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PRIMO PIANO
Venerdì 30 Settembre 2016
Nel fare previsioni rosee di crescita economica che si tramutano in consuntivi plumbei
A Palazzo Chigi sono tutti uguali
E anche nel far poi sempre aumentare il debito pubblico
DI
G
CESARE MAFFI
overno Monti, dicembre 2011, previsioni: pil
-0.2% nel 2012 e +0,3%
nel 2013. Governo
Monti, aprile 2012, previsioni:
pil -1,2% nel 2012 e +0,5% nel
2013. Istat, consuntivo 2012: pil
-2,4%. Istat, consuntivo 2013:
-1,9%. Il governo Renzi era partito, per il 2016, con un trionfale
(si fa per dire) +1,6%, ridotto a
primavera a +1,4% e oggi sceso
a +1% senza decimali.
Nulla di nuovo, dunque. Da
anni i governi prevedono perdite deboli o, invece, crescite, se
non solide, certo rilevabili, salvo
smentirsi dopo qualche mese, e
ancor più pesantemente patire
i dati finali. Costante è poi il
rinvio a un esercizio successivo
della diminuzione percentuale del debito sul pil. Adesso il
governo prevede di scendere di
mezzo punto percentuale, ma
non quest’anno. Siamo così
arrivati al 132,2%, nella quasi
generale trascuratezza, come
se si trattasse di una generica
previsione del tempo riguardante uno scoglio disabitato e
non dell’indebitamento pubblico, cui i mercati guardano con
un’attenzione tanto maggiore
quanto crescente è lo stesso
debito. L’esecutivo procede
rimandando ogni anno la diminuzione e, al tempo stesso,
smentendo ogni attestazione
di buona volontà precedente,
per prudente e generica che
essa fosse. Lo slittamento è
d’obbligo.
D’altro canto, sarà impossibile che il debito possa
calare, se la diuturna lotta con
Bruxelles è condotta in nome
della conclamata flessibilità,
da Matteo Renzi rivendicata
come fosse una dichiarazione
di nobili intenti, una politica
mirabile, una scelta di alta civiltà. Invece significa semplicemente nuovo debito. Come sarà
saldato questo indebitamento?
O con altro debito o con altre
tasse, posto che non si è mai
trovata traccia, nei governi che
si succedono (quale che sia il
loro colore politico, compresi
quelli mancanti di un colore
dichiarato), di autentica volontà di ridurre la spesa. Continuano a mancare le riforme
fondamentali, che veramente e
permanentemente sanciscano
la decrescita delle spese.
IL CHICCO DI CHICCO TESTA
Una calcolatrice per Scalfari, please
DI
CHICCO TESTA
N
on sono un economista, ma
possiedo una calcolatrice. Domenica ho letto con attenzione
l’usuale articolo di Scalfari su
Repubblica. A un certo punto avanza una
proposta. Una drastica riduzione del cuneo fiscale che grava sul costo del lavoro,
ripartito fra quanto paga il dipendente e
quanto paga il datore di lavoro.
Una riduzione, dice Scalfari, che
potrebbe essere di almeno 90 miliardi di
euro da recuperare mettendoli in carico
alla fiscalità generale e in particolare,
per ragioni di equità, ai redditi che superano i 120.000 euro annui. Ora, quanti sono quelli che in Italia guadagnano,
secondo i dati ufficiali, più di 120.000
euro?
Risponde ieri Pietro Reichlin su
questo giornale. Sono circa 250.000 persone. E qui viene buona la calcolatrice.
Perché dividendo 80 miliardi per 250.00
si ottiene 360.000. Cioè coloro che guadagnano più di 120.000 euro dovrebbero pagarne 360.000 di tasse aggiuntive.
Aggiuntive.
Perché il nostro ricco dichiarante
120.000 euro (lordi) già ne paga di imposte dirette circa 47.000. Senza contare
le varie imposte locali sui servizi, Iva
e balzelli vari. Gliene restano in tasca
quindi circa 75.000 con cui dovrebbe pagare 360.000 di tasse aggiuntive.
Come possa fare è uno dei misteri
della matematica. Anzi dell’aritmetica. Mi si dirà che ci sono anche quelli
che guadagnano più di 120.000 euro.
Certo, ma più si sale più il loro numero
diminuisce e trovare qualcuno che dopo
avere già pagato le normali tasse sia in
grado di aggiungervi altri 360.000 euro,
anzi ben di più, perché Scalfari propone
che questa extratassa sia progressiva, è
un’impre s a spericolata.
Forse alla fine qualche decina di
contribuenti la troviamo. E immagino
che il giorno dopo questi pochi individui
decideranno di andare a vivere in Papuasia. Poi mi si dirà che c’è l’evasione e
siamo tutti d’accordo. Soprattutto coloro
che dichiarano imprudentemente di guadagnare 120.000 euro lordi, cioè 75.000
netti, cioè 6.500 al mese, che Scalfari
considera ricchi e tassabili per 4 volte il
loro reddito netto. Tutti gli anni.
L’Unità
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IN CONTROLUCE
Per il no, sono uniti M5s, D’Alema, la minoranza dem, il partito
di plastica e quello lumbard, fratellanza d’Italia e Casa Pound
DI
Q
DIEGO GABUTTI
ualunque cosa ne dica il
premier schizzando da un
talk show all’altro come
una pallina nel flipper, non
sarà il «sì» al referendum a cambiare l’Italia. Ma di sicuro, dovesse
vincere, la cambierebbe il «no», e
la cambierebbe in peggio.
Non soltanto perché un’eventuale vittoria del «no» continuerebbe a fare della conservazione
e dell’immobilismo una classica
virtù italiana: la buccia di banana
sulla quale il paese scivola ormai
da decenni. Ma anche (e forse soprattutto) perché darebbe nuovo
fiato al Movimento ½ Pippa, una
baracca che sta andando a fuoco,
permettendo ai «ragazzi meravigliosi» di Beppe Grillo d’intestarsi non tanto la vittoria referendaria quanto la sconfitta dei
renziani. Grillo e giannizzeri non
sono, naturalmente, i soli immobilisti, nostalgici e conservatori sulla
piazza italiana. Massimo D’Alema, la minoranza «dem», il partito
di plastica e quello «lumbard», la
fratellanza d’Italia e Casa Pound:
da noi è sempre una bella gara tra
tifosi della paralisi.
Ma a vincere non sarebbero
questi avanzi di seconda repubblica (alcuni, per esempio i leghisti
e i bersaniani, anche di prima repubblica). A vincere sarebbe Beppe
Grillo (o meglio «Beppe» e basta,
come lo chiamano familiarmente, scriteriata svolta verso l’avventue con un palmo di lingua di fuo- ra; e sa il cielo se negli ultimi venri, i «Dibba» e i Di Maio dell’an- ticinque fantascientifici anni (da
tipartitao meravigliao, tanto più Tangentopoli alla caduta dell’ultiservili quanto più il Capo li umilia mo governo Berlusconi e oltre) non
e li prende a ceffoni). Vincerebbe ce ne sono state già troppe. Non
l’M1/2P, chiamato a nuova vita, sarebbe il solito, normale revival
come gli «zombie» che l’ex «stan- del classico immobilismo italiano.
chino» evocava alle origini, dal ruz- Bloccata la riforma costituzionazolone del partito di maggioranza. le, diventerebbe più facile passare
Di sicuro non vincerebbero gli altri dalla conservazione alla restaura«noisti», in particolare i «noisti» zione, e da questa al cabaret, come
di sinistra, o immobilisti radicali, si propone il mezzopippismo nache per quanto bisognosi d’essere zionale. Sbaragliata l’Italietta dei
salvati dalla catastrofe che li mi- demagoghi tradizionali, sconfitti
naccia, non saranno
certo miracolati da
SCOVATI NELLA RETE
un’eventuale sconfitta
referendaria del «sì»,
visto che coinvolgerebbe in primis la loro
parte politica (e visto,
soprattutto, che niente
può salvarli).
Vincessero loro,
ci si potrebbe, del
resto, ancora adattare. Con l’immobilismo
e la conservazione, per
disgrazia nostra, siamo
abituati (e rassegnati)
a convivere. Con la
democrazia digitale e
l’«uno vale uno» ancora no, e la speranza
è di non abituarci (né
rassegnarci) mai. Una
vittoria pentastellare
sarebbe un’ulteriore e
insieme al «sì» di Matteo Renzi e
al «no» della sinistra demodé, seguirebbe a breve la legittimazione
dell’Italia pentastellare, onanista
e dimezzata: l’Italia della «decrescita felice», del No-Tav, l’Italia che
come non vuole il Ponte di Messina
non vuole neppure che si faccia più
d’una doccia alla settimana per non
sprecare acqua, l’Italia del Giornale dei misteri, un’Italia in cui non
si vaccina più nessuno e dove si
mostra il pugno alle scie chimiche
che misteriosi aeroplani pilotati
da alieni e Men in Black tracciano
nel cielo. Non soltanto ci
terremmo, tale e quale,
la vecchia costituzione,
notoriamente la più bella del mondo, ma il «no»
fantasy del Movimento
1/2 Pippa funzionerebbe
come l’annuncio d’una
repubblica mau-mau,
governata da esorcisti
malparlanti e da stregoni straparlanti con la
sveglia al collo.
Non è soltanto per
impedire, dopo la sincope romana, la resurrezione dei pentastelluti
che si deve votare «sì»
al referendum. Ci sono,
immagino, anche altre
ragioni, anche se a me,
ora come ora, non ne viene in mente nessuna.
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