Aggiornamento n.1, 26/09/2016

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Paolo Biavati
ARGOMENTI DI DIRITTO
PROCESSUALE CIVILE
Terza edizione aggiornata
Aggiornamento n. 1
26 settembre 2016
Bononia University Press
L’editore mette a disposizione sul sito www.buponline.com nella sezione materiali
didattici i materiali e le schede di aggiornamento riferite alle novità normative
e giurisprudenziali successive alla data di pubblicazione.
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ISBN: 978-88-6923-137-7
Progetto di copertina: Irene Sartini
Impaginazione: Design People (Bologna)
Stampa: GE.GRAF Arti Grafiche (Bertinoro, FC)
Prima edizione: settembre 2011
Seconda edizione: settembre 2013
Terza edizione: giugno 2016
Aggiornamento n.1, 26 settembre 2016
AGGIORNAMENTO N. 1
26 settembre 2016
Le modifiche apportate al codice dalla l. n. 119 del 30 giugno 2016
Il d.l. n. 59 del 3 maggio 2016, convertito in l. 30 giugno 2016, n. 119 (c.d. decreto banche) si allinea alle
ormai consuete deplorevoli tecniche legislative degli anni recenti. Sull’onda di un intervento reso necessario
dall’esigenza di offrire una sia pur parziale tutela ai risparmiatori travolti dalla crisi delle banche in liquidazione,
si torna, una volta di più, a modificare il codice di procedura civile, specialmente nel tormentato segmento
dell’esecuzione forzata.
L’obiettivo di questa nuova legge si può identificare con una maggiore tutela del creditore, non solo attraverso
una semplificazione del processo esecutivo in taluni suoi snodi, ma anche cercando di sottrarre alcuni profili di
realizzazione del comando del giudice alla sfera più propriamente processuale, per affidarli ad una gestione (più)
amministrativa dell’esecuzione forzata. L’equilibrio fra i soggetti dell’esecuzione forzata ne viene ridisegnato a
favore del creditore. Sullo sfondo, appare il tema del rapporto fra rapidità e giustizia della decisione, che, passo
dopo passo, il legislatore cerca di avvicinare al primo, piuttosto che al secondo dei due termini.
1. Le modifiche all’opposizione all’esecuzione e al pignoramento (v. Argomenti nn. 98 e 106)
E’ noto che gli incidenti di cognizione rallentano il cammino della macchina dell’esecuzione forzata. Di qui,
la scelta del legislatore di limitare, in qualche misura, l’esperibilità del più radicale di essi (perché riguardante
l’intera procedura), vale a dire l’opposizione all’esecuzione.
Fino a ieri, questo tipo di opposizione era sempre possibile, almeno fino a quando il processo esecutivo non
fosse arrivato al punto di rendere, giuridicamente o materialmente, irreversibile il proprio esito. Con il nuovo
art. 615, comma 2°, si prevede invece che l’opposizione è inammissibile se proposta dopo il provvedimento con
cui il giudice dispone la vendita o l’assegnazione (ai sensi delle specifiche norme che governano questo aspetto,
a seconda che si tratti di espropriazione mobiliare, presso terzi o immobiliare: artt. 530, 552, 569 c.p.c.).
Il nuovo limite riguarda, dunque, la sola esecuzione per espropriazione e non anche l’esecuzione in forma
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specifica. Esso opera non dal momento in cui la vendita o l’assegnazione si sono realizzate, ma da quello in cui
vengono disposte.
Resta salva la facoltà per l’esecutato di opporsi se si sono verificati fatti sopravvenuti (si pensi ad un pagamento
parziale, nonostante il quale il creditore continui ad agire per l’intera somma precettata) o se dimostra di non
avere potuto opporsi prima per causa a lui non imputabile (secondo lo schema classico della rimessione in
termini).
La modifica al regime dell’opposizione trova conseguente riscontro nella disciplina del pignoramento: ora l’atto
di pignoramento deve contenere l’avvertimento al debitore che l’eventuale opposizione può essere proposta solo
entro i nuovi limiti fissati dalla norma riformata. L’avvertimento (della cui efficacia si può largamente dubitare)
sarà contenuto negli atti di pignoramento scritti (per l’espropriazione presso terzi e quella immobiliare) e nel
verbale di pignoramento mobiliare, a cura dell’ufficiale giudiziario. Si deve escludere che la mancanza di questa
formula comporti nullità del pignoramento.
2. Le modifiche alla vendita mobiliare (v. Argomenti n. 100-II e n. 101-VI)
Il legislatore interviene su due norme del codice.
Modificando l’art. 503 c.p.c., al secondo comma, recupera la possibilità di dare luogo alla vendita con incanto
anche per i beni mobili. A differenza di ciò che si poteva desumere dal testo previgente, in cui il riferimento
al solo art. 568 c.p.c. induceva a ritenere che l’incanto fosse possibile solo nell’espropriazione immobiliare,
ora, il richiamo anche agli artt. 518 e 540-bis comporta questa diversa lettura. Resta fermo il limite superiore
all’ammissibilità della vendita con incanto: ad essa si può ricorrere solo nella misura in cui il giudice ritenga che
sia possibile ottenere un prezzo superiore della metà al prezzo di stima.
Ancora, il legislatore vuole evitare perdite di tempo ed energie nella vendita mobiliare. L’art. 532 c.p.c. viene
quindi modificato; gli esperimenti di vendita consentiti al commissionario vengono limitati ad un massimo di
tre (prima, erano non meno di tre) e il termine massimo entro il quale essi possono avere luogo non può essere
superiore a sei mesi (prima il termine era non inferiore a sei mesi e non superiore a un anno).
3. Le modifiche alla vendita immobiliare (v. Argomenti n. 103 e 104)
Gli interventi di maggiore rilievo riguardano tutti la vendita immobiliare, che per la sua complessità spesso
costituisce un momento di grave rallentamento della giustizia.
A) Il primo problema concerne (e lo si è visto chiaramente anche nelle precedenti riforme) la difficoltà di trovare
acquirenti per l’immobile messo forzatamente in vendita. Di qui, l’ipotesi di discostarsi sensibilmente dal prezzo
di stima, che pure dovrebbe costituire un ragionevole momento di equilibrio fra gli interessi dell’esecutante e
quelli dell’esecutato.
L’art. 591 c.p.c. spinge ora sull’acceleratore in questa direzione. Il giudice dell’esecuzione (ovvero, normalmente,
il professionista delegato), che già poteva scendere fino al 25% del prezzo di stima, può ora disporre che il bene
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sia venduto con un ribasso fino al 50% in meno di tale prezzo, sia pure soltanto dopo il quarto tentativo di
vendita andato deserto. E’ appena il caso di notare che, da un lato, ne viene pregiudicato l’esecutato, che rischia
di perdere un bene alla metà del suo valore effettivo (e quindi, potendo pagare meno debiti o potendo recuperare
meno di ciò che resta dopo la vendita) e, dall’altro lato, non ne vengono abbreviati i tempi dell’esecuzione, visto
che a molti possibili acquirenti converrà attendere che si susseguano tentativi infruttuosi, prima di fare offerte.
B) Un secondo punto dolente è quello dei tempi per la distribuzione del ricavato ai creditori, non di rado
procrastinati dagli incidenti di esecuzione e in specie dalle controversie distributive (v. Argomento n. 104-VI).
In base all’art. 596 c.p.c. come modificato, il giudice dell’esecuzione può discrezionalmente dare corso ad un
progetto di distribuzione anche parziale delle somme ricavate, purché non oltre il 90% delle somme da dividere.
Questa distribuzione può avvenire anche a favore dei seguenti soggetti: a) i creditori intervenuti senza titolo
esecutivo, ma in possesso di un sequestro già eseguito o di un titolo derivante dalle scritture private qualificate.
Questi ultimi, che non a caso si identificano quasi sempre in istituti di credito (come non è sorprendente che
sia in un “decreto banche”) acquisiscono ora un diritto all’accantonamento immediato delle somme per le quali
si procede, in attesa di vincere la contestazione del debitore e procurarsi il titolo che non hanno, ai sensi dell’art
510; b) i creditori che hanno in corso una controversia distributiva, se presentano una fideiussione autonoma,
irrevocabile e a prima richiesta, rilasciata da un soggetto qualificato (e quindi normalmente una banca); c) i
creditori che avrebbero diritto a soddisfarsi, se risultasse insussistente il diritto di quelli menzionati ai due punti
che precedono, sempre dietro presentazione di fideiussione, con le caratteristiche appena specificate.
C) Sempre con l’obiettivo di realizzare più facilmente il prezzo degli immobili in vendita, è stata introdotta
la possibilità per il creditore di chiedere l’assegnazione del bene non solo a proprio favore, come fino ad ora,
ma anche a favore di un terzo (art. 588 c.p.c.). L’individuazione del terzo va compiuta con una dichiarazione
che il creditore deve effettuare nei cinque giorni successivi alla pronuncia (se avvenuta in udienza) ovvero alla
comunicazione del provvedimento di assegnazione. La mancata o non tempestiva dichiarazione comporta la
definitiva assegnazione del bene a favore del creditore esecutante (art. 590-bis c.p.c.).
In questo modo, si stimola il creditore esecutante a trovare un acquirente interessato: chiaro che il terzo, non
essendo creditore, potrà ricevere il trasferimento del bene solo dopo il versamento del prezzo.
D) Ancora nella chiave di favorire la commercializzazione del bene immobile posto in vendita, il nuovo art.
560, comma 5°, aumenta i diritti e le garanzie per i potenziali acquirenti interessati a visionare l’immobile (la
richiesta di visita dell’immobile, da effettuarsi tramite il portale delle vendite pubbliche, non può essere resa nota
a persona diversa dal custode e la visita stessa deve essere svolta con modalità che garantiscano la riservatezza
degli interessati). Va detto che la norma sarà applicabile solo al momento del pieno funzionamento del Portale
delle vendite pubbliche.
E) In base alla modifica apportata all’art. 569 c.p.c., l’impiego delle modalità telematiche per la maggior parte delle
attività di vendita, finora possibile, diventa la via normale, da praticare sempre, salvo che sia pregiudizievole per
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gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura. Resta quindi una limitata discrezionalità
per il giudice dell’esecuzione. Anche qui, la piena operatività della norma attende la messa a regime del Portale
delle vendite pubbliche.
F) Uno dei più decisi interventi della riforma riguarda il problema della liberazione dell’immobile pignorato,
che si presenta molto delicato quando ad occuparlo è ancora il debitore esecutato. Questa situazione può
disincentivare possibili acquirenti e il legislatore decide di modificare la normazione, avendo come obiettivo
sempre quello di facilitare la vendita.
In base al nuovo terzo comma dell’art. 560, il giudice dell’esecuzione normalmente dispone la liberazione
dell’immobile pignorato, che viene affidato al custode, a meno che non ritenga di autorizzare il debitore a continuare
ad occupare l’immobile. La liberazione deve avvenire senza oneri per l’aggiudicatario del bene (acquirente o
assegnatario che sia): il che significa che le relative spese dovranno essere prelevate da ciò che si ricaverà dalla
vendita. La liberazione viene disposta in ogni caso contestualmente al provvedimento di aggiudicazione o di
assegnazione, e quando il giudice revoca l’autorizzazione al debitore, concessa in precedenza.
Il provvedimento è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi. Si può opporre, ex art. 619 c.p.c., anche il terzo
che vanti un diritto di godimento opponibile alla procedura (in questo caso il termine si perfeziona dopo la
notifica del provvedimento).
L’aspetto forse più interessante e certamente più innovativo è dato, però, dalle modalità di attuazione del
provvedimento che ordina la liberazione dell’immobile. L’art. 560, comma 4°, c.p.c. stabilisce che il provvedimento
viene attuato in forme libere, a cura del custode, secondo le disposizioni date caso per caso dal giudice e in
ogni caso con la facoltà di avvalersi della forza pubblica e di ausiliari (come il fabbro che cambia la serratura
di ingresso). Non nasce, dunque, un autonomo titolo esecutivo che apre una procedura di consegna e rilascio,
ma si dà luogo ad un mero subprocedimento interno al processo esecutivo per espropriazione. Questa modalità
si applica anche dopo il decreto di trasferimento o di assegnazione (e cioè quando la proprietà è già passata
dall’esecutato all’acquirente), a meno che sia il nuovo proprietario a esentare il custode.
Il comma si completa con disposizioni relative ai beni mobili che si trovano nell’immobile, sempre per facilitare
la pacifica presa di possesso da parte dell’acquirente.
Va sottolineata la scelta del legislatore, che costituisce un passo nella direzione di una gestione più amministrativa
che strettamente processuale dell’esecuzione forzata.
G) Lo stesso criterio viene applicato al caso, regolato dall’art. 587 c.p.c., di inadempienza dell’aggiudicatario
che sia stato immesso nel possesso dell’immobile prima del decreto di trasferimento, ma non abbia poi pagato
regolarmente il prezzo. Nel testo previgente della norma (testo non antico, perché introdotto con la l. n. 132 del
2015) si prevedeva che il decreto di rilascio del giudice fosse titolo esecutivo e desse vita ad una esecuzione per
rilascio, che si innestava su quella per espropriazione. Ora, il legislatore fa marcia indietro e prevede che il decreto
di rilascio riceva attuazione dal custode con le modalità informali di cui all’art. 560 c.p.c., che si sono appena
descritte. Naturalmente, anche qui si deve ritenere che il decreto non sia un titolo esecutivo autonomo.
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4. Una modifica (?) alla provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo (v. Argomento n. 76)
In base all’art. 648 c.p.c., era già previsto che il giudice “concede” l’esecuzione provvisoria del decreto ingiuntivo
opposto limitatamente alle somme non contestate, salvo che l’opposizione sia proposta per vizi procedurali. La
l. n. 119 sostituisce il “concede” con un più stringente (almeno, lessicalmente) “deve concedere”.
Si può discutere se si tratti di una vera modifica, o di un semplice aggiustamento testuale fine a se stesso, visto
che certamente, ricorrendone i presupposti, anche prima il giudice “doveva” concedere la provvisoria esecuzione
e che ora, nonostante la nuova dizione, l’eventuale mancata concessione resta non impugnabile.
5. L’elenco dei professionisti che procedono alle operazioni di vendita (v. Argomento n. 104-IV)
La crescente importanza dell’attribuzione a professionisti privati delle attività esecutive, a seguito delle recenti
riforme, ha indotto il legislatore a intervenire anche sulle modalità di individuazione dei professionisti abilitati.
Di qui, il nuovo art. 179-ter disp. att. c.p.c., che, senza modificare la tipologia di professionisti idonei (avvocati,
notai, dottori commercialisti), prevede l’istituzione presso ogni tribunale di un elenco apposito e ne condiziona
l’iscrizione all’assolvimento di specifici obblighi formativi di primo grado e periodici, stabiliti con decreto del
Ministero della Giustizia e da svolgersi secondo linee guida fissate dalla Scuola superiore della magistratura, di
concerto con i livelli nazionali delle professioni interessate. La gestione degli elenchi, specialmente al fine di
garantire trasparenza ed evitare forme di accaparramento degli incarichi, è affidata ad apposite commissioni
istituite presso ogni corte d’appello. Resta in ogni caso salva la possibilità di affidare incarichi a professionisti
non inseriti negli elenchi, con provvedimento appositamente motivato.
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