Transcript Bollettino
Numero 329 Anno LV - Maggio 2016 (II bimestre) Poste Italiane S.p.A. - NO/Torino (3/2016) Spedizione in abbonamento postale - 70% (contiene I.R.) Bollettino Periodico bimestrale di informazione e tecnica a cura della Federazione Italiana Modellisti Ferroviari e Amici della Ferrovia C Editoriale arissimi soci FIMF questa volta mi serviranno un pò più di due righe per continuare la nostra conversazione. Il passaggio dal cartaceo al digitale dei nostri archivi è terminato finalmente, ma ancora ci sono lacune ed errori per cui, allegato a questo numero del Bollettino, troverete un formulario che vi chiedo di compilare e rispedirci sperando così di completare questa fase che tanto tempo e fatica ha richiesto! Chi vuole puo’ compilare l’apposito modulo sul nuovo Sito, risparmiando il francobollo. Avete ricevuto la nuova tessera: spero che vi piaccia ed anche in questo caso segnalateci eventuali incongruenze utilizzando, nei limiti del possibile, la posta elettronica per comunicare con noi. In particolare il numero di tessera e l’anno di iscrizione sono le credenziali per accedere ai nuovi servizi online, oltre al fatto di essere in regola con la quota di iscrizione. Chi avesse dimenticato di rinnovare per il 2016 si affretti a farlo, perchè la tessera con maggio perderà la validità. Se il nuovo approccio vi soddisfa, chi vuole e chi può potrebbe anche coprire i buchi del 2014 e 2013 per dare continuità alla propria iscrizione e dare una mano alla Federazione. A questo proposito ringrazio i tanti Soci che nelle ultime settimane ci hanno comunicato il proprio indirizzo email e i molti che si sono iscritti tramite il Sito alla Newsletter FIMF, che mensilmente vi aggiornerà su quello che succede in FIMF e nei Gruppi. Per quanto riguarda il nuovo Sito sono molti i messaggi di apprezzamento che abbiamo ricevuto e questo ci indica che siamo sulla strada giusta. Il Sito per mantenersi vitale ha bisogno della vostra collaborazione assidua e c’è spazio per tutti voi come Autori e come Reporter. La FIMF offre gratuitamente spazio Web ai Gruppi che lo richiedano: il Gruppo ‘Italo Briano’ è stato il primo ad usufruire di questa opportunità e vi invito a seguirne l’esempio. Anche i singoli Soci che vogliano parlare di se stessi e delle proprie realizzazioni e passioni, sono benvenuti: se serve una mano editoriale siamo qui per voi. Sono pronti per la partenza i primi due Gruppi di Lavoro in cui lavorano i Soci che contribuiranno alla ristesura delle Norme per il Modulare e al battesimo delle nuove Raccomandazioni denominate convenzionalmente FIMF 3000 per un nuovo tipo di modulo. Maggiori delucidazioni sul Sito. Stiamo lavorando ad organizzare il prossimo Congresso e vorrei che quest’anno l’ordine del giorno venisse dettato da voi: comunicateci le vostre proposte entro giugno, mi raccomando, perché questa volta vogliamo soprattutto che parliate voi. A breve verrà reso pubblico sul Sito il bilancio 2015 e il bilancio preventivo 2016, in modo tale che abbiate il tempo di analizzarli per tempo. Chi vuole continuare questa conversazione puo trovarmi sul Forum FIMF, inviarmi una email oppure scrivermi direttamente. Antonello Lato Riferimenti: - Sito FIMF - Forum FIMF - Pagina Facebook - Indirizzo email http://www.fimf.it http://www.scalatt.it/forum/forum.asp?FORUM_ID=144 http://www.facebook.com/paginaFIMF/ [email protected] 3 4 D Dall’Ungheria per la RA - Carrozze a tre assi ABI elle carrozze RA a tre assi con intercomunicante serie ABI abbiamo più volte in passato già scritto. Sul Bollettino FIMF n° 301 a pag. 7 pubblicammo anche lo schizzo delle ABI 74307449, tutte consegnate nel 1905 alla vigilia del passaggio della RA alle FS, ove vennero riclassificate ABIy 58636-655. Cinque di esse, RA ABI 7430-7434 poi FS ABIy 58636-640, erano di costruzione ungherese Ganz-Budapest; l’amico ungherese György Lovász, che ringraziamo di cuore, ha voluto condividere con noi due foto della collezione del padre István, scomparso nel gennaio del 2014, grande cultore di storia e tecnica ferroviaria e già alto dirigente della BHÉV (Ferrovia Locale di Budapest). Le immagini (foto 1 e 2) provengono da lastre fotografiche d’origine Ganz. 1 5 Sempre in riferimento a quanto pubblicato sul n.301 (pagg. 6, 7 e 8), grazie al socio Stefano Zicche riproduciamo anche il disegno delle assai simili carrozze tre assi ex RA della serie ABI 7410-7414 e 7415-7429, 2 poi FS ABIy 58616-620, pure di costruzione Ganz e 58621-635 costruite da SAVIGLIANO (disegno SFM da arch. SMT-FS, coll. Zicche). Ricordiamo che le tre assi ex RA vennero rinnovate negli anni ’30 (cfr. foto Boll FIMF n° 176 pag. 20-21) e nel dopoguerra vennero in gran parte declassate a terze classi CIy34600 (seconde, serie BIy dal 3/6/1956) con la sostituzione degli originali divani imbottiti con sedili in legno a 4 posti (vedi foto sui Boll FIMF n° 237 pag. 16 e n° 304 pag. 36); una sola di esse conservò l’allestimento di classe con divani imbottiti e venne riclassificata come seconda BIy 24750 (dal 3/6/1956 prima classe AIy, foto su Boll n° 237 pag. 16). 6 Foto della BIy (già CIy) 34615 ci viene ora fornita dal socio ing. Fabio Cherubin (foto 3, ripresa effettuata il 1968 nelle Officine Gallinari di Reggio Emilia); verrà poi trasportata sull’Appennino Modenese (Foto Boll FIMF n° 304 pag. 36) ove fu utilizzata 3 come “biglietteria” per gli impianti sciistici di Lama Mocogno). Grazie!!! Archivio Triaca coll. Signoretto 4 Con l’occasione integriamo e completiamo la trattazione delle carrozze a tre assi intercomunicanti della RA, cui al già citato Bollettino FIMF n° 301. Grazie alle intuizioni di Guglielmo Valetti ed alla cortesia di Aldo Riccardi, coautore dei bei libri dell’editore Pegaso sulle loco a vapore italiane giunti ormai quarto volume, che ha cortesemente fornito il permesso di riproduzione, siamo in grado di pubblicare la foto 4 di parte di una carrozza RA serie ABI 7405-7409 (poi FS ABIy 58611-615) ed un’altra, foto 5 presa nel 1911 presso Borgio Verezzi, di una FS serie ABIy 58600-605 (già RA ABI 6224-6229) probabilmente in servizio diretto internazionale Vienna-Ventimiglia (resta qualche dubbio per la differenza delle fiancate rispetto allo scarno figurino RA). Pietro Merlo Congresso Morop 2015 - Parte 2 D 5 foto Fontanellaz a Alla scoperta della Baviera attraverso le sue ferrovie opo pranzo, chi vuole, è libero di visitare da terra e davanti alla porta d’ingresso, tant’è il MIGA (Modellbahn Interessengemein- che tutti ci passiamo tranquillamente sotto. Anschaft Augsburg E.V.), detta anche Haus der che qui l’ambientazione è tedesca, ma ci siamo Modelbahnen, cioè la Casa del Fermodellismo spostati al confine fra la Germania, la Svizzera e mai termine fu più azzeccato di questo, perché e la Francia, dato che è presente qualche monl’edificio è di tre piani con all’interno quat- tagna innevata e un TGV sosta affianco ad una tro plastici, dei quali tre in H0 e uno in scala locomotiva elettrica tedesca simile alle nostre più grande, ancora in costruzione ma già con E483. In questo impianto è presente anche una alcuni dettagli molto interessanti, specie nella linea a scartamento ridotto dotata di cremagliera, riproduzione dell’interno delle carrozze. Alle ma su di essa non transita nessun treno. Anche pareti sono onnipresenti delle vetrine con dentro qui la ricchezza dei dettagli è di ottimo livello locomotive o convogli interi. Fra fotografare e e uno sguardo all’interno della rimessa ICE ti riprendere i plastici spesse volte mi sono ritro- fa passare in un universo parallelo. Passando vato solo, perché ero l’ultimo a lasciare le varie per caso nei pressi del ponte citato poche righe stanze. In un locale leggermente defilato ho sopra, riesco a fotografare per pura fortuna un visto la costruzione avanzata di un plastico di treno in transito. Scendo a visitare l’ultimo ambientazione svizzera e anche qui il livello dei plastico, quello in scala più grande e li mi devo dettagli non era male, ma il bello stava per arrivare. Entro in un’altra stanza e la mia attenzione viene attirata, oltre che dal grande plastico in sé, dalla rimessa circolare delle locomotive che ha ben ventiquattro vie e, proprio in questo plastico, riesco anche ad immortalare il Talgo con la livrea tedesca quando quel materiale girava per l’Europa. Date le dimensioni del plastico posso assicurare che circolano treni di discreta lunghezza e ho incrociato anche un Railjet austriaco in doppia trazione di 1116. Altra stanza, altro plastico e qui mi dicono che questo impianto è conosciuto dal ponte che i treni percorrono, Al MIGA di Augsburg anche per fare due chiacchere l’amperché esso è situato a più di due metri biente è ferroviario (foto A. Manino). 7 Sopra: in uno dei plastici del MIGA non manca la riproduzione del ponte sul Lech della linea Augsburg-München (foto A. Manino). Sotto: i modelli in cartoncino permettono di pianificare in anticipo la disposizione finale degli edifici sul plastico (foto A. Manino). accontentare solo della circolazione dei treni (che scopro che non appartengono all’associazione, ma sono dei soci che li portano lì spontaneamente) perché il paesaggio è ancora in fase di costruzione, nonostante una festa tipicamente tedesca sia già completata in tutti i dettagli. Col permesso del locale Dirigente Movimento entriamo all’interno del plastico, dopo che un segnale si è disposto al rosso per permettere l’alzamento del doppio ponte levatoio per il transito delle persone. Davvero molto originale questo ingresso, in Italia si continuerebbe a passare sotto i tavoli o a non portare un modulo per Il doppio ponte levatoio per entrare nel plastico in 1 del MIGA (foto A. Manino). 8 Un tavolo su quattro respingenti, come al MIGA; è un’idea per casa! (foto A. Manino). permettere un comodo accesso. Usciti io e i miei compagni italiani siamo perfettamente consapevoli che la giornata è ancora lunga, quindi decidiamo di fare un giro per Augsburg, cenare li e tornare a Kaufering in treno dopocena. Il giorno dopo una coppia di pulman ci attende per portarci ad Ochsenhausen, stazione capolinea di una ferrovia a scartamento ridotto; sono presenti alcuni carri merci con i respingenti posizionati all’altezza dei carri merci normali, perché su alcuni carrellini di servizio sono posizionati di carri merci a scartamento ordinario. Vicino ai terminali troviamo anche una carrozza a scartamento ridotto in completo stato di abbandono e un carrello a scartamento ordinario buttato completamente fuori dai binari. La linea appartiene alla Öchsle Bahn AG, è una ferrovia museo, ha scartamento di 750mm e va fino a Warthausen. In questa località c’è un comodo interscambio con la linea ordinaria Biberach - Laupheim West/Stadt. Prima dell’arrivo del treno ci sono più di due ore di tempo libero che ognuno impegna come vuole. Arriva il treno con in testa una locomotiva a vapore che traina una serie di carri e carrozze sia a carrelli sia a due assi. Tutte le carrozze hanno la particolarità di essere abbastanza corte in fatto di lunghezza. Intanto il treno si ferma, la locomotiva si porta in coda al treno (che diventa adesso la testa) e dopo poco si parte. Dopo circa un’ora di viaggio arriviamo nella stazione di Warthausen. Un tempo la linea proseguiva scavalcando la linea principale e successivamente correndole in parallelo fino alla stazione di Biberach, adesso la parte terminale è stata soppressa, compreso I carrellini per il traino di carri a scartamento normale esposti in stazione di Ochsenhausen (foto A. Manino). 9 anche il raccordo di collegamento fra la ferrovia ordinaria e quella a scartamento ridotto, facendo sì che alcuni carri rimanessero intrappolati sui carrellini atti al trasporto dei carri merci a scartamento ordinario sulla ferrovia a scartamento ridotto. Uno è rimasto posizionato a metà, un carrello sul carrellino e uno sul binario normale. Mi chiedo perché questi carri venissero inoltrati sulla ferrovia a scartamento ridotto, dato che non c’è nessun raccordo industriale. Alla radice Sud dello scalo è presente anche un binario che forse doveva essere un binario di salvamento, dato che finisce in salita e poi c’è un dislivello verticale di circa un metro. Dopo aver pranzato il nostro trenino inverte la marcia e la locomotiva è pronta per marciare a ritroso fino a Ochsenhausen. Aprendo una piccola parentesi sul tema delle locomotive, la Ferrovia Genova-Casella è da poco rientrata in possesso della locomotiva Diesel D1, ex V52 902 DB. Quando le DB hanno fatto questa ordinazione, hanno anche ordinato tre macchine dello stesso modello, solo con scartamento di 750mm, fra le quali è presente anche la V51 902 che trascorse tutta la sua vita proprio su questa linea che ho appena fatto. Circolò sui binari fino al 1996, quando venne portata via da un privato e ora si dice che dal 2006 giace smontata da qualche parte in attesa di un’eventuale riparazione (alcune notizie sono state prese dalla rivista ITreni numero 388). Modellini di legno in vendita in stazione di Ochsenhausen (foto A. Manino). L’ultimo giorno è stato il meno bello: si vedeva che era una specie di tapullo perché non si sapeva che cosa fare e allora era stato organizzato un giro circolare. Da Kaufering abbiamo preso il treno e siamo andati fino a Geltendorf, dove in ingresso abbiamo sovrappassato la linea proveniente da Walleshausen. A Geltendorf riprende la trazione elettrica, ma il treno che dobbiamo prendere ha un ritardo abbastanza consistente. Comunque si riparte col treno giusto, appartenente alla BRB (Bayerische Regiobahn GmbH) e lasciamo a sinistra la linea per Grafrath mentre il nostro treno diesel si dirige verso l’Ammersee, che costeggia per tutta la sua lunghezza dalla stazione di Schondorf a quella di Dießen. Fra la fermata di Raisting e la fermata soppressa di Il nostro treno in attesa della partenza a Ochsenhausen (foto A. Manino). 10 Wielenbach scavalchiamo l’Ammer e poco dopo da sinistra si congiunge la linea elettrica Wilzhofen (stazione senza servizio viaggiatori) - Polling (altra stazione senza servizio viaggiatori). A Weilheim facciamo un ulteriore cambio e a causa del nostro ritardo prendiamo il treno di un’ora dopo, che da orario dovrebbe portarci a Garmisch-Partenkirchen, ma la realtà dei fatti è ben diversa perché la linea è chiusa per lavori. Comunque ripartiamo e lasciamo Sopra: incontro a Geltendorf fra un treno Alex e uno Deutsche Bahn (foto A. Manino). A sinistra: a Geltendorf finalmente arriva il nostro treno di linea della Bayerische RegioBahn per portarci a Weilheim (foto A. Manino). Sotto: moderna dresina e carro tramoggia con carico di ghiaia per lavori al binario a Reutte in Tirol (foto A. Manino). a sinistra la linea diesel per Peißenberg. Dopo qualche chilometro giungiamo al capolinea provvisorio, scendiamo e prendiamo l’autobus sostitutivo; però non quello in servizio regolare, ma uno messo a nostra esclusiva disposizione dalle DB per farci recuperare il ritardo, che ci porterà direttamente a Reutte im Tirol, in Austria. Controlli alla frontiera non ce ne sono stati e arriviamo a Reutte in tempo per essere indirizzati al ristorante dove ci aspetta il pranzo. Successivamente abbiamo del tempo libero e io ne approfitto per andare a fotografare qualcosa in stazione, anche se c’è ben poco. Sono fortunato e riesco a fotografare in sequenza il momento del carico di ghiaia di un carro tramoggia proprio di fronte a me. Arriva il nostro treno, fa una breve sosta e poi inverte la marcia per ripartire verso Kempten. Partiti da Reutte in Tirol, dove finisce la trazione elettrica austriaca e inizia quella Diesel tedesca, riesco a capire che la linea è abbastanza tortuosa, ma il paesaggio montano è dolce e trasmette tranquillità. Tra la fermata di Pflach e quella di Musau passiamo sopra il Lech, mentre nei pressi della stazione di Vils in Tirol è presente il raccordo della Zementwerk Schretter. Successivamente fra la fermata di Schonbichl in Tirol e la stazione di Pfronten/Steinach valichiamo 11 il confine e dall’Austria torniamo in Germania. A questo punto la tranquillità ha raggiunto livelli altissimi e, complice il fatto che ho mangiato da poco, chiudo gli occhi per qualche minuto, anche perché sono sorvegliato a vista dagli altri membri italiani seduti davanti a me. Dormo veramente poco ma quel poco che quando riapro gli occhi mi accorgo che le montagne sono ormai distanti dall’ultima volta che le avevo viste; mi sveglio giusto in tempo per vedere il ponte sopra il Wertach, sito fra la stazione di Nesselwang e la fermata di Maria Rain. Da qui la linea inizia ad avere molte più curve e controcurve che ci accompagneranno fino alla stazione di Kempten, dove da destra si collegano le linee diesel provenienti dalle stazioni soppresse di Betzigau e Heising. Si scende e si cambia nuovamente treno, in attesa del materiale che ci porterà a Buchloe via Gunzach. Ripartiti da Kempten, lasciamo a sinistra la linea diesel per la stazione soppressa di Heising, intanto il treno inizia a prendere velocità e il sistema di pendolamento funziona egregiamente. Alla fermata di Biessenhofen si affianca da destra la linea diesel proveniente da Marktoberdorf, mentre poco dopo la stazione di Kaufbeuren sovrappassiamo il Wertach e lasciamo a destra la linea soppressa per Mauerstetten. Senza altre opere d’arte importanti arriviamo a Buchloe, dove da sinistra si collega la linea proveniente dalla stazione soppressa di Weidergeltingen. Ultimo cambio e prendiamo il treno che ci porta a Kaufering, lasciamo a sinistra la linea diesel per Schwabmünchen e, dopo poco, appaiono a destra e a sinistra i raccordi industriali della linea di proprietà della Kieswerk Rebel (a sinistra) e della Klausner Holz (a destra). Oltre ad essi appare anche la linea diesel proveniente dalla stazione di Lagerlechfeld. Si arriva a Kaufering assieme al treno proveniente da München con sopra mio papà che mi ha raggiunto; ci sistemiamo in camera e ci prepariamo alla cena finale del Morop, dove viene annunciato il luogo dove si terrà il prossimo convegno che dovrebbe essere a Wernigerode, sempre in Germania. Successivamente si va tutti a nanna e il giorno dopo è quello della partenza per tutti: ma non per tutti questo giorno indica il ritorno a casa; eh sì, perché dopo aver salutato il gruppo italiano, io e papà siamo ritornati a Landsberg am Lech, la sera ci siamo trasferiti ad Augsburg, il giorno dopo siamo andati a vedere Legoland a Gunzburg e poi abbiamo concluso in bellezza con una capatina ad Amburgo al Miniatur Wunderland per poi ritornare a casa, ma questa è un’altra storia. Al prossimo Morop. Enrico Costo Gli effetti della cura del ferro (terza parte) RETE TRAMVIARIA Dopo gli sconvolgimenti degli anni ’50 con la falcidia della rete tramviaria voluta dalla politica, un’ulteriore spallata fu purtroppo data dal terremoto del 1980. Come si è talvolta riferito anche da queste colonne, ciò che è rimasto del servizio è uno schema molto somigliante ad una “T” capovolta. Su di essa si articola l’esercizio di tre linee: la 1, la 2 (al momento sospesa) e la 4. Il materiale rotabile viene ricoverato nell’unico deposito di San Giovanni, che funge anche da “loop” per l’inversione delle vetture. Però il panorama tramviario non è privo di novità anche positive, segno che la ventata europea di opinione “protram” è arrivata anche a Napoli. Ma esaminiamo distintamente i tre esercizi. La linea storica 1 che sembrava radicalizzata sull’itinerario Sannazzaro (terminale nord) Poggioreale Emiciclo (terminale est) ha subito vari arretramenti fino ad attestarsi in via Colombo angolo piazza Municipio (foto 1): ciò sia per concomitanti e grandiosi lavori della M6 sulla Riviera di Chiaia, sia per quelli della M1 a 12 piazza Municipio. Comunque appare realistico prevedere che un giorno la 1 riguadagnerà il suo capolinea di piazza Sannazzaro, anche se di certo lo farà con una tappa intermedia a piazza Vittoria. Sono invece quasi tre anni che, dopo importanti lavori lungo via Poggioreale e via Stadera, i binari sono arrivati in località “Vecchiarelle” con un’estensione di circa ulteriori 1300 metri da Emiciclo. La novità, oltre che portare un senso di progresso a quel quartiere densamente abitato, è stata vista con entusiasmo trattandosi di un’inversione di tendenza dopo oltre mezzo secolo di ridimensionamenti. Inoltre, a seguito di una convenzione tra ANM ed Ansaldo-Breda (oggi Hitachi Rail Italy), il primo tratto del nuovo segmento ha costituito laboratorio attrezzato per sperimentare il sistema innovativo tram wave di captazione dal suolo dell’energia elettrica di trazione. All’uopo la vettura Sirio matricola aziendale 1121 è stata attrezzata in tal guisa. Ed è stato tutto sommato un laboratorio fruttuoso se è vero, com’è vero, che la città cinese di Zhuhai sta utilizzando tale tecnologia (catenary free) nonché il relativo materiale rotabile. Foto 1 - Un tram Sirio della linea 1 al terminal di via Colombo (foto A. Cozzolino) I nuovi capilinea, che non presentano cappio ma solo tronchini ed opportuni scambi, sono stati resi possibili dalla bidirezionalità dei “nostri” Sirio. Qualche tempo dopo, con l’arrivo della 1 a Stadera, l’emiciclo di Poggioreale, è stato interdetto del tutto a capolinea; sul grande spazio resosi disponibile, rimossi i binari, sono iniziati i lavori per il salto della M1 da Garibaldi all’aeroporto (via Centro Direzionale). Non molto da dire sulla linea 4. Partendo da San Giovanni deposito con utilizzo di binario interno rimessa a mo’ di cappio, raggiunge il terminale comune con la 1 di Colombo. Si potrebbe definire un collegamento costiero. Per quanto riguarda la 2, essa è espletata con vetture Peter Witt a carrelli (anni ’30), ricostruite ma monodirezionali. Pertanto con la chiusura dell’emiciclo essa è stata sospesa: infatti mentre il capolinea di san Giovanni deposito consente il cappio, come del resto detto, non si può dire altrettanto di Stadera. Pertanto si sta attrezzando il cappio di Piazza Nazionale per il ripristino della 2. I lavori sono in sostanza terminati; si prevede per gennaio 2016 la riapertura della linea San Giovanni deposito-Piazza Nazionale. Foto 2 - Tram Meridionale 1029 ripreso a P. Nazionale in servizio charter (foto A. Cozzolino) 13 FERROVIE SUBURBANE Le numerose ferrovie suburbane di Napoli (talune interprovinciali) sono state di recente raggruppate sotto il marchio “EAV treni”. Ciò se da un lato ha realizzato un’auspicabile razionalizzazione di costi e gestione delle risorse, ha d’altro canto scombussolato un po’ le gerarchie ante accorpamento. Analogamente i servizi su gomma di tali entità sono ora inclusi nella inedita compagnia pubblica “EAV bus”. Il nuovo assetto capita però in un momento davvero difficile per il trasporto pubblico in Campania, quale conseguenza dei tagli alle risorse finanziarie imposti a partire dal 2011. Le varie linee si trovano infatti a combattere una battaglia quotidiana tra la carenza del materiale rotabile ed il reperimento di risorse, che possano assicurare gli stipendi al personale nonché una ordinaria o straordinaria manutenzione ai treni. Ma vediamo in dettaglio ed in sintesi le varie realtà. La rete Circumvesuviana si può considerare l’ammiraglia del neonato “brand”, con il suo bacino di utenza di ben 2 milioni di soggetti distribuiti tra 46 stazioni e fermate. Le linee sono sei; i passeggeri trasportati 70.000 al giorno. La linea di forza è decisamente la Napoli-Sorrento, sia per la densità abitativa dei territori attraversati, sia per la loro valenza turistica (Ercolano, Pompei, Sorrento e le cittadine della costiera). Alla luce delle recenti restrizioni, a partire da settembre 2012 l’orario è stato rivisitato, tagliando in particolare il servizio in uscita al mattino ed in rientro la sera. Dispone di una flotta teorica di oltre 100 ETR, in parte disarmati e/o cannibalizzati. I 26 ETR di ultima generazione (costruzione AnsaldoBreda cosiddetti Metrostar, foto 4) hanno evidenziato da subito problemi strutturali, per cui sono in corso rettifiche di tali errori. Inoltre una dozzina di quelli della 1a serie risalente agli anni ’70 è stata finalmente avviata alla ricostruzione Foto 3 - Stazione superiore della funicolare presso un’industria Montesanto con uno dei due convogli in servizio specializzata. Prima di chiudere queste note, devo riferire della giudiziosa ricostruzione della vettura Meridionale 1029. Ciò ha consentito di avere una testimonianza imperitura dei tempi eroici della rete tramviaria napoletana. L’apprezzabile impresa si deve ad un manipolo di volontari diretti da un abile capodeposito, di recente andato in pensione. La 1029 esce su richiesta ed in determinate occasioni, ma necessita del cappio per inversione (foto 2). FUNICOLARI La città capoluogo di Napoli gode del servizio di ben quattro funicolari, di cui tre la collegano al quartiere Vomero ed una al quartiere Posillipo. Costruite tra il 1889 (quella di Chiaia) ed il 1931 (quella di Posillipo), rappresentarono una causa/effetto dell’urbanizzazione della collina che circonda Napoli. Oggi che la fase degli insediamenti abitativi si può dire conclusa per esaurimento di suoli edificabili, esse offrono una funzione che a dirla essenziale, appare riduttivo. Malgrado la loro età di certo non giovanile, sono state sottoposte nel tempo a profondi lavori di rinnovamento sia per la parte strutturale che quella veicolare (foto 3). Oggi i quattro impianti sono perfettamente interconnessi sia con la linea M1 che con la M2 delle metropolitane cittadine, come riferito nell’apposito paragrafo. La funicolare di Montesanto inoltre è stata scenario di indimenticabili film che, oltre a diffonderne la conoscenza, hanno rappresentato memoria del suo vecchio aspetto. Cito per tutti i film “Le quattro giornate di Napoli” e “Napoli violenta: entrambi esibiscono una visione completa delle vecchie vetture. 14 Foto 4 - Il nuovo ETR 027 della Circumvesuviana (foto A. Cozzolino) Nel parco sono altresì disponibili due convogli turistici di cui uno storico (foto IV di copertina), che sono utilizzati su richiesta o in particolari occasioni. Lo scartamento è il 950 mm. Al secondo posto per importanza inserirei senz’altro la Cumana/Circumflegrea (ex Sepsa) con un traffico giornaliero di 37.000 utenti pari a 13 milioni annui. Viaggia su scartamento ordinario collegando il cuore di Napoli (Montesanto) alla zona dei Campi Flegrei. In seguito ai riferiti tagli, il segmento Licola-Torregaveta è stato sospeso, per cui i due rami s’incontrano solo al terminale di Montesanto. Anche in questo caso possiamo enunciare una disponibilità teorica di una trentina di ETR. Infine parliamo della rete già MCNE (Metrocampania del Nord est) includendo la Napoli-Benevento via Valle Caudina e la Napoli-Piedimonte Matese. Le due linee fanno capo alla stazione di Napoli Centrale di RFI; viaggiano su binario a scartamento ordinario e delle due è elettrificata solo la Benevento via Valle Caudina. Su tutta la rete MCME il servizio è sospeso la domenica ed i festivi, il che la dice lunga sulla frequenza e sull’affidabilità. E’ annoverabile nell’ex MCNE la neonata linea del cosiddetto Metro Arcobaleno in servizio dal terminale Piscinola della Metro 1 fino ad Aversa. Ci sarebbe in prospettiva un’estensione fino a Santa Maria C. V. di cui sono state già realizzate alcune strutture (ponti e sottopassi); ma allo stato attuale i cantieri non risultano attivi. Il segmento in servizio svolge un ruolo prezioso di interscambio e di collegamento con i paesi della cintura rispetto al capoluogo. Viaggia del tutto in sotterraneo con l’utilizzo di ETR già della Metro Roma, opportunamente revampizzati. CONCLUSIONI Siamo giunti al termine della mia piccola relazione sulla situazione del trasporto su ferro a Napoli ed il suo hinterland. Mi auguro che questo modesto lavoro abbia suscitato sia interesse, sia la curiosità di venire a Napoli per poter vivere questo stimolante apparato. Mi ritengo a disposizione di quanti vorranno interpellarmi per consigli o indicazioni in tal senso. Devo dire con piacere che non è raro vedere comitive provenienti da varie parti di Europa, e talvolta anche da oltre oceano, che vengono a visitare questo straordinario e variegato patrimonio di cultura trasportistica. Tra queste visite posso dire con orgoglio di essermi personalmente occupato di alcuni Club europei, organizzando la parte logistica e talvolta i noleggi dei mezzi storici. I singolari turisti hanno lasciato la città con un bellissimo ricordo appagati di quanto avevano visto. Consentitemi di citarne alcuni: - Eurorail di Strasburgo e Basler EisenbahnAmateur, primavera 2010; - Blickpunkt Strassenbahn di Berlino, maggio 2010; - FACS Fédération des Amis des Chemins de fer Secondaires, marzo 2014; - Sporvejsmuseet Skjoldenæsholm Amici del Museo del Tram di Copenhagen, maggio 2014. Pertanto nel ringraziare quanti con pazienza sono arrivati fin qui con la lettura, do a tutti un appuntamento a Napoli in un prossimo futuro. Gennaro Fiorentino 15 O Sulla Lecco-Como e pensieri vari gni tanto approfitto di qualche estemporaneo giorno di ferie per visitare ferrovie che non ho avuto modo di vedere nel mio passato di viaggiatore-esploratore. Succede, nella vita, che si trascuri ciò che è più vicino a noi, perché troppo a portata di mano, troppo banalmente disponibile e certe decisioni si rimandano all’infinito, a volte occasioni sono definitivamente perse e non tornano più. Per farla breve ed evitare la filosofia da carta dei cioccolatini, in uno di questi pomeriggi dedicati alle escursioni ferroviarie mi sono deciso a compiere un viaggio esplorativo sulla Lecco-Como, o più precisamente Molteno-Albate Camerlata, a mezzo secolo di vita abbondantemente superato. Tutte le località toccate durante questo affascinante percorso distano manciate di chilometri da casa mia e non serve certo un tour operator per organizzare una 1 visita a questi percorsi, normalmente frequentati da lavoratori pendolari, studenti e famigliole che traslano da un paese all’altro per andare in visita a qualche parente; ma tra un rinvio e un’indecisione questo viaggio mi sono deciso a farlo solo ora. La stazione da cui parto, Macherio, si trova sulla linea Monza-Molteno-Lecco: devo raggiungere Molteno, dove cambierò treno per dirigermi verso Como, ma solo fino alla stazione di Albate Camerlata, ove la linea si “immerge” nei binari della ben più importante linea internazionale Milano-Monza-Como-Chiasso-Lugano-Gottardo-Art Goldau che ben conosco dai tempi delle mie scorribande ferroviarie di adolescente. Il tratto Molteno-Albate invece costituisce per me una tratta ferroviaria inesplorata ed è la vera meta di questo pomeriggio dedicato alle ferrovie brianzole. 16 Devo premettere che ogni volta che affronto questi viaggi nei dintorni di casa mia, gli spostamenti che compio sono contemporaneamente di due tipi: uno, ovvio, nello spazio, ma un ulteriore, molto meno banale, nel tempo, poiché è inevitabile, ogni volta che rimetto i piedi su una banchina di stazione, rievocare i miei viaggi da ragazzo sulle ferrovie degli anni ’70 e ’80 sui binari dell’Italia settentrionale e centrale, perennemente con la testa fuori dal finestrino in qualsiasi condizione atmosferica e a qualunque velocità, sui “locali” (o “accelerati”) così come sui “diretti”, “espressi” e “rapidi”. Così si chiamavano i treni allora, altro che regionali o regionali veloci, regio-express (sigh), IC, EC, frecce e quant’altro. Sia ben chiaro che non rimpiango quei tempi in modo fine a se stesso e so benissimo che in alcuni casi oggi in treno si viaggia meglio, però in compenso si spende mediamente molto di più e soprattutto si è persa quell’omogeneità che faceva sì che, dovunque tu mettessi piede in un sito ferroviario, entravi in un mondo chiamato FS che ti prendeva e ti riconsegnava da tutt’altra parte, ma sempre parte dello stesso mondo con lo stesso monogramma (FS), animato dagli stessi personaggi di colore carta da zucchero che si sentivano parte di quel mondo. Inoltre la cura e il decoro dedicati dalla maggior parte dei capistazione alle loro stazioncine periferiche, ornate da fontanelle, aiuole curate, Madonnine, sette nani e Biancaneve varie, si è perso del tutto grazie all’impresenziamento degli impianti ed il declassamento a semplici fermate. Dunque eccomi nella ex-stazione ora fermata di Macherio: l’edificio, che 35 anni fa sarebbe stato popolato sicuramente da un capostazione che mi avrebbe venduto il biglietto e con cui avrei scambiato qualche parola, magari cazzeggiando sul clima infernale, ora è tristemente deserto. Sono le 13 di uno dei giorni più caldi dell’anno e l’afa opprime. C’è un solo locale aperto che sarebbe 2 la sala d’attesa: le due porte, una lato ferrovia e l’altra lato piazzale d’ingresso, creano una leggera corrente che aiuta a sopravvivere nel caldo torrido. Nella sala qualche sedile per l’attesa, poche scritte sui muri poiché evidentemente il locale è stato riverniciato da non molto, il ronzio di un’apparecchiatura elettronica, il monitor con lo stato dei treni in viaggio lungo la linea. Ogni tanto l’altoparlante emette qualche messaggio spontaneo per avvisare eventuali viaggiatori presenti in stazione di non aprire le porte a treno in movimento (cosa impossibile sul 99% degli attuali treni) e, nel caso, dei ritardi dei treni. Giunge quindi il mio treno (foto 1), elegante e silenzioso e soprattutto stridente con lo stato dimesso e trascurato dell’edificio di stazione e della banchina: è l’ATR125 detto Besanino, treno diesel a trazione elettrica su cui salgo con un senso di profondo sollievo, dato che mi trovo immerso in un’atmosfera ovattata, nel comfort garantito dall’aria condizionata e mi siedo comodamente affacciato ad uno dei finestroni panoramici che corrono lungo le fiancate. Una volta sarei salito su una ALn668 serie 1000 o 1100 senza climatizzatore, con i viaggiatori accaldati e incazzati neri perché ad ogni sosta veniva meno il minimo sollievo garantito dalle 3 correnti d’aria tra i fi- nestrini aperti, partita da Monza già arroventata per la lunga sosta sotto il sole estivo. Adesso mi trovo su questo mezzo elegante e confortevole, luminoso e panoramico, che però sembra più un tram che un treno. Il bigliettaio-conduttore a cui chiedo un biglietto per Molteno mi guarda stranito: non sono molti quelli che si fanno lo scrupolo di acquistare il “titolo di viaggio”, voglio sperare perché la maggior parte delle persone sul treno siano abbonati, ma temo che in realtà i non paganti siano molti, dato che in tutto il percorso fino a Molteno non vedo effettuare un solo controllo biglietti. A Molteno il Besanino mi lascia sulla piattaforma tra primo e secondo binario e su questo c’è il secondo treno della mia giornata ferroviaria: trattasi di ALn668.1011 di Trenord (foto 2) che, a parte la livrea moderna e devo dire tutto sommato elegante, mi riporta veramente indietro nel tempo. Niente climatizzazione: i finestrini sono aperti e mi preparo a rivivere un viaggio, seppure breve, come quelli che animavano i miei anni ruggenti di malato di treni e ferrovie. Sia ben chiaro che la malattia non è affatto guarita, anzi: è il ruggito che è venuto meno, così come la criniera. Pochi minuti e partiamo, in 17 orario. Sul treno siamo in pochini e ancora una volta stupisco il conduttore con la richiesta del biglietto. Caccio la testa fuori dal finestrino e la regressione al passato è quasi totale, mentre mi rievoco, ancora crinito, al finestrino di uno delle centinaia di treni che ho frequentato da adolescente sulle bellissime linee secondarie degli anni ’80, ma l’immagine viene immediatamente rintuzzata dall’aspetto spettrale e dimesso delle stazioni lungo il percorso: Casletto-Rogeno e Moiana (foto 3) e però poi, con grande sorpresa, lo splendido piazzale della stazione di Merone (foto 4), con i binari rincalzati di fresco, il pietrisco immacolato, i marciapiedi rifatti e rialzati, l’edificio di stazione riverniciato, gli indicatori dei treni ai binari perfettamente funzionanti. Qui la mia linea incrocia la Asso-Meda-Milano, una delle storiche linee ex Ferrovie Nord ora Trenord, che immagino frequentata da migliaia di pendolari nelle ore di punta, mentre ora siamo a inizio pomeriggio e in stazione non c’è nessuno, salvo un paio di viaggiatori che aspettavano il mio treno. Riparto con il cuore gonfio di speranza per il futuro delle linee secondarie italiche, ma Anzano, Brenna, Cantù, Albate Trecallo che si susseguono mi fanno precipitare nella triste consapevolezza che ormai queste ferrovie più che vivere sopravvivono, con i binari di raddoppio tagliati e semisepolti da terriccio ed erbacce, con gli scali merci che una volta raccoglievano e smistavano collettame ormai ridotti a ruderi oppure già crollati del tutto o in parte, con i piazzali disadorni e gli edifici deserti, porte con vetri rotti e infissi in stato precario, un solo locale dell’edificio (come a Macherio) tenuto aperto per far sì che i viaggiatori, sempre 18 meno e quasi mai paganti, possano ripararsi dalle intemperie. Ma intanto mi godo il presente: la ferrovia c’è ancora e funziona e ad Albate Camerlata la prima parte del mio viaggio finisce. Dopo circa mezz’ora di attesa riprendo il treno in senso inverso: è ancora 4 la ALn668.1011 del viaggio di andata che sta facendo il percorso inverso e mi riporterà a Molteno. A Cantù la stazione è abilitata all’incrocio, l’unica del percorso a parte Merone, e qui si capisce che razza di impatto abbia sulla regolarità dei viaggi aver disabilitato e smantellato i binari di raddoppio nelle altre località: il treno in senso inverso è evidentemente in ritardo e noi non ne sapremo mai il motivo, noi siamo fermi in attesa sotto il sole cocente. Continuo a guardare il portale della galleria lato Molteno ma passano più di venti minuti e non si vede nulla. Alla fine il treno incrociante arriva, ma ci ha fatto accumulare più di un quarto d’ora di ritardo che il macchinista del mio treno non ha modo, ma soprattutto non ha alcuna voglia, di recuperare. Giungo infine a Molteno e con tale ritardo sul groppone perdo la coincidenza per Lecco, prossima meta della mia gita, col risultato che devo sostare in questa stazione per quasi un’ora in attesa del prossimo treno, nelle ore più calde della giornata più calda del torrido luglio 2015. Forse una volta ci sarebbe stato un bar anche in questa stazione, per fortuna si trova dall’altra parte della strada e l’acqua gelata che mi vende mi aiuta a gestire l’accaldamento della sosta forzata. In questa quasi-ora di attesa faccio frullare il cervello in considerazioni sui viaggi in treno di ora e quelli di allora e come sempre non arrivo ad una conclusione, ma alla considerazione che non esistono bei tempi o tempi grami e che non è vero che si stava meglio quando si stava peggio, ma bisogna semplicemente vivere il buono che ogni epoca offre e farne tesoro. Ecco, alla fine nella filosofia delle carte dei cioccolatini ci sono ricaduto in pieno. Costantino Costanzi D Premio Ogliari 2015 - La mia 471 FS a un vecchio progetto dell’Ing. Adalberto Schiassi che apparve su una rivista di qualche anno fa (è inutile citarla, tanto è famosa) che si riferiva alla costruzione di una 470 in tutto ottone, ho voluto prendere lo spunto per riprodurre una 471, seguendo parzialmente le sue considerazioni, ma volendo conservare la meccanica originale del modello base, cioè della BR 57 della ROCO. Chiaramente il lavoro sporco è stato quello di smantellare tutto il tender per giungere alla meccanica della motorizzazione e per accorciare il passo del primo asse, che notoriamente è piuttosto distanziato rispetto agli altri due. Infatti il tender italiano, come si sa, ha i tre assi a distanza simmetrica e per fortuna quelli del tender ROCO sono quasi identici nel passo (tranne quello che ho dovuto spostare indietro). E’ chiaro che ho dovuto modificare anche la posizione dell’ingranaggio di rinvio che trasmette il moto dalla vite senza fine al primo asse, eliminando per ovvi motivi una ruota dentata. In questo modo una ruota dentata che serviva a trasmettere il moto ai due assi posteriori riesce a trasmettere il moto contemporaneamente anche al primo asse. Tutto ciò ha causato un notevole lavoro di rastrematura della sede dell’asse e la foratura del carter per l’ingranaggio principale. Insomma, un bel rompicapo! Certo nel nostro hobby si va per calcoli matematici e tentativi, altrimenti non si otterrebbe niente. Ma il lavoro, ancorché estenuante, ha dato i suoi frutti. Per ciò che riguarda la locomotiva vera e propria posso dire che non è stato un gran lavoro e come sempre io mi avvalgo di tutto ciò che è reperibile sul mercato. Prima di decidere quale prototipo del reale riprodurre mi sono rivolto alla documentazione disponibile e alla competenza di quanti potessero aiutarmi circa la reale esistenza della macchina. Alla fine ho optato per la 471.273, che appare in alcuni documenti tra cui uno fondamentale che attribuisce la macchina inizialmente al deposito di Pistoia, quindi a Foligno, Udine, Milano Sm., Catania ed infine assegnata a Fabriano, alienata il 30.06.1968. Premesso questo ho iniziato il lavoro dal tender in quanto volevo conservare la motorizzazione 19 originale. Dalle foto allegate si può rilevare la serie di passaggi che mi hanno consentito di ottenere il rispetto del progetto originale. Prima di tutto ho dovuto completamente smontare il tender della 57 e mettere da parte la scocca con la carboniera, che non sarebbe servita più. Poi ho eliminato il sistema di illuminazione per lasciare il posto ai pesi in piombo, allo scopo di rimpiazzare la zavorra costituita dalla scocca in metallo. La macchina italiana citata era provvista nella sua ultima configurazione di un tender a tre assi da 20 m³, proveniente dalle locomotive del gruppo 730. Per ottenere una scocca di questo gruppo ho utilizzato un tender RR a tre assi da 19 m³, tipico del gruppo 625, a cui ho asportato la carboniera ripulendo l’interno. Il telaio in zamac del modello ROCO calza perfettamente ad incastro nella scocca RR, ma mancava il prolungamento del telaio, con la cassa degli attrezzi presente sul frontale posteriore del tender. Prima di procedere ho provveduto ad eliminare tutte le balestre e le boccole del sottocassa, curando di asportare ancora del materiale in zamac per lasciare il posto agli elementi che avrei applicato dopo. Questo è stato di per sé un lavoraccio, dovendo operare di lima a grana grossa e fine, ma il bello era dover arretrare il primo asse per rendere uguale il passo a quello degli altri due. Ho sfilato il complesso con gli ingranaggi che è inserito ad incastro nel blocco motore, ed ho praticato la modifica evidenziata nel disegno. In pratica la vite senza vite aziona una ruota dentata calettata sul primo asse del tender, che è distante dal secondo asse circa 28 mm e occorre riportare 20 questa distanza a 23,5 mm pari alla distanza del secondo e terzo asse. Ho praticato un foro nel telaietto degli ingranaggi per riportare la ruota dentata di rinvio del primo asse più in alto, in modo da ricevere il moto direttamente dalla prima ruota dentata in cima alla piramide. Ovviamente una ruota dentata (bianca nel sistema Roco) verrà eliminata e di conseguenza anche il perno di rotazione. La ruota dentata che viene spostata in alto sarà sostenuta da un nuovo perno di rotazione in ottone creato appositamente, previa foratura e interconnessione tra le pareti del telaietto. Il passo complessivo è stato alla fine di 47,5 mm. Sul tender italiano in realtà la distanza è leggermente diversa, più lunga, ma tale da non notarsi quasi. Una modifica simile sarà necessaria anche nel telaio del tender, che dovrà essere adattato a ricevere la nuova posizione dell’asse. Fatto questo ho posizionato il gruppo ingranaggi di nuovo ad incastro nel suo alloggio. Il risultato si osserva dalle foto. Dopo aver eliminato ogni traccia del finto carbone all’interno del tender RR, delimitando i confini in corrispondenza delle casse porta attrezzi laterali e del varco di caduta del carbone, ho calzato semplicemente dall’alto le pareti così ottenute sul telaio motore in metallo del tender tedesco e con mia grande meraviglia ho riscontrato che si innesta perfettamente sul perimetro metallico, facendo svettare appena a livello dei bordi la piastra dei contatti elettrici che tiene fermo il motore nella sua sede tramite due viti. Come accennavo prima, ho dovuto eliminare la lampadina posteriore con i collegamenti, per lasciar posto ad ulteriori pezzi di piombo al 40% (che ho adagiato in tutti gli spazi possibili intorno) allo scopo di rimpiazzare la zavorra che viene a mancare, dovendo eliminare per ovvi motivi la carboniera anch’essa in metallo e la carrozzeria originale in metallo anche quella. Il peso originario del tender tedesco era di 270 g netti, che consentono al modello di spingere egregiamente la locomotiva e trainare il treno di carri che molti hanno già sperimentato. Devo aggiungere però che ho sostituito il motore ROCO con uno leggermente più piccolo, un Mabuchi, che mi lasciava spazio per aggiungere zavorra ai lati e dietro, riuscendo a non diminuire la potenza di spinta. Dopo i lavori di rielaborazione, il peso raggiunto dal nuovo tender tipo 20 m³ è di 230 g netti, che consente di spingere sufficientemente il modello della locomotiva, pesante per via della caldaia in ottone e del carro-motore che è già in zamac. Per la verifica della trazione di eventuali carri dovrò attendere le prove in linea. E’ ovvio che il contrappeso originale, inserito nella caldaia della Roco come zavorra, non è stato più riutilizzato. Tornando al tender, i lavori più impegnativi sono così superati. Era necessario adesso completare l’estetica, con l’aggiunta del nuovo carbone, del prolungamento del carro con la porzione di ripiano che ospita una cassa porta-attrezzi, sulla falsariga del tender a carrelli da 22 m³ e con gli aggiuntivi di rito. Avendo clonato già da tempo il tender a carrelli ed anche la cassetta separatamente, non ho fatto altro che rimodellare questa cassetta, aumentando l’inclinazione del piano superiore secondo i disegni quotati. Il piano di calpestio aggiunto è derivato dal piano terminale del telaio del tender a carrelli, che possiede le stesse misure di larghezza del tender standard, per cui è stato facile adattarlo al nuovo tender a tre assi. Devo dire che per applicarlo al telaio in zamac del tender tedesco ho dovuto raschiare il traversone porta-respingenti in metallo, tagliando via prima i respingenti, che possono essere riutilizzati. Alla superficie piatta ottenuta ho praticato due fori in corrispondenza dei respingenti rimossi (non è stato facile rimuoverli, visto che sono il risultato di un’unica fusione, almeno credo, visto che ho dovuto forzarli alla base fino a staccarli). Lo spezzone del terminale da applicare con i suoi naturali respingenti è stato accostato e tenuto fermo sul posto con una goccia di cianoacrilato. Lo spazio dell’incavo inferiore così ottenuto è stato riempito con colla a due componenti del tipo “acciaio rapido” che, una volta catalizzato, ha saldato il tutto in un blocco unico. Allo stesso modo ho incollato la cassa porta-attrezzi alla parete posteriore del tender, secondo la posizione in figura. Per fermare il tutto, ho riutilizzato le due viti originali del tender che tengono fermo il carter ferma assi, il telaio motore e la scocca in plastica: ho aggiunto due spezzoni di stagno-piombo in corrispondenza dei punti di passaggio delle viti, incollandoli alla scocca e munendoli dei fori necessari per l’ancoraggio. Non rimaneva ora che completare le fiancate inferiori con le balestre, boccole e bilancieri. Prima però ho ritagliato due longheroni di ottone di 0,3 mm di spessore che ho incollato lungo la superficie rastremata in precedenza per eliminare i gruppi parasale originali, oltre ad avere assottigliato lo spessore dello zamac. I longheroni in ottone ricalcano il profilo del disegno originale, meno le chiodature realistiche che adornano i modelli super dettagliati. In tutta franchezza non me la sono sentita di praticare chiodature tramite punzonatura o incisione chimica, ma questo lo suggerisco a chiunque volesse perfezionare la procedura. Alla fine di questo lavoro occorreva incollare le nuove boccole e gli elementi necessari a corredo del carro. Neanche a dirlo questi elementi sono dei cloni RR. Rimaneva da aggiungere solo il carbone. Per far questo, dopo aver rimontato la piastrina elettrica con le sue viti, ho ricoperto tutta la superficie della carboniera con uno spezzone di carta sagomato lungo il perimetro interno del vano carbone e 21 fissato nei punti cruciali di piegatura con delle gocce di colla vinilica. Dopo l’asciugatura (qualche minuto) ho cosparso la carta con altra colla vinilica diluita e vi ho versato sopra granelli di massicciata, che ricalcano la grandezza dei grani di carbone in scala. Questi hanno fatto presa subito e dopo l’asciugatura ho ripetuto il procedimento fino a che si è formato uno strato soddisfacente di graniglia. Chi avesse disponibilità di carbone vero, potrà frantumarlo e utilizzarlo con la stessa procedura. In ultimo ho applicato i predellini posteriori e gli scaccia-pietre. Adesso è il momento della caldaia e del carro della locomotiva. Come si vede dalle foto, mi sono avvalso di uno spezzone di tubo d’ottone della lunghezza utile dedotta dai disegni del modello (reperibile nel volume di G. Cornolò già in scala 1/87) che mostra tutti i contorni esatti per una lavorazione accurata e spedita. La locomotiva della ROCO, la famosa BR 57 o anche detta G 10 prussiana, alias FS 473, presenta tutte le caratteristiche giuste per poter prestare i suoi particolari alla trasformazione in una 471. Come riferivo all’inizio, l’idea è partita tanti anni fa da un progetto dell’ing. Schiassi che ottenne un modello di 470 partendo proprio da questo campione, allora appena commercializzato. Pensavo che fosse una soluzione ardita e impossibile per le mie mani, ma oggi ritengo la cosa completamente fattibile e altamente motivante. Lavorare il tubo di ottone non è certamente facile, specie se lo spessore della lamina è di quasi 2 mm. Devo dire però che qualche anno fa avevo scritto allo specialista Velimir Chrav per avere uno dei suoi magnifici prodotti in fotoincisione, ma per contenere i costi la cosa è possibile solo se c’è un sufficiente numero di richieste e quello non era certo il momento. Avrei potuto evitarmi tante fatiche, ma la voglia di fare è inestinguibile. Le prime operazioni sono state quelle di riprodurre le fasce-coprigiunti. Dopo aver ripulito con carta abrasiva fine tutta la superficie del tubo, ho preparato il trapanino da banco disposto in orizzontale sul tavolo e sul mandrino (che ha diametro leggermente più largo del tubo) ho poggiato un’estre22 mità del tubo. L’altra estremità è stata poggiata su un pezzo di legno disposto alla stessa altezza, in modo che il tubo giacesse perfettamente orizzontale. Sul pezzo di legno ho inserito una vite, a mo’ di fermo contro cui il tubo si bloccasse, senza scivolare via, mentre lo facevo girare su sé stesso lentamente a mano. Il trapanino serve solo per l’allineamento e il blocco del pezzo, oltre alla possibilità di girare su sé stesso liberamente. Ho preso poi un pennarello indelebile a punta super-fine e l’ho accostato al tubo. Mentre con una mano facevo girare il tubo su se stesso, con l’altra tenevo fermo il pennarello che tracciava pian piano la linea sulla superficie rotante. Spostando poi il pennarello lungo il tubo, tracciavo le altre linee e così via, fino a completare le 5 strisce necessarie. Se si fa un errore poco male; si cancella e si riprende il giro. Dopo aver ottenuto questo tubo con le strisce tracciate, ho preparato una boccia di vetro colma di percloruro ferrico (naturalmente la boccia deve essere della profondità necessaria a contenere lo spezzone di tubo) e con una cordicella fatta passare da una parte all’altra del tubo e fermata dal lato inferiore da un anello di plastica su cui si fermava l’ottone, ho immerso in verticale il tubo stesso nell’acido. Il tempo di immersione può variare a seconda della temperatura esterna e della velocità di corrosione del tubo (io ho calcolato il tempo di una mezz’ora per avere un risultato soddisfacente, ma si può prolungare il tempo di immersione per ottenere un’incisione più marcata). Subito dopo ho esposto il tubo ad un getto d’acqua per fermare l’azione di corrosione e sono passato all’asciugatura con semplice assorbente o panno. Le tracce si elimina- no con un po’ d’alcol e si passa a lucidare appena il tubo, per togliere le brutte macchie e aloni che si creano per effetto dell’incisione. A questo punto la caldaia è abbozzata e ho proceduto con i fori. Qui è stato necessario avere un trapano verticale, poiché per quanto si possa avere una mano ferma, è quasi impossibile perforare un tubo d’ottone di 2 mm di spessore (ma curvo) con una punta da 1 mm, tale è la misura dei fori per l’applicazione dei supporti dei corrimano, delle valvole di non-ritorno, dei pendini di supporto delle passerelle laterali e di eventuali altri particolari che si vogliano riportare. Il rischio di un lavoro a mano libera è di rimetterci tante punte spezzate. Dopo di ciò sono passato all’applicazione del coperchio della camera a fumo che consiste di tre parti: una piastra rotonda di chiusura, un coperchio di metallo o plastica sottile (circa 0,3/0,4 mm di spessore) e di una superficie bombata che serve a riprodurre il portellone di accesso alla caldaia con il caratteristico volantino e le cerniere. Questo spezzone circolare bombato è ottenuto da un tocco di resina, refuso di una colata, che non butto mai poiché è ancora lavorabile con carta-vetro e lima. Occorre seguire le misure dei disegni e lavorare con carta abrasiva: splendide in questo caso sono le limette per le unghie, in cartone o in metallo a grana fine. Ottenuta la bombatura desiderata, ho incollato il pezzo sulla ghiera in plastica circolare, di diametro poco più largo del pezzo. Fatto ciò ho ottenuto il portello, che è stato applicato in posizione asimmetrica rispetto alla lastra di chiusura della caldaia, secondo le foto. La caldaia è così occlusa e bisogna ormai completare con le cerniere, il volantino ed il corrimano. Passando poi alla parte posteriore del tubo, occorreva riprodurre la cabina e qui le possibilità di copiare sono molteplici. Io ho preferito utilizzare una cabina in plastica di una loco 740 RR, ma va bene anche una della 625 RR o altre delle stesse misure. La cabina è certamente fuori scala per il nostro lavoro, ma non poi tanto. Io ho ritagliato una striscia di 2,5 mm dal lato inferiore della cabina asportando il piano di calpestio, che viene ripristinato poi con uno spezzone di plasticard in posizione più alta. In questo modo si ha una cabina di misure accettabili e conforme alla lun- ghezza dei disegni. 23 Dopo aver eliminato anche l’interno della cabina con il forno, ho proceduto ad accostare il tubo al frontale della cabina per provarne l’aderenza. Il vano rotondo della vecchia caldaia RR è perfettamente complanare con il nuovo tubo ed allora sono passato all’incollaggio, curando il giusto allineamento della caldaia con la cabina. Per precauzione ho fissato prima con una goccia di cianoacrilato e poi ho proceduto con colla epossidica a due componenti. Il risultato è molto soddisfacente e la saldatura è ottimale. Sulla cabina da me impostata manca il portello d’uscita sulla passerella laterale, che normalmente si trova sul lato opposto della leva e dell’asta di cambio del moto. Allora ho provveduto a disegnarne una in plasticard da 0,5 mm e l’ho adattata alla cabina. Essendo la mia cabina troppo lunga, ho deciso di rastremare le pareti posteriormente e ridisegnare i contorni con i corrimano verticali. Adesso occorreva guardare al carro della locomotiva, che in definitiva era quasi pronto, bastava modificare alcuni particolari come il supporto trasverso del glifo. L’asse motore del modello tedesco è, come si sa, il terzo, come anche per il modello italiano, ma il supporto degli organi di trasmissione è in posizione inversa rispetto a quello tedesco. Io ho praticato allora un foro 24 sul telaio in zamac in posizione arretrata, in modo da poter utilizzare lo stesso elemento invertendo la sua direzione. Infatti i porta-glifo guardano in avanti ed il glifo regge la bielletta della distribuzione in posizione capovolta. Insomma, io ho mantenuto le originali bielle di accoppiamento, la biella di trasmissione ed il blocco con la testa a croce, modificando l’asta di trasmissione. Occorreva creare un secondo supporto trasverso per reggere l’asta della distribuzione e la slitta, poiché questo particolare è inesistente nel modello tedesco. Comunque le foto danno l’idea del lavoro svolto. Il blocco cilindri deriva da una copia del blocco che si trovava nella scatola di montaggio commercializzata negli anni ’60 e oltre dalla RR sotto il nome “TrenHobby”, che per l’epoca era una meraviglia di modello per la praticità di assemblaggio e per l’unicità del prodotto. Il costo non era poi molto inferiore al modello della FS 685, che risultava essere il modello alternativo per la nostra “Prairie”. Il prototipo della 470-471 ha un blocco leggermente diverso nella forma, visto che la RR aveva riprodotto la sua locomotiva con un tipo di cilindri perfettamente simmetrici, mentre occorre avere un cilindro a bassa pressione a destra ed uno ad alta pressione a sinistra (almeno per la parte esterna visibile del modello). E qui sono intervenuto limando via le forme inesatte dei cilindri ad alta pressione, sostituendo i coperchi con degli aggiuntivi simili a quelli della locomotiva 470 e configurandoli al meglio. E’ ovvio che i cilindri originali della locomotiva tedesca sono stati eliminati con seghetto e olio di gomito, così come il pancone portarespingenti, di cui ho preservato gli stessi respingenti per riposizionarli in seguito. Per quest’ultimo particolare ho usato un pancone standard in ottone della cessata PiErre, come altri aggiuntivi in mio possesso. Dopo aver praticato i fori per le aste degli stantuffi nel blocco cilindri, ho proceduto ad adattare nel suo alloggiamento la slitta, verificando il normale scorrimento dello stantuffo. Sul davanti del cilindro ho riposizionato l’asta copristantuffo originale della Roco, eliminando il predellino. Ho ricreato la biella di ancoraggio che va dall’asse motore al glifo con uno spezzone di ottone sagomato ed ho rimontato il tutto utilizzando dei rivetti (chiodini di provenienza navale) da 0,6 mm. Anche il perno di manovella dell’asse motore è stato rifatto, poiché quello originale è solidale con la biella del glifo troppo lunga, quindi inutilizzabile. Adesso il lavoro volge al termine e la fatica è compensata dai risultati. L’effetto finale mi sembra efficace nel ridare l’immagine del prototipo ed anche la marcia è spedita e sicura. L’unico neo è che, avendo acquistato a suo tempo un modello della BR 57 molto datato, gli anelli di aderenza dell’asse centrale sono completamente disfatti, per cui devo pensare a sostituirli. Ma anche così va alla grande. Una cosa che non ho scritto (e forse ce ne sono altre che ho trascurato involontariamente) è che il modello ha due punti di ancoraggio a vite tra telaio e caldaia. Attraverso un foro in corrispondenza del blocco cilindri e l’altro in corrispondenza della cabina, inferiormente al piano di calpestio, ho collegato tramite due viti il carro e la caldaia. Se ho trascurato qualcosa, non era mia intenzione e comunque quello che ho scritto è da ritenersi solo un suggerimento costruttivo o anche una proposta modellistica. Ciascuno potrà decidere come procedere. Claudio Nastasi 25 L Vecchie glorie alla ribalta: un trapianto di telai o scopo di questa elaborazione è aggiornare il carro serie E (secondo la marcatura internazionale) della vecchia produzione Rivarossi facendone un modello compatibile con la esatta scala H0. Detto carro è una bella riproduzione che Rivarossi fece in una scala solo di pochissimo superiore alla canonica 1:87, ma che fu costretta a dotare di parasala e ruote sproporzionate per renderlo compatibile con il resto della sua produzione vistosamente fuori scala. L’idea è quella di sostituire il telaio con un altro in scala esatta prelevato da un altro modello; in particolare ho scelto il carro serie F (Gs secondo la marcatura internazionale) della vecchia produzione Lima (oggi nuovamente disponibile nella serie Hobby Line) acquistato in una borsa scambio. La ragione di questa scelta è spiegata nel riquadro e comunque in mancanza basta qualunque altro carro dotato di un telaio con il passo giusto e la giusta riproduzione dei particolari boccole, balestre, ecc. Si smonta il telaio del serie E e si ripulisce il sottocassa da tutte le sporgenze ivi presenti. Non potrà essere usata la zavorra originale Rivarossi perché troppo sottile, a meno di non interporre un appropriato spessore, per esempio di cartoncino, ma se ne dovrà trovare, o costruire, un’altra in metallo da circa 1 mm di spessore. Dal serie F si stacca il telaio e lo si spiana dalla parte superiore, per poterlo incollare sotto al cassone del serie E previa interposizione della zavorra. Lo si priva delle orrende scalette stampate e con una lama ben affilata si tagliano via le traverse di testa con i respingenti a 2,5 mm dall’estremità delle stesse. Questo lavoro va fatto con una lama, o una lametta da barba (da maneggiare con molta cautela), per non portare via lunghezza alla parte rimanente di telaio che si incastrerà precisamente sotto al cassone del serie E. E’ necessario ricostruire i tiranti al centro del telaio mediante spezzoni di filo d’ottone da 0,8 mm saldati a stagno e fissati con colla a due componenti al fine di evitare scollamenti a causa del calore prodotto dal saldatore. Inoltre, ho deciso di dotare il telaio di timoneria per ganci corti usando quelle Roco per carri di lunghez- za entro 140 mm; prima di incollarle al loro posto con colla a due componenti bisogna ricavare una sede di forma opportuna, spianando il telaio e liberandolo da tutti gli elementi sporgenti con una lama a scalpello. Si staccano i ceppi dei freni stampati in posizione non complanare alle ruote e si riposizionano nella giusta posizione supportandoli con una striscia di plasticard da 0,25 mm incollata al telaio. A destra il carro serie E elaborato, a confronto con un modello Roco dello stesso carro in perfetta scala H0. 26 Per gli inguaribili amanti del vecchio Rivarossi Il carro serie F Lima è in un certo senso il contrario del serie E Rivarossi: è dotato di una cassa dalle dimensioni rivarosseggianti montata su un telaio assolutamente in scala esatta. Allora perché non scambiare il telaio con quello del serie E ottenendo un modello compatibile con il vecchio Rivarossi, riutilizzando al 100% gli avanzi dell’elaborazione descritta in questo articolo? Innanzi tutto si ripulisce il sottocassa da tutte le sporgenze ivi presenti con una lama a scalpello. Si incollano al loro posto sotto la cassa le due traverse di testa già staccate dal telaio e poi si aggiusta il telaio del serie E, che richiede solo minimi adattamenti alle estremità per inserirsi sotto alla cassa del serie F. Nel serie E il telaio era trattenuto in posizione da due viti che tengono anche i ganci modellistici; siccome nella cassa del serie F mancano gli innesti delle viti, questi ultimi vanno ricostruiti incollando un tondino di plastica forato al centro che poi la vite di fissaggio del gancio autofiletterà da sé. Si eliminano i tiranti del telaio stampati e si ricostruiscono le due predelle laterali con lamiera e filo d’ottone. A questo punto si incolla il nuovo telaio sotto la cassa del serie F previa interposizione della originale zavorra Lima ed il lavoro è finito. Ho colto l’occasione per dare una generale invecchiatura al carro e soprattutto per liberarlo dal “sapore” di plastica nuda, mediante i classici nero opaco, ruggine e giallo sabbia. Chi vorrà potrà ulteriormente migliorare il realismo riportando i due corrimani sui montanti d’angolo della cassa in corrispondenza delle due predelle. Ho approfittato dell’occasione per invecchiare un po’ il carro, in particolare riproducendo le tipiche toppe di colore sul cassone, con l’accortezza di farle partire sempre dal basso. Le scritte sono riprodotte nel modo seguente. Si dipinge un foglio di cartoncino dello stesso colore della cassa, si eseguono le scritte con un pennino intinto di vernice bianca in una scala doppia dell’HO per una migliore riuscita delle stesse e poi le si fotocopiano a colori su carta lucida e sottile riducendole del 50%. Si ritaglia un riquadro contenente le scritte e lo si incolla al suo posto sul carro con colla vinilica. Naturalmente il risultato è molto inferiore a quello ottenibile con decals, che però hanno un costo maggiore e richiedono l’uso di un programma di grafica al PC. Fabrizio Baroni Nella pagina a fianco: Il telaio del carro F Lima separato dalla cassa e modificato come spiegato nel testo. Qui sotto: il carro E con il telaio sostituito. Adesso il telaio può essere incollato sotto al cassone e deve essere riverniciato in nero opaco per intero, per mascherare il “sapore di plastica” del nylon nudo. Le ruote vanno bene quelle Roco o Lima (non quelle di vecchia produzione con il centro ruota troppo scavato ed il bordino troppo alto) da 11 mm di diametro. Infine si completa il carro con le predelle di testa ed i relativi corrimani autocostruendoli con lamiera e filo d’ottone entrambi da 0,5 mm. A destra il carro serie F Lima a confronto con un serie G della vecchia produzione Rivarossi fuori scala. 27 Elaborazione della Gru Lima S i dice che l’appetito vien mangiando, e dopo avere auto costruito la mia E636 sacrificando una E424 e una E646 Lima, sempre tra gli anni ’70 e ’80 decisi di modificare la gru ferroviaria anch’essa storico modello della Lima. Da tempo avevo acquistato l’articolo, nelle condizioni in cui appare nell’immagine presa da un vecchio catalogo. Il modello, per quanto accattivante e operativo manualmente, era molto semplificato e di una foggia e colore per nulla italiani; una piccola grande pecca per me che, nato a pochi metri dalla ferrovia Bologna-Rimini, fin da bambino sono stato un ferromodellista italiano convinto. Grazie all’aiuto delle attuali riviste del settore che muovevano i primi passi e ad osservazioni visive fatte nello scalo fiorentino (ndr: cfr. p.es. foto di copertina del bollettino n° 300), decisi di mettere mano al modello e, pur con qualche licenza personale, renderlo più vicino alla realtà. Come primo atto, decisi di sacrificare l’operatività del braccio, accantonando le due manopole. Con un pezzo di plexiglass chiusi la grande apertura sul tetto della cabina lasciando comunque libero l’attacco dei tiranti del braccio. Il colore verde originale fu sostituito dal giallo dei mezzi di soccorso, con un’abbondante sporcatura tipica dei mezzi 28 che passano molto tempo all’aperto esposti alle intemperie, soprattutto nelle numerose griglie. Sempre con il plexiglass chiusi tutte le finestrature esistenti. Un po’ di colore bianco per evidenziare i vetri dei due fanali posti a fianco dello snodo del braccio, tre mancorrenti per gli sportelli di ogni fiancata e lo scarico sul tetto (cavo elettrico con guaina, spellato alle estremità a simulare la marmitta) e la cabina poteva dirsi conclusa. Era tempo ora di mettere mano al carro. I quattro assi in plastica furono sostituiti da ruote metalliche così da aumentare il peso e abbassare il baricentro; montai quattro respingenti (l’originale non ne era fornito) e sul pancone posteriore il gancio realistico e due condotte pneumatiche. Tre scale per lato in corri- spondenza delle porte d’accesso alla cabina e due volantini contribuirono a dare un’immagine più reale del modello che stava prendendo corpo (almeno nella mia fantasia). Il carro fu colorato di grigio cenere e il carrello di nero con abbondante sporcatura. Eliminato il gancio ad occhiello posteriore, sostituii quello anteriore con un gancio corto Roco che avrebbe equipaggiato anche il carro il gioco era fatto. Lascio alle immagini il commento appoggio. Il braccio ricolorato color metallo e sul lavoro svolto che come già per la E636 mi soddisfa anch’esso abbondantemente sporcato di ruggine ancora oggi pur essendo tutto perfettibile e quindi e grasso acquistava così una immagine di vita suscettibile di aggiornamento; d’altra parte il nostro hobby è sinonimo di continua evoluzione, tempo più vissuta. libero permettendo ... Ora toccava al carro apFranco Camaggi poggio. Per semplificare il Tessera FIMF 3381/C tutto, decisi di mantenere (Gruppo Adriatico) le ruote di piccolo diametro; cominciai eliminando l’alzata frontale per sostituirla con un predellino con mancorrente e scalette d’accesso, avanzato da un modello Roco che già fornito di respingenti mi semplificò notevolmente il lavoro. Era tempo di mettere mano ai colori: grigio cenere per il pianale e nero con abbondante sporcatura per i carrelli. Anche i pesi furono colorati di nero, dopo essere stati dotati di aggancio per il sollevamento; un fusto, due taniche e alcune traversine per “animare” il pianale, le tabelle realizzate in cartoncino e gli allora immancabili trasferibili R41 e Lettere alla redazione C ome è noto, su queste pagine si sta approfondendo da circa un anno l’argomento carri serbatoio. Ho poi letto con estremo interesse l’articolo sul bollettino 327 sulla ferrovia a scartamento ridotto del Roslagen. La Svezia ha oggi diversi siti museali attivi sulle ferrovie a 981 mm di scartamento. Uno molto famoso è quello del retroterra di Göteborg, la Anten Gafsnas; bene in tale sito ho avuto modo di fotografare nel 2000 una cisterna a due assi della Shell appena restaurata. Invio la foto per continuare la documentazione sugli argomenti sia cisterne che Svezia. Edoardo Tripodi Piccoli Annunci Cessione di pubblicazioni ferroviarie d’epoca da grande collezione. gli interessati possono rivolgersi a Maurizio Panconesi (e-mail: maurizio. [email protected]) 29 I nostri Gruppi Gruppo di Trento “Arnaldo Pocher” - Plastico Vernaccini I l nostro gruppo in questi ultimi mesi è stato coinvolto in uno fenomeno particolare, un poco triste dal nostro punto vista, cioè la volontà da parte delle famiglie di ricordare la figura di fermodellisti scomparsi, che mai però al di fuori della cerchia famigliare avevano reso palese la propria passione. Fra questi vogliamo ricordare in particolare il trentino Ezio Vernaccini, persona sobria, riservata, ma molto attiva, nato nel 1925 e morto nel 2013 (foto a colori). 30 Sportivo, fin da studente liceale praticò la scherma, l’alpinismo e la vela, passione quest’ultima coltivata per tutta la sua vita; ancora universitario si dedicò alla progettazione di piccole imbarcazioni da regata, che poi realizzava con mezzi artigianali utilizzando anche il terrazzo e il garage di casa. Fu tra i fondatori dell’Associazione Velica Trentina sul Lago di Caldonazzo e partecipò a numerose regate su lago e su mare. Nel 1966/67 realizzò il suo grande sogno: acquistato a Livorno nel Cantiere Benello uno scafo in vetroresina disegnato da Sparkman-Stephen, (lunghezza 11 m; pescaggio 1,85 m; 7 posti letto) lo fece trasportare a Trento per ferrovia e lo armò, realizzando anche gli arredi interni, in un’area ferroviaria nei pressi 31 della sua abitazione (vedi foto in bianco e nero); ne curò poi il trasporto su ferrovia a Venezia e poi via mare a Lignano Sabbiadoro, ove per trent’anni “La Sirenetta” fu per Lui e per la sua famiglia come una seconda casa, che condivise nelle uscite in mare con numerosi amici. Per il trasporto da Livorno a Trento venne utilizzato il carro Pvz 697 917 all’epoca da poco entrato in servizio (costruzione 1964/65, tavola FS 1332). Come attività professionale diresse per anni il Medio Credito TrentinoAlto Adige e, appassionato fotografo, nel tempo libero realizzò un corposo archivio d’immagini scattate nei numerosi viaggi in tutti i Continenti, spesso autorganizzati e impegnativi, condivisi con la sempre entusiasta moglie Angioletta. Ed il modellismo ferroviario? Laureato in Ingegneria a Padova con specializzazione in ferrovie e trasporti, come hobby costruì un plastico Märklin, per la gioia dei figli e, naturalmente, sua. Un classico plastico alla Märklin, con prevalenza della parte ferroviaria sul paesaggio ridotto all’essenziale, ed anch’esso molto tecnologico grazie al percorso stradale realizzato con l’autopista Faller AMS, antenata anni ’60 dell’attuale Faller Car System. A riposo il plastico è divisibile in tre parti: il pannello base (2,40 per 1,40 m) destinato ad esser ricoverato in verticale dopo aver tolto gli elementi galleria/rilievo e FV con piazza. 32 Come gruppo contiamo di recuperare il plastico e renderlo nuovamente funzionante, a ricordo di Ezio Vernaccini e come testimonianza “viva” delle tipiche realizzazioni degli anni passati con modelli ed accessori della casa di Göppingen. Pietro Merlo In libreria S ta per vedere la luce la nuova opera editoriale del Col. Antonio Gamboni, presidente Clamfer. L’ermetico titolo “La funicolare di Capri”, ne sintetizza il contenuto. Con le sue 64 pagine in gran parte a colori e stampato su carta pesante (cm 17x24), percorre la storia di questo intelligente mezzo di trasporto che collega la Marina Grande con la celebre Piazzetta, giunto ormai alla sua quarta generazione tecnologica. E’ un racconto indirizzato è vero a tutti gli appassionati dei trasporti, ma rappresenta altresì una finestra aperta sulla splendida isola azzurra di cui racconta inediti aneddoti, non disdegnando spunti turistici splendidamente illustrati. Insomma si preannuncia una lettura agile ed affabulatoria, come ormai ci ha abituati lo stile del prolifico autore, pur trattando con leggiadria una materia tecnica. Se ne può richiedere una copia all’indirizzo e-mail [email protected] al costo di euro 13,00 più spese di spedizione. Gennaro Fiorentino perché non c’è regione esente dai disagi, così come vengono evidenziati i problemi oggi del personale viaggiante che lavora sotto le minacce dei senza biglietto. Un libro da leggere per conoscere meglio le realtà del nostro paese … prima di mettersi in viaggio su di un treno “pendolare”. Lo si trova nelle librerie “Feltrinelli” delle stazioni. Alessandro Giglio Ci scusiamo per il disagio di Gerardo Adinolfi e Stefano Taglione 154 pagine, 14 euro - Round Robin editore “Lavorare stanca, viaggiare in treno distrugge”: si potrebbe parafrasare così la frase di Cesare Pavese per chi volesse avventurarsi oggi a viaggiare sulle linee ferroviarie italiane minori, cioè quelle dedicate ai pendolari. “Vorrei un biglietto per Matera”: mai spot fu così ingannevole. “Ci scusiamo per il disagio” non è solo il messaggio diffuso nelle stazioni italiane per annunciare un ritardo o la soppressione di un treno, ma è anche il titolo di un recente libro sui treni, pendolari e odissee tutte italiane. Gli autori Gerardo Adinolfi (giornalista, collabora con “Repubblica” di Firenze) e Stefano Taglione (giornalista de “Il Tirreno”) hanno compiuto un lunghissimo viaggio lungo le tratte ferroviarie utilizzate maggiormente da lavoratori, studenti, pendolari: insomma, un lungo viaggio partito da Ragusa per terminare a Torino. Si racconta dell’Italia a due velocità, con dati statistici alla mano elaborati anche da Associazioni e Comitati di liberi cittadini, da coloro che utilizzano il treno tutti i giorni. Si raccontano storie assurde, odissee, disagi, passeggeri che stilano dati statistici come una pendolare di Milano Bovisa che fotografa sul suo tablet tutti i ritardi annunciati: 2415 minuti di ritardo in un anno, cioè un giorno, 16 ore e 15 minuti persi a causa dei ritardi. Se ne fa comunque un quadro di tutta la penisola, 33