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PRIMO PIANO
Giovedì 16 Giugno 2016
Francese, è ovvio. Ma non si sente chi difenderà quella italiana dall’aggressione del Ttip
Hollande difenderà l’agricoltura
Allarme della London School of Economics sulle camere arbitrali
DI MARIO LETTIERI*
E PAOLO RAIMONDI**
S
i sta facendo di tutto
affinché in Europa
la stessa politica e
la società civile non
siano in grado di esprimere
in modo sovrano e pacato
un giudizio consapevole
sul Transatlantic Trade and
Investment Partnership
(Ttip), il Trattato di libero
scambio tra Stati Uniti e
Unione Europea in cantiere
da ben tre anni.
Da una parte è stata
imposta una peculiare
quanto ingiustificata ed
intollerabile segretezza sui
documenti, sulle procedure
e sul contenuto del Trattato.
Dall’altra, avendo radicalizzato l’argomento e avendolo portato nelle piazze con
forti dimostrazioni, a volte
anche provocatoriamente
degenerate in scontri, si
tenta di etichettare come
«facinoroso» chiunque chiede chiarezza e vuole esprimere la sua democratica
opposizione.
Eppure, dal poco che è
trapelato, il Ttip potrebbe
avere un impatto profondo,
per alcuni anche devastante, sulle nostre produzioni,
soprattutto, ma non solo, nel
settore agricolo ed agroalimentare, sul nostro sistema
sociale di mercato e sul nostro commercio. I promotori vorrebbero la sua ratifica
prima della scadenza della
presidenza Obama, che ne
è stato uno dei grandi promotori. Hillary Clinton
lo ha già definito la nostra
‘Nato economica’.
Alcuni parlamentari
tedeschi hanno recentemente chiesto di visionare i
documenti presso il Ministero dell’Economia di Berlino.
Ne hanno fatto un resoconto
desolante. Si possono leggere alcuni documenti solo
sul computer in una stanza
controllata, per poche ore
senza consultazioni con altri e senza prendere appunti. Del materiale letto non
se ne può neanche parlare
pubblicamente.
E grave che il commissario europeo per il Commercio, Cecilia Malmström,
sostenga che la stesura del
trattato non sia di competenza dei parlamenti nazionali. L’obiettivo del Ttip
sarebbe la creazione della
più grande zona di libero
scambio commerciale del
pianeta, con circa 800 milioni di consumatori. Questa
rappresenterebbe quasi la
metà del Pil mondiale e un
terzo del commercio globale.
L’Ue è la principale economia e il maggior mercato
del mondo. In gioco, quindi, ci sono enormi interessi
economici. Ma in gioco c’è
François Hollande
anche il futuro delle relazioni politiche internazionali.
Non si tratta di mettere in
discussione il rapporto di
amicizia con gli Stati Uniti, ma la mancanza di trasparenza fa dubitare della
bontà dell’accordo.
Gli interrogativi che i
cittadini e gli operatori
economici, non solo italiani,
si pongono sono tanti. Gli
Usa usano gli ogm in agricoltura. Sarà anche l’Europa
costretta a introdurli nelle
sue coltivazioni? L’Italia ha
280 prodotti a denominazione d’origine protetta.
È il numero più grande in
Europa. Gli Usa li rispetteranno oppure avremo il ‘parmisan della Virginia’ o il ‘san
danny del Minnesota’?
Eventualmente venduti
anche nei nostri mercati?
Molti, anche negli Stai Uniti, credono che uno dei principali pericoli del Ttip sia la
possibilità che investitori
privati possano iniziare procedimenti legali e querele
milionarie contro gli Stati
in tribunali internazionali
d’arbitraggio. L’intenzione
positiva di proteggere l’interesse pubblico potrebbe
essere interpretata dalle
multinazionali come una
«limitazione dei profitti degli investitori stranieri», un
ostacolo al business e alla
libera concorrenza.
E’ molto importante notare che questa è anche la
maggior preoccupazione della
London School of Economics
che punta appunto il dito sulle camere arbitrali, i tribunati
istituiti dal Trattato. Nel suo
studio l’istituto inglese cita
come esempio una serie di
querele passate, come quelle
della Phillips Morris contro
l’Uruguay e l’Australia per
aver lanciato delle campagne
contro il fumo.
In Europa si sentono voci
di grande preoccupazione,
anche se ancora espresse
troppo sottovoce. Il governo
francese afferma che dirà
un forte no se il Trattato
dovesse mettere in discussione la struttura della sua
agricoltura.
Ci si augura che l’Italia
non si dica soddisfatta di
qualche generica garanzia
di rispetto del nostro ‘made
in italy’. Per il sistema
agroalimentare italiano, a
partire da quello del Sud, il
Trattato sarebbe esiziale.
La geopolitica ed il business
tout court non possono mortificare le prerogative democratiche e indisponibili dei
popoli e dei loro parlamenti,
a partire dal diritto alla conoscenza.
*già sottosegretario
all’Economia
**economista
© Riproduzione riservata
CARTA CANTA
Maxiriordino del settore immobiliare dei Benetton
DI
S
ANDREA GIACOBINO
i completa il maxiriordino
dei Benetton nel settore
immobiliare.
È stato infatti appena depositato il progetto di scissione parziale proporzionale di Edizione, capogruppo della dinastia di Ponzano
Veneto, in Edizione Property. Il progetto siglato da Gilberto Benetton,
presidente di Edizione, costituisce
«la fase conclusiva – si legge nel documento – del complessivo disegno di
riordino e razionalizzazione del ramo
d’attività immobiliare facente capo
ad Edizione».
Già avviato nel 2014, il piano è
proseguito nel 2015 attraverso la
scissione parziale proporzionale di
Benetton Group e le successive fusioni per incorporazione in Edizione
Property delle controllanti operanti
nel settore immobiliare (Benetton
Real Estate International, Immobiliare Italia e Realty Capri).
Ora l’ultimo tassello con l’attribuzione a Edizione Property di
beni immobili, aziende commerciali
e la partecipazione in Edizione Realty Czech, società proprietaria di un
immobile a Praga.
La scissione, spiega Benetton,
permette «di conseguire un ulteriore livello di razionalizzazione degli
assetti di governance» e di «concentrare nella beneficiaria i diversi assets afferenti il ramo immobiliare».
Le attività scisse hanno un valore
di 183 milioni di euro, comprendenti diversi immobili in carico per 180
milioni, siti in varie città d’Italia e
tutti ospitanti negozi Benetton.
La contropartita contabile dell’attivo espunto viene addebitata in Edizione per riduzione di 166,6 milioni del
patrimonio netto e crediti vedo fornitori per 16,1 milioni. Sono trasferiti
a Edizione Property anche i contratti
d’affitto dell’Isolato del Ridotto e del
Fondaco dei Tedeschi, due grosse proprietà a Venezia, di cui l’ultima oggetto
di un recente, imponente restauro.
Aumenta il debito
di Lactalis (Parmalat)
Cresce ancor di più l’ingente debito a monte del colosso alimentare
francese Lactalis Group, che controlla
Parmalat.
L’indebitamento registrato nei conti al 30 novembre scorso di Nethuns,
veicolo lussemburghese controllato
dalla famiglia Besnier e da Société
Générale, banca di riferimento degli
imprenditori francesi che detengono
il gruppo di Collecchio, è infatti salito
a oltre 2,17 miliardi di euro dai 2,1
miliardi dell’esercizio precedente.
C’è da osservare che dopo la chiusura del bilancio qualche settimana
fa è stata varata una ricapitalizzazione del veicolo da 100 mila euro a
un milione, con apporto in natura di
ulteriori 2,1 miliardi di crediti vantati da Société Gènérale Bank & trust,
che quindi risulta formalmente azionista unico. Nethuns, costituita nel
2006 con il solo oggetto sociale di finanziare le attività del gruppo Lactalis, ha recentemente riconfermato
nel cda Olivier Savary, dg e cfo del
colosso alimentare d’Oltralpe, nonché
consigliere di Lactalis Italia; mentre
l’uscente Régis Meister è stato sostituito da Marc Augier, nominato
presidente.
Il debito di Nethuns, composto
per 104,7 milioni da scadenze verso
banche inferiori a un anno e per 2
miliardi a lungo termine, è a fronte
di immobilizzazioni finanziarie pari
a 2 miliardi e comporta oneri per interessi di 70,1 milioni.
Il conto economico risente invece
positivamente di 47,5 milioni di interessi che Lactalis Italia paga sul
suo debito di oltre 700 mln verso la
lussemburghese, diminuiti tuttavia
dai 51,7 milioni incassati nel precedente esercizio. Nethuns ha chiuso il
bilancio con un miniutile di 414 mila
euro, riportato a nuovo.
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