Tratto da E invece io di Davide Grittani

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Transcript Tratto da E invece io di Davide Grittani

Tratto da E invece io di Davide Grittani (Robin Edizioni, coll. Robin&Sons
Ottobre 2016)
"Questa città si concede più spesso di quanto servirebbe... ".
(…) “Dottò sa come diciamo noi qui, che la processione si vede quando si
ritira!” È vero. Da queste parti dicono spesso così, ragione per cui il ritardo
epocale accumulato dalla processione attesa da questa gente è diventato uno
stile di vita. Sarà per questo che quaggiù aspettare equivale a muoversi. Sono
Alberto Arioli, cinquant'anni a breve. Vengo dalla campagna senza confini,
dall'alta Padania o bassa Lombardia. Dipende dal punto di osservazione, dalle
sfumature razziste. Abito in un dignitoso appartamento di novanta metri quadrati
in piazza Italia, nel Palazzo delle Statue: così lo chiamano tutti senza
particolare fierezza, nonostante sia una sontuosa espressione dell'architettura
razionalista, dalle mie parti ci porterebbero gli studenti in gita, qui ci
portano i cani a pisciare contro i muri. La mia stanza da letto affaccia su una
di esse, non ho mai capito chi sia questo omone che mi dà le spalle poggiato a
una specie di tronco, col culo scoperto tutto l'anno e un fisico, manco a dirlo,
statuario.
(…) C'è chi sostiene che mi sto innamorando della disperazione di questa città,
che sto confondendo la mia dentro la sua solitudine. Che mi sto rassegnando alla
sua rozzezza, che mi sento più attratto dalla sua dannazione che dalla sua
generosità. Sarà per questo che colleghi e amici, quei pochi lasciati a Pavia,
non mi chiamano quasi più, delusi da una metamorfosi così completa e
consapevole. Non so come spiegarlo, ma noi del Nord preferiamo avere notizie di
un Sud depresso, malinconico, arrangiato, volgare e arretrato, indicazioni
geopolitiche che automaticamente rendono «la vita che si fa su» nettamente
migliore, degna d'essere vissuta: informazioni di altro tenore, men che meno se
dovessero contenere un'ostentata serenità d'animo, non solo non vengono prese in
considerazione ma è come se interrompessero secoli di rassicuranti luoghi
comuni. Per cui l'ultima telefonata con Sandro Saccavini – veneto da sempre,
emigrato nel pavese per amore ma non senza orrore, collega che avevo lasciato
persino con qualche magone – è andata all'incirca così.
- L'altro giorno con la Giada vedevo la cartina, semmai un giorno volessimo
venirti a trovare, saranno ottocento chilometri da qui! E da Ancona in giù è
vero che l'autostrada diventa a due corsie? Ma come si fa, dai Alberto?
- Si fa che ognuno resta dov'è, si fa che non vieni affatto, brutta testa di
cazzo!
(…) Sono stato nelle budella di via Arpi, la vena aorta di questa città: la
strada più importante, fatalmente la più fragile. Sono sceso nelle grotte e
nelle strade chiuse al traffico, nei cui sottani pullula una straordinaria vita
da documentario: dove la passata di pomodoro si fa in casa, la premitura delle
olive avviene nei box improvvisati a frantoio, la carne si macella in autonomia.
Sono stato nelle periferie più inospitali, dove spacciano droga nelle carcasse
parcheggiate a tempo indeterminato in autodemolizioni che ai cancelli hanno
affisso «Non facciamo ricevute»; mi hanno fatto conoscere attività commerciali
allestite all'interno di appartamenti assegnati alla lotteria dell'Istituto case
popolari. Qui vige un codice comportamentale tutto sommato più nobile delle
dottrine da cui sono fuggito, nessuna pietà per il nemico ma nei momenti di
difficoltà non esistono avversari. In corso Cairoli un chiosco degno del mondo
visionario di Gàrcìa Màrquez vende birra al ghiaccio, nel senso letterale del
termine: crioconservata in lastre, come fosse un organo da trapiantare che in
attesa del suo nuovo corpo viene custodito con attenzioni fuori dal comune. E
lui, quello che si occupa di difendere questo fragile passato dall'aggressione
della modernità, mi fa «dottò, qua d'estate vendiamo sogni e d'inverno
aspettiamo di sognare». Due sole stagioni, come me. Che cosa ci divide, in
fondo. In cosa siamo diversi, se aspettiamo lo stesso tempo per farci le stesse
identiche cose? Questo Sud è più amaro e vero, più denso di quello ridicolizzato
nei film: per ampi tratti non è mai stato raccontato e questo lo rende, ancora
oggi, straordinariamente letterario. Questa città si concede più spesso di
quanto servirebbe, ragione per cui – negli anni – i suoi abitanti si sono via
via rassegnati a questa generosità. E, senza saperlo, hanno cominciato a non
meritarla più. Tratto da E invece io di Davide Grittani
(© Robin Edizoni, Torino – 2016)