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Transcript yamaha tracer 700

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Periodico elettronico di informazione motociclistica
NUMERO 255
26 LUGLIO 2016
83 PAGINE
MXGP Repubblica Ceca
Nagl e Ferrandis si aggiudicano il GP
della Repubblica Ceca, Il tedesco
centra una sonora e meritata
doppietta MXGP, il francese fa
altrettanto nella MX2; solo 7° Cairoli
Prova: Peugeot Tweet
Double Black e Paris
Belle e curate, le due nuove
declinazioni del Tweet piaceranno a
giovani e pubblico femminile
Nico Cereghini "Passi,
sentieri e polemiche"
Ressa, confusione, proteste, i
motociclisti spesso malvisti. Si può
convivere? Sì, se noi rispettiamo gli
altri e gli altri rispettano noi
| PROVA CROSSOVER |
YAMAHA TRACER 700
da Pag. 02 a Pag. 13
All’interno
News: Bottpower Buell XR1-R | M. Clarke: la tecnica di Kawasaki ZX-10R e Yamaha R1M | MotoGP: il dopo Sachsenring e
il nostro DopoGP | Superbike: mercato piloti 2017, Melandri vicino a Ducati | Enduro: A scuola con Ducati DRE
PREGI Finiture | Prezzo
DIFETTI Freni
Prezzo 7890 €
PROVA CROSSOVER
YAMAHA
TRACER 700
La famiglia delle crossover di
Iwata si allarga verso il basso. Ben
rifinita ed economica, meriterebbe
qualcosa di più in zona freni
di Umberto Mongiardini
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I
n diretta da Vigo, nello splendido scenario dolomitico della Val di Fassa,
Yamaha lancia l'attesa Tracer 700
andando a dare una sorella minore
alla già apprezzata MT-09 Tracer ed
ampliando così la sua gamma sport
touring.
La Casa di Iwata ha deciso di partire dalla base
della MT-07, su cui ha lavorato a livello di estetica
e ciclistica per ottenere una moto più versatile
e polivalente. Il prodotto è stato concepito per
coinvolgere un pubblico giovane, magari con
poca esperienza, ma esigente e, soprattutto,
che non vuole spendere cifre troppo alte.
La filosofia è (lo dice il nome stesso) la stessa
della Tracer 900, che con l’arrivo della sorellina
minore perde il prefisso MT-09 dando vita ad
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Prove
una famiglia caratterizzata dal solo nome Tracer.
Gli stessi concetti che hanno definito la crossover
tricilindrica si trovano qui declinati su una cubatura più contenuta.
Il design è aggressivo, con linee decise e spigolose. Il frontale è caratterizzato da un gruppo ottico
che ricorda la Tracer 900, con luci diurne a tecnologia LED.
Sempre all'anteriore troviamo i paramani che,
oltre a rendere più sportivo il look, inglobano in
maniera armoniosa le frecce.
Forse un po' sottotono il display LCD del contachilometri, più adatto ad una naked sportiva
come la MT-07 dalla quale deriva.
Passando al posteriore, troviamo la luce dello
stop a LED presa in prestito dalla 900, così come
l'ensemble del porta targa.
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Prove
Media
La nuovam Tracer 700 viene proposta nelle colorazioni Radical Red, Tech Black e Yamaha Blu.
Motore e ciclistica
Il motore è lo stesso della MT-07, bicilindrico in
linea da 689 cc capace di 74,5 cv a 9.000 giri, con
6,9 kgm di coppia a 6.500 giri.
Più che i numeri, comunque interessanti, è la fasatura a 270° a scoppi irregolari (Yamaha parla
di “filosofia crossplane” giusto per adeguarlo ai
parenti a tre e quattro cilindri) a renderlo interessante per le caratteristiche d’erogazione che
sa regalare. Per far rientrare questa moto nei parametri per l'omologazione Euro 4, l'impianto di
scarico è stato completamente riprogettato.
Il telaio in acciaio è il medesimo della MT-07; ciò
che cambia, invece, è il bel forcellone in lega d'alluminio, che ha una lunghezza maggiorata di 50
mm rispetto alla naked da cui deriva, andando
così ad aumentarne il passo fino a 1.450 mm per
garantire una maggior stabilità.
Per quanto riguarda le sospensioni, sia la forcella
che il mono derivano direttamente dalla MT-07,
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ma la taratura è stata definita ad hoc.
Rispetto alla naked, però, la sella cresce in altezza di 40 mm, portando così il piano di seduta a
840 mm di altezza da terra.
Proprio per coronare la propria vocazione di
crossover, rendendola adatta anche ad i viaggi
più lunghi, la Tracer 700 monta la forcella tradizionale ed il mono con escursione di 130 mm
della sorellina naked, con tarature idrauliche che
permettono di godere di una corsa più morbida
e reattiva, garantendo il massimo del comfort
anche nella guida in coppia.
Il sistema frenante è composto da un doppio
freno a disco anteriore da 282 mm con pinze a
4 pistoncini, e da un singolo posteriore da 245
mm: tutti e tre sfoggiano un accattivante profilo
a margherita, donando alla moto un aspetto più
aggressivo. L'ABS è di serie.
I cerchi tubeless da 17" in lega d’alluminio a dieci
razze, sono gli stessi sia della naked 700 che delle sorelle maggiori da 900 cc, e qui calzano gomme Michelin Pilot Road 4 da 120/70 e 180/55.
La vocazione da tourer della nuova Tracer si può
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percepire dal suo serbatoio da 17 litri (3m in più
rispetto alla naked), che la rende adatta anche
a spostamenti medio-lunghi, dalla sella monoscocca in grado di ospitare confortevolmente
anche il passeggero, dal rivestimento in gomme
delle pedane, sia del passeggero che del pilota,
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volte a smorzare ulteriormente le vibrazioni del
bicilindrico, e dalla predisposizione per la presa
accendisigari da 12V. Il plexiglas sul cupolino, non
particolarmente esteso, può essere regolato manualmente in altezza, garantendo una migliore
protezione aerodinamica.
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Accessori
Diversi gli accessori che rendono la Yamaha Tracer 700 più consona ad un utilizzo più turistico.
Si parte dal parabrezza più alto, studiato per garantire una migliore protezione aerodinamica,
fino ad arrivare alle borse laterali morbide da 20
Prove
litri e al bauletto centrale da 39, che consentono
di avere abbastanza spazio a disposizione per
viaggi anche di qualche giorno, senza risultare
troppo ingombranti nell'uso cittadino.
Interessante anche la disponibilità di diversi allestimenti che garantiscono sensibili risparmi ri9
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Prove
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spetto all'acquisto dei singoli optional: la Sport,
ben quattro proposte per il turismo (Touring
Hard, Touring Soft, Touring Classic, Touring Winter) e la versatile/fuoristradistica All Road.
Come va
La Yamaha Tracer 700 ricorda già a prima vista
la sorella maggiore, e pur ereditando un discreto
numero di pezzi dalla MT-07, riesce comunque
ad avere un'aria personale, collocandosi a pieno titolo, per motore e posizione di guida, fra le
sport-tourer di media cilindrata.
La posizione di guida è comoda, con una triangolatura ben studiata. Il manubrio è alto, anche
se un po' stretto, la sella risulta comoda e abbastanza morbida anche sulle lunghe distanze.
Grazie ai rivestimenti in gomma, le pedane sono
comode e pressoché prive di vibrazioni.
Il passeggero ha a disposizione uno spazio generoso, e due comode maniglie in alluminio a cui
aggrapparsi.
Il comfort a bordo è buono e le sospensioni,
regolabili nel precarico solo al posteriore, sono
efficaci nella guida tra le curve, anche strette,
grazie ad una buona rigidità: nella guida in città,
dove l’asfalto non sempre è in ordine, le buche si
fanno parecchio sentire.
La protezione aerodinamica è discreta, soprattutto quando il cupolino (regolabile manualmente su ben 28 posizioni) è impostato sulla posizione più alta.
Fino a velocità autostradali la protezione del
busto è buona, mentre il flusso d’aria, superati i
120 km/h, infastidisce a livello del casco.
L'ormai ben noto motore della MT-0, si conferma divertente, anche se a causa dei chili in più
perde un pochino di brio.
Le vibrazioni del motore sono scarse, e si sentono un po' sul manubrio solo dopo i 5.000 giri.
Per quanto riguarda l’impianto di scarico, troviamo un silenziatore inedito, così come il gruppo
dei collettori. A causa della normativa Euro 4 il
suono dello scarico risulta silenzioso e pacato.
Chi desiderasse un sound più coinvolgente all’in10
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terno del catalogo accessori troverà un apposito
terminale omologato marchiato Akrapovic.
Per quanto riguarda l’impianto frenante sarebbe
apprezzabile una frenata più decisa, soprattutto
al posteriore, dove il comando risulta essere un
po' spugnoso e dove l’intervento dell’ABS, di serie su questo modello, è un po' invasivo.
Quanto ai pneumatici, in tutta franchezza i Pilot
Road 4 non offrono il grip che la Tracer si meriterebbe, esibendosi ogni tanto in pattinate del
posteriore.
Tirando le somme, possiamo dire che la Tracer
700 è una moto onesta, non pretenziosa e che,
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grazie alla condivisione di moltissimi pezzi con la
MT-07, riesce a ridurre fortemente il prezzo finale.
La nuova Tracer è una moto adatta, se dotata
dei giusti accessori, anche a viaggi medio lunghi,
anche in compagnia, così come potrebbe esserloper l'uso cittadino, grazie alla sua leggerezza e
agilità.
ABBIGLIAMENTO
Casco: X-Lite X-802RR
Giubbotto: Dainese
Pantaloni: Tucano Urbano Gins
Guanti: Dainese
Stivali: Ixon Zebra
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Prove
SCHEDA TECNICA
YAMAHA TRACER 700 7890 euro
Cilindrata 689 cc
Tempi 4
Cilindri 2
Raffreddamento a liquido
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Depotenziata No
Emissioni Euro 4
Capacità serbatoio 17 Lt
Potenza 75 cv - 55 kw - 9.000 giri/min
Coppia 7 kgm - 68 nm - 6.500 giri/min
Pneumatico ant. 120/70 ZR 17M/C(58W) (Tubeless)
Pneumatico post. 180/55 ZR 17M/C(73W) (Tubeless)
ABS Sì
Peso in ordine di marcia 196 Kg
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PREGI Prezzo | Agilità | Linea
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DIFETTI Sospensioni rigide | Assenza ABS
Prezzi da 1750 €
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PROVA SCOOTER
PEUGEOT TWEET
DOUBLE BLACK
E PARIS
Belle e curate, le due nuove declinazioni del Tweet
piaceranno a giovani e pubblico femminile.
I 125 costano rispettivamente 2.050 euro e 2.220
euro, cento in più se si vuole il 150. 50 a partire da
1.750 euro. Manca l’ABS
di Edoardo Licciardello
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P
iccolo, agile e bello: il Tweet di
Peugeot - lanciato sul mercato
nel 2010 e subito best seller di
Casa con oltre 28.000 esemplari venduti – si inserisce a
pieno titolo fra le migliori proposte cittadine (con qualche escursione in tangenziale per i 150..) senza farsi intimidire da una
concorrenza che si fa spietata ogni giorno che
passa, perché il segmento è quello più importante del nostro mercato.
Proposta low-cost nel prezzo ma con contenuti
di primo piano, lo scooter Peugeot a ruote alte
si rinnova e offre due nuove declinazioni per il
2016: Double Black e Paris.
Praticamente identiche nello stile, cambiano
nella dotazione e nella livrea, andando ad allettare entrambi i sessi grazie a colorazioni azzeccate che ne cambiano in maniera importante la
percezione estetica e caratteriale.
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Più grintoso, dicevamo, il Double Black: minimalista, leggero e guizzante già nell’impatto estetico
con copriscarico, portapacchi e fregio anteriore
in nero lucido, per giocare tutto su un total black
tono-su-tono; il Paris invece è più raffinato e
femminile, con la colorazione blu chiaro e la Tour
Eiffel, ma anche e soprattutto la borsa Jadise, il
bauletto da 30 litri e il parabrezza di serie.
Com’è fatto
La base, dicevamo, resta immutata rispetto al
Tweet Evo che abbiamo provato due anni fa.
Il propulsore è un monocilindrico raffreddato ad
aria alimentato a carburatore (Euro-3), proposto
nelle versioni 50, 125 e 150 Euro-3 con le sole, ovvie, variazioni di cavalleria.
La base ciclistica fa affidamento ad un comparto
sospensioni tradizionale: una forcella telescopica
con steli da 30mm e un doppio ammortizzatore
regolabile, con l’eccezione del 50cc che si affida
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Prove
ad un monoammortizzatore.
L’impianto frenante conta su due dischi da 226
mm, solidali a due cerchi da 16” calzanti pneumatici entrambi da 110/70.
Il peso è contenuto in 100 kg per la versione 50cc,
qualcosa di più, naturalmente, per 125 e 150.
Le finiture
Il nuovo Tweet (da notare che la versione base e
l’RS restano in listino) si fa notare per un look più
curato e moderno. Sullo scudo è ricavato un comodo vano diviso in tre scomparti (apribile con
chiave), mentre nel sottosella, accessibile elettricamente con il comando luci sul blocchetto sinistro, si può riporre un casco jet con visiera.
La pedana piatta facilita il carico di piccoli oggetti.
Le versioni 125 e 150 vantano un cruscotto misto
analogico/digitale, mentre su tutte e tre troviamo
gancio portaborsa sul retroscudo, portapacchi
posteriore in alluminio che funge da maniglione
per il passeggero, e cavalletto laterale con sistema di sicurezza.
Belle le pedane pieghevoli per il passeggero, solide al tocco e funzionali.
Come va
L’impatto con Tweet è molto gradevole.
Compatto, leggero e maneggevole fin da fermo
grazie a peso ridotto e dimensioni molto contenute, si manovra con grande facilità sia da fermo che
nel traffico già nei primi istanti.
La sella è comoda e spaziosa, ed accoglie bene
sia pilota che passeggero; la posizione è rilassata
e comoda e i comandi tutti ben posizionati e piacevoli al tocco. Sulla versione Paris il parabrezza,
viste le dimensioni contenute, è molto vicino al
pilota – più protettivo, ma al primo acchito un po’
claustrofobico.
Agile e guizzante, il Tweet si districa subito bene
nel traffico cittadino. Si gira nel classico, metaforico fazzoletto, e grazie ad una ciclistica ben studiata si entra subito in sintonia.
Il 125 è un po’ pigro alle prime aperture dell’acceleratore, causando un piccolo ritardo – a cui si
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fa rapidamente l’abitudine – ma poi si distende
bene. Meglio (potendo) il 150, più vivace e robusto nell’erogazione a tutte le velocità.
Capitolo ciclistica: i freni lavorano bene ed offrono comandi pastosi e ben modulabili, rendendo
l’ABS (che manca…) superfluo in quasi tutti i
frangenti. Le sospensioni, piuttosto rigide, rendono il Tweet preciso e scattante nelle manovre,
ma per contro offrono una risposta decisamente
secca sulle asperità tipiche dei fondi urbani, limitando in maniera sensibile il comfort sulle superfici più sconnesse.
Per contro, quando le velocità salgono, la stabilità
resta irreprensibile.
Per chi sono i nuovi Tweet?
In Peugeot hanno pensato a due anime diverse
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per le nuove declinazioni del Tweet, com’è evidente dalla dotazione fin dal primo sguardo.
Il Tweet Double Black è bello ma più essenziale:
con la livrea total black piacerà sicuramente di
più al pubblico maschile, mentre il Paris è evidentemente destinato a quello femminile – se
non bastasse la livrea, ci pensa la modaiola borsa Jadise a confermarne la destinazione d’elezione.
Entrambi sono ben fatti, proposti ad un prezzo
giusto e con finiture di buon livello: non possiamo garantire sulla durata, ma vista la collocazione economica si può sicuramente giudicare in
maniera positiva l’aspetto estetico e sostanziale
sia alla vista che al tatto.
E se non bastassero queste considerazioni, va
sottolineata la garanzia di 3 anni (più due di as-
Prove
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sistenza stradale) che rende Tweet una scelta
fattibile in completa serenità.
Resta un assetto un po’ rigido, che su pavè e
sconnessioni diminuisce il comfort, e l’assenza
dell’ABS nel 2016 fa storcere il naso: ma ancora
una volta, alla luce della proposta economica e
dei contenuti dello stile, ci sentiamo di promuovere e consigliare tranquillamente il “cittadino”
Peugeot a chi desidera un mezzo a ruote alte sicuro e maneggevole, con un occhio al portafogli.
Per i (o le) quattordicenni, va segnalata anche
la versione 50, che mantiene invariata tutta la
sostanza di cui sopra ma consente la guida già
con patente AM, e ferma il conteggio degli euro
necessari per l'acquisto rispettivamente a 1.750
(Double Black) e 1.950 (Paris)
ABBIGLIAMENTO
Casco GiVi 12.3 Stratos
Giubbotto Tucano Urbano Straforo
SCHEDA TECNICA
PEUGEOT TWEET 125 2120 euro
Cilindrata 124,6 cc
Tempi 4
Cilindri 1
Raffreddamento ad aria
Avviamento elettrico
Alimentazione iniezione
Depotenziata No
Emissioni Euro 3
Capacità serbatoio 5,7 Lt
Potenza 9 cv - 7 kw - 7.500 giri/min
Coppia 1 kgm - 9 nm - 7.000 giri/min
Pneumatico anteriore 110/70-16"
Pneumatico posteriore 110/70-16"
ABS No
Peso a secco 109 Kg
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Special
BOTTPOWER BUELL XR1-R
Una spettacolare special da gara su base XB, realizzata dal preparatore
spagnolo. Obiettivo Pikes Peak
V
i ricordate di Bottpower? Ve ne abbiamo
parlato qualche stagione fa, sempre a
proposito di una special su base Buell.
Il preparatore spagnolo, specializzato
nelle elaborazioni sulle XB prodotte dal defunto
marchio statunitense, per le quali realizza kit con
cui tutti possono ottenere la propria special, ha
deciso di impegnarsi in una versione da gara della XR1 di cui vi avevamo già parlato.
David Sánchez, da bravo tecnico racing (passa
gran parte della stagione estiva in giro per le tappe italiane del Mondiale Superbike), ha pensato
bene che la sua special su base Buell potesse cavarsela più che bene sui tracciati più tormentati,
e ne ha realizzato una versione racing.
Un’operazione utile a provare le parti speciali che
vanno poi a far parte dei kit, ma che dovrebbe
avere interessanti risvolti agonistici con la partecipazione alla Pikes Peak di quest’anno, una volta
arrivati al livello di sviluppo desiderato.
Ma di questo ne parleremo dopo.
Il pezzo più pregiato è forse il telaio a doppio trave in titanio (che verrà affiancata da una versione
in materiale standard per l’uso in gara, visto che
l’impiego del metallo nobile è vietato) su cui si
imbullona un telaietto scomponibile.
Il serbatoio viene diviso in tre parti, con un’unità in fibra di carbonio in posizione tradizionale
e due collocate più in basso, in una delle quali si
trova la pompa della benzina originale. Tutti pezzi
disponibili dal catalogo Bottpower, compreso il
codino in fibra di carbonio..Arrivano anche nuove
sospensioni, con la forcella Showa di una CR1125
ed un mono Öhlins al posteriore, ed un impianto
frenante più prestante, con pompa radiale Brem22
bo, che permette di sfruttare meglio le coperture
slick adottate, visto l’uso closed circuit only.
Il motore è stato rinvigorito con uno scarico dell’italiana GPR, aspirazione originale Bottpower ed
elettronica aggiuntiva, con controllo di trazione
e gestione multimappa. Il tutto per uno sviluppo
che è solo agli inizi: l’idea è di partecipare al Pikes
Peak, non appena si arriverà al rapporto peso/
potenza desiderato di 1:1, in questo caso 150 chili
per 150 cavalli. Non diteci che non vi viene l’acquolina in bocca…
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LA TECNICA DI ZX-10R E R1M
LO STATO DELL’ARTE
di Massimo Clarke | Due moto straordinarie che rappresentano al
meglio la raffinata tecnica delle attuali ultrasportive
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Q
uattro cilindri in linea, distribuzione
bialbero a sedici valvole, 200 cavalli
dichiarati per due realizzazioni di
analoga architettura complessiva
ma con varie importanti differenze,
a cominciare dalle misure caratteristiche.
Il motore della Yamaha ha un alesaggio maggiore
e una corsa minore, il che gli consente di impiegare valvole più grandi e di girare leggermente
più forte rispetto al Kawasaki (il regime di potenza massima è di 13.500 giri/min contro 13.000),
pur con una velocità media del pistone lievemente inferiore (22,9 metri al secondo contro 23,8).
Tecnica
SIAMO DI FRONTE A DUE
AUTENTICI “MOSTRI”, CHE
PERFETTAMENTE IN REGOLA
IN QUANTO A EMISSIONI
ACUSTICHE E DI SCARICO,
FORNISCONO UNA POTENZA
IMPRESSIONANTE
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La potenza erogata è però analoga e questo grazie al fatto che nel quadricilindrico della ZX-R le
singole fasi utili sono più “vigorose”; in termini
tecnici, la pressione media effettiva è più elevata
(13,6 bar contro 13,1; si tratta di valori impressionanti per dei motori di serie).
Siamo di fronte a due autentici “mostri”, che
perfettamente in regola in quanto a emissioni
acustiche e di scarico, forniscono una potenza
impressionante; le migliori superbike a quattro
cilindri di 750 cm3 che correvano nel mondiale
a metà anni Novanta arrivavano giusto a 200
cavalli/litro, e questo con una cilindrata unitaria
minore e con scarico e aspirazione liberi…
Soluzioni e materiali al top
Tra le differenze tecniche più evidenti, vi è l’impiego di bilancieri a dito (con riporto DLC, utilizzato
anche sugli spinotti) da parte della Yamaha, che
segue quindi la strada indicata dalla BMW con la
S 1000 RR adottando questa soluzione tipica dei
motori di Formula Uno.
La R1, che dispone di trombette di aspirazione
di lunghezza variabile e di una valvola exup allo
scarico, ha valvole di aspirazione (in titanio) da
33 mm e di scarico da 26,5 mm; nella ZX-R (che
ha tutte le valvole in titanio e i condotti accuratamente levigati) queste misure sono rispettivamente 31 e 25,5 mm.
La forcella della Kawasaki è dotata di un serbatoio
esterno, contenente azoto in pressione. Lo
smorzamento idraulico in compressione e in
estensione viene regolato qui, separatamente, per
mezzo di apposite valvole
I pistoni della ZX-R sono forgiati in una lega di
alluminio diversa da quella impiegata in precedenza
e hanno un riporto superficiale a basso attrito sul
mantello. Spiccano la conformazione del cielo e
l’altezza estremamente ridotta rispetto al diametro
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Questa immagine della ZX-R nuda consente di osservare chiaramente la struttura del telaio e degli altri
componenti della parte ciclistica. La ricerca della massima centralizzazione delle masse è evidente
I pistoni sono forgiati in entrambi i casi; quelli
della moto di Iwata hanno una struttura “bridged box”, con nervature all’esterno delle portate
per lo spinotto e ponticelli di irrigidimento interni, che collegano le pareti laterali.
La Kawasaki ha cambiato lega di alluminio per
i suoi pistoni, di altezza straordinariamente ridotta (è meno del 50% del diametro); presumibilmente è passata da una lega al silicio a una
al rame, come la 2618 usualmente impiegata
per questi componenti, se destinati ai motori da
competizione.
La cosa appare logica, dato che la potenza
specifica areale raggiunge un autentico valore
record per un motore di serie: ben 1,10 CV per
ogni centimetro quadrato di superficie dei pistoni! Si tratta di un valore analogo a quello di
un V10 aspirato da 3000 cm3 di Formula Uno
del 2000-2001 erogante 800 cavalli a un regime dell’ordine di 17500 giri/min…
Entrambe le moto hanno un equilibratore dinamico per ridurre le vibrazioni generate dalle
26
Tecnica
forze d’inerzia del secondo ordine (che nei quadricilindrici in linea non sono bilanciate); quello
della Kawasaki è a massa singola, come usuale,
mentre quello della Yamaha è costituito da due
masse eccentriche poste alle due estremità di un
alberello ausiliario collocato nella parte anteriore
del basamento.
Nel motore della casa di Iwata spiccano le bielle
in lega di titanio, tipicamente riservate alle realizzazioni da competizione, e l’albero “crossplane”,
con manovelle disposte su due piani a 90°. Le fasi
utili (che nei quadricilindrici in linea tradizionali si
susseguono ogni 180°) sono distanziate quindi di
270°… 180°…90°…180°. Entrambi i motori hanno
la bancata dei cilindri disassata e un albero a gomiti con inerzia sensibilmente ridotta rispetto al
modello precedente.
In quello della ZX-R vengono impiegate bronzine
con un nuovo materiale antifrizione e le pareti
che separano le canne contigue hanno visto il
loro spessore passare da 5 a 6 mm, a vantaggio
della rigidezza strutturale.
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Ciclistica regolabile
Per quanto riguarda la parte ciclistica, una prima
analisi delle misure più importanti conferma il
fatto che in questo settore non esistono “formule
magiche”; i parametri in gioco sono tanti e quote
differenti possono talvolta portare a risultati analoghi. La Kawasaki ha un interasse maggiore, un
cannotto di sterzo più inclinato e una avancorsa
superiore, rispetto alla Yamaha. Questi freddi numeri potrebbero far pensare che quest’ultima sia
più agile e nervosa e che la rivale sia più stabile.
Ma occorre anche fare i conti con la distribuzione
dei pesi, la posizione del baricentro, le caratteristiche complessive del telaio, la funzionalità delle
sospensioni…
Tutte e due le moto impiegano una forcella con
canne da 43 mm di diametro.
La Showa della Kawasaki è innovativa in quanto
dotata di un serbatoio esterno (Damping Force Chamber) contenente azoto in pressione. Lo
smorzamento idraulico in compressione e in
estensione viene così effettuato al di fuori dello
stelo.
Pure le sospensioni posteriori monoammortizzatore sono realizzate secondo i più avanzati orientamenti tecnici nel settore.
I telai a doppia trave sono costituiti da più sezioni
in lega di alluminio, ottenute per fusione in conchiglia e quindi saldate.
La ZX-R è dotata di un ammortizzatore di sterzo il
In questa vista del motore Yamaha parzialmente sezionato si possono notare i bilancieri a dito (al posto delle
punterie a bicchiere impiegate in precedenza) e una delle due masse eccentriche dell’albero ausiliario di
equilibratura, posto nella parte anteriore del basamento. La ridotta lunghezza è rimarchevole
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cui intervento è gestito elettronicamente.
La R1 è dotata di un telaietto posteriore in lega
di magnesio.
In quanto ai freni, gli schemi sono identici, ma la
Kawasaki, che all’avantreno adotta una pompa
radiale e due pinze monoblocco Brembo, impiega dischi di diametro leggermente maggiore
(330 contro 320 mm).
Anche la Yamaha utilizza pinze monoblocco ad
attacco radiale, nelle quali però i cilindri sono
ottenuti mediante una lavorazione meno sofisticata, costituita da foratura passante e successiva chiusura con tappi filettati.
Sulla R1 spiccano le ruote in lega di magnesio.
Molto interessanti le possibilità offerte dalla Ka-
Tecnica
wasaki con il suo kit di preparazione per impiego
agonistico, che prevede bussole eccentriche per
la regolazione dell’avancorsa e della inclinazione dell’asse di sterzo e offre anche la possibilità
di spostare in senso verticale, su due posizioni
(oltre a quella originale), il fulcro del forcellone
oscillante.
Elettronica per gestire la potenza
Come era logico attendersi, l’elettronica è straordinariamente evoluta; impiega infatti soluzioni
che fino a poco tempo fa erano esclusive delle
MotoGP. Le possibilità di regolazione sono semplicemente straordinarie.
Si va dalla gestione della erogazione da parte del
La Yamaha R1 ha l’albero a gomiti con manovelle disposte su due piani a 90°. Le bielle sono in lega di titanio,
come quelle delle MotoGP e delle Formula Uno
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Tecnica
motore al controllo di trazione che tiene conto
anche di quanto è inclinata la moto e dell’entità
di un eventuale slittamento laterale della ruota
motrice. La centralina agisce sulla fasatura di
accensione, sulla dosatura della miscela aria/
carburante e sul grado di apertura delle valvole
del gas.
Entrambe le moto sono dotate di una piattaforma inerziale a sei assi che informa la centralina di
gestione in merito alla accelerazione longitudinale (frenata, accelerazione), a quella trasversale e
a quella verticale, oltre che all’entità del rollio, del
beccheggio e della imbardata. In questo modo la
centralina stessa sa esattamente cosa sta facendo la moto in qualunque situazione.
Oltre al controllo di trazione le moto dispongono
di un launch control che consente di partire con
la manopola del gas spalancata (regola il regime
del motore evitando che possa risultare troppo
elevato e impedisce il “pattinamento” della ruota
motrice e le impennate), un sistema antibloccaggio delle ruote in frenata e via dicendo.
Really impressive.
In questa immagine dell’avantreno della R1 si
possono osservare la ruota in lega di magnesio e la
forcella con canne da 43 mm di diametro.
Sui dischi da 320 mm agiscono pinze monoblocco
ad attacco radiale
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Attualità
MANCATA NOTIFICA: 30 GIORNI PER
IMPUGNARE IL PAGAMENTO
di Alfonso Rago | Confermato in trenta giorni il termine per presentare
ricorso contro una cartella di pagamento, nel caso di mancanza di
notifica del verbale
L
a circostanza è una delle più odiose
e temute: trovare nella cassetta delle lettere una cartella di pagamento di
Equitalia, in cui viene contestato al destinatario il mancato pagamento di una contravvenzione per violazione del Codice della Strada.
Può però essere successo (e davvero moltissime
volte accade) che la multa in questione non sia
mai stata notificata al diretto interessato: per
esempio, spedita per posta ad un indirizzo diverso da quello di residenza, o consegnata a soggetto non abilitato a riceverla (come un familiare non
convivente o di età inferiore a 14 anni), oppure
32
ancora depositata presso la Casa Comunale, ma
senza darne comunicazione al destinatario irreperibile. In tutti questi casi, la cartella di Equitalia
è nulla. La legge, infatti, prescrive che, nell’iter del
procedimento amministrativo di notifica della
richiesta di pagamento, prima ancora dell’avvio
delle azioni esecutive (pignoramenti) e cautelari (fermi auto, moto o ipoteche), il contribuente
deve sempre essere messo nella condizione di
estinguere il debito bonariamente, versando l’importo richiesto senza aggravi di sanzioni, interessi ed oneri di riscossione.
Questo significa che la multa (cosiddetto “atto
prodromico”, ossia che viene prima) deve essere sempre stata consegnata all’automobilista, o
al motociclista, che deve aver avuto i classici 30
giorni per ricorrere al Giudice di Pace, o 60 per
ricorrere al Prefetto. Attenzione, però: attraverso
la sentenza n. 12412 dello scorso anno, la Cassazione ha in proposito affermato che il termine per
presentare ricorso contro una cartella di pagamento, in assenza di notifica del verbale di contestazione, è di 30 giorni e non di 60, come invece
previsto per la maggior parte delle impugnazioni
contro le cartelle di Equitalia.
Nello specifico, la Suprema corte ha infatti preci-
sato che in caso di mancata contestazione della
violazione l’impugnazione della cartella esattoriale svolge una funzione “recuperatoria”, perché
assolve lo scopo di mettere il ricorrente nella
stessa posizione giuridica nella quale si sarebbe
trovato se l’atto, con il quale gli veniva contestata
l’infrazione al Codice della Strada, fosse stato notificato a tempo debito. Quindi, trascorso l’ultimo
giorno utile, calcolato a partire dalla notificazione
della cartella di pagamento, l’accertamento contenuto nel verbale di contestazione dell’infrazione, anche se non è stato mai notificato, diventa
definitivo.
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DUCATI DRE: CON MULTISTRADA ENDURO
SOGNANDO IL FUORISTRADA
di Matteo Valenti | Abbiamo inviato il nostro Matteo Valenti,
automobilista ma con esperienza sulle due ruote, alla splendida scuola
Ducati dedicata alla nuova "Multi" Enduro. Il suo racconto da un punto
di vista diverso
O
rmai dev'essere una sorta di tradizione. Quando sopraggiungono i
primi caldi dell'estate in redazione
viene recapitato, puntuale come un
orologio, un invito per partecipare ad un corso di
guida Ducati. Ma se l'anno scorso si parlava di pista, questa volta cambiamo completamente scenario. La proposta della Casa di Borgo Panigale
del resto parla chiaro.
Due giorni in sella alla nuovissima Multistrada
1200 Enduro per muovere i primi, veri passi in
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fuoristrada. Si tratta del DRE Enduro, il corso sviluppato direttamente da Ducati per chi sogna –
magari, un giorno – la Dakar, aperto a tutti i tipi di
motociclisti, compresi i principianti.
Dalle auto... alla Multi 1200 Enduro
Ed è proprio quest'ultimo dettaglio a fare la differenza, almeno nel nostro caso. Inutile partecipare
con un tester già rodato tra la polvere – pensano
nella Redazione di Moto.it.
Servirebbe qualcuno di inesperto, magari che
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non abbia mai portato le due ruote lontano dall'asfalto. Come per esempio un collega di Automoto, che di solito prova le auto ma che da qualche
parte, nel portafoglio, ha ancora una impolveratissima patente della moto.
È così che nel giro di pochi giorni, senza quasi
rendermene conto, mi ritrovo in sella alla Ducati
Multistrada Enduro. Una moto senza dubbio impegnativa, almeno per chi, come il sottoscritto, è
da un po' che non si mette in sella e non ha mai
provato il brivido dell'off-road a due ruote.
Per fortuna, per gestire i 250 kg di peso di questa
“Multi” molto speciale e i 160 CV del mitico bicilindrico Testastretta, abbiamo dalla nostra parte
alcuni armi da non sottovalutare.
Prima di tutto la raffinatissima elettronica di
questa moto. In modalità Enduro l'erogazione, le
sospensioni semi-attive, l'ABS e il controllo di trazione godono di una taratura specifica, ottimizzata per la guida in off-road, mentre la potenza
del motore viene limitata – per nostra fortuna – a
100 CV. Ma ci facciamo forza anche grazie alla
magnifica squadra di istruttori messa in piedi dal
Corsi di Guida
Direttore Tecnico del DRE: Beppe Gualini, ex-dakariano che si è schierato 65 volte alla partenza
dei leggendari rally-raid africani, con ben 10 partecipazioni alla “vera” Parigi-Dakar.
Con Beppe Gualini, dalla teoria alla
pratica
Con la lezione teorica, che apre ufficialmente i lavori del corso, Beppe riesce ad entrare subito in
sintonia con gli allievi.
Il suo particolarissimo modo di fare, a volte duro
ma incredibilmente diretto e – a tratti – esilarante, rapisce in poco tempo l'attenzione di tutti.
Si passa così dalle caratteristiche della nostra
moto all'ABC dell'endurista che, prima di mettere in moto, non può non conoscere la posizione
corretta in sella e sulle pedane, ma anche tutte le
manovre del caso, a seconda delle diverse situazioni di guida. Dalla teoria si passa però rapidamente alla pratica.
Per prendere le misure della Multistrada Enduro
in fuoristrada iniziamo ad affrontare tutta una
serie di esercizi, anche se forse sarebbe meglio
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classica sessione di stretching, coordinata dagli
esperti di Technogym, siamo pronti per andare
“nei boschi”, come dicono gli istruttori.
Al mitico Beppe Gualini brillano gli occhi, si vede
lontano un miglio che muore dalla voglia di portarci a fare un po' di enduro vero dopo il riscaldamento di ieri.
In men che non si dica ci ritroviamo a fare sul serio, su un sentiero di quelli nudi e crudi.
Non c'è più spazio per ridere e scherzare, qui bisogna darsi da fare per davvero tra pietre, sudore
e soprattutto fango.
Nei boschi con il Testastretta
Il secondo giorno però si fa sul serio. Dopo la Tantissimo fango, che rende il percorso una spedefinirli vere e proprie prove di sopravvivenza (in
sella, si intende).
Il percorso, progettato dallo stesso Gualini, ci insegna a bilanciare il peso della moto con il nostro
corpo, un dettaglio fondamentale in off-road, ma
anche a sviluppare doti di equilibrio fuori dal comune. Si continua poi con le diverse tipologie di
frenata fino alla gestione degli imprevisti tipici del
fuoristrada (moto per terra, motore spento in salita, ecc.,).
38
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cie di immensa scatola di uova, dove basta un attimo per fare una bella frittata.
Passiamo così alcune ore difficili, veramente impegnative per chi, come noi, non è per niente abituato a questo tipo di scenari.
Alla fine però torniamo alla base non solo tutti
interi, anche se un po' doloranti.
Ma soprattutto soddisfati, con un sorriso a 32
denti stampato sul volto. In sella alla Multistrada
siamo riusciti a maturare in pochissimo tempo
una consapevolezza di guida in fuoristrada eccezionale, che ci ha permesso di fare cose impensabili soltanto fino a poche ore prima.
Corsi di Guida
Che sorpresa in off-road!
All'inizio la “Multi” Enduro, con le sue dimensioni giunoniche, ci aveva un po' allarmato. Invece
abbiamo scoperto a sorpresa una moto che,
grazie a una elettronica raffinatissima, riesce a
dimostrarsi facile e coinvolgente anche per un
assoluto neofita. Ripensando a dove ci siamo arrampicati e fino a dove ci siamo spinti, abbiamo
scoperto che questa 1200 Enduro ha un potenziale insospettabile in off-road.
È vero, il serbatoio da 30 litri sembra immenso.
Ma dove conta davvero in fuoristrada, cioè nella
zona della sella, tra le gambe, la Multistrada En-
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Corsi di Guida
duro è incredibilmente snella e questo la fa sentire facile anche su terreni difficili, con pendenze
micidiali. L'elettronica fa il resto, trasformando
un motore potente e che sembrava indomabile,
soprattutto in basso, in uno “sherpa” pronto a
mettersi al tuo servizio.
È per questo che un corso come il DRE Enduro è
perfetto non solo per chi vuole migliorare la sua
consapevolezza in sella, ma anche per toccare
con mano il limite che si può raggiungere oggi
con una moto come questa nuova Multistrada
Enduro. Un limite che, con il prezioso aiuto degli
istruttori Ducati, vi lascerà senza dubbio a bocca
aperta. Parola di automobilista.
Ducati DRE Enduro - I prezzi del corso
Corso DRE Enduro: 680 euro
Il prezzo include:
• corso della durata di un giorno e mezzo
• l’utilizzo della nuova Multistrada 1200 Enduro
per tutta la durata del corso
• due pranzi e una cena a base di prodotti di prima qualità tipici della tradizione toscana
• assistenza medica durante tutta la durata degli
esercizi pratici
• visita guidate nelle cantine storiche del castello
di Nipozzano
• welcome kit e attestato di partecipazione
Il prezzo non include:
• Il pernottamento
• Assicurazione personale sul partecipante
Tariffa accompagnatore: 140 euro
il prezzo include:
• due pranzi e una cena a base di prodotti di prima qualità tipici della tradizione toscana
• possibilità di assistere allo svolgimento del corso pratico
• visita guidate nelle cantine storiche del castello
di Nipozzano
Tariffa accompagnatore (solo cena): 60 euro, il
prezzo include la cena al castello di Nipozzano.
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NICO CEREGHINI
“PASSI, SENTIERI E
POLEMICHE”
daggio non funziona: al passo
del Rombo, che collega la Val
Passiria all'Austria a 2500 metri
di altezza, si pagano 21 euro per
le auto e 19 per le moto.
Andata e ritorno. Ebbene a leggere le cronache locali sembra che
la situazione sia addirittura peggiorata, perché i veicoli restano
comunque troppi e dicono che i
motociclisti, dopo aver pagato,
si sentono in diritto di andar su a
tutta manetta. Quest'ultima sarà
una leggenda, ma tant'è.
E lo stesso discorso vale anche
per i sentieri, dove camminatori,
ciclisti e motociclisti non riescono a convivere pacificamente.
Il Club Alpino Italiano non brilla
per disponibilità, diverse uscite
dei dirigenti nazionali profumano
di integralismo radicale, del tipo
"noi e nessun altro".
È chiaro invece che una soluzione comune va trovata, e deve
Ressa, confusione, proteste, i
motociclisti spesso malvisti. C'è
un modo per convivere? Sì, se
noi rispettiamo gli altri e gli altri
rispettano noi. Come nella valle
del Tassobbio
Media
C
iao a tutti!
Si sa che una
delle
mete
preferite dai
motociclisti di
mezza Europa,
da giugno a fine settembre, è
quella delle Alpi e in particolare
delle Dolomiti. Panorami ineguagliabili, strade dove guidare è uno
spettacolo e perfino il motore se
la gode.
Naturalmente tanto fascino ha
un prezzo: a luglio e agosto ci
trovi molte moto, ma anche centinaia di auto, camper e ciclisti.
Finisce che tanti di noi preferiscono girare al largo, la confusio42
ne sui passi, le code, gli incidenti
e le severissime forze dell'ordine
fanno di tutto per fiaccarci il morale e spegnere il sorriso.
Da qualche anno sui media locali si parla di disciplinare il traffico
estivo. Manco a dirlo, tra quelli
che strillano più forte ci sono i
talebani che vorrebbero le misure più drastiche soprattutto nei
nostri confronti, con messa al
bando delle moto o pagamento
di pedaggi salati; ma per fortuna
i personaggi più ascoltati, tra i
quali gli alpinisti Messner e Corona, difendono il diritto di tutti a
frequentare quei posti.
In base a quale principio -si chie-
Editoriale
Periodico elettronico di informazione motociclistica
dono- possiamo rispedire a
casa quelli che vengono dalla
città per conoscere le nostre
montagne? Certo siamo troppi e questa è la realtà, dunque
bisogna che ciascuno rinunci
a qualcosa.
La soluzione più gettonata
prevederebbe l'apertura dei
passi nelle prime ore del mattino, fino alle 9 o alle 10, e poi la
sera dopo le 18, con parcheggi
e navette che portano in alto
turisti ed escursionisti che
arrivano nelle ore centrali di
chiusura.
Se ne discute, e fortunatamente si è capito che il pe-
passare attraverso l'amore della natura, dei luoghi e il rispetto
degli altri utenti che, osservando le regole comuni, hanno
uguali diritti.
Si capisce che anche noi dobbiamo rinunciare a qualcosa:
per esempio a sentirci i più
forti. Io stesso, che sono prima
di tutto motociclista e poi camminatore, ho dovuto qualche
volta rinnegare la mia prima
anima.
Mi è costato. Ma c'è gente che
circola sulle mulattiere come
se fosse in prova speciale, e
quando incrocia un bipede con
lo zaino, invece di rallentare
e cedere il passo accelera, e
sembra si diverta a sparar sassi. Parlo di giovani, di ragazzini,
ma anche di adulti.
Si deve partire dal rispetto delle regole, è chiaro, a cominciare
dalla targa regolarmente espo-
sta e dall'impianto di scarico a
norma.
E mi piace segnalare che anche nel CAI c'è gente aperta.
La sezione di Reggio Emilia
infatti ha siglato recentemente un accordo, un vero Codice Etico, insieme al Comitato
Escursionisti su Ruote, alla federazione motociclistica, quella degli sport equestri e il coordinamento valle del Tassobbio.
Si chiarisce come si fa a convivere tutti quanti su centinaia
di km di sentieri nei comuni
di Castelnuovo Monti, Canossa, Carpineti, Casina e Vetto
d'Enza.
I rispettivi sindaci hanno controfirmato. Il principio è la
condivisione e l'amore del
territorio e poi il rispetto delle
regole tra i pedoni e chi va in
mountain bike, in moto, anche
a cavallo. Si può fare.
DA QUALCHE ANNO SUI MEDIA LOCALI
SI PARLA DI DISCIPLINARE IL TRAFFICO
ESTIVO. MANCO A DIRLO, TRA QUELLI CHE
STRILLANO PIÙ FORTE CI SONO I TALEBANI
CHE VORREBBERO LE MISURE PIÙ DRASTICHE
SOPRATTUTTO NEI NOSTRI CONFRONTI
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MOTOGP
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MotoGP
GP DI GERMANIA
DA ZERO A DIECI
di Giovanni Zamagni | Da zero a dieci: numeri, statistiche e voti sul GP di
Germania, un modo per ripercorrere quanto accaduto al Sachsenring, non
solo in pista.
D
a zero a dieci:
M1: LA MIGLIOR MOTOGP, MA…
Per il secondo GP consecutivo, sul
podio non c’era nemmeno un pilota Yamaha: era
addirittura dal GP d’Olanda del 2014 che non accadeva. Eppure, si dice, la M1 è la miglior moto
della categoria. A #DopoGP, l’ingegner Giulio
Bernardelle spiega cosa non ha funzionato al Sachsenring.
ZERO, COME LE YAMAHA SUL PODIO IN GERMANIA
NEI PRIMI TRE DOPO OLTRE UN ANNO
Cal Crutchlow non saliva sul podio dal GP Argentina 2015 (allora giunse terzo, dietro a Rossi e Dovizioso) e per la terza volta nella sua carriera è
arrivato secondo al traguardo.
UNO, COME IL NUMERO DI PODI CONQUISTATI
DA CRUTCHLOW NEL 2016
MAI COSI’ VELOCI IN QUALIFICA
Andrea Locatelli ed Hèctor Barberà hanno conquistato in qualifica il terzo e il secondo tempo,
rispettivamente in Moto3 e MotoGP: mai erano
partiti in prima fila nella loro categoria.
Per Locatelli, ovviamente, avendo corso solo in
Moto3, si è trattato anche della prima volta in
prima fila (nel motomondiale) nella sua carriera.
DUE, COME I PILOTI PER LA PRIMA VOLTA IN
PRIMA FILA
“C’E’ OLIO IN PISTA”? “NO”
Incredibile quanto accaduto durate le qualifiche
della Moto3: nonostante fosse evidente, dalle
immagini televisive, l’olio lasciato sulla pista dalla
Mahindra di Denny Webb, i commissari di percorso, a precisa domanda della direzione gara,
hanno risposto negando che ci fosse del liquido
sull’asfalto.
Questo nonostante i piloti cadessero a ripetizio46
ne, e tra di essi lo sfortunatissimo Niccolò Antonelli, che si è fratturato la spalla sinistra: è stato
costretto a saltare il GP e a farsi operare.
Solo dopo altre quattro cadute la Race Direction
ha deciso di interrompere la sessione e di andare a verificare sul luogo delle tante scivolate (alla
curva 4), scoprendo, ovviamente, che l’olio effettivamente c’era.
TRE, IL VOTO AI MARSHALL TEDESCHI
IN FUGA DAL MUGELLO
Màrc Màrquez va in vacanza con 48 punti di vantaggio su Jorge Lorenzo, e 59 su Valentino Rossi:
un margine molto elevato, accumulato in gran
parte negli ultimi quattro GP, nei quali Màrquez
ha totalizzato 85 punti, contro i 32 di Lorenzo e
i 33 di Rossi. Quattro gare da incubo, tra rotture,
cadute e sbagli tattici per il team Yamaha.
QUATTRO, COME I GP DA INCUBO PER LA YAMAHA
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MotoGP
UN MOMENTO DIFFICILISSIMO
Per Jorge Lorenzo è un momento davvero difficile, come conferma anche il dato relativo alle sue
cadute: solo nel GP di Germania, il pilota della
Yamaha è scivolato tre volte (FP1, Q1 e Q2), esattamente come le cadute da lui stesso totalizzate
in tutto il 2015. Meno male che a inizio stagione
aveva dichiarato di essere entusiasta del comportamento delle Michelin.
CINQUE, COME LE CADUTE IN PIU’ DI LORENZO
RISPETTO AL 2015
GIUSTO PROVARCI
Franco Morbidelli è caduto al 23esimo giro, dopo
essere stato al comando della Moto2 dal 17esimo
al 22esimo giro.
E’ chiaro che quando scivoli è perché esageri, ma
nel caso del Morbido è più che comprensibile: ha
visto la possibilità di conquistare il primo successo in carriera, ma gli è andata male.
Secondo me è stato giusto provarci, anche se il
risultato, purtroppo, non l’ha premiato.
SEI ,COME I GIRI AL COMANDO DI MORBIDELLI
PETRUCCI PRIMO PER SETTE GIRI
A proposito di piloti al comando, per la prima
volta nella sua carriera lo è stato anche Danilo
Petrucci. Il pilota del Team Pramac, per la verità,
ci era riuscito anche ad Assen, ma l’esposizione
della bandiera rossa per la troppa acqua in pista,
aveva di fatto annullato il suo mezzo giro al comando, che quindi non compare nelle statistiche.
Fino ad oggi, sette piloti hanno effettuato almeno
un giro in testa: Lorenzo (71 giri); Rossi (49); Màrquez (47); Dovizioso (18); Miller (11); Petrucci (7);
Iannone (5).
SETTE, COME I PILOTI IN PRIMA POSIZIONE
UN ALTRO ITALIANO VELOCISSIMO
Sono tanti i piloti italiani che vanno fortissimo in
Moto3: purtroppo non c’è nessuno che riesca ad
essere costante, e per questo non siamo messi
benissimo in classifica generale; ma ogni GP possiamo lottare per la vittoria o, quanto meno, per
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il podio. Con il secondo posto di Andrea Locatelli,
sono ben otto i piloti italiani che hanno conquistato almeno un podio in questa stagione: ovvero
Fenati, Bagnaia, Bulega, Bastianini, Antonelli, Di
Giannantonio, Migno e, appunto, lo stesso Locatelli.
OTTO, COME I PILOTI ITALIANI SUL PODIO IN
MOTO 3 NEL 2016
TRE GRANDI PROTAGONISTI
Visto che siamo in tema di Moto3, è giusto sottolineare la prestazione di Andrea Locatelli (2°),
Enea Bastiani (3°) e Fabio Di Giannantonio (5°),
grandissimi per diversi motivi: Locatelli, come
detto, ha conquistato il suo primo podio in carriera; Bastianini è andato forte per la prima volta
in vita sua sul bagnato; Di Giannantonio, alla sua
nona gara nel motomondiale, ha confermato di
avere grande talento, ma anche grande maturità.
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NOVE: E' IL VOTO CHE SI MERITANO LOCATELLI,
BASTIANINI E DI GIANNANTONIO
UN TEAM MANAGER DA APPLAUSI
Il Massimo voto, però, questa volta non va a un
pilota, ma a un team manager: Lucio Cecchinello,
che, finalmente, ha potuto festeggiare il secondo
posto del suo pilota.
Cecchinello è un team manager per certi versi
atipico: pur essendo un “privato” e sempre alle
prese con il budget, non fa mai mancare nulla al
suo pilota, cerca sempre di accontentarlo in ogni
richiesta. Non solo: il team LCR è un esempio di
professionalità, ma anche di familiarità e umanità, viste tutte le iniziative a favore di bambini in
qualche modo in difficoltà.
Bravo Lucio!
DIECI: VOTO DECISAMENTE MERITATO PER LUCIO CECCHINELLO
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MotoGP
DOPOGP CON NICO E ZAM
IL GP DI GERMANIA
Nona prova dell’anno, il GP di Germania ha visto il trionfo di un grandissimo
Marquez e il naufragio delle due Yamaha. Parliamo di strategie, di gomme e
di piloti
T
rionfo di un grandissimo Marquez e
il naufragio delle due Yamaha. Rossi
soltanto ottavo dopo una prima parte
da protagonista, e Lorenzo addirittura
quindicesimo. Con il nostro DopoGP cerchiamo
di capire perché Jorge è stato così apatico e soprattutto quali sono stati gli errori di Vale e del suo
team, se di errori si può parlare, nella strategia e
nella scelta delle gomme per la seconda moto.
Il pneumatico intermedio di Michelin funziona
come deve? La stessa Michelin non lo considera
una vera opzione per la gara.
Perché la seconda M1 di Rossi è stata così lenta
sull’umido? E’ per via dello stesso problema che
l’aveva rallentata il venerdì sull’asciutto con il freddo, spiega tecnicamente l’ingegner Bernardelle.
Ducati poteva vincere, invece Petrucci è caduto da
leader della corsa (a proposito, perché la sua moto
Video
52
si è incendiata?) e il Dovi, che sul bagnato era fortissimo, quando le condizioni sono cambiate ha
potuto salvare solo il terzo posto.
Alle spalle di un grande Cal Crutchlow. Ma le rosse
avevano sorpreso per efficacia anche sull’asciutto,
fin dalle prove del venerdì, ed è una bella iniezione di fiducia perché su questa pista non avevano
mai brillato. Poi si parla ancora clamorosamente
di Stoner, che sta provando oggi e domani sull’A1
Ring e potrebbe rientrare per il GP d’Austria del 14
agosto. Questo sarà chiarito solo domani da Duca-
ti, che probabilmente trema per la crisi di Lorenzo
anche se nega la circostanza.
C’è ancora da capire –e il nostro DopoGP indagacome mai la peggior Honda degli ultimi anni sta
dominando di fatto il campionato, perché le Suzuki sono finite così indietro, come stanno le Aprilia. E festeggiare il podio di Locatelli e Bastianini
in Moto3. Ora tutti vanno in vacanza fino a metà
agosto. Poi appuntamento su una pista completamente nuova, della quale raccontiamo le caratteristiche salienti.
53
GLI SCATTI PIÙ
SPETTACOLARI DEL
GP DI GERMANIA
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Superbike
VAN DER MARK IN YAMAHA E MELANDRI
SEMPRE PIÙ VICINO A DUCATI
di Carlo Baldi | Nella pausa estiva il mercato piloti si vivacizza.
L’olandese non rinnova con Honda e passa in Yamaha, mentre Aruba
insiste per Melandri. Torna Aprilia?
I
motori delle superbike si riaccenderanno
solo a metà settembre ed i team manager hanno quindi il tempo per lavorare alla
definizione delle squadre SBK 2017. Tra le
trattative ormai in dirittura d’arrivo c’è quella tra
Michael Van der Mark ed il team Yamaha.
L’olandese non ha rinnovato il contratto con la
Honda Ten Kate ed è prossimo alla firma di un
biennale con la squadra della casa di Iwata, in sostituzione di Sylvain Guintoli. Per sostituirlo si è
messo al lavoro il manager Honda Marco Chini,
lo stesso che lo scorso anno ha portato Hayden
in Superbike e che potrebbe stupire tutti anche
quest’anno con un colpo a sorpresa. Il team
Yamaha 2017 sarà con molta probabilità rivoluzionato per quanto riguarda lo staff tecnico,
nel tentativo di rendere competitiva la YZF-R1.
Per quanto riguarda il compagno di squadra di
VdMark restano molte le possibilità che Lowes
venga riconfermato, anche se alla squadra di Dosoli non mancano certamente valide alternative.
Tra i piloti che hanno bussato alla porta del manager italiano c’è Eugene Laverty, la cui volontà
di ritornare nel campionato delle derivate è ormai
ben nota, ma c’è anche Davide Giugliano. Il pilota italiano, nonostante un finale di campionato in
crescendo, sa che difficilmente verrà riconfermato dalla Ducati al fianco di Chaz Davies (per il quale manca solo la firma sul contratto) e si sta guardando intorno. La R1 potrebbe essere una moto
che ben si adatta alle sue caratteristiche di guida, senza dubbio più della Panigale, con la quale
Davide non ha mai trovato un grande feeling. Chi
prenderà il suo posto? Anche in questo caso tra i
candidati c’è Laverty, ma alla fine riteniamo che
74
prevarrà la volontà dello sponsor/padrone Aruba,
che ha bisogno di un pilota che sia italiano e che
garantisca visibilità e risultati. E’ l’identikit di Marco Melandri; il ravennate è ancora in trattativa
con il team Puccetti, ma la sua scelta cadrà molto
probabilmente sulla Panigale ufficiale, destinata
quindi a scalare di un numero: dal 34 di Giugliano
al 33 di Melandri. Per quanto riguarda il team di
Puccetti non è escluso che, un volta ricevuto il rifiuto da parte di Marco, l’attivissimo manager italiano si rivolga proprio a Giugliano, per proseguire
nel suo progetto Superbike. Voci sempre più insistenti parlano di un rinnovato interesse da parte
di Aprilia per i campionati delle derivate dalla serie. La casa di Noale è attualmente legata al team
Iodaracing, il cui patron Giampiero Sacchi però
ultimamente non ha nascosto di essere alla ricerca di alternative ad una RSV4 sempre meno competitiva, senza aggiornamenti da parte della casa
madre. Certo, se Albesiano ed il reparto Aprilia
Racing tornassero ad occuparsi di Superbike,
le cose potrebbero cambiare e Sacchi potrebbe
tornare sui propri passi. A confermare le voci che
riguardano l’Aprilia c’è da rilevare l’interesse del
team Milwaukee per la moto italiana. La squadra
inglese deve fare i conti con uno sponsor dotato
di un ottimo budget, che però non richiede solo
una grande hospitality, ma anche un team competitivo, che possa lottare per le prime posizioni.
Da qui la decisione di lasciare l’evanescente BMW
per passare alla casa di Noale. Se il matrimonio
Aprilia-Milwaukee si concludesse il “rookie of the
year” Lorenzo Savadori, pilota Aprilia, andrebbe a
sostituire Brookes al fianco di Abraham, preferito
all’inglese per la sua dote di sponsor.
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MXGP
NAGL E FERRANDIS SI AGGIUDICANO IL
GP DELLA REPUBBLICA CECA
di Massimo Zanzani | Il tedesco centra una sonora e meritata doppietta
MXGP, il francese fa altrettanto nella MX2; solo 7° Cairoli
M
ax Nagl migliore regalo non poteva farlo al team manager Antti
Pyrhonen, col quale la sera prima
aveva firmato l’accordo che lo lega
all’Husqvarna ufficiale anche per il 2017.
Ovvero una doppia vittoria con la quale ha firmato la sua prima vittoria stagionale e che lo ha
rilanciato nella classifica generale portandolo a
solo 16 punti da Tony Cairoli attuale inseguitore
di Tim Gajser. Il tedesco ha mandato in porto due
manche esemplari, la prima conquistata dopo
essersi sbarazzato di Gautier Paulin al primo giro
e poi tenendo a bada la pressione di Gajser, l’altra rimanendo alle spalle dello sloveno sino al 13°
giro quando il battistrada ha compiuto un errore
del quale Nagl ne ha subito approfittato facendo
poi ricorso a tutta la sua motivazione per contenere la rincorsa rabbiosa dell’avversario.
Vista la determinazione del suo avversario, dopo
alcuni svarioni Gajser ha giustamente preferito
tirare i remi in barca e accontentarsi della seconda piazza che gli ha dato ulteriore ossigeno in
campionato che ora lo vede in vantaggio di 109
punti su Cairoli che, in sella alla KTM SX-F 350,
non è riuscito a fare meglio di 7° e 8°.
«Purtroppo abbiamo fatto l’errore di non provare
abbastanza le partenze - ha spiegato il messinese - abbiamo avuto solo una decina di giorni per
mettere tutto a punto e questo aspetto lo abbiamo tralasciato. E proprio in questa pista dove è
necessario spuntare tra i primi perché poi è difficile superare, sono sempre partito male. Comunque il feeling con la moto è molto buono, si tratta
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ora solo di mettere tutto bene a punto con i pezzi
che stiamo preparando alcuni dei quali che avremo già la prossima settimana a Lommel per poi
puntare alle prime posizioni».
Il terzo gradino del podio è andato a Romain
Febvre, il quale pur a corto di allenamento a causa del suo infortunio inglese che lo ha tenuto fermo per quasi un mese si è battuto come un leone
tagliando il traguardo entrambe le manche in 3ª
posizione. Alle sue spalle hanno chiuso Clement
Desalle, Jeremy Van Horebeek e Jordi Tixier.
MX2
Giornata nera per la KTM nella MX2, che oltre
ad aver dovuto fare a meno di Jeffrey Herlings
per la frattura di una clavicola ha visto eliminato
nelle prime battute di gara anche Pauls Jonass,
mattatore della qualifica di sabato, che è caduto
atterrando di poco fuori pista da un veloce salto
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in discesa procurandosi un non preoccupante
trauma cranico ed altri acciacchi tra cui la frattura del naso.
Via libera quindi al Dylan Ferrandis, che si è imposto sia nella prima manche, dove è rimasto al
comando per tutta la gara, che nella successiva
dove ha guadagnato la testa del gruppo all’8°
passaggio dopo essere rinvenuto dal 5° posto.
Il francese, che si è portato a 127 lunghezze dal
80
leader Herlings, ha avuto buon gioco su Jeremy
Seewer e Max Anstie terminati alternativamente
2° e 3°. A Samuele Bernardini il migliore risultato
azzurro, 7° assoluto dopo aver compromesso la
prima manche con una scivolata che lo ha spedito in 10ª posizione per poi rifarsi nella seguente
che lo ha visto concludere 6°; solo 14° Michele
Cervellin preceduto di una posizione da Davide
Bonini. Soddisfazione tricolore anche nell’Euro-
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peo 65 che ha visto Matteo Russi assicurarsi la
2ª posizione dietro al lettone Edvards Bidzans
e nella 85 dove Alessandro Facca si è aggiudicato il 3° posto. Mentre Nagl ha annunciato il
suo rinnovo con Husqvarna giusto la domenica
sera in conferenza stampa, e tra non molto non
dovrebbe tardare anche la conferma dell’ingaggio di Paulin Gautier da parte della Casa svedese, pare che tra Honda e KTM sia iniziata una
Motocross
guerra a colpi di rilancio in quanto l’offerta quadriennale, a partire dal 2018, fatta ad Herlings dai
giapponesi sia diventata molto interessante per
l’olandese, ma a quel punto quella austriaca sembra abbia messo sul piatto una proposta molto
alettante per Gajser che potrebbe comprendere
anche un posto nella squadra statunitense.
Vedremo se si tratta solo di voci di corridoio o se
le illazioni avranno un suo seguito.
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