12/1/2016 - Studio Ducoli

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QUADERN
/ MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Soci esteri di società
trasparente con
obbligo di UNICO
Nuove regole sui derivati con
impatto sui saldi iniziali al 1°
gennaio 2016
/ Salvatore SANNA
La partecipazione ad una società
trasparente da parte di un soggetto non residente implica l’assoggettamento a tassazione del reddito attribuito in Italia.
In merito, si è espressa la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n.
171 del 19 dicembre 2005, la
quale ha osservato che, secondo
l’art. 23, comma 1, lett. g) del
TUIR, il reddito c.d. “di partecipazione”, ossia quello prodotto dalle società trasparenti (viene citato il regime di cui all’art. 115 del
TUIR, ma sembra applicabile anche alle società di persone di cui
all’art. 5 del TUIR), deve essere
sempre assoggettato a tassazione in Italia.
Tale impostazione è coerente con
l’art. 7 del modello OCSE, che disciplina l’allocazione tra gli Stati
contraenti del diritto di imposizione con riferimento al reddito di
impresa, nei limiti in cui lo stesso
non trova una diversa regolamentazione in altre [...]
Le novità introdotte dal DLgs. 139/2015 devono essere applicate
retroattivamente
/ Fabrizio BAVA, Donatella BUSSO e Alain DEVALLE
Sono in vigore dal 1° gennaio 2016 le nuove regole per la rilevazione degli strumenti finanziari
derivati. Peraltro, le novità introdotte dal DLgs.
139/2015 hanno un impatto sulle riaperture dei
saldi iniziali al 1° gennaio 2016.
Infatti, il decreto legislativo prevede la possibilità di applicare prospetticamente alcune novità,
ma tra queste non vengono citate quelle relative
ai derivati. Il nuovo criterio di valutazione per i
derivati, disciplinato all’art. 2426 comma 1 n.
11-bis c.c., dovrà pertanto essere applicato retroattivamente, come se fosse utilizzato da
sempre, impattando quindi sui saldi iniziali.
In attesa dei documenti che verranno emanati
dall’OIC, è possibile comunque effettuare alcune considerazioni.
Con il DLgs. 139/2015 gli strumenti derivati
vengono spostati da “sotto la linea”, dove si collocano oggi, alle sezioni dell’attivo e del passivo dello Stato patrimoniale, distinguendo tali
strumenti secondo la loro funzione economica:
derivati di copertura e derivati di negoziazione.
In ogni caso, indipendentemente dalla tipologia,
il fair value del derivato sarà iscritto in bilancio,
A PAGINA 2
A PAGINA 3
INEVIDENZA
FISCO
In arrivo la procedura di allerta per l’emersione della
crisi d’impresa
Beni ai nipoti fuori dalle misure di prevenzione
patrimoniali
Ancora problemi per
l’invio delle spese
sanitarie
/ Savino GALLO
Il cessionario non può censurare il carattere “escluso”
dell’operazione
Prescrizione da quando cessa il rapporto anche per le
grandi aziende
ALTRENOTIZIE
tra le attività se positivo e tra le passività se
negativo.
L’introduzione della valutazione al fair value
degli strumenti finanziari derivati era da molti ritenuta opportuna al fine di migliorare in
modo significativo la qualità informativa dei
bilanci in un ambito particolarmente delicato.
Per ciò che concerne i derivati di copertura,
l’art. 2426 comma 1 n. 11-bis c.c. precisa che
“si considera sussistente la copertura in presenza, fin dall’inizio, di stretta e documentata correlazione tra le caratteristiche dello
strumento o dell’operazione coperti e quelle
dello strumento di copertura”.
Pertanto, è opportuno acquisire – qualora non
si sia già provveduto – la documentazione a
supporto del derivato.
Ad esempio, se l’impresa ha ottenuto un mutuo a tasso variabile e sottoscritto un derivato
(ad esempio un interest rate swap) per proteggersi dalle future variazioni dei tassi di interesse, occorre avere a disposizione sia la documentazione relativa al mutuo, sia quella relativa al derivato, per [...]
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A poco meno di tre settimane di distanza dalla scadenza del termine ultimo del 31 gennaio
2016 per la trasmissione, al Sistema tessera
sanitaria, delle prestazioni sanitarie erogate
nel corso del 2015, molti medici (e, di conseguenza, gli intermediari che li assistono) si
trovano ancora nell’impossibilità di esperire le
procedure preliminari all’invio delle comunicazioni.
Si tratta, nello specifico, di tutti quei medici (o
strutture sanitarie) che, anziché [...]
A PAGINA 6
ancora
IL CASO DEL GIORNO
Soci esteri di società trasparente con
obbligo di UNICO
Gli adempimenti dichiarativi sono sostanzialmente identici sia per le persone fisiche
residenti che per le persone fisiche non residenti
/ Salvatore SANNA
La partecipazione ad una società trasparente da parte di un
soggetto non residente implica l’assoggettamento a tassazione del reddito attribuito in Italia.
In merito, si è espressa la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 171 del 19 dicembre 2005, la quale ha osservato che,
secondo l’art. 23, comma 1, lett. g) del TUIR, il reddito c.d.
“di partecipazione”, ossia quello prodotto dalle società trasparenti (viene citato il regime di cui all’art. 115 del TUIR,
ma sembra applicabile anche alle società di persone di cui
all’art. 5 del TUIR), deve essere sempre assoggettato a tassazione in Italia.
Tale impostazione è coerente con l’art. 7 del modello
OCSE, che disciplina l’allocazione tra gli Stati contraenti del
diritto di imposizione con riferimento al reddito di impresa,
nei limiti in cui lo stesso non trova una diversa
regolamentazione in altre disposizioni convenzionali.
Se si ipotizza che il socio estero sia residente in uno Stato
che applica il principio della tassazione del reddito ovunque
prodotto (“worldwide principle of taxation”) da parte dei
soggetti residenti, tale reddito sarà imponibile sia in Italia
che nel Paese di residenza del contribuente.
Per eliminare la doppia imposizione che si viene a creare in
questo caso, occorre guardare alla convenzione stipulata tra
Italia e tale Paese estero. In questo documento, occorrerà verificare quale meccanismo conforme al modello OCSE viene utilizzato per eliminare la doppia imposizione internazionale.
Ad esempio, se questo soggetto ritrae redditi o possiede un
patrimonio che risultano imponibili in Italia, è possibile che
lo Stato estero consenta di portare in detrazione dall’imposta sul reddito di tale residente un ammontare pari alla
relativa imposta sul reddito pagata in Italia.
In nessun caso, tuttavia, tale detrazione potrà eccedere la
quota dell’imposta sul reddito o dell’imposta sul patrimonio,
calcolate prima che venga concessa la detrazione, che è
attribuibile rispettivamente al reddito o al patrimonio
imponibile in Italia.
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
Se il socio non residente è una persona fisica, il reddito di
partecipazione (anche se non riscosso) concorre a formare il
reddito complessivo ai fini IRPEF del periodo di imposta in
cui il reddito è stato prodotto. A tal fine, dovrà essere
compilato il modello UNICO PF utilizzando i dati risultanti
da un apposito prospetto rilasciato dalla società.
A questo proposito, si deve tenere presente quanto segue:
- dal reddito complessivo possono essere dedotti gli oneri di
cui alle lett. a), g), h), i) e l) del comma 1 dell’art. 10;
- spetta la detrazione di cui all’art. 14 comma 3 del TUIR nel
caso che la società abbia determinato il reddito d’impresa in
base all’art. 66 del TUIR (imprese minori);
- le perdite sono deducibili dal reddito complessivo, tranne
quelle delle società in nome collettivo o in accomandita semplice in contabilità ordinaria, che sono deducibili solo dai
redditi di impresa o di partecipazione in società in nome collettivo o in accomandita semplice;
- se la società ha tenuto la contabilità ordinaria, anche il socio non residente può portare in diminuzione dai redditi di
impresa e di partecipazione dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il quinto, la differenza tra l’ammontare delle perdite d’impresa o di partecipazione in società in nome
collettivo o in accomandita semplice (art. 8 comma 3 del
TUIR);
- spetta, pro quota, il credito di imposta, sui redditi prodotti
all’estero, nonostante l’art. 165 del TUIR non lo preveda
espressamente;
- è ammesso lo scomputo delle eventuali ritenute d’acconto
subite dalla società, nel rispetto dell’art. 22 comma 1 del
TUIR.
I redditi di partecipazione conseguiti da società o enti non residenti privi di stabile organizzazione in Italia sono assoggettati all’IRES in proporzione alla quota di partecipazione agli
utili, anche se detti redditi non sono stati in tutto o in parte
distribuiti. A tal fine, deve essere presentato il modello UNICO ENC, compilando il quadro RH.
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ancora
CONTABILITÀ
Nuove regole sui derivati con impatto sui
saldi iniziali al 1° gennaio 2016
Le novità introdotte dal DLgs. 139/2015 devono essere applicate retroattivamente
/ Fabrizio BAVA, Donatella BUSSO e Alain DEVALLE
Sono in vigore dal 1° gennaio 2016 le nuove regole per la rilevazione degli strumenti finanziari derivati. Peraltro, le novità introdotte dal DLgs. 139/2015 hanno un impatto sulle
riaperture dei saldi iniziali al 1° gennaio 2016.
Infatti, il decreto legislativo prevede la possibilità di applicare prospetticamente alcune novità, ma tra queste non vengono citate quelle relative ai derivati. Il nuovo criterio di valutazione per i derivati, disciplinato all’art. 2426 comma 1 n.
11-bis c.c., dovrà pertanto essere applicato retroattivamente, come se fosse utilizzato da sempre, impattando quindi sui
saldi iniziali.
In attesa dei documenti che verranno emanati dall’OIC, è
possibile comunque effettuare alcune considerazioni.
Con il DLgs. 139/2015 gli strumenti derivati vengono spostati da “sotto la linea”, dove si collocano oggi, alle sezioni
dell’attivo e del passivo dello Stato patrimoniale, distinguendo tali strumenti secondo la loro funzione economica:
derivati di copertura e derivati di negoziazione.
In ogni caso, indipendentemente dalla tipologia, il fair value del derivato sarà iscritto in bilancio, tra le attività se
positivo e tra le passività se negativo.
L’introduzione della valutazione al fair value degli strumenti finanziari derivati era da molti ritenuta opportuna al fine di
migliorare in modo significativo la qualità informativa dei
bilanci in un ambito particolarmente delicato.
Per ciò che concerne i derivati di copertura, l’art. 2426 comma 1 n. 11-bis c.c. precisa che “si considera sussistente la
copertura in presenza, fin dall’inizio, di stretta e documentata correlazione tra le caratteristiche dello strumento o
dell’operazione coperti e quelle dello strumento di
copertura”.
Pertanto, è opportuno acquisire – qualora non si sia già provveduto – la documentazione a supporto del derivato.
Ad esempio, se l’impresa ha ottenuto un mutuo a tasso variabile e sottoscritto un derivato (ad esempio un interest rate
swap) per proteggersi dalle future variazioni dei tassi di
interesse, occorre avere a disposizione sia la documentazione
relativa al mutuo, sia quella relativa al derivato, per
comprendere se sia di copertura (come emergerà in molti
casi) o se non sia di copertura (ad esempio perché il mutuo è
stato nel frattempo estinto anticipatamente, mentre il
derivato è ancora in essere).
Le imprese, inoltre, stanno ricevendo dal sistema bancario
un documento con l’indicazione del mark-to-market del derivato, che permette di verificare quale sia il valore dello strumento, attribuito dall’ente creditizio, alla data del 31 dicem/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
bre 2015. Lo stesso valore, se negativo, è anche individuabile nei prospetti della Centrale rischi.
Il nuovo n. 11-bis dell’art. 2426 comma 1 del codice civile
prevede che, nel caso di derivati di copertura di flussi finanziari (esempio IRS a copertura di un debito a tasso
variabile), il fair value del derivato di copertura, sia esso negativo o positivo, trovi iscrizione nello schema di Stato patrimoniale come attività (voci “B.III.4 - Strumenti finanziari
derivati attivi” e “C.III.5 - Strumenti finanziari derivati attivi”) o come passività (voce “B.3 - Strumenti finanziari derivati passivi”, all’interno dei fondi per rischi e oneri). La contropartita è una riserva di patrimonio netto (voce “A.VII Riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari
attesi”).
Se, quindi, dall’analisi della documentazione emerge che il
derivato in essere al 31 dicembre 2015 è di copertura di flussi finanziari, in sede di riapertura dei conti (1° gennaio 2016)
è necessario far emergere il suo fair value (attivo o
passivo).
Ad esempio, qualora il fair value del derivato sia positivo di
1.000, appare ragionevole rilevare al 1° gennaio 2016:
- in dare, lo strumento finanziario derivato attivo (C.III.5)
per 1.000;
- in avere, la riserva per operazioni di copertura di flussi
finanziari attesi (A.VII) per 1.000.
La riserva non è distribuibile e non può essere utilizzata per
la copertura delle perdite.
Nel caso in cui, invece, il fair value del derivato sia negativo
di 600, si avrebbe una riduzione del patrimonio netto della
società. La scrittura contabile, al 1° gennaio 2016, evidenzia:
- in dare, la riserva per operazioni di copertura di flussi finanziari attesi (A.VII) per 600;
- in avere, la strumento finanziario derivato passivo (B.3) per
600.
La riserva presenta un saldo dare ed è irrilevante ai fini del
conteggio della perdita del capitale sociale.
Qualora, invece, il derivato al 31 dicembre 2015 non sia di
copertura, il fair value negativo, secondo i principi contabili
OIC, deve trovare già la sua iscrizione nel fondo rischi ed
oneri e, pertanto, potrebbe non essere necessario effettuare
alcuna scrittura contabile al 1° gennaio 2016.
L’impresa però potrebbe avere diversi derivati non di copertura. Si ipotizzi, ad esempio, un’impresa che ha un derivato
non di copertura il cui fair value è positivo di 100 e un altro
derivato non di copertura il cui valore è negativo di 150. La
società deve iscrivere al 31 dicembre 2015 un fondo rischi
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ancora
per un valore complessivo di 150, mentre il derivato con fair
value positivo, per il principio di prudenza, non determina
alcuna rilevazione contabile.
Dal 1° gennaio 2016, la società deve tenere separati i due
derivati, che troveranno quindi una differente collocazione:
quello positivo tra le attività e quello negativo tra i fondi
rischi ed oneri, come strumento finanziario derivato passivo
(quest’ultimo già iscritto a fine 2015).
La rilevazione del derivato attivo precedentemente non
iscritto rappresenta un cambiamento di criterio. A nostro
avviso, considerata l’eliminazione dell’area straordinaria dal
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
Conto economico, appare ragionevole che la contropartita
possa essere una riserva di patrimonio netto, non distribuibile, stante il dettato del n. 11-bis dell’art. 2426 comma 1
c.c., secondo cui ”non sono distribuibili gli utili che derivano dalla valutazione al fair value degli strumenti finanziari
derivati non utilizzati o non necessari per la copertura”.
Si attendono le indicazioni dell’OIC in merito alla verifica
dei requisiti per qualificare come derivati di copertura gli
strumenti finanziari sottoscritti fino al 31 dicembre, nonché
per la gestione della transizione.
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ancora
IMPRESA
In arrivo la procedura di allerta per
l’emersione della crisi d’impresa
È previsto un ruolo attivo dei sindaci e revisori, nonché dell’Agenzia delle Entrate e
degli enti previdenziali
/ Michele BANA
L’art. 4 dello schema di “Disegno di legge delega recante la
riforma e il riordino delle procedure concorsuali”, elaborato
dalla Commissione istituita dal Ministero della Giustizia,
stabilisce che devono essere introdotte “procedure di allerta e mediazione”, di natura non giudiziale e confidenziale,
finalizzate ad incentivare l’emersione della crisi e ad
agevolare lo svolgimento di negoziati assistiti tra debitore e
creditori.
In primo luogo, è prevista l’attribuzione della competenza a
un’apposita sezione specializzata degli organismi di composizione della crisi (L. 3/2012 e DM 202/2014).
Sul punto, il CNDCEC ha evidenziato la necessità di
ridefinire la procedura in termini di “allerta e composizione
negoziale della crisi”, in quanto le funzioni dei predetti
organismi non sono esclusivamente conciliative, ma si
esplicitano anche nella consulenza e nella redazione delle
attestazioni, nonché nella liquidazione del patrimonio del
debitore (si veda l’audizione del 2 dicembre 2015).
È, inoltre, posto a carico degli organi di controllo societari
e del revisore legale l’obbligo di avvisare immediatamente
l’organo amministrativo della società dell’esistenza di fondati indizi della crisi e, in caso di omessa o inadeguata risposta,
di informare direttamente il competente organismo di composizione della crisi.
A questo proposito, il CNDCEC ha osservato che la vigente
legislazione già contempla meccanismi idonei a segnalare situazioni di difficoltà. In particolare, i commercialisti hanno
evidenziato che viene esternalizzato un meccanismo di
emersione della crisi che non ha bisogno di essere portato al
di fuori della società.
Tale sistema di allerta è, infatti, già declinato nella legge (codice civile e TUF): la corretta osservanza dei precetti di legge da parte degli organi di controllo consentirebbe di intercettare tempestivamente segnali di crisi ovvero i c.d. sintomi di pre-crisi, risolvendo con flussi informativi e provvedimenti adeguati alla realtà imprenditoriale, dunque con rimedi esclusivamente endosocietari, il pericolo d’insolvenza.
Nella ridefinizione di una procedura di allerta, l’organo di
controllo potrebbe costituire un valido interlocutore per
l’organismo di composizione della crisi ogni qualvolta un
creditore qualificato (Agenzia delle Entrate, INPS,
concessionario per la riscossione, ecc.) segnali all’organismo
il perdurare di inadempimenti di importo rilevante, fermo
restando il riconoscimento in capo all’organo di controllo di
attivarsi autonomamente presso l’organismo.
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
Il CNDCEC ritiene pure opportuna la previsione di uno specifico criterio direttivo in base al quale l’organo di controllo
e l’incaricato della revisione legale – che tempestivamente si
attivino nei confronti dell’organo di amministrazione e, ricorrendone i presupposti, presso l’organismo di composizione della crisi – possano fruire di esimenti nella valutazione
di responsabilità de futuro.
Esimenti per l’organo di controllo
L’organismo di composizione della crisi, a seguito delle segnalazioni ricevute o su istanza del debitore, dovrà convocare immediatamente, in via riservata e confidenziale, il debitore medesimo nonché, ove si tratti di società dotata di organi di controllo, anche questi ultimi, al fine di individuare nel
più breve tempo possibile – previa verifica della situazione
patrimoniale, economica e finanziaria in essere – le misure
idonee a porre rimedio allo stato di crisi. L’organismo di
composizione della crisi, su istanza del debitore, anche
all’esito della predetta audizione, deve affidare ad un mediatore scelto tra soggetti di adeguata professionalità nella
gestione della crisi d’impresa, iscritti presso l’organismo
stesso, l’incarico di addivenire ad una soluzione concordata
della crisi tra debitore e creditori, entro un congruo termine,
prorogabile solo a fronte di positivi riscontri delle trattative.
Qualora tale obiettivo non si riveli perseguibile, il CNDCEC
ritiene che debba comunque essere previsto un esito della
procedura di composizione, mediante l’adozione di un criterio generale in base al quale l’organismo di composizione
segnali i fatti al Tribunale competente, affinché
quest’ultimo si attivi per la convocazione del debitore.
L’art. 4 dello schema di disegno di legge delega riconosce
altresì il diritto del creditore di richiedere al giudice l’adozione, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, delle misure protettive necessarie per condurre a termine i negoziati in corso, disciplinandone durata, effetti, regime pubblicitario, competenza ad emetterle e revocabilità, anche d’ufficio in caso di atti in frode ai creditori.
È pure prospettata la previsione di misure premiali per
l’imprenditore che ricorra tempestivamente alla procedura e
ne favorisca l’esito positivo, e misure sanzionatorie per
l’imprenditore che ingiustificatamente la ostacoli o non vi
ricorra, pur in presenza dei relativi presupposti, compresa
l’introduzione di un’ulteriore fattispecie di bancarotta
semplice ai sensi degli artt. 217 e 224 del RD 267/42.
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ancora
FISCO
Ancora problemi per l’invio delle spese
sanitarie
Il Sistema tessera sanitaria non riconosce gli indirizzi PEC degli studi associati e non
consente di completare la delega alla trasmissione dei dati
/ Savino GALLO
A poco meno di tre settimane di distanza dalla scadenza del
termine ultimo del 31 gennaio 2016 per la trasmissione, al
Sistema tessera sanitaria, delle prestazioni sanitarie erogate
nel corso del 2015, molti medici (e, di conseguenza, gli
intermediari che li assistono) si trovano ancora
nell’impossibilità di esperire le procedure preliminari
all’invio delle comunicazioni.
Si tratta, nello specifico, di tutti quei medici (o strutture sanitarie) che, anziché inviare da soli i dati al Sistema (previa
abilitazione personale), hanno deciso di demandare tale onere ad uno studio professionale associato. Si ricorda, infatti,
che una volta ottenuta l’abilitazione al Sistema, il medico
può conferire la delega al trasferimento dei dati ad un
professionista. Quest’ultimo, una volta ricevuta la delega del
medico, tramite PEC, dovrà inviare a sua volta una richiesta
di abilitazione all’invio delle comunicazioni, firmata
digitalmente e trasmessa (sempre tramite PEC) alla
Ragioneria generale dello Stato (si veda “Entro fine mese
l’invio delle spese sanitarie” del 6 gennaio).
Ma, se il delegato è uno studio associato, l’operazione diventa un po’ più complessa, anzi, al momento, infattibile. Per
poter delegare un professionista, infatti, bisogna comunicare
l’indirizzo PEC dell’intermediario, che poi il Sistema tessera sanitaria, attraverso il portale INI-PEC (l’indice nazionale
degli indirizzi di posta elettronica certificata di professionisti e imprese), provvederà a verificare tramite l’abbinamento al relativo codice fiscale.
Il problema, però, denunciato ieri dall’ANC tramite una lettera inviata alla Direttrice generale del Dipartimento delle
Finanze, Fabrizia Lapecorella, e alla Direttrice dell’Agenzia delle Entrate, Rosella Orlandi, è che dall’indice nazionale INI-PEC “sono esclusi gli indirizzi PEC degli studi pro-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
fessionali associati, la cui gestione non è attualmente
contemplata”.
Di conseguenza, anche se si tratta di un soggetto regolarmente abilitato all’attività di trasmissione Entratel, il Sistema tessera sanitaria segnala l’errore e non consente di
completare la procedura di acquisizione della delega, poiché
non trova corrispondenza tra il codice fiscale e l’indirizzo
PEC dell’intermediario.
“Siamo alle solite – spiega Marco Cuchel, Presidente
dell’Associazione sindacale –. Si licenziano delle procedure senza prima testarle né prevedere quali possano essere
le possibili ricadute. Quella riguardante il mancato incrocio
degli indirizzi PEC degli studi associati con il codice fiscale
era un’anomalia che poteva tranquillamente essere prevista
prima ed evitata, invece, siamo ancora una volta costretti a
denunciare una problematica che si ripercuote sul lavoro dei
professionisti, come tutto ciò che avviene in ambito fiscale”.
Già, perché non essere ancora in possesso delle delega per
l’invio dei dati da inserire nella dichiarazione precompilata
costringerà inevitabilmente i professionisti a trasmettere le
comunicazioni in tempi più ristretti, con tutto ciò che ne
consegue in termini di potenziali errori ed esposizione alle
relative sanzioni (100 euro per ogni comunicazione errata,
omessa o tardiva).
Per questo, con la lettera inviata ieri, l’ANC chiede alle istituzioni preposte di farsi subito carico della questione e risolvere l’anomalia. Due, secondo l’Associazione, le strade
percorribili: includere anche gli indirizzi PEC degli studi
associati nel portale INI-PEC, oppure fare in modo che il
Sistema riconosca l’intermediario abilitato attraverso
l’incrocio del codice fiscale non con l’indirizzo PEC, ma con
l’identificativo Entratel del professionista delegato.
/ 06
ancora
IMPRESA
Beni ai nipoti fuori dalle misure di
prevenzione patrimoniali
La Suprema Corte sottolinea come potrebbe essere necessario provare l’intestazione
fittizia anteriore alla morte del soggetto “pericoloso”
/ Maurizio MEOLI
La Cassazione, nella sentenza n. 579, depositata ieri, si sofferma su importanti profili delle sempre più diffuse misure
di prevenzione patrimoniali ex DLgs. 159/2011. Tale decreto consente sequestro (e confisca) dei beni di cui dispongono, direttamente o indirettamente, taluni soggetti “pericolosi”, quando il loro valore risulti sproporzionato al reddito
dichiarato o all’attività economica svolta ovvero quando,
sulla base di sufficienti indizi, si abbia motivo di ritenere che
gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il
reimpiego (cfr. artt. 1, 4, 20 e 22 del DLgs. 159/2011).
Ai sensi dell’art. 18 comma 2 del DLgs. 159/2011, inoltre, le
misure di prevenzione patrimoniali possono essere disposte
anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. In tal caso il procedimento “prosegue” nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. In base al
comma successivo, poi, il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere “iniziato” anche in caso di morte del
soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la
confisca; in tal caso la richiesta di applicare la misura può
essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale
o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso.
Rispetto a tale dato normativo, la Suprema Corte sottolinea
che l’individuazione di “erede” o “successore universale”
può avvenire solo secondo le regole del codice civile, senza
alcuna possibilità di attribuire rilievo a nozioni di erede o di
successore “di fatto”. Ciò, di contro, era quanto faceva il
Tribunale nel caso di specie; in assenza di testamento e in
presenza di figli del soggetto pericoloso, infatti, si applicava
la misura anche a taluni nipoti del defunto ai quali i beni
erano stati “girati” in vita per sfuggire alle conseguenze di
un procedimento per associazione mafiosa.
L’ampliamento della possibilità di “apprendere” i beni di cui
sia titolare, o di cui abbia la disponibilità (anche attraverso
interposta persona), colui che decede mentre è in corso la
procedura di valutazione della proposta di misura di prevenzione patrimoniale ovvero chi è deceduto nei cinque anni
precedenti, con il coinvolgimento di eredi e successori a titolo universale o particolare, costituisce una disposizione eccezionale. Infatti, il venir meno di tale soggetto – la cui pericolosità sociale, seppure incidentalmente valutata, costituisce il
presupposto logico e di fatto della successiva apprensione –
determina una situazione connotata da ampi margini di discrezionalità che sono propri del ruolo del legislatore e delle
scelte di merito ovvero di equilibrio o di opportunità che
solo a lui competono e, quando immuni da manifesta
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
irrazionalità, si sottraggono anche a censure di legittimità
costituzionale.
Pertanto, l’esito del concreto bilanciamento tra le esigenze di
sottrarre comunque al libero mercato beni caratterizzati da
un’illiceità originaria di acquisizione, di stabilire il momento
in cui ciò può accadere (introducendo un limite alle esigenze
di certezza proprie delle regole della circolazione dei beni) e
di individuare i soggetti, diversi dal proposto/pericoloso, cui
tali beni possono comunque essere sottratti, costituisce una
soluzione vincolante per l’interprete, che esclude il ricorso
all’analogia.
A fronte di ciò, occorre tenere distinti due profili: l’individuazione dei soggetti nei confronti dei quali può essere proseguita o iniziata la procedura di misura di prevenzione patrimoniale; la possibilità che alcuni dei beni che potrebbero
rientrare nel patrimonio dei primi siano in concreto “impropriamente” a disposizione di terzi. Tali aspetti problematici
non sono da risolvere estendendo la nozione di eredi ai
secondi, ma verificando la possibilità di coinvolgere nella
procedura – che può essere diretta nei confronti di eredi,
successori a titolo universale o particolare che tali siano per
il codice civile – soggetti terzi che gestiscano in fittizia
autonomia i beni in realtà riconducibili al defunto, in ragione
di atti dispositivi (di fittizia intestazione o trasferimento)
che, ai sensi dell’art. 26 del DLgs. 159/2011, possano essere
dichiarati nulli. Vale a dire che la proposta procedura di
misura di prevenzione patrimoniale deve proseguire o
iniziare solo nei confronti dei soggetti specificamente
indicati, ma, all’interno di tale procedura, possono essere
prese in considerazione le posizioni dei beni fittiziamente
intestati o trasferiti che dovrebbero rientrare nell’ambito del
patrimonio degli eredi per essere poi, ricorrendone le
condizioni, confiscati.
La Suprema Corte, inoltre, precisa che, alla luce di analoghe
considerazioni, qualora – pendendo una procedura del tipo in
questione nei confronti degli eredi – dovessero emergere, nel
corso dello svolgimento di attività proprie delle funzioni
dell’amministratore giudiziario nominato dopo un decreto di
sequestro emesso nell’ambito di una precedente proposta, ulteriori beni suscettibili di sequestro e confisca, si determina
la pendenza di un autonomo e distinto procedimento di prevenzione al quale si applica autonomamente il termine quinquennale. E, quindi, questo termine non può che essere inteso come perentorio e tale perentorietà non può che essere
legata al singolo bene.
/ 07
ancora
FISCO
Il cessionario non può censurare il carattere
“escluso” dell’operazione
La Provinciale di Reggio Emilia applica puntualmente i principi della Cassazione: il
cessionario non è “poliziotto del Fisco”
/ Alfio CISSELLO
Ai sensi dell’art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97, la presenza
di un obbligo di regolarizzazione del cessionario/committente non significa che questi, ricevuta la fattura dal
cedente/prestatore, debba sindacare le valutazioni giuridiche
da esso effettuate.
Infatti, il cessionario/committente non è il soggetto passivo
d’imposta, per cui può censurare unicamente la regolarità
formale della fattura, mentre ciò “non esige invece il
controllo sostanziale della corretta qualificazione fiscale
dell’operazione”.
Nel caso di specie, la Commissione tributaria provinciale di
Reggio Emilia, con la sentenza n. 486 dello scorso 2 dicembre, ha ritenuto che non rientra nell’obbligo di regolarizzazione la mancata applicazione dell’IVA ad opera del cedente/prestatore.
Si trattava di un’operazione ritenuta, a torto o a ragione,
esclusa dall’ambito oggettivo dell’imposta per effetto
dell’art. 15 del DPR 633/72.
Il ragionamento dei giudici reggiani è in piena sintonia con
l’orientamento, pressoché costante, della Corte di Cassazione: così essa ha deciso, tra l’altro, nel caso della presunta
non imponibilità dell’operazione (Cass. 12 dicembre 2014 n.
26183).
Relativamente alla fattispecie concernente l’applicazione
dell’aliquota IVA, la Suprema Corte ha evidenziato che rientra nel sindacato del cessionario/committente l’applicazione
dell’aliquota sulla base, come menzionato prima, di un “esa-
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
me formale” della fattura (cfr. Cass. 21 luglio 2015 n.
15302).
Ergo: se l’individuazione dell’aliquota presuppone valutazioni giuridiche, queste spettano al cedente/prestatore, e non
di certo al cessionario/committente.
Discorso opposto per la detrazione
Come già osservato da più parti, il cessionario/committente
non deve, e nemmeno potrebbe, trasformarsi in “poliziotto
del Fisco”.
Il discorso, rimanendo nella sfera giuridica del
cessionario/committente, cambia in maniera radicale ove il
cedente/prestatore, sempre a causa di un errore, abbia applicato in fattura un’aliquota superiore, o abbia applicato
l’IVA in merito ad un’operazione esente, non imponibile o
esclusa.
Egli, nella situazione da ultimo descritta, è, sotto ogni aspetto, soggetto passivo d’imposta in quanto deve
legittimamente esercitare la detrazione, quindi recuperare il
tributo addebitato in rivalsa.
Secondo consolidata giurisprudenza, il cessionario/committente è tenuto a verificare, con tutte le valutazioni giuridiche del caso, la detraibilità dell’imposta, che non spetta se
l’IVA è addebitata per errore (si veda “IVA a detrazione
limitata se l’aliquota in fattura è errata” del 13 agosto 2014).
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ancora
LAVORO & PREVIDENZA
Prescrizione da quando cessa il rapporto
anche per le grandi aziende
Il Tribunale di Milano estende il regime sulla decorrenza della prescrizione dei crediti
retributivi applicato ai datori di lavoro non soggetti all’art. 18
/ Luca NEGRINI
Il Tribunale di Milano, con una sentenza del 16 dicembre
2015, decidendo su una richiesta di differenze retributive, si
è pronunciato sull’eccezione di prescrizione proposta
dall’azienda convenuta, affermando che, dopo le modifiche
apportate dalla L. 92/2012 alla disciplina sui licenziamenti,
anche nelle aziende sopra i quindici dipendenti il termine di
prescrizione quinquennale dei crediti retributivi decorre solo
dalla cessazione del rapporto di lavoro, perché la nuova
disciplina dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori non
garantisce più la reintegrazione del lavoratore ingiustamente
licenziato.
Secondo il giudice di Milano, dal momento che oggi l’art. 18
della L. 300/1970 prevede al quinto comma una serie di ipotesi in cui viene riconosciuta solo una tutela di tipo indennitario in caso di illegittimità del licenziamento, senza
possibilità di reintegrazione, anche nelle aziende di più
grandi dimensioni i lavoratori sarebbero indotti a non far
valere le proprie ragioni durante il rapporto nel timore di
essere ingiustamente licenziati.
Viene così esteso il regime sulla decorrenza della prescrizione finora applicato ai datori di lavoro non soggetti all’art.
18 della L. 300/1970, per i quali la prescrizione decorreva
solo dalla cessazione del rapporto di lavoro dopo che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 63 del 10 giugno 1996,
aveva dichiarato la parziale incostituzionalità dell’art. 2948
n. 4 c.c. e dell’art. 2965 n. 1 c.c., limitatamente alla parte in
cui consentiva che la prescrizione del diritto decorresse durante il rapporto di lavoro.
Per le aziende soggette all’art. 18 la stessa Consulta, con la
sentenza 12 dicembre 1972 n. 174, aveva escluso la
sospensione del decorso della prescrizione in costanza di
rapporto, dal momento che la tutela riconosciuta in materia
di licenziamenti garantiva al lavoratore la stabilità, così da
consentirgli di esercitare i propri diritti anche durante il
rapporto. Nella motivazione la Corte Costituzionale
sottolineava come “una vera stabilità non si assicura se
all’annullamento dell’avvenuto licenziamento non si faccia
seguire la completa reintegrazione nella posizione giuridica
preesistente fatta illegittimamente cessare”.
Dal momento che oggi l’art. 18 prevede la reintegrazione solo nelle ipotesi più gravi, non garantendo più il ripristino del
rapporto in tutte le ipotesi di illegittimità del licenziamento,
effettivamente, applicando alla lettera i principi affermati
/ EUTEKNEINFO / MARTEDÌ, 12 GENNAIO 2016
dalla Corte Costituzionale nel 1972, non si può che convenire con la conclusione cui è pervenuto il giudice milanese, ritenendo che anche per i lavoratori dipendenti da imprese di
grandi dimensioni esista il timore di essere licenziati per
ritorsione e che, di conseguenza, sia ragionevole non far
decorrere la prescrizione durante il rapporto di lavoro.
Il principio affermato è però destinato in concreto ad avere
un effetto dirompente, aggravando i rischi cui possono essere esposte le aziende, venendo meno quel limite di cinque
anni che era destinato a contenere gli effetti di pretese avanzate dal lavoratore a distanza di tempo, magari proprio in occasione della cessazione del rapporto. In altre parole, quella
maggiore garanzia di certezza sulle conseguenze
dell’eventuale illegittimità del licenziamento, cui mirava la
riforma dell’art. 18 del 2012, rischia di tradursi in maggiori
incertezze dal punto di vista retributivo.
Analogo discorso vale a maggior ragione per i rapporti di lavoro sorti dopo il 7 marzo 2015, come tali soggetti alla nuova disciplina sul contratto a tutele crescenti prevista dal
DLgs. 23/2015, dal momento che per questi contratti a
tempo indeterminato la tutela sul licenziamento nella
maggior parte delle ipotesi è di tipo indennitario, come per il
nuovo art. 18 della L. 300/1970, con misure di indennizzo
ancora più basse almeno nei primi anni di lavoro.
Forse, per cercare di salvare il decorso della prescrizione in
costanza di rapporto di lavoro, si potrebbe far leva sul fatto
che sia il primo comma dell’art. 18 della L. 300/70, anche
dopo la riforma del 2012, sia il primo comma dell’art. 2 del
DLgs. 23/2015 prevedono la reintegrazione nelle ipotesi di
nullità del licenziamento. Di conseguenza il lavoratore ha
diritto al ripristino del rapporto quando sia stato licenziato
per ragioni ritorsive, ipotesi che ricorre senz’altro quando il
lavoratore venga licenziato per aver avanzato pretese retributive in costanza di rapporto di lavoro.
Una disciplina, tra l’altro, che vale per tutte le aziende,
anche quelle che non superano i quindici dipendenti, il che
consentirebbe di affermare il decorso della prescrizione in
costanza di rapporto di lavoro per tutti i datori di lavoro.
Certo il susseguirsi di novità in tema di licenziamento ha
creato una situazione di incertezza sul decorso della
prescrizione che rende opportuno, se non un intervento
normativo, quanto meno una nuova pronuncia della Corte
Costituzionale che faccia chiarezza.
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ancora
FISCO
Accertamento catastale nullo se manca la
delega di firma
Ma la Cassazione “dimentica” che in tal caso la tesi non ha un fondamento normativo
/ Alessandro BORGOGLIO
L’accertamento catastale è nullo se, a fronte dell’eccezione del contribuente, l’Ufficio non esibisce la delega di firma
in forza della quale il funzionario ha sottoscritto l’atto impositivo al posto del capo dell’Ufficio. È quanto stabilito dalla
Cassazione con la sentenza n. 23871/2015.
Al centro dei fatti di causa vi è un avviso di accertamento catastale, con il quale l’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate-Territorio aveva rideterminato la categoria catastale di
un immobile, in rettifica di quella dichiarata dal
contribuente, attribuendo la relativa rendita.
Al di là delle questioni di merito, non rilevanti in questa sede, era stata altresì sollevata l’eccezione circa il difetto di
sottoscrizione dell’atto, atteso che lo stesso risultava firmato
non dal capo dell’ufficio che lo aveva emesso, ma dal funzionario responsabile del Settore Gestione banche dati di tale ufficio. A fronte della richiesta di esibizione della delega
per la sottoscrizione dell’atto impositivo, però, l’Ufficio non
aveva prodotto alcunché. Per i giudici di merito, l’esistenza
della delega doveva comunque presumersi. Secondo la Cassazione, invece, no, in quanto l’atto impositivo, sottoscritto
da un funzionario diverso dal capo dell’ufficio che lo ha
emesso, è valido solo se reca la firma di un funzionario a tal
fine espressamente delegato dal capo dell’ufficio, e sempreché tale delegato appartenga alla terza area funzionale (ex
carriera direttiva), come previsto dall’art. 42 del DPR
600/1973 (cfr. Cass. nn. 14195/2000, 14626/2000,
17400/2012, 14942/2013, 18758/2014).
Nel caso di specie, l’accertamento non recava la sottoscrizione del capo dell’ufficio che lo aveva emesso, ma quella del
responsabile di un ufficio interno e, quindi, secondo i giudici di legittimità, “nella individuazione del soggetto legittimato a sottoscrivere l’avviso di accertamento, in forza del
D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, incombe all’Agenzia delle
entrate l’onere di dimostrare il corretto esercizio del potere e
la presenza di eventuale delega”. Nel caso in esame, però,
ciò non era avvenuto, in quanto la delega non era stata
esibita.
La decisione sembra inserirsi nel solco già tracciato dalla
sentenza n. 277/2015 della C.T. Prov. di Brescia, che,
nell’accogliere il ricorso di una società, aveva annullato
l’impugnato avviso di accertamento catastale perché l’ufficio
locale dell’Agenzia delle Entrate-Territorio non aveva
dimostrato neanche in sede di giudizio il corretto esercizio
del potere sostitutivo di delega.
Qualche ulteriore considerazione è necessaria. Non si com-
prende, infatti, perché anche agli avvisi di accertamento catastale si applicherebbero le disposizioni dell’art. 42 del
DPR 600/1973, che reca norme in materia di imposte sui
redditi, estendibili all’IVA in forza del richiamo (indiretto)
operato dall’art. 56 del DPR 633/1972.
A quanto consta, non esiste alcuna disposizione che richiami tale art. 42 anche per l’accertamento catastale. Tant’è che
l’eccezione attiene alla violazione dell’art. 21-septies della
legge 241/1990, ovvero quella sul procedimento amministrativo in generale, e non l’art. 42 già menzionato. Ciò in
quanto, l’avviso di accertamento catastale non è regolato
dalle disposizioni del DPR 600/1973, ma da una normativa
specifica, invero piuttosto risalente, che pone le sue basi nel
DPR n. 1142/1949 (“Regolamento per la formazione del
nuovo catasto edilizio urbano”), nonché nel DM 701/1994,
che ha introdotto l’ormai nota procedura Docfa per
l’accertamento delle unità immobiliari, la quale consente al
dichiarante, titolare di diritti reali sui beni, di proporre la
rendita degli immobili stessi, che l’ufficio successivamente
convalida o rettifica, appunto, con gli avvisi di accertamento
catastale.
In sostanza, il riferimento all’art. 42 per gli avvisi di accertamento catastale non pare pertinente, eppure proprio tale articolo è stato utilizzato come unica fonte normativa per la
decisione in commento (e non a caso la giurisprudenza pregressa richiamata riguarda solo avvisi di accertamento ai fini delle imposte sui redditi ed IVA).
D’altro canto, sarebbe stato “più complesso” giungere alle
medesime conclusioni sulla base dell’eccepita violazione del
ricordato art. 21-septies, considerato che, con la sentenza n.
18448/2015, i giudici hanno stabilito che le norme del procedimento amministrativo di cui alla legge 241/1990 ed, in
particolare il suo art. 21-septies, non sono applicabili al sistema tributario, atteso che quest’ultimo è una sottospecie di
quello amministrativo. Ne consegue che le disposizioni del
regime normativo di diritto sostanziale e processuale dei vizi di nullità dell’atto amministrativo sono applicabili
all’ambito tributario in quanto compatibili e se non in contrasto con le specifiche norme che regolano, appunto, il settore tributario (cfr. anche Cass. n. 22800/2015).
Insomma, sugli avvisi di accertamento catastale non esisterebbe una norma che, alla stregua di quella per gli atti ai
fini delle imposte sui redditi ed IVA, ne demandi la
sottoscrizione al capo dell’ufficio o ad un suo delegato
(qualificato).
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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