Molti controlli

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Poco diabete?
Molti controlli
I dati raccolti con l’autocontrollo
domiciliare della glicemia sono
per certi versi più significativi
nei casi di ‘buon’ compenso
glicemico che in quelli
di cattivo compenso.
Oggi il diabete è visto soprattutto come un
fattore di rischio cardiovascolare, in quanto
correlato al processo di ostruzione delle arterie. Insomma: il diabete fa male al cuore (nelle
persone con diabete il rischio di infarto è infatti significativamente maggiore rispetto a
chi non ha il diabete). «Esaminando studi epidemiologici eseguiti su migliaia di persone e
studi sperimentali eseguiti in laboratorio su
tessuti e cellule, ci si è resi conto che il rischio
cardiovascolare può spesso dipendere dalla
frequenza di picchi postprandiali», sottolinea
Alberto De Micheli, diabetologo presso l’Ospedale San Martino di Genova.
I picchi postprandiali sono delle iperglicemie
che durano poche decine di minuti dopo il
pasto. Troppo brevi per influenzare l’emoglobina glicata (vedere box nella pagina seguente), queste repentine variazioni nell’equilibrio
glicemico «rappresentano uno choc per la cellula, che inizia a produrre super ossidi e sono
correlate a una lesione dell’endotelio, il rivestimento interno delle arterie».
In quali pazienti vanno rilevati i ‘picchi’? Qui
arrivano le sorprese. Sono frequenti nelle persone con diabete ‘fuori controllo’ ma anche in
quelle che sembrerebbero ‘a posto’.
Enzo Bonora, che dirige il Servizio di diabetologia nella Divisione Clinicizzata di Endocrinologia e Malattie del Metabolismo dell’Azienda Ospedaliera di Verona, ha recentemente pubblicato uno studio effettuato insieme ad
altri diabetologi italiani. Racconta: «Abbiamo
preso in esame i dati forniti da 3284 persone
assistite da diversi Servizi in tutta Italia, che
avevano effettuato un autocontrollo domiciliare intensivo con sei controlli al giorno tre
volte in una settimana. Un campione casuale.
Circa metà aveva un controllo inadeguato e
metà un controllo apparentemente soddisfacente, cioè un’emoglobina glicata inferiore
a 7%». «In ogni persona», continua Bonora,
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«abbiamo misurato quanto variava la
glicemia con i pasti ‘colazione, pranzo,
cena’. È normale che vi sia un aumento;
le attuali Linee guida prevedono come
valore massimo accettato 160 mg/dl due
ore dopo il pasto contro 120 mg/dl prima: ne emerge che l’escursione accettabile è 40 mg/dl.
«Ebbene, nell’81% delle persone si è
osservata almeno una volta alla settimana un’escursione superiore a 40 mg/dl e
in un terzo di queste si è avuto il picco tre
o più volte alla settimana. La cosa interessante è che a mostrare queste variazioni non erano solo i pazienti in cattivo controllo glicemico, ma anche quelli con emoglobina glicata inferiore al 7%. Anzi, non c’era nessun rapporto fra la glicata e la
frequenza delle eccessive variazioni glicemiche
in occasione dei pasti. Il 45% dei pazienti mal
controllati aveva da quattro a nove rialzi postprandiali fuori norma su un totale di nove
valutazioni in una settimana; ma questo avveniva anche nel 40% dei pazienti ‘ben controllati’».
Nota al riguardo Alberto De Micheli: «il che è
come dire che molti pazienti ‘ben controllati’
con una glicata del 7% in realtà non sono così
ben controllati. L’automonitoraggio domiciliare della glicemia è l’unico modo per rilevare i ‘picchi’. Il paziente ha quindi una ragione
in più per aumentare i controlli e soprattutto
eseguire anche due ore dopo i pasti i controlli
della glicemia; questo anche per i pazienti che
Enzo Bonora dirige
il Servizio di diabetologia
nella Divisione Clinicizzata
di Endocrinologia e
Malattie del Metabolismo
dell’Azienda Ospedaliera
di Verona. È docente
di endocrinologia
all’Università di Verona
e consigliere nazionale
della Società Italiana
di Diabetologia.
ritengono di avere ‘poco diabete’ o comunque
una situazione ben compensata. «Controllare
la glicemia a casa è l’unico modo per avere dati
affidabili oltre che sul compenso globale, sugli
eventuali picchi iperglicemici. Questi dati servono al medico per impostare la cura e al
paziente per condurla al meglio», ricorda De
Micheli.
Prima e dopo. Enzo Bonora chiede a tutti i
suoi pazienti di misurare la glicemia immediatamente prima e due ore dopo un pasto.
Queste ‘coppie’ non vanno fatte necessariamente ogni giorno e a ogni pasto, «in alcuni
casi vanno benissimo gli schemi a scacchiera in
cui, un giorno della settimana (ad esempio
lunedì) si controlla cosa succede con la colazione, un altro giorno (ad esempio mercoledì)
con il pranzo, e un altro giorno (ad esempio
venerdì) con la cena. Con poche misurazioni
alla settimana – ovviamente potrebbero essere
di più o di meno a seconda del tipo di diabete,
di quanto complessa è la terapia, di quanto ben
controllato è il diabete, ecc. – il paziente e il
diabetologo possono capire se le glicemie sono
ai livelli desiderati nel corso di tutta la giornata», nota Bonora.
Molte persone con diabete sono abituate a
misurare la glicemia ‘prima’, solo di rado dopo:
«Non va bene: prima di tutto perché uno degli
obiettivi della terapia è proprio mantenere la
glicemia postprandiale sotto i 160 mg/dl; in
secondo luogo perché il medico deve sapere se
questo obiettivo è stato raggiunto», sottolinea
De Micheli. Il dato postprandiale serve pro-
L’EMOGLOBINA GLICATA
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Frequenza dei picchi postprandiali
in pazienti con diabete Tipo 2
40%
35%
30%
% pazienti
L’emoglobina è una proteina
presente nel sangue nota per la
sua capacità di trasportare l’ossigeno
nelle cellule. L’emoglobina tende a ‘glicarsi’ vale
a dire si lega al glucosio presente nel sangue. La percentuale di emoglobina
che si glica è tanto maggiore quanto maggiore è la concentrazione di glucosio nel sangue e quanto più a lungo la glicemia resta alta. La percentuale di
emoglobina glicata fornisce un’informazione integrata della glicemia nel corso del trimestre, ed è correlata alla probabilità di incorrere in complicanze
microvascolari (che colpiscono reni, occhi, nervi e piedi) ma non descrive le
variazioni durante la giornata e non dà alcuna informazione sulla frequenza
delle ipoglicemie né sui picchi postprandiali.
Tutti i 3284 pazienti
indipendentemente dal compenso
Solo i pazienti in buon compenso
(glicata inferiore al 7%)
25%
20%
15%
10%
5%
0
Nessun picco
1 picco
a settimana
2-3 picchi
a settimana
4-6 picchi
a settimana
7-9 picchi
a settimana
Frequenza settimanale dei picchi iperglicemici
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prio «per valutare l’effetto delle scelte fatte e
per impostare eventuali variazioni della terapia», spiega Bonora.
Il concetto di variabilità glicemica. I picchi
postprandiali sono comunque tra gli elementi
che compongono la variabilità glicemica: ci
sono persone con diabete che hanno sempre
la glicemia alta ma senza grandi variazioni tra
un momento e l’altro della giornata, e persone
che invece esprimono una importante variabilità glicemica nel corso della giornata, soprattutto in occasione dei pasti.
«Indipendentemente dall’emoglobina glicata,
i diabetici con maggiore variabilità della glicemia dopo i pasti, nel tempo hanno una maggiore probabilità di sviluppare eventi cardiovascolari rispetto a quelli che mostrano una
maggiore stabilità dei valori glicemici e contenuti rialzi dopo i pasti», ricorda Bonora.
Importante per il paziente. «L’automonitoraggio è sempre più decisivo per il medico e
rimane importante per la persona con diabete», sottolinea Alberto De Micheli, «le glicemie
postprandiali sono quelle che il paziente può
controllare meglio, quelle che dipendono
maggiormente dalle sue scelte. Se sa ‘leggere’ i
dati dell’automonitoraggio, la persona con
diabete può davvero toccare con mano l’effetto dei consigli nutrizionali o di vita che gli
sono stati dati».
Per scegliere la terapia giusta. Per il medico
disporre di dati sull’autocontrollo significa
poter scegliere la terapia appropriata per quel
paziente. Il ventaglio delle scelte terapeutiche a
Quasi 3300 persone con diabete hanno misurato la
glicemia prima e dopo i tre pasti principali. L’80% ha
rilevato uno o più ‘picchi iperglicemici postprandiali’,
vale a dire differenze superiori a 40 mg/dl fra la lettura fatta prima e quella fatta due ore dopo il pasto.
Sul lungo termine i picchi iperglicemici sono associati al rischio cardiovascolare.
Lo studio ha rilevato che la frequenza dei picchi iperglicemici è molto alta anche nei pazienti che sembravano ‘andare bene con il diabete’, cioè con un
buon compenso glicemico espresso da un'emoglobina glicata inferiore al 7%.
(Progetto ‘Star’ Bonora et al, Diabetologia 2006)
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disposizione del medico
si sta ampliando con
l’introduzione di nuovi
farmaci orali.
«Sapere che un paziente
ha 7 o 8% di glicata non
aiuta troppo a capire
quale farmaco prescrivergli», illustra Bonora.
«Per ogni farmaco orale
ci sono pazienti che rispondono poco o nulla
alla terapia e altri che
rispondono con riduzioni anche del 2% o
più di emoglobina glicata. L’automonitoraggio aiuta moltissimo a
capire se la risposta al farmaco è adeguata e se
gli obiettivi glicemici sono raggiunti, comprese le glicemie preprandiali e postprandiali».
«Da ultimo, un accurato set di misurazioni,
non solo permette di prescrivere i farmaci
nella maniera più appropriata, ma aiuta anche
a mostrare al paziente come funzionano i farmaci e a fargli capire che con certi alimenti le
glicemie aumentano troppo o, al contrario,
che può permettersi di mangiare certi cibi perché la glicemia non ne risente più di tanto»,
ricorda Bonora. «Questo momento educativo
è molto importante perché quando si gestiscono malattie croniche il paziente deve essere
convinto della terapia che gli si chiede di
seguire e dell’importanza di un certo stile di
vita».
Alberto De Micheli,
diabetologo presso
l’Ospedale San Martino
di Genova è stato tesoriere
ed è consigliere nazionale
della Associazione
Medici Diabetologi.
LA VARIABILITÀ
La variabilità glicemica
indica la variazione delle glicemie all’interno della giornata e precisamente la quantità e l'ampiezza delle
escursioni glicemiche. I metodi proposti per la sua misurazione sono
diversi ma entro il 2008 si dovrebbe arrivare a una loro standardizzazione.
La variabilità glicemica è stata correlata al rischio cardiovascolare. Le
escursioni glicemiche possono avere diverse cause – il rimbalzo dopo
una ipoglicemia, un brusco rialzo della glicemia al mattino – ma la causa
più frequente è data dai picchi postprandiali, le variazioni glicemiche che
intercorrono dopo l’assunzione di alimenti contenenti carboidrati.
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