Bevuta quotidiana, sindrome perversa.

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Transcript Bevuta quotidiana, sindrome perversa.

Bevuta quotidiana,
perversa.
sindrome
CuDriEc
29 settembre, 2016
Bevuta quotidiana, sindrome perversa.
(V. M. 18 anni)
Sindrome deviata, non conforme, controversa, giust’appunto perversa. È la
bevuta che è, o meglio, che sarebbe l’opposto del piacere di molti nella scelta del
succo d’uva fermentato da poggiare sulla tavola di tutti i giorni.
Vagabondando per fiere, sagre e banchi d’assaggio, tra miriadi di degustazioni
guidate e un brulicare di bevute pilotate, spesso in stato ebrezza, ho notato,
anche senza far troppa attenzione, che di fronte all’argomento “vino quotidiano”,
tutti o quasi rifugiano su rossi fragranti e generosi, morbidi e odorosi, tracciati
dalla frutta e con un eventuale tannino, semmai piallato e mirato all’equilibrio.
“Giustamente tannico” è l’esclamazione più acclamata. Compatti nella loro
espressione tattile e anche nel colore. Vini giunonici e adolescenziali,
imprescindibili dalla fruttosità.
Vin rosso, “giustamente tannico”, sicuramente fruttato: bevuta quotidiana? Foto
da web
Insomma, tra i tanti, ma non tutti: Dolcetto, Ciliegiolo e Schiava, Montepulciano e
Primitivo, che, con le dovute differenze, sembrerebbero aggiudicarsi il podio della
bevuta quotidiana, con il beneplacito del suo aspetto poetico: il prezzo.
Difficilmente infatti troverete un Nebbiolo (sigh!) in fiaschi da cinque litri o al di
sotto degli otto euro a bottiglia. Ad onor del vero questi vini, oltre che a
rappresentare territori vitivinicoli d’eccellenza, da sempre sono appartenuti alle
tavole popolari; basti pensare alla Regina Maria Antonietta, quando il popolo
assetato gli chiedeva da bere e lei ingiunse: “Dategli il Dolcetto!” …O era
cornetto? E lo so che il Dolcetto è amaro e mandorlato; però pure il Balocco lo è,
mandorlato!
Mandorlato Balocco in un fermo immagine della nota pubblicità. Foto da web
Quindi il reato è la soggettività. Gli amanti come me dell’Unicum, dei cocktail a
base di Fernet, rabarbaro e buccia d’arancia; per noi adoratori di IPA, del caffè
amaro con dentro un scorsa di limone (eh sì, un’infanzia alle spalle molto
difficile!), pensare ad un vino quotidiano vuol dire andare su cose acido-tanniche,
dalla essenziale fisionomia che ricordi l’austerità contadina. E se credete che
questo sia il momento modaiolo dei vini acidi, minerali salmastramente-salati e
senza neanche uno spicchio di frutta – a meno che non immergiate voi stessi un
fettina di pesca nel bicchiere – avete assolutamente ragione: ma questo vale per
un’altra categoria di peso; per un’altra classe sociale. Insomma, il levriero
scattante, snello e atletico è per i nobili; agli occhi di altri o collocato fuori
contesto, rischia di passare per il randagio rachitico che girovaga nei quartieri
poveri. Come dire, è una questione di ubicazione.
Il Saluki, altrimenti conosciuto come Levriero Persiano, la più antica e nobile
razza per questa tipologia di cane. Foto: Greenme
Qualche Musigny particolarmente garbato, rischierebbe di passare inosservato
su alcune tavole – anche in considerazione delle velocità con cui la bottiglia
verrebbe scolata- e passerebbe per “un vinello”, nonostante la supposta
elevatissima qualità (supposta giustappunto; “in c…. sì, in testa no”). Insomma, la
foglia d’autunno che ci cade in capo non la nota quasi nessuno; non si dedica un
pensiero al suo ruolo ciclico, al suo segnare le stagioni. La tegola invece, la senti e
un pensiero glielo dedichi eccome, anche al muratore che l’ha messa in opera
volendo.
Il vino gioviale e fruttato dalla forma un po’ barocca piace a tutti per il “tutti i
giorni” perché ha il giusto impatto, compensa l’amaro e l’acidità. Quelli dorici, no.
Quelli vanno contestualizzati. Fini, sottili e duri. Più speziati che fruttati, più
tannici che giustamente.
Musigny Grand Cru 1990. Foto da web
Insomma per la bevuta del mio “tutti i giorni” vorrei Pelaverga, Grignolino,
Freisa e Nero di Troia; per i bianchi alcuni Trebbiano del Teramano, l’Asprinio
di Aversa, il Verdicchio dei Castelli di Jesi e l’Orvieto. Ovvio che la
componente per far sì che un vino sia giornaliero è sempre la stessa: il prezzo! Io
berrei felicemente la “quadrupla B”* tutti i giorni, se non fosse per questo fattore
(chi dice il contrario mente spudoratamente). Le bottiglie, non le dame, devono
stare sullo scaffale dalle sei alle dieci euro. E’ troppo? No, se si calcola un
bicchiere a pasto, per sei calici a bottiglia. Mi sembra che la proporzione, anche
in termini economici, sia più che equilibrata: tra un euro e un euro e sessanta a
pasto. Naturalmente resta il fatto che amo anche le tipologie della quotidianità
degli altri: non potrei fare a meno di alcuni Primitivo, vedi alla voce
Pietraventosa; o della Schiava di Girlan -anche se la preferivo qualche anno fa-; o
del Dolcetto di Ovada di Rocco di Carpeneto, che ti riconverte: comunque Ovada
sarà un successo. Per il Ciliegiolo sto con Bussoleti, Fontesecca e -bono forteAntonio Camillo.
Alcuni Primitivo, come quello di Pietraventosa, sono da “almeno una volta nella
vita”. Foto da web
Insomma il senso del piacere dipende chiaramente dal nostro edonismo, plasmato
dalla nostra storia. Citando qualcuno, “ad una certa età siamo responsabili della
nostra faccia”. E, nella stessa misura, penso che le simpatie e i gusti che abbiamo
ci qualificheranno per chi siamo.
Ma forse con quest’ultima me so’ fregato.
*Borgogna, Barolo, Barbaresco e… Barbacarlo!
di Raffaele Marini