Vademecum - Hokusai, Hiroshige, Utamaro

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VADEMECUM Testi dei pannelli in mostra secondo l’ordine di esposizione Introduzione

Ukiyoe, letteralmente “immagini del Mondo Fluttuante”, è il termine con cui ci si riferisce alla più significativa produzione pittorica e silografica di epoca Edo (1615‐1868). Un vero e proprio filone artistico che ne rispecchia gli sviluppi sociali, culturali, estetici, letterari, mostrando e raccontando i gusti predominanti della capitale omonima ma non solo. Il termine

ukiyo

(

yo

, mondo,

uki

, fluttuante) aveva originariamente una connotazione negativa legata al pensiero buddhista che implicava il rifuggire dagli attaccamenti terreni in quanto illusori e devianti rispetto al raggiungimento dell’illuminazione. Solo a partire dal Seicento, con la nascita della nuova classe cittadina, acquisì il significato opposto con cui ancora oggi è inteso, ovvero quello del pieno godimento dei piaceri della vita terrena e della loro fugacità. Immagini alla moda, coloratissime e vivaci, che si affermarono dall’inizio del XVII secolo, toccando l’apice tra fine XVIII e inizio XIX secolo, sotto il dominio degli

sh ō gun

Tokugawa e di cui Hokusai, Hiroshige e Utamaro rappresentano il vertice. Mentre è senza dubbio la

Grande onda

di Hokusai l’emblema di ciò che significò a livello internazionale questo genere che già dalla seconda metà dell’Ottocento conquistò l’Occidente e in particolare Impressionisti e Post‐ impressionisti. Se sono ormai assimilati i caratteri artistici e letterari dell’ukiyoe, meno conosciuti sono gli aspetti commerciali alla base di questo fenomeno che rivoluzionò, grazie all’introduzione della tecnica silografica da matrice in legno – prima con il solo inchiostro nero e poi con una varietà di colori che rese le immagini paragonabili al broccato (

nishikie

) –, il mercato delle immagini e con esso dell’editoria. La selezione di oltre duecento opere silografiche dalla prestigiosa collezione dell’Honolulu Museum of Art mira proprio a investigare il motore del fenomeno ukiyoe, evidenziando i temi più alla moda, quello del paesaggio e delle vedute celebri (

meishoe

) e quello delle beltà (

bijinga

), attraverso i nomi che portarono al massimo le qualità compositive e coloristiche di tali immagini, seppur all’interno di un mercato editoriale che rispondeva a precise richieste e dove la concorrenza era spietata. Per il successo di una serie di stampe era fondamentale il nome dell’artista che concepiva il disegno, ma contribuivano anche la casa editrice e le sue scelte di investimento, oltre alle figure dell’intagliatore piuttosto che dello stampatore con le loro qualità artigianali. Le stampe, riproducibili in quantità fino a che la matrice non si consumava, potevano essere immesse sul mercato in più edizioni, modificate, semplificate nei colori e nei particolari o essere distrutte per rispondere a esigenze economiche. E la loro diffusione contribuì in maniera determinante a un crescente senso nazionale, facendo condividere gusti e mode e portando a conoscenza della popolazione delle province anche più lontane luoghi e usanze affatto noti dell’arcipelago.

Surimono

I

surimono

(letteralmente: “cosa stampata”) sono tra gli esempi più raffinati di silografia policroma apparsi dal primo decennio del Settecento. Di formato variabile, realizzati su piccoli fogli di carta quadrati, piuttosto che in sottili strisce di carta verticali o sviluppati orizzontalmente in grande dimensione (fino ai 57 cm), e dunque ripiegabili, erano richiesti da committenti privati. In comune avevano il fatto di essere pensati per un’occasione particolare, oltre che prevedere l’unione di pittura e calligrafia, spesso di 1

versi poetici. Tuttavia la varietà di stili e soggetti rispondevano all’utilizzo per cui erano concepiti, così che un

surimono

animali o luoghi celebri. poteva divenire un semplice biglietto augurale, un invito a concerto o a uno spettacolo teatrale, a un raduno poetico o a una cerimonia del tè, ma poteva anche essere un calendario illustrato, l’immagine da offrire al tempio o la commemorazione di un evento. In pratica una vera e propria forma d’arte grafica, spesso a scopo pubblicitario, a cui artisti come Hokusai si dedicarono con una vasta produzione che raggiunse il suo apice tra la fine del Settecento e gli anni sessanta dell’Ottocento. Tra gli esempi più belli e divertenti la divinità Daikoku che solleva una balla di riso sormontata da un mazzuolo e un gallo, segno zodiacale dell’anno di realizzazione, o l’invito che riporta ora, giorno e luogo del concerto di Tokiwazu a Ryōgoku, tenutosi la quinta ora del 23 luglio e, ancora, l’illustrazione della casa da tè Echizen’ya. Altri soggetti erano la natura,

Vedute prospettiche

A partire dagli anni quaranta del Settecento diversi artisti dell’ukiyoe iniziarono ad applicare alle proprie opere pittoriche su rotoli verticali e orizzontali, ma ancora di più nel formato della stampa policroma, che permetteva una maggiore precisione nel segno, la tecnica della prospettiva occidentale. Uno dei più illuminati capi militari Tokugawa, l’ottavo dall’estero favorendo gli studi occidentali (

rangaku sh ō gun

Yoshimune (1684‐1751), dal 1720 allentò il proibizionismo, che toccava tra l’altro l’importazione di libri e immagini ) e, di conseguenza, la circolazione di incisioni di vedute europee alle quali si ispirarono molti artisti. Tra i primi vi fu Okumura Masanobu (1686‐1764), ma vi è una testimonianza evidente di questo scambio in una silografia realizzata da Utagawa Toyoharu tra il 1764 e il 1789, dal titolo

Veduta prospettica.

Illustrazione della campana che suona per diecimila

soggetti preferiti delle stampe prospettiche (

ukie leghe nel porto olandese

riprendendola da un’incisione di Antonio Visentini di un dipinto del Canaletto.

di Frankei

, che riproduce in realtà una veduta del Canal Grande di Venezia secondo le modalità dell’ukiyoe, Interni di teatri kabuki e drammi portati in scena, oltre a paesaggi e ad architetture, erano i ) e in seguito delle immagini create per i visori ottici (

meganee

), che rinnovarono e aprirono nuovi orizzonti al già ampio mercato dell’ukiyoe facendo breccia proprio sulla novità e il fascino provocato dall’effetto di esagerata profondità risultante a un occhio non educato.

Vedute celebri di cascate

Il fascino di un viaggio tra le cascate nelle diverse province del Giappone è riassunto da Hokusai in questa bellissima serie regalando a ogni cascata la sua acqua, la sua nebbia, i suoi vapori e le sue leggende. Quella di Yoshino, con la discesa digradante, ricordata come il luogo dove il mitico Yoshitsune si fermò a lavare i suoi cavalli, usanza continuata nel tempo; quella di Kirifuri, separata in tanti rivoli come una cascata di capelli, ripresa con la stessa impostazione anche da Eisen; quella famosa di Amida disegnata – come la piccola di Aoigaoka – incorporandovi contemporaneamente due punti di vista diversi: uno frontale, che esalta il salto e la caduta dell’acqua, lo strapiombo e le rocce che la racchiudono; e uno dall’alto, a volo d’uccello, che intende mostrare lo scorrere placido del corso d’acqua che la genera. Infine le cascate di Yōrō, Kiyotaki e Ōno ripide e quasi geometriche, la cui potenza è sottolineata dalle fitte fasce blu e bianche che si alternano in verticale. 2

La serie, uscita negli anni 1832‐1833, confermò uno dei soggetti classici dell’ukiyoe, quello dei luoghi celebri (

meishoe

) per le bellezze naturali. Le stesse località, già note al pubblico, vennero riprese a distanza di anni e da diversi artisti, tra cui Hiroshige, seppur con colori, stile e formato completamente diversi, come è evidente nelle immagini dedicate dai due artisti alla cascata di Rōben: il contesto, un villaggio di casupole e alcuni bagnanti, rimane il medesimo, tuttavia Hokusai lavora in verticale, con colori brillanti e intensi, mentre Hiroshige gioca col formato orizzontale, colori più chiari, toni più pacati e meno drammatici.

Vedute celebri di ponti

Una serie di undici silografie, proposta da Nishimuraya, lo stesso editore de

Le trentasei vedute del monte Fuji

, presenta sempre per mano di Hokusai nei medesimi anni (1833‐1834) alcune vedute dei ponti più famosi nelle varie province del Giappone. Come per le cascate, anche in questo caso i paesaggi sono riconosciuti per la particolarità di un unico elemento scelto come soggetto principale, i ponti, declinato secondo le diverse forme e costruzioni (talvolta surreali) e i loro nomi poetici: la lunga e dolce curva del ponte che “attraversa la luna” di Arashiyama a Kyoto, lo Yahagi lungo la via del Tōkaidō e il Tenma nella provincia di Settsu con le lanterne rosse festive; quello “appeso alle nuvole”, sospeso su una valle del monte Gyōdō a collegare il tempio Jōinji alla capanna per il tè Seishintei, posta in centro alla veduta sullo stretto promontorio; o l’altro, sospeso tra le province di Hida ed Etchū, con i due contadini che, abili come funamboli da circo, trasportano a spalla le fascine di riso. E poi ci sono le molteplici gobbe del ponte Kintai e quelle più famose dei ponti a tamburo del tempio di Kameido, ripresi anche da Hiroshige nella serie delle

Cento vedute di Edo

e in seguito dai fotografi di fine Ottocento certamente influenzati dalle sue vedute. Infine è la letteratura classica a introdurci all’Ottuplice ponte (Yatsuhashi), uno dei luoghi più celebrati a partire dall’antologia

I racconti di Ise

e ripreso nei secoli come motivo decorativo su rotoli, stampe, tessuti, ceramiche, scatole laccate, guardie di spada in metallo.

Le

Trentasei vedute del Monte Fuji

di Hokusai

È la serie silografica che ha conclamato Hokusai come massimo maestro dell’ukiyoe a livello internazionale. Chiunque, anche non conoscesse centrale,

La [grande] onda presso la costa di

il nome dell’artista o della serie in questione, ha sicuramente incrociato, seppur in riproduzione, l’immagine che ne è divenuta l’icona

Kanagawa

, nota anche come “La Grande onda”. Pubblicate da Nishimuraya tra il 1830 e il 1832, nel periodo di massima produzione di immagini policrome di Hokusai, le 36 vedute diventarono in realtà 46 fogli sciolti, a dimostrazione del successo che immediatamente riscontrarono sul mercato. A parte

Giornata limpida col Kajikazawa vento nella del sud [o provincia Fuji di rosso]

monte Fuji come presenza costante.

Kai

e

Temporale sotto la cima

– altre due opere capolavoro di questa serie in cui il monte Fuji è protagonista indiscusso – tutte le altre stampe offrono vedute di luoghi celebri da cui si può ammirare in lontananza la solenne forma del sacro Diversamente da Hiroshige, Hokusai incorpora come soggetto principale del paesaggio l’azione umana quotidiana, vivida e vivace, e una spazialità drammatica che si può cogliere nella figura piegata in avanti del pescatore in primo piano che lancia l’amo dallo scoglio in o nella folata di vento che fa piegare i viandanti e volare in aria i fogli tenuti tra le mani in

Ejiri nella provincia

continuo crescendo che le ha rese icone Pop.

di Suruga

. Da Yoshitomo Nara a Manabu Ikeda, da Andy Warhol a Jeff Wall, le citazioni di queste immagini in ogni forma sono un 3

Le cinquantatré stazioni di posta del T ō kaid ō

Moltissime sono le serie silografiche dedicate al soggetto del Tōkaidō e alle 53 stazioni di posta sviluppatesi lungo quella che divenne l’arteria centrale che collegava la capitale amministrativa sede dello shogunato, Edo, alla capitale imperiale Kyoto durante l’epoca Tokugawa (1603‐1868). Il sistema delle residenze alterne ( celebri e ricercati dai viaggiatori.

sankink ō tai

) imposto dallo shogunato obbligava i signori dei feudi anche più lontani a spostarsi dalla propria provincia in pompa magna fino alla capitale e a risiedervi temporaneamente impegnando ogni risorsa economica e umana. Inoltre la pace stabilita dal clan Tokugawa, che aveva unificato il Giappone sotto il proprio potere, aveva favorito la diffusione di attività commerciali, artigianali e d’intrattenimento non solo in città ma anche lungo i percorsi principali: luoghi di ristoro e locande per il pernottamento di persone e animali, negozi di rifornimento di ogni bene, prodotti locali e tipici che divennero Hiroshige fece la sua fortuna su questo soggetto. Disegnò una prima serie del Tōkaidō negli anni 1831‐1834 con l’editore Hōeidō a cui seguirono oltre una decina di edizioni entro la fine degli anni cinquanta, verticali e orizzontali, tra cui la

Reisho

con l’editore Marusei nel 1848‐ 1849, altre con l’inserimento di poesie rimane Hiroshige.

ky ō ka

o a più mani con diversi artisti ukiyoe. Lo stesso Hokusai aveva avuto commissioni su questo soggetto tanto richiesto già dai primi anni dell’Ottocento, producendo almeno sette edizioni, ma il maestro indiscusso del Tōkaidō

Specchio dei poeti giapponesi e cinesi

Intorno agli anni 1833‐1834, gli stessi delle famose comprensibili alla gente comune. Inoltre, il termine vocaboli

shashin shashinky

e

ky ō ō Trentasei vedute del

Tra i poeti rappresentati, i cinesi Hakurakuten (Bo Juyi), Rihaku (Li Bai) e

monte Fuji

psicologico del ritratto, parte invece della tradizione pittorica cinese e giapponese. , Hokusai produce anche una serie di dieci silografie in formato verticale di grandi dimensioni dedicata ai più famosi poeti della storia cinese e giapponese. Si tratta di stampe destinate evidentemente a un pubblico colto: i poeti sono ritratti nel contesto di splendidi paesaggi che richiamano le loro origini o si ispirano ai versi per i quali sono celebri, difficilmente (lett: specchio vera copia) sta a indicare il ritratto inteso come vera rappresentazione del soggetto, non da un punto di vista puramente formale quanto piuttosto intimamente legato alle sue caratteristiche. Gli stessi caratteri cinesi che formano i vennero adottati, insieme e separatamente, nella seconda metà dell’Ottocento per creare la nuova terminologia necessaria in ambito fotografico (camera oscura, dagherrotipo, fotografia, eccetera) non senza sollevare questioni sulla adeguatezza del termine, usato per indicare il risultato di uno strumento meccanico che escludeva l’aspetto Tōba (Su Dongpo), la dama di corte e poetessa di epoca Heian Sei Shōnagon, autrice delle

Note del guanciale

(

Makura no s ō shi

) e Ariwara no Narihira (825‐888) riconosciuto tra i 36 poeti immortali del Giappone.

Cento poesie per cento poeti in racconti illustrati della balia

Di quella che dovrebbe essere una serie di cento silografie policrome nel formato orizzontale

ō ban

si sa che Hokusai ne avrebbe completate solo ventisette negli anni 1835‐1836 circa, mentre esistono almeno sessantaquattro altri suoi disegni preparatori. Si firma come

Saki no

4

Hokusai Manji (Manji il già Hokusai), e illustra i versi della famosa antologia poetica compilata da Fujiwara no Teika nel 1235

Cento poesie per cento poeti

(

Hyakunin isshu

) come se la raccontasse una vecchia donna o una balia ( l’iscrizione di alcuni versi (

Trentasei vedute del monte

Nishimuraya dopo il 1835.

tanka Fuji

) in

uba

), cioè una persona poco raffinata e avvezza alle storie di corte; un espediente che gli permette una maggiore libertà interpretativa. A ogni veduta di paesaggio dai colori estremamente brillanti corrisponde un cartiglio con

hiragana

del poeta rappresentato, immediatamente riconoscibili dal pubblico giapponese e perlopiù riferiti alla stagione o all’amore. Tuttavia, mentre in alcuni casi Hokusai rimane coerente con il contenuto delle poesie, in altri si permette, nei panni della balia, delle libere interpretazioni fingendo di avere male interpretato il significato; in altri ancora arriva persino a creare soggetti completamente nuovi e slegati dai versi, lasciando all’osservatore il compito di coglierne il senso. La serie era stata pubblicizzata come prodotto di Nishimuraya, lo stesso editore delle , tuttavia a parte le prime cinque stampe, le altre ventidue portano un sigillo diverso, quello di Iseya, e non si registrano altre pubblicazioni di

Rivali di “natura”: Hokusai e Hiroshige

Le immagini di fiori e piante, uccelli e insetti, pesci, rettili e animali più in generale sono da ascrivere al genere di “pittura di fiori e uccelli” ( stampe di beltà femminili o

surimono kach

artisti ukiyoe che le ripresero in versione silografica.

ō ga

), esistente ben prima della tecnica a stampa e legata alla tradizione pittorica cinese. Tuttavia, il massimo sviluppo avvenne a partire da metà Settecento quando cominciarono a essere importati dalla Cina libri illustrati su questo tema che diventarono modello per tutte le scuole pittoriche e in particolare per gli Erano immagini utilizzate a uso decorativo, in contesti abitativi modesti, o come sfondi su . Fu con Hokusai e Hiroshige che il soggetto “fiori e uccelli” si confermò come un vero e proprio filone: le serie dei piccoli fiori e dei grandi fiori di Hokusai, pubblicate da Nishimuraya rispettivamente negli 1832 e 1833‐1835, ne sono l’esempio più evidente avendo dato a fiori, uccelli e insetti la stessa importanza che avrebbe avuto il volto di una beltà in un ritratto. Peonie e farfalle, papaveri e quaglie, ortensie e martin pescatori, gru e pini: gli abbinamenti di piante e animali sono classici che appartengono alla letteratura dove sono utilizzati come parole chiave per riferirsi alle stagioni. Tuttavia, se da una parte si nota la similarità di soggetti offerti sia da Hokusai sia da Hiroshige, dall’altra si può evincere come sia stato quest’ultimo ad avere maggior successo di pubblico, per la leggerezza e maggior decoratività delle composizioni, spesso riportate su formati molto in voga a quel tempo come quello del ventaglio rotondo (

uchiwae

).

Utamaro: bellezza e sensualità

Se tanti sono gli artisti dell’ukiyoe, compreso Hokusai, che si sono cimentati con il soggetto delle beltà su rotoli, stampe e libri illustrati, e questo avvenne sin dal XVII secolo, a partire dai Kaigetsudō con le donne imponenti ritratte a piedi nudi come se galleggiassero su uno sfondo vuoto, non c’è artista che possa competere con Utamaro, vero e proprio Maestro in questo campo. Il suo nome è sinonimo del genere (

meishoe bijinga

(pittura di beltà femminile), a cui ha saputo apportare quelle novità tecniche che l’hanno confermato come uno dei filoni più venduti sul mercato delle immagini a cavallo tra Settecento e Ottocento accanto a quello dei luoghi celebri ), di cui spesso è diventato parte per aumentarne l’attrattività. 5

Intorno agli anni novanta del Settecento, Utamaro rivoluzionò il ritratto femminile con una composizione a mezzo busto (

ō kubie

), aggiungendo a un’attenzione estetica per tessuti, acconciature e trucco un’analisi psicologica del personaggio ritratto che si rivela nell’espressione del volto, degli occhi e nelle sottili smorfie delle labbra, nelle pose e nei movimenti di collo, mani, dita. Cortigiane, donne ammirate e ricercate dal pubblico maschile dell’epoca di altrettanto celebri case da tè, incontrate probabilmente nel quartiere di piacere di Yoshiwara che Utamaro usava frequentare con il suo editore e da sempre amico Tsutaya Jūzaburō, ma anche donne comuni, madri e mogli, che Utamaro fu costretto a utilizzare in sostituzione del suo mondo del piacere effimero quando negli ultimi anni del XVIII secolo questo tipo di raffigurazione fu bandito dal governo Tokugawa.

I

Manga

: Hokusai insegna

I

Manga

sono tutto ciò che un pittore può desiderare o dover disegnare e che Hokusai ha raccolto in questo infinito campionario di oggetti, esseri viventi, azioni, luoghi, fantasie. Lo spazio delle pagine rilegate di ogni volume è utilizzato a seconda della tipologia di soggetto che Hokusai traccia velocemente e abilmente a mano: doppie pagine fitte di piccoli schizzi sparsi, suddivise in riquadri più o meno grandi, offrono immagini di paesaggio nelle diverse stagioni, con agenti atmosferici e caratteristiche geomorfiche particolari, architetture e armi, utensili per ogni uso, ma anche figure umane di ogni tipo, grasse o magre, reali o fittizie, con fisiognomiche curiose, atteggiate in smorfie o impegnate in azioni che vanno dal gioco alla lotta, alla danza, alla toletta, al combattimento, fino a comprendere fantasmi e azioni puramente umoristiche, così come animali e piante di ogni specie. Vi sono anche figure di dimensione più grande, a piena pagina o a doppia, dirompenti ed energiche come eroi in azione, bestie feroci e semileggendarie, persino parabole come quella sulla limitatezza della conoscenza umana nella famosa immagine dei ciechi che misurano, ognuno toccandone una limitata parte, un elefante gigante. Sono 15 volumi in tutto, stampati in inchiostro nero con solo qualche tocco di nero più diluito e vermiglio leggero, e pubblicati a partire dal 1814, quando Hokusai aveva 55 anni, fino al 1878 quando uscì postumo il quindicesimo volume. Fu nel 1856 che alcune di queste pagine, usate per imballare delle ceramiche spedite in Francia, furono scoperte da Félix Bracquemond, diventando fonte di ispirazione per tutto il circolo dei suoi amici, da Degas a Manet, e gli altri Impressionisti. 6

Tecnica e tradizione della silografia policroma in epoca Edo

La realizzazione di silografie policrome comporta un lavoro d’ chiameremmo preliminare (

copyright shitae

su carta sottilissima ( principale, chiamata .

hanshitae

ed eventualmente lo faccia approvare dalla censura.

sumihan équipe

che coinvolge l’artista, il quale concepisce e traccia il disegno, l’intagliatore, lo stampatore e, ovviamente, l’editore, figura centrale del processo, che commissiona, approva, supervisiona e pubblica il lavoro immettendolo sul mercato ma rimanendo il detentore dei diritti d’autore, che oggi La prima fase della produzione ha inizio quando l’artista sottopone all’editore un disegno ), da cui si realizza il disegno definitivo per la stampa, con contorni precisi ), e lo consegna affinché l’editore vi apponga il proprio sigillo Il disegno approvato passa allora all’intagliatore che lo incolla a faccia in giù su una matrice in legno di ciliegio e lo intaglia nelle aree che non vanno inchiostrate lasciando in rilievo solo le linee di contorno. Quel disegno naturalmente va perduto e si ottiene invece così la matrice , con la quale sono realizzate le stampe su carta con le sole linee di contorno nero ( ( (

bokashi baren ky ō g ō zuri

), che ancora una volta vengono sottoposte all’approvazione dell’editore e del pittore. Quest’ultimo vi segnala il colore e i particolari effetti di intensità ) da applicare nelle fasi di stampa per ottenere l’immagine policroma. Lo stampatore tira quindi tante prove della matrice principale quanti sono i colori da stampare, mentre l’intagliatore intaglia una matrice per ogni colore da aggiungere lasciando in rilievo solo l’area che deve essere inchiostrata per stampare quel dato colore. Si arriva infine al campione di stampa, facendo aderire con un tampone di bambù intrecciato ) un foglio su ogni matrice preparata per quel disegno e inchiostrata in precedenza, partendo dal nero e andando verso i colori più chiari. Per evitare imprecisioni e sovrapposizioni di aree di colore, ogni matrice ha due registri intagliati agli angoli e lasciati in rilievo (sempre alla stessa altezza per tutte le matrici). Tale campione di stampa una volta esaminato ed eventualmente corretto dall’editore diventa la prima tiratura (circa duecento stampe). Courtesy:

The Adachi Foundation for the Preservation of Woodcut Printing, Tokyo

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