Derivati: spunti sul nuovo principio contabile OIC

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Derivati: spunti sul nuovo principio contabile OIC XX in consultazione
Autore: Michele Giorni, C.F.O., inFinance
Categoria News: Principi contabili e bilancio
Il mese scorso, l’Organismo Italiano di Contabilità ha pubblicato la bozza del principio OIC XX
il cui scopo è identificare i criteri per la rilevazione, classificazione e valutazione degli strumenti
finanziari derivati, nonché le tecniche di valutazione del fair value di questi strumenti e le
informazioni che debbono essere presentate in nota integrativa (cfr. contenuti correlati).
Appare quindi opportuno delimitare il campo di applicazione di tale principio. Questo si applica
agli strumenti finanziari derivati, strumenti che possiedono le seguenti tre caratteristiche:
1. Il loro valore varia come conseguenza della variazione di un c.d. sottostante (che può
essere un tasso di interesse, il prezzo di una azione, il prezzo della merce ecc.);
2. Non richiede un investimento netto iniziale o richiede un investimento netto iniziale che
sia minore di quanto richiesto per altri tipi di contratti da cui ci si aspetterebbe una
risposta simile a cambiamenti di fattori di mercato;
3. E’ regolato a data futura.
In buona sostanza lo strumento derivato nasce con l’obiettivo precipuo di ridurre alcuni rischi
legati all’operatività dell’impresa (c.d. derivati di copertura). Tuttavia, l’evoluzione del mercato
finanziario ha condotto spesso ad un utilizzo distorto di tali strumenti finanziari che vengono
sottoscritti non più per ridurre il rischio d’impresa, ma per trarre profitto dall’acquisto e dalla
vendita di tali strumenti (c.d. derivati non di copertura). A tal proposito si segnala come la
classificazione tra derivato di copertura e non di copertura debba essere effettuata dall’impresa
all’inizio del rapporto: questo potrebbe rendere complesso avviare un successivo contenzioso
con l’istituto di credito. L’azienda infatti dichiarerà, ad esempio, che il derivato è classificato
quale non di copertura (dettagliatamente argomentando le ragioni in nota integrativa) e sarà più
complesso sostenere ex post tesi per le quali la controparte banca aveva rappresentato un
prodotto speculativo come di copertura.
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Il principio contabile introduce un elemento di novità assai interessante: tali strumenti debbono
essere obbligatoriamente iscritti nel bilancio. Questi vengono valutati al fair value, il prezzo che
si percepirebbe per la vendita di un’attività ovvero che si pagherebbe per il trasferimento di una
passività in una regolare operazione tra operatori di mercato alla data di valutazione.
E’ senza dubbio una innovazione di portata storica, in quanto finora le imprese che hanno
redatto i propri bilanci in ossequio ai principi contabili nazionali e hanno impiegato strumenti
finanziari derivati si muovevano in un contesto di incertezza, in quanto mancava una normativa
specifica per la contabilizzazione dei derivati in bilancio. I principi contabili italiani si
limitavano infatti a prevedere delle norme di dettaglio solo per alcuni casi: operazioni a termine
in valuta (OIC 26) e derivati con fair value negativo per i quali si prescriveva una iscrizione nei
fondi rischi (OIC 19).
Nel prosieguo una breve trattazione relativa alla contabilizzazione dei derivati di copertura. E’
noto infatti che tali strumenti vengono impiegati principalmente per ridurre la componente
aleatoria connessa:
A operazioni che si concluderanno nel futuro (es. importatore abituale che deve comprare
merce in dollari fra 6 mesi, pertanto decide di sottoscrivere un derivato).
Alla presenza di attività o passività in bilancio (es. magazzino di acciaio).
Per quanto concerne il primo caso, l’articolo 2426, comma 1, n. 11-bis, indica che
«le variazioni del fair value sono imputate […] se lo strumento copre il rischio di variazione dei
flussi finanziari attesi di un altro strumento finanziario o di un’operazione programmata,
direttamente ad una riserva positiva o negativa di patrimonio netto; tale riserva è imputata al
conto economico nella misura e nei tempi corrispondenti al verificarsi o al modificarsi dei flussi
di cassa dello strumento coperto o al verificarsi dell’operazione oggetto di copertura. Questo
modello prevede che le variazioni di fair value del derivato di copertura debbano essere
“congelate” in una specifica riserva di patrimonio netto, fino a quando l’operazione oggetto di
copertura non avrà effettiva manifestazione ed effetto sul conto economico aziendale. Solo e
soltanto in questo preciso momento la quota di fair value appostata momentaneamente nel
patrimonio netto verrà imputata a conto economico.
In relazione al secondo caso il codice civile prevede che: «gli elementi oggetto di copertura
contro il rischio di variazioni dei tassi di interesse o dei tassi di cambio o dei prezzi di mercato
o contro il rischio di credito sono valutati simmetricamente allo strumento derivato di
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copertura». La regola contabile vuole che, in questa situazione, le variazioni di fair value dello
strumento finanziario derivato vengano imputate a conto economico insieme alle variazioni di
fair value dell’oggetto coperto.
In tal senso si apre un tema di un certo rilievo: il magazzino quindi non va più valutato al
minore tra il costo e il valore di realizzo? Risposta negativa. Il criterio di valutazione non
cambia, tuttavia il valore finale del magazzino sarà influenzato dalle variazioni di fair value
della parte di magazzino oggetto di copertura.
Quanto ai derivati non di copertura (speculativi) il principio contabile li distingue ulteriormente
dai prodotti di copertura imponendo la diretta iscrizione a conto economico delle variazioni di
valore.
Si tratta in sintesi di modifiche sostanziali che hanno un impatto notevole sull’impresa, sui
risultati di esercizio, sui rapporti con gli stakeholders.
Ci si riferisce ad esempio ad una impresa che ha sottoscritto un derivato di copertura, il cui
valore viene iscritto nell’attivo circolante di stato patrimoniale nella voce C) III 5). La stessa
impresa aveva ottenuto in passato dei finanziamenti bancari ottenendo una garanzia statale (es.
Mediocredito Centrale) sulla base di un esame di specifici indici di bilancio tra i quali si
rinviene il rapporto Attivo circolante/Fatturato. Questo ratio viene largamente utilizzato non
solo nel mondo bancario, quale indicatore di efficienza. Ecco che l’introduzione dell’obbligo di
contabilizzare il fair value del derivato e dell’attivo coperto potrebbe incidere negativamente su
tale rapporto modificando lo scoring dell’impresa. Tali novità impongono al management di
pianificare ex ante gli eventuali impatti del nuovo sistema di contabilizzazione rivolgendosi
tempestivamente agli interlocutori bancari per ridefinire ed adeguare i classici strumenti di
valutazione al nuovo scenario contabile.
Il principio OIC XX è strettamente focalizzato sul tema derivati, intesi come strumenti che
vengono all’uopo generati per limitare un fattore di rischio che può incidere sull’attività
aziendale. Nella prassi esistono soluzioni operative che raggiungono lo stesso obiettivo del
derivato, senza però utilizzare lo specifico strumento. Si pensi infatti all’importatore che,
anziché sottoscrivere una opzione o un forward, decida di acquistare valuta con mesi d’anticipo
rispetto all’acquisto merce congetturato. Il risultato ottenuto è il medesimo che avrebbe prodotto
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il derivato: fissare il cambio. Tuttavia né il legislatore né l’Organismo Italiano Contabilità
sembrano al momento aver previsto alcunché per tali operazioni che nella sostanza sono
coperture sebbene nella forma non assumano la veste di contratti derivati.
Si pensi poi ad una operazione che vede un imprenditore stipulare un contratto di acquisto
merce con un prezzo prefissato, la cui consegna è prevista dopo 4 mesi. Tale operazione
parrebbe poter essere assimilata ad un contratto derivato. Il legislatore, nel Codice Civile, ha
intelligentemente previsto l’esclusione di questi contratti dall’obbligo di contabilizzazione a fair
value quando si verificano allo stesso tempo tre condizioni:
1. Il contratto viene concluso e mantenuto per soddisfare le esigenze di acquisto, vendita o
utilizzo delle merci della società;
2. Il contratto è destinato a questo scopo sin dall’inizio;
3. Il contratto ha esecuzione mediante consegna della merce (se anziché consegnare merce si
decide di onorare il contratto attraverso una corresponsione di denaro, si parla di contratto
derivato, con tutte le complicazioni che ne conseguono).
Infine alcune considerazioni in merito al calcolo del fair value dello strumento derivato. Il
principio contabile, nell’appendice B indica i criteri per la quantificazione di questo valore. Qui
sono descritte le tecniche di valutazione più appropriate, tra le quali si rinviene il metodo del
discounted cash flow (flussi di cassa scontati; il valore del derivato corrisponde, in base a questo
metodo, al valore attuale di tutti i flussi e deflussi finanziari generati dallo strumento, come se
fossero disponibili nel momento in cui si effettua la valutazione). Per applicare questi metodi è
necessario disporre di competenze specifiche che spesso non sono presenti in azienda. Il
connubio tra quanto previsto dal principio contabile e l’applicazione del regolamento EMIR (il
regolamento europeo che, in estrema sintesi, ha contribuito a generare una anagrafe europea dei
derivati) genera ulteriori perplessità. L’evidenza empirica mostra infatti come spesso l’impresa,
sottoscrivendo il contratto in ossequio al regolamento EMIR, affidi in toto alla banca il calcolo
del mark to market (fair value) del prodotto, sottoscrivendo accordi specifici in tal senso. Ci si
chiede quindi se tale valore possa essere o meno impiegato dall’impresa nella redazione del
bilancio senza disattendere i dettami del principio contabile che sembra imporre all’impresa di
eseguire valutazioni autonome. In tal senso si osserverebbe un paradosso ove (ammettendo che
l’impresa disponga delle necessarie competenze) l’impresa addivenisse ad una sua valutazione
divergente dal valore comunicato dalla controparte banca. Ove i valori fossero differenti, la
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scelta del dato da utilizzare si rivelerebbe un esercizio tutt’altro che semplice per
l’amministratore della società.
A parere di chi scrive, il framework del principio contabile appare ben strutturato, con l’esplicita
intenzione da parte di chi lo ha redatto di avvicinarsi nella forma e nella sostanza a quanto
previsto dai principi contabili internazionali. L’argomento riguarda una grande casistica di
operazioni e giocoforza non è possibile prevedere e normare ogni specifica situazione. In ogni
caso si è finalmente intervenuto su una materia che, nel passato, ha rappresentato una zona
grigia e ha generato una forte opacità in termini di rappresentazione della reale situazione
patrimoniale dell’impresa. Si auspica inoltre che questo obbligo di emersione di tali strumenti
nel bilancio rappresenti uno stimolo per molti managers ad operare scelte più oculate su tali
prodotti rispetto al recente passato.
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