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estratto alle ore 19:10
La teoria dei colori, secondo Carrefour
Ho assistito alla sua laboriosa gestazione non
senza una certa apprensione. Passando per via
Kerbaker non potevo evitare di arrovellarmi,
approfittando più del dovuto delle pause del
semaforo per tentare di allungare lo sguardo,
sempre inutilmente. Spessi teli di sicurezza
verdi, ben distesi tra le impalcature di ferro,
impedivano l’occhio ma incoraggiavano
l’immaginazione, che disegnava tutte le
traiettorie immaginabili compiute dalle squadre
di operai, impegnati tra i ben conosciuti reparti
delle conserve e della prima colazione, gli
attrezzi poggiati sugli scaffali poco prima
occupati da pane e da ogni tipo di companatico
e, adesso, densi di orme lasciate dalla polvere
del lavoro e del cambiamento. Tutto questo
accadeva mentre l’estate iniziava e la città
lentamente si svuotava, il nuovissimo Carrefour
cresceva mentre le strade di Napoli, sfumando
all’ombra della svogliatezza da villeggiatura,
digradavano verso altri luoghi. Se il
supermercato non è più quello di una volta, lo
dobbiamo anche al Carrefour, il vertice
avanzato del concetto della spesa, spazio di
perenne messa a punto del linguaggio che
unisce l’uomo e la merce.
Il mosaico composto dalla sovrapposizione
delle sgargianti confezioni, ordinatamente
disposte sulle sconfinate linee prospettiche del
reparto dei generi a lunga scadenza, ha espresso
la percezione di un’epoca segnata dalla
magnificenza, un tempo che, inevitabilmente,
si è avviato al tramonto. Dietro questo
paesaggio di etichette, nel ritmo dei loghi e degli
slogan, sono stati trovati tutti gli elementi per
analizzare il rapporto tra produttore, prodotto,
consumatore, consumabile, per cartografare la
superficie di attrito tra immagine, oggetto,
rappresentazione. Non è stato poi troppo
difficile, le cose erano state messe tutte lì, come
se il supermercato fosse un laboratorio per
capire meglio quale posizione assumere verso
il mondo. In un luogo in cui tutto ha una
disposizione misurabile, la distanza tra i sott’oli
e il banco frigo non può essere diversa, il
numero dei barattoli di filetti di alici non deve
eccedere quello delle scatolette di tonno.
"Il mondo sotto casa” era uno degli slogan più
conosciuti della Standa, lo stereotipo italiano di
quello che era il grande magazzino, primo
nucleo del centro commerciale. Ed è
effettivamente così, posso manipolare con tutta
tranquillità ciò che mi circonda, soppesarlo,
controllarne la composizione e il lotto di
produzione, riporlo nel carrello e possederlo.
Un’altra sensazione anche rispetto alla realtà
virtuale. Un mondo percorribile con i piedi per
terra e a misura di famiglia, aperto la domenica.
Poi la Standa si è lentamente spenta, tra
ingerenze politiche, passaggi di mano non
sempre limpidi tra i maggiori gruppi nazionali,
da Montedison a Fininvest, cessioni a gruppi
stranieri, ultimo dei quali l’austriaca Billa.
Carrefour, invece, non smette di crescere. Con
ricavi di quasi 90 miliardi di euro, è il secondo
più grande gruppo al dettaglio al mondo, dopo
l'americana Wal-Mart, e il primo a livello
europeo. Nel 2015, le vendite sono cresciute del
3,5% in Italia e del 2,5% in Spagna,
raggiungendo i picchi del 13,5% in Brasile e
23,3% in Argentina. Considerando il quarto
trimestre del 2015, il colosso francese ha
acquisito circa 282 mila metri quadri di spazi
espositivi, aggiungendo 439 store a un network
esteso in più di 30 Paesi, dal Sud America al
Nord Africa, passando per l’Asia. In questa
nuova cartografia della prossimità, che avvicina
abitudini e punti di vista di milioni di persone
da un capo all’altro del globo terracqueo, in
questo meccanismo di ridefinizione degli spazi,
il Carrefour è decisamente avanti. Eppure,
secondo il CEO Georges Plassat, la crescita non
è proporzionata agli investimenti ed è
necessario un cambio di marcia ma con
pazienza, a passi mirati. «La velocità non è
spettacolare, dobbiamo fare alcuni cambiamenti
ma la fretta porta solo al disastro», ha detto
qualche tempo fa, in una intervista rilasciata al
Wall Street Journal. Festina lente, affrettati
lentamente, faceva dire Svetonio al saggio
Augusto, il primo imperatore della storia
romana, artefice del passaggio dalla Repubblica
al Principato. Plassat immagina un punto di
svolta, la sua strategia è dichiarata e la sta
perseguendo con precisione e decisione:
diminuire l’impatto dell’esercizio nella scala
XXL degli ipermercati in favore di negozi più
piccoli, accoglienti, convenienti. Pensati a
misura dell’individuo e non più del gruppo,
massa o famiglia tradizionale. Già le 24 ore
consecutive di apertura, un’anomalia temporale
considerando i ritmi tradizionali della spesa,
avevano dettato nuovi standard per la
disposizione dei prodotti e la scelta dei colori,
con briosi rossi e arancioni, apportando anche
alcune significative modifiche agli strumenti,
come carrelli della spesa più piccoli e in plastica
leggera. Per il Carrefour, la teoria dei colori è
fondamentale e, in una nota diffusa alla stampa,
è stato specificato che il nuovo logo, usato per
il servizio di e-commerce, annunciato in questi
giorni da una campagna di guerrilla marketing
a Milano e Roma, al grido degli hashtag
#Ghepensimi e #Nuntescomoda, «è magenta,
non rosa».
E il nuovissimo Carrefour di via Kerbaker è un
ulteriore passo, forse ancora sperimentale,
lungo questa inversione di rotta, a tutta dritta
verso l’individuo. Via i colori troppo accesi e
invadenti, il pavimento è rivestito di un
linoleum poroso e dai toni grigi, sul quale le
suole delle scarpe producono il suono ovattato
di un morbido attrito, appena sottolineato dallo
sfregamento delle ruote dei carrelli, completamente
realizzati in una plastica gradevole al tatto e con
le meccaniche silenziose, perfettamente oliate.
I cestini verde scuro del reparto frutta hanno gli
angoli smussati e richiamano l’attenzione sugli
elementi vegetali allestiti ordinatamente e
senza troppa esuberanza. Prevalgono le linee
oblique, che segmentano i reparti e annullano
la visione di un insieme troppo dilatato, chi era
abituato a percorrere chilometri tra roccaforti
di latte a lunga scadenza e confezioni da 32
uova, dovrà abituarsi a tale frammentazione
prospettica. Queste direzioni sintetiche conducono
verso due poli di attrazione, la zona delle casse
e, specularmente, verso l’area più lontana
dall’ingresso, il reparto dei freschi, cuore
pulsante della struttura, con le vetrine del pane,
dei dolci e dei croissant bene illuminate,
prospicienti al reparto salumeria, con la lunga
sfilza di prosciutti ancora elegantemente
confezionati. I profumi del forno caldo e della
carne speziata si intersecano tra buste di insalata
già lavata e scatolini di seitan sotto vuoto.
Fuori dal Carrefour, l’estate è ormai finita da
un bel po’ e, come al solito, mi riduco a fare la
spesa in tarda serata. Esco dalla fermata della
metropolitana di Quattro Giornate e, nel raggio
di un chilometro, ho a disposizione quattro
diversi Carrefour, il vecchio modello, il nuovo
e il nuovissimo. Traccio il percorso più
conveniente, inserendo tra i parametri anche il
peso delle buste, e mi avvio verso via Doria. I
fruttivendoli stanno smontando i larghi banchi
in silenzio ma durante il giorno dominano
Antignano, la zona più verace del Vomero, con
la loro potenza vocale, sempre ricca di una certa
inventiva nel reclamizzare la freschezza dei
prodotti. I loro movimenti sono precisi, cassette
e tavole, impilate le une sulle altre, mantengono
un equilibrio immutabile, ieratico. In fondo alla
strada, l’insegna del Carrefour è splendente,
altrettanto sacrale, i neon rossi e blu disperdono
le loro frequenze luminose nell’atmosfera,
interagendo con le pareti dei palazzi di via
Doria, Napoli, di Vila Guilherme, São Paulo, di
Quyang Rd, Shangai.
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