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PRIMO PIANO
Venerdì 29 Luglio 2016
Con l’intervento su Rocca Salimbeni gli eredi di Enrico Cuccia torneranno ad avere una banca
Mps finirà in mano a Mediobanca
È dal 2000 che piazzetta Cuccia è senza un suo istituto
DI
GIANNI CREDIT
D
unque Montepaschi finirà come Popolare di
Vicenza e Veneto Banca, salvo che al posto
di Atlante vi sarà un tandem
di banche d’affari: JPMorgan
e Mediobanca. Saranno loro
(come erano inizialmente impegnati a fare UniCredit sulla
Vicenza per 1,5 miliardi e Banca Imi su Veneto per un miliardo) che immetteranno in Mps
circa 5 miliardi, tanto si stima
il capitale fresco necessario a
reintegrare le perdite del programma di dismissione degli
Npl che zavorrano il gruppo
senese. Può darsi che qualche azionista singolo vecchio
o nuovo si affacci da subito
al «salvagente» MediobancaJPMorgan: ad esempio, non
sarebbe sorprendente vedere
le Generali far capolino, naturalmente una volta chiarita
(amichevolmente) la posizione di Axa, finora azionista del
Monte.
Nel frattempo, tuttavia,
la notizia sembra essere che
gli eredi di Enrico Cuccia
tornano ad «avere una banca»,
nel gergo dei Pci-Pds-Ds-Pd finora egemoni su Rocca Salimbeni. E sono più di vent’anni
che via Filodrammatici (solo
dal 2000 «Piazzetta Cuccia»)
«non ha più una banca». Per
la verità, fino al 1994 ne aveva
ben tre: le gloriose Bin (Comit,
Credit e Banca di Roma), che
fin dalla fondazione, nel 1946
erano azioniste di controllo,
ma soprattutto grandi polmoni di raccolta per obbligazioni
e certificati Mediobanca. Come
usava nel ventesimo secolo, la
convenzione che vincolava le
tre Bin a collocare prodotti di
raccolta Mediobanca era addirittura quarantennale. Le privatizzazioni hanno cambiato
tutto o quasi: il Credit (divenuto UniCredit e accorpato
con Banca di Roma divenuta
Capitalia) è l’unico rimasto fra
i tre storici pilastri, mentre la
Comit (prediletta da Cuccia)
è da tempo sparita in Intesa
Sanpaolo.
Dalla scomparsa del fondatore, seguita a ruota dalla
fuoriuscita del delfino Vincenzo Maranghi, l’Istituto è
impegnato nell’affannoso tentativo di «ri-avere una banca».
Due iniziative sono state alla
luce del sole, entrambe con
risultati non soddisfacenti.
Banca Italease (più virata sul
«corporate» evoluto) è stata
quotata da Piazzetta Cuccia,
ma lasciata nell’alveo consortile delle Popolari: nel quale
è disastrosamente affondata.
CheBanca! - invece - è stata
un tentativo strutturato di
aggredire il mercato della raccolta sulle orme di esperienze
avanzate come Ing o Fineco. I
risultati però, non sono ancora
arrivati. E sono ormai storia
lontana o recente le Popolari
che Mediobanca aveva messo
nel mirino con i pretesti più
diversi (un aumento di capitale o un salvataggio): Lodi o
Verona, Vicenza e Veneto, passando per l’Emilia-Romagna.
Per non parlare di UniCredit
stesso: di cui si è riparlato
perfino nelle ultime settimane, ma che sembra ormai destinato definitivamente negli
QUESTE AZIENDE
annali mitologici.
Invece Mps è reale, è quasi fatto. Ripulita dalle sofferenze (con l’aiuto di Atlante,
cui Mediobanca non ha aderito, e delle garanzie pubbliche
Gacs), Rocca Salimbeni è la
terza banca italiana, con una
buona presenza anche nella
aree più avanzate dell’economia-paese. Annientata la
proprietà municipale «dal
1472», Mediobanca rimane
un’entità molto radicata nella civiltà toscana: fu al Rotary
Club Firenze che Cuccia parlò,
forse l’unica volta in vita sua,
delle origini dell’Istituto. Toscano era Maranghi, toscane
molte delle famiglie nell’originario nocciolo duro dell’Istituto. Tanto può bastare, per
ora, sia al premier (toscano)
Matteo Renzi, quanto al suo
ministro dell’Economia Pier
Carlo Padoan (luogotenente
di Massimo D’Alema) e infine anche al presidente della
Bce, Mario Draghi, che nel
dissesto Mps ha sempre avuto
il suo tallone d’Achille, puntualmente sfruttato da tutti i
suoi avversari franco-tedeschi
a Francoforte.
P.S.: Scommettiamo volentieri che le azioni legali avviate da Mediobanca e partners
contro l’Opas vincitrice di Urbano Cairo su Rcs saranno
presto ritirate e dimenticate.
E chissà che non accada lo
stesso per la reazione legale
di Mediaset al ritiro dell’offerta d’acquisto su Premium
avanzata dal polo Vivendi del
finanziere francese Vincent
Bolloré.
IlSussidiario.net
CARTA CANTA
La Three di Angelucci
in rosso anche nel 2015
DI
R
Vira dal nero la rosso il bilancio di Bona Dea
Vira dal nero al rosso il bilancio di Bona Dea, holding di Piergiorgio Romiti, a causa della transazione
con un ex dirigente mentre è pesante per 8,5 milioni la
perdita della principale controllata industriale Errenergia, società che opera con diverse centrali (a Fraine,
oIra e Sonico) nel business delle rinnovabili, e perde
640mila euro anche l’altra controllata Lco (Le cliniche
odontoiatriche). Romiti ha assunto poche settimane fa
la presidenza di Bona Dea dopo le dimissioni di Paolo
Sabatini.
L’esercizio 2015 della
capogruppo si è chiuso con un disavanzo di
RAPPRESENTANO ANCHE IL 95% DELL’EXPORT
722mila euNessun dividendo per ro rispetto
all’utile di circa 1,3 milioni del 2014 e Bona
Dea ha deciso di aprire
un’altra linea di gestione
patrimoniale con Banca
le per le aziende a fronte di cospicui costi siano oggi insostenibili. Prima
Popolare dell’Emilia Rocontributi. Tale disattenzione si è ad- di Moretti, ricordiamo il ciclone Marmagna oltre a quelle già
dirittura manifestata per la mancata chionne.
in essere con Bnp PariBoccia ha espresso - da quando
implementazione di una federazione
bas Ip sgr, Fideuram Ispb
di scopo, più volte annunciata, che è Presidente - una posizione molto
e Unicredit che hanno in
avrebbe dovuto raccogliere tutti gli chiara, in particolare sul versante
carico asset finanziari
contratti e salari, posizione che pare
operatori del settore».
per 44,2 milioni. PeralQueste 67 aziende impiegano aver creato un’interlocuzione protro la holding di Romiti
nel loro complesso 4.500 dipendenti duttiva con i sindacati, tant’è che è
ha debiti verso banche
diretti, 15.000 operatori dell’indotto, della scorsa settimana l’intesa sulla
pari a 43 milioni, tutti
esprimono un valore della produzione contrattazione territoriale con Cgilcon gli stessi istituti di
di 1.500 milioni di euro e rappresenta- Cisl-Uil.
credito con cui sono attiCerto, o questa sarà seguita da un
no l’80% della produzione italiana di
ve le linee di gestione e 26
imbarcazioni e il 95% del valore delle accordo generale che lega in modo
milioni verso il socio che
esportazioni nel settore. È chiaro che forte le retribuzioni alla produttività
lo scorso anno ha erogato
per Vincenzo Boccia non è una bella aziendale, oppure prenderemo atto
un altro finanziamento di
che l’intesa sulla contrattazione ternotizia.
3 milioni. Tra le immobiNon si tratta evidentemente di un ritoriale è stato un modo per aggirare
lizzazioni finanziarie pari
fulmine a ciel sereno, ma l’uscita di il problema vero. Il punto, però, è che
a 22,3 milioni oltre ai
aziende di questo prestigio non fa na- le imprese evidentemente oltre al con12,3 milioni di valore di
turalmente bene all’immagine della tratto vogliono qualcos’altro dalla loro
carico di Errenergia e ai 6
Confindustria e apre qualche inter- rappresentanza il cui orizzonte, sul
milioni di Lco figurano tirogativo sul suo futuro. Già Mau- fronte datoriale, è molto più nebuloso
toli della Banca Popolare
ro Moretti tempo fa ha affermato che sul versante sindacale.
di Sondrio per un controTwitter @sabella_thinkin quanto le imprese abbiano bisogno di
valore di 4 milioni.
IlSussidiario.net
meno burocrazia e, a questo livello, i
© Riproduzione riservata
Ha abbandonato la Confindustria
l’80% della produzione nautica
DI
Q
GIUSEPPE SABELLA
ualche giorno fa, i principali
marchi della nautica italiana hanno comunicato la loro
dipartita da Confindustria.
«Una decisione - si è letto in una nota
- motivata dalla prolungata mancanza
di attenzione al comparto nautico da
parte della confederazione». Il gruppo
che esce ( e di cui fanno parte Apreamare, Azimut|Benetti, Baglietto,
Cantiere delle Marche, Cantieri di
Sarnico, Colombo, Gruppo Ferretti,
Maltese, Mase Generators, Mondomarine e cantieri di Pisa, Opem Sistemi,
Perini, Picchiotti, Tecnopool, Viareggio Superyacht, Vismara Marine)
rappresenta l’eccellenza del settore
e la scelta di uscire dall’Associazione degli Industriali è motivata «dalla
ormai prolungata mancanza di attenzione, servizi e dedizione strategica al
comparto nautico da parte di questa
Confindustria, che si limita a svolgere una attività di supporto sindaca-
ANDREA GIACOBINO
estano in rosso i conti delle due capogruppo lussemburghesi degli Angelucci, imprenditori sanitari ed editori fra l’altro del quotidiano Libero
e, da settembre prossimo, anche di Il Tempo.
Qualche giorno fa nel Granducato si è svolta l’assemblea
di Three, subholding della famiglia, che ha archiviato
l’esercizio 2015 con perdite per 12 milioni dopo i 14 milioni di rosso dell’anno prima. L’attivo di Three, pari a
270 milioni, vede partecipazioni in portafoglio per 266
milioni, tra cui il 98,4% del San Raffaele (91,3 milioni di valore di carico), il 93,6% della holding italiana
Finanziaria Tosinvest (34,2 milioni), il 100% di Roma
Global Service (47,4 milioni, svalutata anno su anno
di 11 milioni), il 93,6% di Tosinvest Real Estate (40,4
milioni), il 35% di Fund Alfa (15 milioni) e lo 0,007%
di Compagnia Aerea Italiana, residuo della costosa avventura degli Angelucci in Alitalia ai tempi del governo
Berlusconi, che li portò a detenere il 5,3%. Il rosso di
Three si è riflesso a monte nell’altra holding lussemburghese, Spa di Lantigos, che ha archiviato il 2015 in
perdita per oltre 23,7 milioni, che si aggiungono ai 2,8
milioni di passivo riportati da anni precedenti. In Spa
di Lantigos residuano fra gli attivi, pari a 162,4 milioni,
il 65% di Fund Alfa, il 6,3% di Finanziaria Tosinvest e
di Tosinvest Real Estate, oltre al 100% di Three.