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Alberto Di Vita 28/09/2016

Negli ultimi anni c’è una grossa fetta di tifosi che si è in qualche modo incagliata in discorsi che poco hanno a che fare con “il campo”. In parte colpa del fair play finanziario, in parte di calciopoli, ma anche e soprattutto per via dell’aumento indiscriminato di fonti di informazione e approfondimento… quest’ultima non è polemica, visto che non esisteremmo senza questa disponibilità.

Sono tifosi che amano più parlare di società, dirigenti, operazioni, numeri, bilanci, piuttosto che delle cose di campo. Come se individuare i meriti o i demeriti del Bolingbroke di turno, o di un Ausilio o di quello o quell’altro DS-AD etc…, sia più importante capire se Candreva e Perisic siano o meno la migliore coppia d’esterni offensivi in Italia o se l’amalgama Pjanic+Khedira+Marchisio se e quanto funzionerà, visto il tasso tecnico e di intelligenza a disposizione. Insomma, parlare delle “alte sfere” sembra interessare più che parlare di calcio.

Di tutto l’armamentario di argomenti possibili che possono essere trattati (compresi quelli di politica dello sport e di giornalismo, che invece ci piacciono tantissimo) questo è uno di quelli che mi piace di meno, parlo a titolo personale.

Non che l’argomento non sia caldo o non abbia il suo diritto di esistere, persino il suo fascino. Quello che mi piace meno è l’alone mistico che si

viene a creare attorno all’Inter, mentre i media sono piuttosto protettivi nei confronti di

altre società. Ovvero non mi piace quel genere di pettegolezzo dei cosiddetti “beninformati” che solo loro sanno dirci che se arrivano Frank De Boer, Joao Mario e Gabriel Barbosa non è perché c’è un’idea di fondo, un progetto o qualcosa che gli somigli, ma è perché… comanda Kia. Quello là, Kia Joorabchian, definito con un vasto assortimento di aggettivi, similitudini e epiteti: “eminenza oscura“, “ombra grigia“, il “Richelieu dell’Inter“, un “losco figuro” che disegna “trame sotterranee” persino per arrivare a Tevez (non va più di moda la pizzata sorridente in amicizia, d’altra parte è solo il suo procuratore di Tevez: le trame sotterranee sono obbligatorie). Insomma, uno che “si mangia l’Inter” (vi propongo lo screenshot qui sotto eh), uno che diventa (con una improvvida scivolata linguistica) un “tetragono del calcio internazionale“; e siccome “Suning non ha una strategia” (curioso come per molti il vero proprietario sia “Suning” e non il venerabile [cit.] Zhang Jindong) allora è necessario stringere un vero e proprio “patto col diavolo“. E insomma, che disastro.

Certo, perché se la Juventus per 3 mesi cerca un trequartista in qualsiasi angolo del mondo, organizzando un vero “casting” (giuro che se scrivete “ casting juventus trequartista ” ne trovate a bizzeffe) internazionale dal quale emergono finalmente i nomi sicuri (“ormai è fatta”, “vuole solo la Juventus”, “siamo alle firme”, ) di Gotze, Draxler, Jovetic, Reus, Mkhitaryan, Lamela, Isco e

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persino Sneijder (ma la lista sarebbe infinita) e finisce col presentarsi con Hernanes (11 milioni), è chiaramente strategia societaria oculatissima e pianificata da lontano.

Poi, diciamolo, fare affari con Raiola è decisamente molto meglio che con Kia: a meno che non guardi i bilanci Juventus, accorgendoti di quanto abbiano pagato Pogba, ovvero praticamente zero come trasferimento, qualche milione di troppo come “fee” al procuratore (che poi si becca un altro 20-25% del trasferimento del secolo… per lui). Insomma, altro che Thohir e Zhang, altro che “Suning”: il vero padrone dell’Inter era Kia. Nessuno, invece, a preoccuparsi di chi fosse Joao Mario e come giocasse: e quando lo vedi in campo ti viene spontaneo mandarli tutti a quel paese. E poi me lo immagino il venerabile Zhang farsi burlare da chicchessia.

Ma torniamo a noi, scusate la digressione. Thohir, stavamo parlando di Erick Thohir…

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Thohir arriva a Milano portandosi addosso le speranze di tutti gli interisti. Acquista una società piena di debiti che aveva imboccato una spirale pericolosa, la cui uscita più probabile era anceh la più temuta dagli interisti: cosa significava avere una squadra piena di debiti con in sella un presidente non più in grado di finanziare e senza struttura in grado di produrre? Signiricava ridurre tutto, anche più che ridurre; e smantellare una squadra piena di debiti significa rendere quei debiti non pagabili; rendere quei debiti non pagabili, anche se dovuti a una banca, significava dimenticarsi un’Inter da “testa della classifica” per lungo, lunghissimo tempo. O forse peggio.

Ed è questo lo snodo cruciale: in molti non avevano e non hanno compreso davvero la situazione di quella squadra, forse non proprio a conoscenza dei bilanci dell’Inter, che si tenevano con lo scotch (leggasi ricapitalizzazioni di Moratti).

Il Fair Play Finanziario “nasce” sotto la stella di una (stupida) dichiarazione di Michel Platini: Con le nuove regole proteggeremo il business di Abramovich, Massimo Moratti e Glazer. Sono sicuro che vogliono vendere, ma chi comprerebbe club con tanti debiti? Chi sarebbe così stupido?Michel

Platini - In veste di Presidente UEFA

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La frase, grave se detta dal Presidente dell’Uefa, aveva un suo fondamento di verità, anche se è troppo fragile come base per quell’odioso obbrobrio che è il Fair Play Finanziario. In quel fondo di verità si innesta Thohir, che acquista una società in grossa difficoltà… per fare cosa? Non sappiamo di preciso quali fossero, e quali siano le vere intenzioni del presidente indonesiano (a proposito, domanda per i “beninformati”: chi comanda all’Inter?): la prima volta che venne fuori la notizia di conti sistemati con prestiti (quindi da restituire, più interessi) sia con le banche che con Thohir stesso, ebbi la sensazione che si stava parlando di un lavoro, quello di prendere aziende malconce, renderle stabili e appetibili, venderle appena possibile. E guadagnandoci, inevitabilmente.

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Ho sempre letto la presidenza di Thohir sotto questa prospettiva, anche se credo che alla fine ci abbia messo della passione e dell’interesse personale in più che (probabilmente) prima non era in conto. Si è inserito in una realtà in cui, nella migliore delle ipotesi, lo deridevano alle spalle, quando non proprio esplicitamente (ricordate Ferrero e Christillin?); ha “sistemato” il brand Inter, ha

riportato in ordine i conti, ha riorganizzato la struttura, ha reso l’Inter appetibile a chi ha

davvero voglia di investire, le ha ricreato una credibilità tale da farla valere non meno di 500 milioni (prima erano 300), mentre il resto dell’Italia era lì lì sbavante nella speranza agognata di vedere “i nerazzurri portare i libri in tribunale”.

In tutto questo, non ha mai fatto mancare l’apporto dal lato calcistico: ha preso un allenatore di visibilità internazionale (volevi essere appetibile con Mazzarri?), lo ha assecondato spesso esaudendo molti dei suoi desideri (Shaqiri, Melo, Kondogbia, Telles, Eder, Ljajic, Jovetic e Podolski, e ne mancherà pure qualcuno… non saranno tutte prime scelte di Mancini, non c’è Yaya Touré, ma insomma…) puntando all’obiettivo grosso, quello che avrebbe trasformato il capolavoro in miracolo e avrebbe fatto lievitare

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ulteriormente il valore dell’Inter, dando l’ultima (purtroppo era necessaria) sistematina al bilancio. Ovvero l’ingresso in Champions League. Il tutto nonostante il FPF gli abbia impedito di fare quel di più che era chiaro potesse e volesse fare, nonostante non abbia avuto il privilegio, le agevolazioni e il “comodo” di altri nel costruire lo stadio (vero Juventus? Ma ci torneremo a parte), fondamentale per chiunque voglia alzare il fatturato.

Le sue parole sono chiarificatrici anche di questi aspetti: Con Moratti abbiamo lavoro bene e abbiamo reso la società più forte. Abbiamo un management da top club europeo, una cosa che non tutti in Italia posseggono. L’obiettivo è quello di costruire un’Inter globale, ma che allo stesso tempo non perda i suoi sui valori, una società capace di calarsi in una realtà italiana che deve crescere per competere con gli altri campionati più importanti d’Europa.Erick Thohir Seguici su Facebook Il Malpensante – Magazine di sport Soprattutto l’ultimo anno con il mancato ingresso in Champions brucia, perché è una grandissima occasione persa e che avrebbe dato altra linfa a un mercato ancora migliore.

Qualcuno potrà leggere la sua gestione come “fallimentare”. A me pare che senza “un” Thohir (non per forza lui, ma uno come lui) non ci sarebbe stato un futuro per l’Inter. Molti di coloro che gli rimproverano qualcosa, qualunque cosa, fanno parte anche di quella schiera di tifosi dura contro Moratti per una gestione troppo “individualista” della società: si mettessero d’accordo, perché i due vanno in direzioni opposte. Thohir ha portato l’Inter nel mondo delle aziende,

svestendola di quel paternalismo nostrano che fa tanto “presidente tifoso” e che oggi

sarebbe insostenibile. E oggi l’Inter si trova con prospettive e una rosa decisamente migliori di qualche anno fa: ricordate?

Handanovic, Schelotto, Ranocchia, Pasa, Nagatomo, Kuzmanovic, Kovacic, Cambiasso, Guarin, Alvarez, Rocchi. È la formazione di Stramaccioni che affrontò il Genoa nel maggio 2013. E non c’erano Cassano e Pereira a completare il quadro della salute.

Guardo la formazione di oggi e, sì, vedo delle anomalie (siamo ancora a Nagatomo? Possibile che non ci sia un ricambio più profondo a metà campo? etc…), ma non riesco ad associare la parola “fallimentare” se guardo al 2013, e al 2014. E quell’Inter non era per nulla appetibile a uno che a breve entra nella “top 400” degli uomini più ricchi del mondo.

I CONTI (QUASI) A POSTO

Oggi (28 settembre) il Corriere dello Sport pubblica delle anticipazioni su quelle che dovrebbero essere le cifre del bilancio, che ufficialmente conosceremo fra un mesetto circa. Nell’arco di pochissimo tempo, da una società di cui si poteva persino arrivare a dubitare della sopravvivenza,

Erick Thohir e soci hanno portato il passivo prima a 140,9 milioni e poi a, sembra, 50-60

milioni circa: con numeri prima dell’effetto “Suning” (ricordate, è il vero proprietario dell’Inter).

Insomma, il piano quinquennale del tanto deriso Bolingbroke sta funzionando.

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Insomma, nel peggiore dei casi Erick Thohir può essere considerato un affarista che ha comprato e venduto una società, portando una vera transizione consistente in una grossa dote di ristrutturazione che l’ha resa appetibile a chi oggi vuole riportarla in alto. Fatta eccezione per tutte le valutazioni che possiamo fare sul mercato, dove ci confonderemmo nel dire chi ha voluto cosa, quando e perché, si può dire che l’unico vero grande errore della gestione Thohir sia stato proprio Roberto Mancini, che ha goduto all’inizio della spinta di ottimismo dovuta all’insoddisfazione dei tifosi verso il predecessore (e io ero tra questi), ma che evidentemente era un profilo sbagliato per questa Inter. Errore non in assoluto, ma contingente e a posteriori, perché Mancini è allenatore che ha bisogno di grandi nomi e costosi (cominciate la litania: Ibrahimovic, Touré, Dybala, Leiva…) irraggiungibili soprattutto per il carico di costo sull’ingaggio: la realtà è che l’avremmo fatto in tantissimi, direi quasi tutti.

Oggi c’è un nuovo proprietario e anche un nuovo allenatore, con altre prospettive e finalmente un orizzonte, esattamente quello che mancava e che Thohir ha dato all’Inter, ma soprattutto ai suoi tifosi. Lui che anche da una parte di questi è stato tanto insultato e deriso, e che probabilmente di

finanza e di calcio ne sapeva e ne sa qualcosina di più di quello che in tanti si aspettavano.

Tra i tifosi forse è meglio che se ne parli di più. Di calcio, intendo.

(articolo del 2013)

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