla. Deve essere
fidelizzare e coinvolto. Il fundraising è partecipazione. Il problema è che i partiti non la vogliono capire questa cosa, è molto
più facile accettare sottobanco donazioni importanti.
Finanziatori. Lo spinoso problema delle lobbies che in Italia ancora non è regolamentato e decisamente
difficile da gestire. Fundraising e lobbismo come li gestiamo in Italia?
C’è assolutamente un rapporto stretto perché il lobbista va a rappresentare aziende che hanno delle necessità e quindi
hanno bisogno di incontrare la parte governativa. Allora è bene che le azioni siano sempre trasparenti proprio per evitare
che arrivino soldi sotto traccia.
Non sembra che in Italia ci sia la volontà concreta di farlo. Si declama ma non si fa. Come possono pensare che
gli elettori tornino ad avere fiducia? Una relazione a senso unico…
Purtroppo oggi è così. Forse se mi avessero chiesto di scegliere tra finanziamento pubblico e non finanziamento, io avrei
scelto un finanziamento misto alla tedesca. Lo Stato sostiene i partiti in rapporto alle donazioni ma soprattutto in rapporto a
quanto hanno raccolto. Un minimo è assicurato, il resto è dato in base a quanti soldi sono stati raccolti con il fundraising. Il
grosso lavoro non è tanto del fundraiser che deve costruire le campagne di raccolta fondi, ma bisogna fare attenzione alle
professionalità, a cosa si fa nella raccolta fondi. Non basta copiare quello che è scritto in un libro o copiare le slides di altri. Il
problema non è solo la creazione di campagne efficaci ma è un altro: i partiti che investono per parlare con il cittadino.
Nel panorama politico italiano i nostri partiti sono pronti?
La situazione attuale è abbastanza lineare nel senso che ci sono partiti politici che hanno una storia, una presenza
territoriale che avvantaggia moltissimo l’attività di raccolta fondi. Il fundraising è basato molto sul face to face. Il Pd è
avvantaggiato anche perché da molti anni ha un ufficio dedicato al fundraising, ha anche una fondazione di sostegno che è
la fondazione EYU ed è l’unico partito, credo, che fa scuola di formazione in questo senso. Gli altri partiti hanno nei siti web
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la sezione ‘sostienici’, pochissimi si sono lanciati nelle campagne online, ma la rete conta poco. In Italia la raccolta fondi
online non ha una grande risposta, funziona il cartaceo (il conto corrente postale), e questa è una delle differenze maggiori
che abbiamo con gli americani, che al contrario raccolgono fondi tramite donazioni con carte di credito.
E il Momento 5 Stelle che ha basato tutto sulla rete?
Abbiamo tentato più di una volta di parlare con il Movimento ma non ci siamo riusciti. Nessuno ha amai voluto rilasciare
dichiarazioni ufficiali, solo personali.
Le fondazioni dei politici? Che, oltretutto, in alcuni casi, collaborano con la politica ma rimangono sempre in
penombra…
Le fondazioni sono degli organismi privati e come altre organizzazioni Nonprofit non sono obbligate a rendere pubblici i loro
bilanci. Bisognerebbe obbligare tutte quelle realtà che raccolgono fondi o sono vicini ai partiti a rendere tutto pubblico.
Credo che sia molto difficile, sarebbe molto più semplice obbligare tutti ed effettuare controlli. Con la nuova riforma del
Terzo Settore, i controlli li fa il Ministero del Lavoro. Una volta esisteva l’agenzia delle Onlus che non ha avuto molto seguito
ed è stata chiusa. In Italia abbiamo bisogno di un Charity Navigator che fa controlli sulle organizzazioni del terzo settore e
vanno incluse le fondazioni dei partiti e gli stessi partiti. Ci vuole qualcuno che non venga pagato da nessuno per certificare
un bilancio e che abbia un occhio allenato su che cosa sta succedendo. Questo aumenterebbe di molto la fiducia del
cittadino
Chi sopravviverà dopo il 2017?
Molti partiti invece di incentivare campagne di raccolta fondi, programmi seri di raccolta fondi licenziano il personale, li
mettono in mobilità, chiudono le sedi, i circoli. Non è questo il modo. La politica è territorialità se si distrugge la politica sul
territorio il partito verrà distrutto. Forse un pò di tempo ancora ce l’hanno, ma i soldi finiranno. Bisogna ricordarsi che noi
siamo in Italia, non in Inghilterra né in America. La ricerca lo dimostra dal 2010, questi sono Paesi completamente diversi.
Utilizzano tecniche e approcci metodologici completamente diversi. Ci sono tecniche che sono state importate ma che
funzionano al 5% di quello che funzionano in America. E’ più facile copiare. Non basta copiare la pagina web di raccolta fondi
di Barack Obama. Se non viene gestito il rapporto con il donatore si è perso solamente tempo. Oggi, in Italia, se mettiamo a
paragone un grande partito con una società Nonprofit, questa raccoglie 100 e il partito al massimo 1. Questo perché non lo
sanno fare, non hanno pensato ad una strategia.
Vedendo la storia italiana, paradossalmente i vecchi partiti erano più capaci di fare fundraising rispetto a
quelli di oggi (anche se all’epoca non era questo il termine ma il concetto era lo steso)?
Secondo me sì. Nel 1953 quando Fanfani arrivò al Governo disse che alla Democrazia Cristiana serviva la presenza sul
territorio. Capì che bisognava fare quello che oggi si chiama people raising, parlare con dei volontari che rendono vivo il
Partito nel piccolo centro. Adesso stanno chiudendo le sezioni, e questo è drammatico, non c’è più nessuno in periferia.
Pensare ad un partito che viva solo online è una stupidaggine. Non ci sono tutti online. Quando parliamo di fundraising per la
politica, se io penso ai clienti che abbiamo seguito, la media del 75% delle donazioni arrivavano o pro minibus o tramite
conto corrente. Attraverso il sistema online arrivava pochissimo.
Noi dobbiamo creare il nostro modello non copiare gli altri?
Bisogna tornare ad incontrare le persone, raccontare qual è il programma elettorale e chieder fondi su quel programma. Se
uno si candida due mesi prima delle elezioni non si potrà mai fare fundraising, non ci sarà mai il tempo. Se uno si dimentica
dei donatori significa che non ha fatto fundraising, ma una semplice raccolta fondi. Il fundraising è fatto di relazioni, e queste
nascono e si rafforzano con le reti. I soldi si chiedono per la propria idea. C’è tanta improvvisazione anche da parte dei
consulenti. Questa è una professionalità che bisogna allenare. Già il fundraising per il Nonprofit è difficile, figuriamoci per la
politica. Il politico non pronto e dall’altra parte il cittadino non se la sente. E’ l apolitica che deve spendere per parlare con il
cittadino.
di Camilla Doninelli
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