Transcript Bollettino

Numero 329
Anno LV - Maggio 2016 (II bimestre)
Poste Italiane S.p.A. - NO/Torino (3/2016)
Spedizione in abbonamento postale - 70% (contiene I.R.)
Bollettino
Periodico
bimestrale di informazione e tecnica a cura della
Federazione Italiana Modellisti Ferroviari e Amici della Ferrovia
C
Editoriale
arissimi soci FIMF
questa volta mi serviranno un pò più di due righe per continuare la nostra conversazione. Il passaggio dal cartaceo al digitale dei
nostri archivi è terminato finalmente, ma ancora ci sono lacune ed
errori per cui, allegato a questo numero del Bollettino, troverete un
formulario che vi chiedo di compilare e rispedirci sperando così
di completare questa fase che tanto tempo e fatica ha richiesto!
Chi vuole puo’ compilare l’apposito modulo sul nuovo Sito, risparmiando il francobollo.
Avete ricevuto la nuova tessera: spero che vi piaccia ed anche in questo caso segnalateci eventuali incongruenze utilizzando, nei limiti del possibile, la posta elettronica
per comunicare con noi. In particolare il numero di tessera e l’anno di iscrizione sono
le credenziali per accedere ai nuovi servizi online, oltre al fatto di essere in regola con
la quota di iscrizione. Chi avesse dimenticato di rinnovare per il 2016 si affretti a farlo,
perchè la tessera con maggio perderà la validità. Se il nuovo approccio vi soddisfa, chi
vuole e chi può potrebbe anche coprire i buchi del 2014 e 2013 per dare continuità alla
propria iscrizione e dare una mano alla Federazione.
A questo proposito ringrazio i tanti Soci che nelle ultime settimane ci hanno comunicato
il proprio indirizzo email e i molti che si sono iscritti tramite il Sito alla Newsletter FIMF,
che mensilmente vi aggiornerà su quello che succede in FIMF e nei Gruppi.
Per quanto riguarda il nuovo Sito sono molti i messaggi di apprezzamento che abbiamo
ricevuto e questo ci indica che siamo sulla strada giusta. Il Sito per mantenersi vitale
ha bisogno della vostra collaborazione assidua e c’è spazio per tutti voi come Autori e
come Reporter.
La FIMF offre gratuitamente spazio Web ai Gruppi che lo richiedano: il Gruppo ‘Italo Briano’
è stato il primo ad usufruire di questa opportunità e vi invito a seguirne l’esempio. Anche
i singoli Soci che vogliano parlare di se stessi e delle proprie realizzazioni e passioni,
sono benvenuti: se serve una mano editoriale siamo qui per voi.
Sono pronti per la partenza i primi due Gruppi di Lavoro in cui lavorano i Soci che
contribuiranno alla ristesura delle Norme per il Modulare e al battesimo delle nuove Raccomandazioni denominate convenzionalmente FIMF 3000 per un nuovo tipo di modulo.
Maggiori delucidazioni sul Sito.
Stiamo lavorando ad organizzare il prossimo Congresso e vorrei che quest’anno
l’ordine del giorno venisse dettato da voi: comunicateci le vostre proposte entro giugno,
mi raccomando, perché questa volta vogliamo soprattutto che parliate voi. A breve verrà
reso pubblico sul Sito il bilancio 2015 e il bilancio preventivo 2016, in modo tale che
abbiate il tempo di analizzarli per tempo.
Chi vuole continuare questa conversazione puo trovarmi sul Forum FIMF, inviarmi
una email oppure scrivermi direttamente.
Antonello Lato
Riferimenti:
- Sito FIMF
- Forum FIMF
- Pagina Facebook
- Indirizzo email
http://www.fimf.it
http://www.scalatt.it/forum/forum.asp?FORUM_ID=144
http://www.facebook.com/paginaFIMF/
[email protected]
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Dall’Ungheria per la RA - Carrozze a tre assi ABI
elle carrozze RA a tre
assi con intercomunicante serie ABI abbiamo
più volte in passato già
scritto. Sul Bollettino
FIMF n° 301 a pag. 7
pubblicammo anche lo
schizzo delle ABI 74307449, tutte consegnate nel
1905 alla vigilia del passaggio della RA alle FS,
ove vennero riclassificate
ABIy 58636-655.
Cinque di esse, RA ABI
7430-7434 poi FS ABIy
58636-640, erano di
costruzione ungherese
Ganz-Budapest; l’amico ungherese György
Lovász, che ringraziamo di cuore, ha voluto
condividere con noi due
foto della collezione del
padre István, scomparso
nel gennaio del 2014,
grande cultore di storia
e tecnica ferroviaria e
già alto dirigente della
BHÉV (Ferrovia Locale
di Budapest). Le immagini (foto 1 e 2) provengono da lastre fotografiche
d’origine Ganz.
1
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Sempre in riferimento a
quanto pubblicato sul n.301
(pagg. 6, 7 e 8),
grazie al socio
Stefano Zicche
riproduciamo
anche il disegno delle assai
simili carrozze
tre assi ex RA
della serie ABI
7410-7414 e
7415-7429,
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poi FS ABIy 58616-620, pure di costruzione
Ganz e 58621-635 costruite da SAVIGLIANO
(disegno SFM da arch. SMT-FS,
coll. Zicche).
Ricordiamo che le tre assi ex RA
vennero rinnovate negli anni ’30
(cfr. foto Boll FIMF n° 176 pag.
20-21) e nel dopoguerra vennero
in gran parte declassate a terze
classi CIy34600 (seconde, serie
BIy dal 3/6/1956) con la sostituzione degli originali divani
imbottiti con sedili in legno a 4
posti (vedi foto sui Boll FIMF n°
237 pag. 16 e n° 304 pag. 36);
una sola di esse conservò l’allestimento di classe con divani
imbottiti e venne riclassificata
come seconda BIy 24750 (dal
3/6/1956 prima classe AIy, foto
su Boll n° 237 pag. 16).
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Foto della BIy
(già CIy) 34615
ci viene ora fornita dal socio
ing. Fabio Cherubin (foto 3, ripresa effettuata il
1968 nelle Officine Gallinari di
Reggio Emilia);
verrà poi trasportata sull’Appennino Modenese
(Foto Boll FIMF
n° 304 pag. 36)
ove fu utilizzata
3
come “biglietteria” per gli impianti sciistici di Lama Mocogno). Grazie!!!
Archivio Triaca coll. Signoretto
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Con l’occasione integriamo e completiamo la trattazione delle carrozze a tre assi intercomunicanti della
RA, cui al già citato Bollettino FIMF n° 301. Grazie
alle intuizioni di Guglielmo Valetti ed alla cortesia di
Aldo Riccardi, coautore dei bei libri dell’editore Pegaso sulle loco a vapore italiane giunti ormai quarto
volume, che ha cortesemente fornito il permesso di
riproduzione, siamo in grado di pubblicare la foto
4 di parte di una carrozza RA serie ABI 7405-7409
(poi FS ABIy 58611-615) ed un’altra, foto 5 presa
nel 1911 presso Borgio Verezzi, di una FS serie ABIy
58600-605 (già RA ABI 6224-6229) probabilmente
in servizio diretto internazionale Vienna-Ventimiglia
(resta qualche dubbio per la differenza delle fiancate
rispetto allo scarno figurino RA).
Pietro Merlo
Congresso Morop 2015 - Parte 2
D
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foto Fontanellaz
a
Alla scoperta della Baviera attraverso le sue ferrovie
opo pranzo, chi vuole, è libero di visitare da terra e davanti alla porta d’ingresso, tant’è
il MIGA (Modellbahn Interessengemein- che tutti ci passiamo tranquillamente sotto. Anschaft Augsburg E.V.), detta anche Haus der che qui l’ambientazione è tedesca, ma ci siamo
Modelbahnen, cioè la Casa del Fermodellismo spostati al confine fra la Germania, la Svizzera
e mai termine fu più azzeccato di questo, perché e la Francia, dato che è presente qualche monl’edificio è di tre piani con all’interno quat- tagna innevata e un TGV sosta affianco ad una
tro plastici, dei quali tre in H0 e uno in scala locomotiva elettrica tedesca simile alle nostre
più grande, ancora in costruzione ma già con E483. In questo impianto è presente anche una
alcuni dettagli molto interessanti, specie nella linea a scartamento ridotto dotata di cremagliera,
riproduzione dell’interno delle carrozze. Alle ma su di essa non transita nessun treno. Anche
pareti sono onnipresenti delle vetrine con dentro qui la ricchezza dei dettagli è di ottimo livello
locomotive o convogli interi. Fra fotografare e e uno sguardo all’interno della rimessa ICE ti
riprendere i plastici spesse volte mi sono ritro- fa passare in un universo parallelo. Passando
vato solo, perché ero l’ultimo a lasciare le varie per caso nei pressi del ponte citato poche righe
stanze. In un locale leggermente defilato ho sopra, riesco a fotografare per pura fortuna un
visto la costruzione avanzata di un plastico di treno in transito. Scendo a visitare l’ultimo
ambientazione svizzera e anche qui il livello dei plastico, quello in scala più grande e li mi devo
dettagli non era male, ma il bello stava
per arrivare. Entro in un’altra stanza e
la mia attenzione viene attirata, oltre
che dal grande plastico in sé, dalla rimessa circolare delle locomotive che ha
ben ventiquattro vie e, proprio in questo
plastico, riesco anche ad immortalare
il Talgo con la livrea tedesca quando
quel materiale girava per l’Europa.
Date le dimensioni del plastico posso
assicurare che circolano treni di discreta lunghezza e ho incrociato anche un
Railjet austriaco in doppia trazione di
1116. Altra stanza, altro plastico e qui
mi dicono che questo impianto è conosciuto dal ponte che i treni percorrono, Al MIGA di Augsburg anche per fare due chiacchere l’amperché esso è situato a più di due metri
biente è ferroviario (foto A. Manino).
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Sopra: in uno dei plastici del MIGA non manca la riproduzione del ponte sul Lech della linea Augsburg-München
(foto A. Manino).
Sotto: i modelli in cartoncino permettono di pianificare
in anticipo la disposizione finale degli edifici sul plastico
(foto A. Manino).
accontentare solo della circolazione dei
treni (che scopro che non appartengono
all’associazione, ma sono dei soci che
li portano lì spontaneamente) perché il
paesaggio è ancora in fase di costruzione,
nonostante una festa tipicamente tedesca
sia già completata in tutti i dettagli. Col
permesso del locale Dirigente Movimento entriamo all’interno del plastico, dopo
che un segnale si è disposto al rosso per
permettere l’alzamento del doppio ponte
levatoio per il transito delle persone.
Davvero molto originale questo ingresso,
in Italia si continuerebbe a passare sotto
i tavoli o a non portare un modulo per
Il doppio ponte levatoio per entrare nel
plastico in 1 del MIGA (foto A. Manino).
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Un tavolo su quattro respingenti, come
al MIGA; è un’idea per casa! (foto A. Manino).
permettere un comodo accesso. Usciti io e i miei
compagni italiani siamo perfettamente consapevoli che la giornata è ancora lunga, quindi
decidiamo di fare un giro per Augsburg, cenare
li e tornare a Kaufering in treno dopocena.
Il giorno dopo una coppia di pulman ci attende per
portarci ad Ochsenhausen, stazione capolinea di
una ferrovia a scartamento ridotto; sono presenti
alcuni carri merci con i respingenti posizionati
all’altezza dei carri merci normali, perché su alcuni carrellini di servizio sono posizionati di carri
merci a scartamento ordinario. Vicino ai terminali
troviamo anche una carrozza a scartamento ridotto
in completo stato di abbandono e un carrello a
scartamento ordinario buttato completamente
fuori dai binari. La linea appartiene alla Öchsle
Bahn AG, è una ferrovia museo, ha scartamento di
750mm e va fino a Warthausen. In questa località
c’è un comodo interscambio con la linea ordinaria
Biberach - Laupheim West/Stadt. Prima dell’arrivo del treno ci sono più di due ore di tempo libero
che ognuno impegna come vuole. Arriva il treno
con in testa una locomotiva a vapore che traina una
serie di carri e carrozze sia a carrelli sia a due assi.
Tutte le carrozze hanno la particolarità di essere
abbastanza corte in fatto di lunghezza. Intanto il
treno si ferma, la locomotiva si porta in coda al
treno (che diventa adesso la testa) e dopo poco si
parte. Dopo circa un’ora di viaggio arriviamo nella
stazione di Warthausen.
Un tempo la linea proseguiva scavalcando la
linea principale e successivamente correndole in
parallelo fino alla stazione di Biberach, adesso la
parte terminale è stata
soppressa, compreso
I carrellini per il traino di
carri a scartamento normale esposti in stazione
di Ochsenhausen (foto
A. Manino).
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anche il raccordo di collegamento fra la ferrovia
ordinaria e quella a scartamento ridotto, facendo
sì che alcuni carri rimanessero intrappolati sui
carrellini atti al trasporto dei carri merci a scartamento ordinario sulla ferrovia a scartamento
ridotto. Uno è rimasto posizionato a metà, un
carrello sul carrellino e uno sul binario normale.
Mi chiedo perché questi carri venissero inoltrati
sulla ferrovia a scartamento ridotto, dato che non
c’è nessun raccordo industriale. Alla radice Sud
dello scalo è presente anche un binario che forse
doveva essere un binario di salvamento, dato che
finisce in salita e poi c’è un dislivello verticale
di circa un metro. Dopo aver pranzato il nostro
trenino inverte la marcia e la locomotiva è pronta
per marciare a ritroso fino a Ochsenhausen.
Aprendo una piccola parentesi sul tema delle locomotive, la Ferrovia Genova-Casella è da poco
rientrata in possesso della locomotiva Diesel D1,
ex V52 902 DB. Quando le DB hanno fatto questa
ordinazione, hanno anche ordinato tre macchine
dello stesso modello, solo con scartamento di
750mm, fra le quali è presente anche la V51 902
che trascorse tutta la sua vita proprio su questa
linea che ho appena fatto. Circolò sui binari fino
al 1996, quando venne portata via da un privato
e ora si dice che dal 2006 giace smontata da
qualche parte in attesa di un’eventuale riparazione
(alcune notizie sono state prese dalla rivista ITreni
numero 388).
Modellini di legno in vendita in stazione di Ochsenhausen (foto A. Manino).
L’ultimo giorno è stato il meno bello: si vedeva
che era una specie di tapullo perché non si sapeva
che cosa fare e allora era stato organizzato un giro
circolare. Da Kaufering abbiamo preso il treno e
siamo andati fino a Geltendorf, dove in ingresso
abbiamo sovrappassato la linea proveniente da
Walleshausen. A Geltendorf riprende la trazione
elettrica, ma il treno che dobbiamo prendere ha un
ritardo abbastanza consistente. Comunque si riparte
col treno giusto, appartenente alla BRB (Bayerische
Regiobahn GmbH) e lasciamo a sinistra la linea per
Grafrath mentre il nostro treno diesel si dirige verso
l’Ammersee, che costeggia per tutta la sua lunghezza dalla stazione di Schondorf a quella di Dießen.
Fra la fermata di Raisting e la fermata soppressa di
Il nostro treno in attesa della partenza a
Ochsenhausen (foto A. Manino).
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Wielenbach scavalchiamo l’Ammer
e poco dopo da sinistra si congiunge
la linea elettrica Wilzhofen (stazione
senza servizio viaggiatori) - Polling (altra stazione senza servizio
viaggiatori). A Weilheim facciamo
un ulteriore cambio e a causa del
nostro ritardo prendiamo il treno di
un’ora dopo, che da orario dovrebbe
portarci a Garmisch-Partenkirchen,
ma la realtà dei fatti è ben diversa
perché la linea è chiusa per lavori.
Comunque ripartiamo e lasciamo
Sopra: incontro a Geltendorf fra un treno Alex e uno
Deutsche Bahn (foto A.
Manino).
A sinistra: a Geltendorf finalmente arriva il nostro treno
di linea della Bayerische
RegioBahn per portarci a
Weilheim (foto A. Manino).
Sotto: moderna dresina e
carro tramoggia con carico
di ghiaia per lavori al binario a Reutte in Tirol (foto A.
Manino).
a sinistra la linea diesel per
Peißenberg. Dopo qualche
chilometro giungiamo al
capolinea provvisorio, scendiamo e prendiamo l’autobus
sostitutivo; però non quello
in servizio regolare, ma uno
messo a nostra esclusiva
disposizione dalle DB per
farci recuperare il ritardo,
che ci porterà direttamente
a Reutte im Tirol, in Austria.
Controlli alla frontiera non
ce ne sono stati e arriviamo
a Reutte in tempo per essere indirizzati al ristorante
dove ci aspetta il pranzo. Successivamente abbiamo
del tempo libero e io ne approfitto per andare a
fotografare qualcosa in stazione, anche se c’è ben
poco. Sono fortunato e riesco a fotografare in sequenza il momento del carico di ghiaia di un carro
tramoggia proprio di fronte a me. Arriva il nostro
treno, fa una breve sosta e poi inverte la marcia per
ripartire verso Kempten. Partiti da Reutte in Tirol,
dove finisce la trazione elettrica austriaca e inizia
quella Diesel tedesca, riesco a capire che la linea
è abbastanza tortuosa, ma il paesaggio montano
è dolce e trasmette tranquillità. Tra la fermata di
Pflach e quella di Musau passiamo sopra il Lech,
mentre nei pressi della stazione di Vils in Tirol è
presente il raccordo della Zementwerk Schretter.
Successivamente fra la fermata di Schonbichl in
Tirol e la stazione di Pfronten/Steinach valichiamo
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il confine e dall’Austria torniamo in Germania. A
questo punto la tranquillità ha raggiunto livelli altissimi e, complice il fatto che ho mangiato da poco,
chiudo gli occhi per qualche minuto, anche perché
sono sorvegliato a vista dagli altri membri italiani
seduti davanti a me. Dormo veramente poco ma
quel poco che quando riapro gli occhi mi accorgo
che le montagne sono ormai distanti dall’ultima
volta che le avevo viste; mi sveglio giusto in tempo
per vedere il ponte sopra il Wertach, sito fra la stazione di Nesselwang e la fermata di Maria Rain. Da
qui la linea inizia ad avere molte più curve e controcurve che ci accompagneranno fino alla stazione di
Kempten, dove da destra si collegano le linee diesel
provenienti dalle stazioni soppresse di Betzigau e
Heising. Si scende e si cambia nuovamente treno,
in attesa del materiale che ci porterà a Buchloe via
Gunzach. Ripartiti da Kempten, lasciamo a sinistra
la linea diesel per la stazione soppressa di Heising,
intanto il treno inizia a prendere velocità e il sistema
di pendolamento funziona egregiamente. Alla fermata di Biessenhofen si affianca da destra la linea
diesel proveniente da Marktoberdorf, mentre poco
dopo la stazione di Kaufbeuren sovrappassiamo il
Wertach e lasciamo a destra la linea soppressa per
Mauerstetten. Senza altre opere d’arte importanti
arriviamo a Buchloe, dove da sinistra si collega
la linea proveniente dalla stazione soppressa di
Weidergeltingen. Ultimo cambio e prendiamo il
treno che ci porta a Kaufering, lasciamo a sinistra
la linea diesel per Schwabmünchen e, dopo poco,
appaiono a destra e a sinistra i raccordi industriali
della linea di proprietà della Kieswerk Rebel (a
sinistra) e della Klausner Holz (a destra). Oltre ad
essi appare anche la linea diesel proveniente dalla
stazione di Lagerlechfeld.
Si arriva a Kaufering assieme al treno proveniente
da München con sopra mio papà che mi ha raggiunto; ci sistemiamo in camera e ci prepariamo
alla cena finale del Morop, dove viene annunciato
il luogo dove si terrà il prossimo convegno che
dovrebbe essere a Wernigerode, sempre in Germania. Successivamente si va tutti a nanna e il
giorno dopo è quello della partenza per tutti: ma
non per tutti questo giorno indica il ritorno a casa;
eh sì, perché dopo aver salutato il gruppo italiano,
io e papà siamo ritornati a Landsberg am Lech,
la sera ci siamo trasferiti ad Augsburg, il giorno
dopo siamo andati a vedere Legoland a Gunzburg
e poi abbiamo concluso in bellezza con una capatina ad Amburgo al Miniatur Wunderland per
poi ritornare a casa, ma questa è un’altra storia.
Al prossimo Morop.
Enrico Costo
Gli effetti della cura del ferro (terza parte)
RETE TRAMVIARIA
Dopo gli sconvolgimenti degli anni ’50 con la
falcidia della rete tramviaria voluta dalla politica, un’ulteriore spallata fu purtroppo data dal
terremoto del 1980. Come si è talvolta riferito
anche da queste colonne, ciò che è rimasto del
servizio è uno schema molto somigliante ad una
“T” capovolta.
Su di essa si articola l’esercizio di tre linee: la
1, la 2 (al momento sospesa) e la 4. Il materiale
rotabile viene ricoverato nell’unico deposito
di San Giovanni, che funge anche da “loop”
per l’inversione delle vetture. Però il panorama
tramviario non è privo di novità anche positive,
segno che la ventata europea di opinione “protram” è arrivata anche a Napoli. Ma esaminiamo
distintamente i tre esercizi.
La linea storica 1 che sembrava radicalizzata
sull’itinerario Sannazzaro (terminale nord) Poggioreale Emiciclo (terminale est) ha subito vari
arretramenti fino ad attestarsi in via Colombo
angolo piazza Municipio (foto 1): ciò sia per
concomitanti e grandiosi lavori della M6 sulla
Riviera di Chiaia, sia per quelli della M1 a
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piazza Municipio. Comunque appare realistico
prevedere che un giorno la 1 riguadagnerà il
suo capolinea di piazza Sannazzaro, anche
se di certo lo farà con una tappa intermedia a
piazza Vittoria.
Sono invece quasi tre anni che, dopo importanti
lavori lungo via Poggioreale e via Stadera, i binari sono arrivati in località “Vecchiarelle” con
un’estensione di circa ulteriori 1300 metri da Emiciclo. La novità, oltre che portare un senso di progresso a quel quartiere densamente abitato, è stata
vista con entusiasmo trattandosi di un’inversione
di tendenza dopo oltre mezzo secolo di ridimensionamenti. Inoltre, a seguito di una convenzione tra
ANM ed Ansaldo-Breda (oggi Hitachi Rail Italy),
il primo tratto del nuovo segmento ha costituito
laboratorio attrezzato per sperimentare il sistema
innovativo tram wave di captazione dal suolo dell’energia elettrica di trazione. All’uopo la vettura
Sirio matricola aziendale 1121 è stata attrezzata in
tal guisa. Ed è stato tutto sommato un laboratorio
fruttuoso se è vero, com’è vero, che la città cinese
di Zhuhai sta utilizzando tale tecnologia (catenary
free) nonché il relativo materiale rotabile.
Foto 1 - Un tram Sirio della linea 1 al terminal di via Colombo (foto A. Cozzolino)
I nuovi capilinea, che non presentano cappio ma solo
tronchini ed opportuni scambi, sono stati resi possibili
dalla bidirezionalità dei “nostri” Sirio. Qualche tempo
dopo, con l’arrivo della 1 a Stadera, l’emiciclo di
Poggioreale, è stato interdetto del tutto a capolinea;
sul grande spazio resosi disponibile, rimossi i binari,
sono iniziati i lavori per il salto della M1 da Garibaldi
all’aeroporto (via Centro Direzionale).
Non molto da dire sulla linea 4. Partendo da San
Giovanni deposito con utilizzo di binario interno
rimessa a mo’ di cappio, raggiunge il terminale
comune con la 1 di Colombo. Si potrebbe definire
un collegamento costiero.
Per quanto riguarda la 2, essa è espletata con
vetture Peter Witt a carrelli (anni ’30), ricostruite ma monodirezionali. Pertanto con la
chiusura dell’emiciclo essa è stata sospesa:
infatti mentre il capolinea di san Giovanni
deposito consente il cappio, come del resto
detto, non si può dire altrettanto di Stadera.
Pertanto si sta attrezzando il cappio di Piazza
Nazionale per il ripristino della 2. I lavori sono
in sostanza terminati; si prevede per gennaio
2016 la riapertura della linea San Giovanni
deposito-Piazza Nazionale.
Foto 2 - Tram Meridionale 1029 ripreso
a P. Nazionale in servizio charter (foto A. Cozzolino)
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FERROVIE SUBURBANE
Le numerose ferrovie suburbane di Napoli (talune
interprovinciali) sono state di recente raggruppate
sotto il marchio “EAV treni”. Ciò se da un lato
ha realizzato un’auspicabile razionalizzazione
di costi e gestione delle risorse, ha d’altro canto
scombussolato un po’ le gerarchie ante accorpamento. Analogamente i servizi su gomma di tali
entità sono ora inclusi nella inedita compagnia
pubblica “EAV bus”.
Il nuovo assetto capita però in un momento davvero difficile per il trasporto pubblico in Campania,
quale conseguenza dei tagli alle risorse finanziarie
imposti a partire dal 2011. Le varie linee si trovano
infatti a combattere una battaglia quotidiana tra
la carenza del materiale rotabile ed il reperimento
di risorse, che possano assicurare gli stipendi al
personale nonché una ordinaria o straordinaria
manutenzione ai treni. Ma vediamo in dettaglio
ed in sintesi le varie realtà.
La rete Circumvesuviana si può considerare l’ammiraglia del neonato “brand”, con il suo bacino di
utenza di ben 2 milioni di soggetti distribuiti tra 46
stazioni e fermate. Le linee sono sei; i passeggeri
trasportati 70.000 al giorno. La linea di forza è
decisamente la Napoli-Sorrento, sia per la densità
abitativa dei territori attraversati, sia per la loro
valenza turistica (Ercolano, Pompei, Sorrento e
le cittadine della costiera). Alla luce delle recenti
restrizioni, a partire da settembre 2012 l’orario è
stato rivisitato, tagliando in particolare il servizio
in uscita al mattino ed in rientro la sera.
Dispone di una flotta teorica di oltre 100 ETR, in
parte disarmati e/o
cannibalizzati. I
26 ETR di ultima
generazione (costruzione AnsaldoBreda cosiddetti
Metrostar, foto 4)
hanno evidenziato
da subito problemi
strutturali, per cui
sono in corso rettifiche di tali errori.
Inoltre una dozzina di quelli della
1a serie risalente
agli anni ’70 è stata
finalmente avviata
alla ricostruzione
Foto 3 - Stazione superiore della funicolare
presso un’industria
Montesanto con uno dei due convogli in servizio
specializzata.
Prima di chiudere queste note, devo riferire della
giudiziosa ricostruzione della vettura Meridionale
1029. Ciò ha consentito di avere una testimonianza
imperitura dei tempi eroici della rete tramviaria
napoletana. L’apprezzabile impresa si deve ad
un manipolo di volontari diretti da un abile capodeposito, di recente andato in pensione. La 1029
esce su richiesta ed in determinate occasioni, ma
necessita del cappio per inversione (foto 2).
FUNICOLARI
La città capoluogo di Napoli gode del servizio di
ben quattro funicolari, di cui tre la collegano al
quartiere Vomero ed una al quartiere Posillipo.
Costruite tra il 1889 (quella di Chiaia) ed il 1931
(quella di Posillipo), rappresentarono una causa/effetto dell’urbanizzazione della collina che circonda
Napoli. Oggi che la fase degli insediamenti abitativi si può dire conclusa per esaurimento di suoli
edificabili, esse offrono una funzione che a dirla
essenziale, appare riduttivo. Malgrado la loro età di
certo non giovanile, sono state sottoposte nel tempo
a profondi lavori di rinnovamento sia per la parte
strutturale che quella veicolare (foto 3).
Oggi i quattro impianti sono perfettamente interconnessi sia con la linea M1 che con la M2 delle
metropolitane cittadine, come riferito nell’apposito paragrafo.
La funicolare di Montesanto inoltre è stata scenario
di indimenticabili film che, oltre a diffonderne la conoscenza, hanno rappresentato memoria del suo vecchio aspetto. Cito per tutti i film “Le quattro giornate
di Napoli” e “Napoli violenta: entrambi esibiscono
una visione completa delle vecchie vetture.
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Foto 4 - Il nuovo ETR 027 della
Circumvesuviana (foto A. Cozzolino)
Nel parco sono altresì disponibili due convogli
turistici di cui uno storico (foto IV di copertina),
che sono utilizzati su richiesta o in particolari
occasioni. Lo scartamento è il 950 mm.
Al secondo posto per importanza inserirei senz’altro la Cumana/Circumflegrea (ex Sepsa) con un
traffico giornaliero di 37.000 utenti pari a 13
milioni annui. Viaggia su scartamento ordinario
collegando il cuore di Napoli (Montesanto) alla
zona dei Campi Flegrei. In seguito ai riferiti tagli,
il segmento Licola-Torregaveta è stato sospeso,
per cui i due rami s’incontrano solo al terminale
di Montesanto. Anche in questo caso possiamo
enunciare una disponibilità teorica di una trentina
di ETR.
Infine parliamo della rete già MCNE (Metrocampania del Nord est) includendo la Napoli-Benevento via Valle Caudina e la Napoli-Piedimonte
Matese. Le due linee fanno capo alla stazione di
Napoli Centrale di RFI; viaggiano su binario a
scartamento ordinario e delle due è elettrificata
solo la Benevento via Valle Caudina. Su tutta la
rete MCME il servizio è sospeso la domenica
ed i festivi, il che la dice lunga sulla frequenza e
sull’affidabilità.
E’ annoverabile nell’ex MCNE la neonata linea
del cosiddetto Metro Arcobaleno in servizio dal
terminale Piscinola della Metro 1 fino ad Aversa.
Ci sarebbe in prospettiva un’estensione fino a
Santa Maria C. V. di cui sono state già realizzate
alcune strutture (ponti e sottopassi); ma allo stato
attuale i cantieri non risultano attivi. Il
segmento in
servizio svolge un ruolo
prezioso di
interscambio
e di collegamento con
i paesi della
cintura rispetto al capoluogo. Viaggia
del tutto in
sotterraneo
con l’utilizzo
di ETR già
della Metro
Roma, opportunamente revampizzati.
CONCLUSIONI
Siamo giunti al termine della mia piccola relazione
sulla situazione del trasporto su ferro a Napoli ed il
suo hinterland. Mi auguro che questo modesto lavoro
abbia suscitato sia interesse, sia la curiosità di venire
a Napoli per poter vivere questo stimolante apparato.
Mi ritengo a disposizione di quanti vorranno interpellarmi per consigli o indicazioni in tal senso.
Devo dire con piacere che non è raro vedere
comitive provenienti da varie parti di Europa,
e talvolta anche da oltre oceano, che vengono
a visitare questo straordinario e variegato patrimonio di cultura trasportistica. Tra queste visite
posso dire con orgoglio di essermi personalmente
occupato di alcuni Club europei, organizzando la
parte logistica e talvolta i noleggi dei mezzi storici. I singolari turisti hanno lasciato la città con
un bellissimo ricordo appagati di quanto avevano
visto. Consentitemi di citarne alcuni:
- Eurorail di Strasburgo e Basler EisenbahnAmateur, primavera 2010;
- Blickpunkt Strassenbahn di Berlino, maggio
2010;
- FACS Fédération des Amis des Chemins de fer
Secondaires, marzo 2014;
- Sporvejsmuseet Skjoldenæsholm Amici del
Museo del Tram di Copenhagen, maggio 2014.
Pertanto nel ringraziare quanti con pazienza sono
arrivati fin qui con la lettura, do a tutti un appuntamento a Napoli in un prossimo futuro.
Gennaro Fiorentino
15
O
Sulla Lecco-Como e pensieri vari
gni tanto approfitto di qualche estemporaneo giorno di ferie per visitare ferrovie che
non ho avuto modo di vedere nel mio passato di
viaggiatore-esploratore. Succede, nella vita, che si
trascuri ciò che è più vicino a noi, perché troppo
a portata di mano, troppo banalmente disponibile
e certe decisioni si rimandano all’infinito, a volte
occasioni sono definitivamente perse e non tornano
più. Per farla breve ed evitare la filosofia da carta dei
cioccolatini, in uno di questi pomeriggi dedicati alle
escursioni ferroviarie mi sono deciso a compiere
un viaggio esplorativo sulla Lecco-Como, o più
precisamente Molteno-Albate Camerlata, a mezzo
secolo di vita abbondantemente superato. Tutte le
località toccate durante questo affascinante percorso distano manciate di chilometri da casa mia e non
serve certo un tour operator per organizzare una
1
visita a questi percorsi, normalmente frequentati
da lavoratori pendolari, studenti e famigliole che
traslano da un paese all’altro per andare in visita a
qualche parente; ma tra un rinvio e un’indecisione
questo viaggio mi sono deciso a farlo solo ora.
La stazione da cui parto, Macherio, si trova sulla
linea Monza-Molteno-Lecco: devo raggiungere
Molteno, dove cambierò treno per dirigermi verso
Como, ma solo fino alla stazione di Albate Camerlata, ove la linea si “immerge” nei binari della ben
più importante linea internazionale Milano-Monza-Como-Chiasso-Lugano-Gottardo-Art Goldau
che ben conosco dai tempi delle mie scorribande
ferroviarie di adolescente. Il tratto Molteno-Albate
invece costituisce per me una tratta ferroviaria
inesplorata ed è la vera meta di questo pomeriggio
dedicato alle ferrovie brianzole.
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Devo premettere che ogni volta che affronto
questi viaggi nei dintorni di casa mia, gli spostamenti che compio sono contemporaneamente
di due tipi: uno, ovvio, nello spazio, ma un ulteriore, molto meno banale, nel tempo, poiché
è inevitabile, ogni volta che rimetto i piedi su
una banchina di stazione, rievocare i miei viaggi
da ragazzo sulle ferrovie degli anni ’70 e ’80
sui binari dell’Italia settentrionale e centrale,
perennemente con la testa fuori dal finestrino
in qualsiasi condizione atmosferica e a qualunque velocità, sui “locali” (o “accelerati”) così
come sui “diretti”, “espressi” e “rapidi”. Così
si chiamavano i treni allora, altro che regionali
o regionali veloci, regio-express (sigh), IC, EC,
frecce e quant’altro. Sia ben chiaro che non
rimpiango quei tempi in modo fine a se stesso
e so benissimo che in
alcuni casi oggi in treno si viaggia meglio,
però in compenso si
spende mediamente
molto di più e soprattutto si è persa
quell’omogeneità che
faceva sì che, dovunque tu mettessi piede
in un sito ferroviario,
entravi in un mondo
chiamato FS che ti
prendeva e ti riconsegnava da tutt’altra
parte, ma sempre parte dello stesso mondo
con lo stesso monogramma (FS), animato dagli
stessi personaggi di colore carta da zucchero
che si sentivano parte di quel mondo. Inoltre la
cura e il decoro dedicati dalla maggior parte dei
capistazione alle loro stazioncine periferiche,
ornate da fontanelle, aiuole curate, Madonnine,
sette nani e Biancaneve varie, si è perso del tutto
grazie all’impresenziamento degli impianti ed il
declassamento a semplici fermate.
Dunque eccomi nella ex-stazione ora fermata di
Macherio: l’edificio, che 35 anni fa sarebbe stato
popolato sicuramente da un capostazione che
mi avrebbe venduto il biglietto e con cui avrei
scambiato qualche parola, magari cazzeggiando
sul clima infernale, ora è tristemente deserto. Sono
le 13 di uno dei giorni più caldi dell’anno e l’afa
opprime. C’è un solo locale aperto che sarebbe
2
la sala d’attesa: le due porte, una lato ferrovia e
l’altra lato piazzale d’ingresso, creano una leggera
corrente che aiuta a sopravvivere nel caldo torrido.
Nella sala qualche sedile per l’attesa, poche scritte
sui muri poiché evidentemente il locale è stato
riverniciato da non molto, il ronzio di un’apparecchiatura elettronica, il monitor con lo stato dei
treni in viaggio lungo la linea. Ogni tanto l’altoparlante emette qualche messaggio spontaneo per
avvisare eventuali viaggiatori presenti in stazione
di non aprire le porte a treno in movimento (cosa
impossibile sul 99% degli attuali treni) e, nel caso,
dei ritardi dei treni.
Giunge quindi il mio treno (foto 1), elegante e
silenzioso e soprattutto stridente con lo stato dimesso e trascurato dell’edificio di stazione e della
banchina: è l’ATR125 detto Besanino, treno diesel
a trazione elettrica su cui salgo con un senso di
profondo sollievo, dato che mi trovo immerso in
un’atmosfera ovattata,
nel comfort garantito
dall’aria condizionata e
mi siedo comodamente
affacciato ad uno dei
finestroni panoramici
che corrono lungo le
fiancate. Una volta sarei
salito su una ALn668
serie 1000 o 1100 senza
climatizzatore, con i
viaggiatori accaldati e
incazzati neri perché
ad ogni sosta veniva
meno il minimo sollievo garantito dalle
3
correnti d’aria tra i fi-
nestrini aperti, partita da Monza già
arroventata per la
lunga sosta sotto il
sole estivo. Adesso
mi trovo su questo
mezzo elegante e
confortevole, luminoso e panoramico,
che però sembra
più un tram che un
treno.
Il bigliettaio-conduttore a cui chiedo un biglietto per
Molteno mi guarda
stranito: non sono
molti quelli che si fanno lo scrupolo di acquistare
il “titolo di viaggio”, voglio sperare perché la maggior parte delle persone sul treno siano abbonati,
ma temo che in realtà i non paganti siano molti,
dato che in tutto il percorso fino a Molteno non
vedo effettuare un solo controllo biglietti.
A Molteno il Besanino mi lascia sulla piattaforma tra primo e secondo binario e su questo c’è
il secondo treno della mia giornata ferroviaria:
trattasi di ALn668.1011 di Trenord (foto 2)
che, a parte la livrea moderna e devo dire tutto
sommato elegante, mi riporta veramente indietro
nel tempo. Niente climatizzazione: i finestrini
sono aperti e mi preparo a rivivere un viaggio,
seppure breve, come quelli che animavano i
miei anni ruggenti di malato di treni e ferrovie.
Sia ben chiaro che la malattia non è affatto guarita, anzi: è il ruggito che è venuto meno, così
come la criniera. Pochi minuti e partiamo, in
17
orario. Sul treno siamo in pochini e ancora una
volta stupisco il conduttore con la richiesta del
biglietto. Caccio la testa fuori dal finestrino e la
regressione al passato è quasi totale, mentre mi
rievoco, ancora crinito, al finestrino di uno delle
centinaia di treni che ho frequentato da adolescente sulle bellissime linee secondarie degli
anni ’80, ma l’immagine viene immediatamente
rintuzzata dall’aspetto spettrale e dimesso delle
stazioni lungo il percorso: Casletto-Rogeno e
Moiana (foto 3) e però poi, con grande sorpresa,
lo splendido piazzale della stazione di Merone
(foto 4), con i binari rincalzati di fresco, il pietrisco immacolato, i marciapiedi rifatti e rialzati,
l’edificio di stazione riverniciato, gli indicatori
dei treni ai binari perfettamente funzionanti. Qui
la mia linea incrocia la Asso-Meda-Milano, una
delle storiche linee ex Ferrovie Nord ora Trenord, che immagino frequentata da migliaia di
pendolari nelle ore di punta, mentre ora siamo a
inizio pomeriggio e in stazione non c’è nessuno,
salvo un paio di viaggiatori che aspettavano il
mio treno.
Riparto con il cuore gonfio di speranza per il futuro
delle linee secondarie italiche, ma Anzano, Brenna, Cantù, Albate Trecallo che si susseguono mi
fanno precipitare nella triste consapevolezza che
ormai queste ferrovie più che vivere sopravvivono, con i binari di raddoppio tagliati e semisepolti
da terriccio ed erbacce, con gli scali merci che una
volta raccoglievano e smistavano collettame ormai
ridotti a ruderi oppure già crollati del tutto o in
parte, con i piazzali disadorni e gli edifici deserti,
porte con vetri rotti e infissi in stato precario,
un solo locale dell’edificio (come a Macherio)
tenuto aperto per far sì che i viaggiatori, sempre
18
meno e quasi mai
paganti, possano
ripararsi dalle
intemperie. Ma
intanto mi godo
il presente: la ferrovia c’è ancora
e funziona e ad
Albate Camerlata la prima parte
del mio viaggio
finisce. Dopo circa mezz’ora di
attesa riprendo
il treno in senso
inverso: è ancora
4
la ALn668.1011
del viaggio di andata che sta facendo il percorso
inverso e mi riporterà a Molteno.
A Cantù la stazione è abilitata all’incrocio, l’unica
del percorso a parte Merone, e qui si capisce che
razza di impatto abbia sulla regolarità dei viaggi
aver disabilitato e smantellato i binari di raddoppio nelle altre località: il treno in senso inverso
è evidentemente in ritardo e noi non ne sapremo
mai il motivo, noi siamo fermi in attesa sotto il
sole cocente. Continuo a guardare il portale della
galleria lato Molteno ma passano più di venti
minuti e non si vede nulla. Alla fine il treno incrociante arriva, ma ci ha fatto accumulare più di un
quarto d’ora di ritardo che il macchinista del mio
treno non ha modo, ma soprattutto non ha alcuna
voglia, di recuperare. Giungo infine a Molteno e
con tale ritardo sul groppone perdo la coincidenza per Lecco, prossima meta della mia gita, col
risultato che devo sostare in questa stazione per
quasi un’ora in attesa del prossimo treno, nelle
ore più calde della giornata più calda del torrido
luglio 2015. Forse una volta ci sarebbe stato un
bar anche in questa stazione, per fortuna si trova
dall’altra parte della strada e l’acqua gelata che
mi vende mi aiuta a gestire l’accaldamento della
sosta forzata. In questa quasi-ora di attesa faccio
frullare il cervello in considerazioni sui viaggi in
treno di ora e quelli di allora e come sempre non
arrivo ad una conclusione, ma alla considerazione
che non esistono bei tempi o tempi grami e che
non è vero che si stava meglio quando si stava
peggio, ma bisogna semplicemente vivere il buono
che ogni epoca offre e farne tesoro. Ecco, alla fine
nella filosofia delle carte dei cioccolatini ci sono
ricaduto in pieno.
Costantino Costanzi
D
Premio Ogliari 2015 - La mia 471 FS
a un vecchio progetto dell’Ing. Adalberto
Schiassi che apparve su una rivista di qualche
anno fa (è inutile citarla, tanto è famosa) che si
riferiva alla costruzione di una 470 in tutto ottone,
ho voluto prendere lo spunto per riprodurre una
471, seguendo parzialmente le sue considerazioni,
ma volendo conservare la meccanica originale
del modello base, cioè della BR 57 della ROCO.
Chiaramente il lavoro sporco è stato quello
di smantellare tutto il tender per giungere alla
meccanica della motorizzazione e per accorciare
il passo del primo asse, che notoriamente è piuttosto distanziato rispetto agli altri due. Infatti il
tender italiano, come si sa, ha i tre assi a distanza
simmetrica e per fortuna quelli del tender ROCO
sono quasi identici nel passo (tranne quello che
ho dovuto spostare indietro).
E’ chiaro che ho dovuto modificare anche la posizione dell’ingranaggio di rinvio che trasmette il
moto dalla vite senza fine al primo asse, eliminando per ovvi motivi una ruota dentata. In questo
modo una ruota dentata che serviva a trasmettere
il moto ai due assi posteriori riesce a trasmettere
il moto contemporaneamente anche al primo
asse. Tutto ciò ha causato un notevole lavoro di
rastrematura della sede dell’asse e la foratura del
carter per l’ingranaggio principale. Insomma, un
bel rompicapo! Certo nel nostro hobby si va per
calcoli matematici e tentativi, altrimenti non si
otterrebbe niente. Ma il lavoro, ancorché estenuante, ha dato i suoi frutti. Per ciò che riguarda
la locomotiva vera e propria posso dire che non è
stato un gran lavoro e come sempre io mi avvalgo
di tutto ciò che è reperibile sul mercato.
Prima di decidere quale prototipo del reale riprodurre mi sono
rivolto alla documentazione
disponibile e alla competenza di
quanti potessero aiutarmi circa
la reale esistenza della macchina.
Alla fine ho optato per la 471.273,
che appare in alcuni documenti tra
cui uno fondamentale che attribuisce la macchina inizialmente al
deposito di Pistoia, quindi a Foligno, Udine, Milano Sm., Catania
ed infine assegnata a Fabriano,
alienata il 30.06.1968.
Premesso questo ho iniziato il
lavoro dal tender in quanto volevo conservare la motorizzazione
19
originale. Dalle foto allegate si può
rilevare la serie di passaggi che mi
hanno consentito di ottenere il rispetto del progetto originale. Prima
di tutto ho dovuto completamente
smontare il tender della 57 e mettere
da parte la scocca con la carboniera,
che non sarebbe servita più. Poi ho
eliminato il sistema di illuminazione per lasciare il posto ai pesi in
piombo, allo scopo di rimpiazzare
la zavorra costituita dalla scocca in
metallo. La macchina italiana citata
era provvista nella sua ultima configurazione di un tender a tre assi da
20 m³, proveniente dalle locomotive
del gruppo 730. Per ottenere una scocca di questo
gruppo ho utilizzato un tender RR a tre assi da 19
m³, tipico del gruppo 625, a cui ho asportato la carboniera ripulendo l’interno. Il telaio in zamac del
modello ROCO calza perfettamente ad incastro
nella scocca RR, ma mancava il prolungamento
del telaio, con la cassa degli attrezzi presente sul
frontale posteriore del tender. Prima di procedere
ho provveduto ad eliminare tutte le balestre e le
boccole del sottocassa, curando di asportare ancora del materiale in zamac per lasciare il posto
agli elementi che avrei applicato dopo. Questo è
stato di per sé un lavoraccio, dovendo operare di
lima a grana grossa e fine, ma il bello era dover
arretrare il primo asse per rendere uguale il passo
a quello degli altri due.
Ho sfilato il complesso con gli ingranaggi che
è inserito ad incastro nel blocco motore, ed ho
praticato la modifica evidenziata nel disegno. In
pratica la vite senza vite aziona una ruota dentata
calettata sul primo asse del tender, che è distante
dal secondo asse circa 28 mm e occorre riportare
20
questa distanza a 23,5 mm pari alla distanza del
secondo e terzo asse.
Ho praticato un foro nel telaietto degli ingranaggi
per riportare la ruota dentata di rinvio del primo
asse più in alto, in modo da ricevere il moto direttamente dalla prima ruota dentata in cima alla
piramide. Ovviamente una ruota dentata (bianca
nel sistema Roco) verrà eliminata e di conseguenza anche il perno di rotazione. La ruota dentata che
viene spostata in alto sarà sostenuta da un nuovo
perno di rotazione in ottone creato appositamente,
previa foratura e interconnessione tra le pareti del
telaietto. Il passo complessivo è stato alla fine di
47,5 mm. Sul tender italiano in realtà la distanza
è leggermente diversa, più lunga, ma tale da non
notarsi quasi. Una modifica simile sarà necessaria anche nel telaio del tender, che dovrà essere
adattato a ricevere la nuova posizione dell’asse.
Fatto questo ho posizionato il gruppo ingranaggi
di nuovo ad incastro nel suo alloggio. Il risultato
si osserva dalle foto.
Dopo aver eliminato ogni traccia del finto carbone
all’interno del tender RR, delimitando i confini in corrispondenza
delle casse porta attrezzi laterali e
del varco di caduta del carbone, ho
calzato semplicemente dall’alto le
pareti così ottenute sul telaio motore in metallo del tender tedesco
e con mia grande meraviglia ho
riscontrato che si innesta perfettamente sul perimetro metallico, facendo svettare appena a livello dei
bordi la piastra dei contatti elettrici
che tiene fermo il motore nella sua
sede tramite due viti. Come accennavo prima, ho dovuto eliminare
la lampadina posteriore con i collegamenti, per
lasciar posto ad ulteriori pezzi di piombo al 40%
(che ho adagiato in tutti gli spazi possibili intorno)
allo scopo di rimpiazzare la zavorra che viene a
mancare, dovendo eliminare per ovvi motivi la
carboniera anch’essa in metallo e la carrozzeria
originale in metallo anche quella. Il peso originario del tender tedesco era di 270 g netti, che
consentono al modello di spingere egregiamente
la locomotiva e trainare il treno di carri che molti
hanno già sperimentato. Devo aggiungere però che
ho sostituito il motore ROCO con uno leggermente più piccolo, un Mabuchi, che mi lasciava spazio
per aggiungere zavorra ai lati e dietro, riuscendo
a non diminuire la potenza di spinta.
Dopo i lavori di rielaborazione, il peso raggiunto
dal nuovo tender tipo 20 m³ è di 230 g netti, che
consente di spingere sufficientemente il modello
della locomotiva, pesante per via della caldaia in
ottone e del carro-motore che è già in zamac. Per
la verifica della trazione di eventuali carri dovrò
attendere le prove in linea. E’ ovvio che il contrappeso originale, inserito nella caldaia della Roco
come zavorra, non è stato più riutilizzato.
Tornando al tender, i lavori più impegnativi sono
così superati. Era necessario adesso completare
l’estetica, con l’aggiunta del nuovo carbone, del
prolungamento del carro con la porzione di ripiano
che ospita una cassa porta-attrezzi, sulla falsariga
del tender a carrelli da 22 m³ e con gli aggiuntivi
di rito. Avendo clonato già da tempo il tender a
carrelli ed anche la cassetta separatamente, non
ho fatto altro che rimodellare questa cassetta,
aumentando l’inclinazione del piano superiore
secondo i disegni quotati.
Il piano di calpestio aggiunto è derivato dal piano terminale del telaio del tender a carrelli, che
possiede le stesse misure di larghezza del tender
standard, per cui è stato facile adattarlo al nuovo
tender a tre assi. Devo dire che per applicarlo al
telaio in zamac del tender tedesco ho dovuto raschiare il traversone porta-respingenti in metallo,
tagliando via prima i respingenti, che possono
essere riutilizzati. Alla superficie piatta ottenuta
ho praticato due fori in corrispondenza dei respingenti rimossi (non è stato facile rimuoverli,
visto che sono il risultato di un’unica fusione,
almeno credo, visto che ho dovuto forzarli alla
base fino a staccarli). Lo spezzone del terminale
da applicare con i suoi naturali respingenti è stato
accostato e tenuto fermo sul posto con una goccia
di cianoacrilato.
Lo spazio dell’incavo inferiore così ottenuto è
stato riempito con colla a due componenti del tipo
“acciaio rapido” che, una volta
catalizzato, ha saldato il tutto
in un blocco unico. Allo stesso
modo ho incollato la cassa porta-attrezzi alla parete posteriore
del tender, secondo la posizione
in figura. Per fermare il tutto, ho
riutilizzato le due viti originali
del tender che tengono fermo
il carter ferma assi, il telaio
motore e la scocca in plastica:
ho aggiunto due spezzoni di
stagno-piombo in corrispondenza dei punti di passaggio
delle viti, incollandoli alla scocca e munendoli
dei fori necessari per l’ancoraggio.
Non rimaneva ora che completare le fiancate
inferiori con le balestre, boccole e bilancieri.
Prima però ho ritagliato due longheroni di ottone
di 0,3 mm di spessore che ho incollato lungo la
superficie rastremata in precedenza per eliminare
i gruppi parasale originali, oltre ad avere assottigliato lo spessore dello zamac. I longheroni in
ottone ricalcano il profilo del disegno originale,
meno le chiodature realistiche che adornano i
modelli super dettagliati. In tutta franchezza non
me la sono sentita di praticare chiodature tramite
punzonatura o incisione chimica, ma questo lo
suggerisco a chiunque volesse perfezionare la
procedura. Alla fine di questo lavoro occorreva
incollare le nuove boccole e gli elementi necessari a corredo del carro. Neanche a dirlo questi
elementi sono dei cloni RR.
Rimaneva da aggiungere solo il carbone. Per far
questo, dopo aver rimontato la piastrina elettrica
con le sue viti, ho ricoperto tutta la superficie della
carboniera con uno spezzone di carta sagomato
lungo il perimetro interno del vano carbone e
21
fissato nei punti cruciali di piegatura con delle
gocce di colla vinilica. Dopo l’asciugatura (qualche minuto) ho cosparso la carta con altra colla
vinilica diluita e vi ho versato sopra granelli di
massicciata, che ricalcano la grandezza dei grani
di carbone in scala. Questi hanno fatto presa subito
e dopo l’asciugatura ho ripetuto il procedimento
fino a che si è formato uno strato soddisfacente
di graniglia. Chi avesse disponibilità di carbone
vero, potrà frantumarlo e utilizzarlo con la stessa
procedura. In ultimo ho applicato i predellini
posteriori e gli scaccia-pietre.
Adesso è il momento della caldaia e del carro
della locomotiva. Come si vede dalle foto, mi sono
avvalso di uno spezzone di tubo d’ottone della
lunghezza utile dedotta dai disegni del modello
(reperibile nel volume di G. Cornolò già in scala
1/87) che mostra tutti i contorni esatti per una
lavorazione accurata e spedita. La locomotiva
della ROCO, la famosa BR 57 o anche detta G 10
prussiana, alias FS 473, presenta tutte le caratteristiche giuste per poter prestare i suoi particolari
alla trasformazione in una 471.
Come riferivo all’inizio, l’idea è partita tanti anni
fa da un progetto dell’ing. Schiassi che ottenne un
modello di 470 partendo proprio da questo campione, allora appena commercializzato. Pensavo
che fosse una soluzione ardita e impossibile per le
mie mani, ma oggi ritengo la cosa completamente
fattibile e altamente motivante. Lavorare il tubo di
ottone non è certamente facile, specie se lo spessore della lamina è di quasi 2 mm. Devo dire però
che qualche anno fa avevo scritto allo specialista
Velimir Chrav per avere uno dei suoi magnifici
prodotti in fotoincisione, ma per contenere i costi
la cosa è possibile solo se
c’è un sufficiente numero
di richieste e quello non
era certo il momento. Avrei
potuto evitarmi tante fatiche, ma la voglia di fare è
inestinguibile.
Le prime operazioni sono
state quelle di riprodurre
le fasce-coprigiunti. Dopo
aver ripulito con carta abrasiva fine tutta la superficie
del tubo, ho preparato il trapanino da banco disposto in
orizzontale sul tavolo e sul
mandrino (che ha diametro
leggermente più largo del
tubo) ho poggiato un’estre22
mità del tubo. L’altra estremità è stata poggiata
su un pezzo di legno disposto alla stessa altezza,
in modo che il tubo giacesse perfettamente orizzontale. Sul pezzo di legno ho inserito una vite,
a mo’ di fermo contro cui il tubo si bloccasse,
senza scivolare via, mentre lo facevo girare su sé
stesso lentamente a mano. Il trapanino serve solo
per l’allineamento e il blocco del pezzo, oltre alla
possibilità di girare su sé stesso liberamente.
Ho preso poi un pennarello indelebile a punta
super-fine e l’ho accostato al tubo. Mentre con
una mano facevo girare il tubo su se stesso, con
l’altra tenevo fermo il pennarello che tracciava
pian piano la linea sulla superficie rotante. Spostando poi il pennarello lungo il tubo, tracciavo
le altre linee e così via, fino a completare le 5
strisce necessarie. Se si fa un errore poco male; si
cancella e si riprende il giro. Dopo aver ottenuto
questo tubo con le strisce tracciate, ho preparato
una boccia di vetro colma di percloruro ferrico
(naturalmente la boccia deve essere della profondità necessaria a contenere lo spezzone di tubo)
e con una cordicella fatta passare da una parte
all’altra del tubo e fermata dal lato inferiore da
un anello di plastica su cui si fermava l’ottone, ho
immerso in verticale il tubo stesso nell’acido. Il
tempo di immersione può variare a seconda della
temperatura esterna e della velocità di corrosione
del tubo (io ho calcolato il tempo di una mezz’ora
per avere un risultato soddisfacente, ma si può
prolungare il tempo di immersione per ottenere
un’incisione più marcata). Subito dopo ho esposto
il tubo ad un getto d’acqua per fermare l’azione
di corrosione e sono passato all’asciugatura con
semplice assorbente o panno. Le tracce si elimina-
no con un po’ d’alcol e si passa a lucidare appena
il tubo, per togliere le brutte macchie e aloni che
si creano per effetto dell’incisione.
A questo punto la caldaia è abbozzata e ho proceduto con i fori. Qui è stato necessario avere un
trapano verticale, poiché per quanto si possa avere
una mano ferma, è quasi impossibile perforare un
tubo d’ottone di 2 mm di spessore (ma curvo) con
una punta da 1 mm, tale è la misura dei fori per
l’applicazione dei supporti dei corrimano, delle
valvole di non-ritorno, dei pendini di supporto delle
passerelle laterali e di eventuali altri particolari che
si vogliano riportare. Il rischio di un lavoro a mano
libera è di rimetterci tante punte spezzate.
Dopo di ciò sono passato all’applicazione del
coperchio della camera a fumo che consiste di tre
parti: una piastra rotonda di chiusura, un coperchio
di metallo o plastica sottile (circa 0,3/0,4 mm di
spessore) e di una superficie bombata che serve
a riprodurre il
portellone di
accesso alla
caldaia con il
caratteristico
volantino e le
cerniere. Questo spezzone
circolare bombato è ottenuto da un tocco di
resina, refuso di una colata,
che non butto mai poiché è ancora
lavorabile con carta-vetro e lima. Occorre
seguire le misure dei disegni e lavorare con carta
abrasiva: splendide in questo caso sono le limette
per le unghie, in cartone o in metallo a grana fine.
Ottenuta la bombatura desiderata, ho incollato il
pezzo sulla ghiera in plastica circolare, di diametro
poco più largo del pezzo. Fatto ciò ho ottenuto
il portello, che è stato applicato in posizione
asimmetrica rispetto alla lastra di chiusura della
caldaia, secondo le foto. La caldaia è così occlusa
e bisogna ormai completare con le cerniere, il
volantino ed il corrimano.
Passando poi alla parte posteriore del tubo, occorreva riprodurre la cabina e qui le possibilità di
copiare sono molteplici. Io ho preferito utilizzare
una cabina in plastica di una loco 740 RR, ma va
bene anche una della 625 RR o altre delle stesse
misure. La cabina è certamente fuori scala per il
nostro lavoro, ma non poi tanto. Io ho ritagliato
una striscia di 2,5 mm dal lato inferiore della
cabina asportando il piano di calpestio, che viene
ripristinato poi con uno spezzone di plasticard
in posizione più alta. In questo modo si ha una
cabina di misure accettabili e conforme alla lun-
ghezza dei
disegni.
23
Dopo aver eliminato anche l’interno
della cabina con
il forno, ho proceduto ad accostare
il tubo al frontale
della cabina per
provarne l’aderenza. Il vano rotondo
della vecchia caldaia RR è perfettamente complanare con il nuovo
tubo ed allora sono
passato all’incollaggio, curando il
giusto allineamento della caldaia
con la cabina. Per
precauzione ho fissato prima con una
goccia di cianoacrilato e poi ho proceduto con
colla epossidica a due componenti. Il risultato è
molto soddisfacente e la saldatura è ottimale. Sulla
cabina da me impostata manca il portello d’uscita
sulla passerella laterale, che normalmente si trova
sul lato opposto della leva e dell’asta di cambio
del moto. Allora ho provveduto a disegnarne una
in plasticard da 0,5 mm e l’ho adattata alla cabina.
Essendo la mia cabina troppo lunga, ho deciso di
rastremare le pareti posteriormente e ridisegnare
i contorni con i corrimano verticali.
Adesso occorreva guardare al carro della locomotiva, che in definitiva era quasi pronto, bastava modificare alcuni particolari come il supporto trasverso del glifo. L’asse motore del modello tedesco
è, come si sa, il terzo, come anche per il modello
italiano, ma il supporto degli organi di trasmissione è in posizione inversa rispetto a quello tedesco.
Io ho praticato allora un
foro
24
sul telaio in zamac in posizione arretrata, in modo
da poter utilizzare lo stesso elemento invertendo
la sua direzione. Infatti i porta-glifo guardano in
avanti ed il glifo regge la bielletta della distribuzione in posizione capovolta. Insomma, io ho
mantenuto le originali bielle di accoppiamento,
la biella di trasmissione ed il blocco con la testa a croce, modificando l’asta di trasmissione.
Occorreva creare un secondo supporto trasverso
per reggere l’asta della distribuzione e la slitta,
poiché questo particolare è inesistente nel modello tedesco. Comunque le foto danno l’idea del
lavoro svolto.
Il blocco cilindri deriva da una copia del blocco
che si trovava nella scatola di montaggio commercializzata negli anni ’60 e oltre dalla RR sotto
il nome “TrenHobby”, che per l’epoca era una
meraviglia di modello per la praticità di assemblaggio e
per l’unicità del
prodotto.
Il costo
non era
poi molto
inferiore
al modello
della FS
685, che
risultava essere il
modello alternativo per la nostra
“Prairie”. Il prototipo della 470-471 ha un blocco
leggermente diverso nella forma, visto che la RR
aveva riprodotto la sua locomotiva con un tipo di
cilindri perfettamente simmetrici, mentre occorre
avere un cilindro a bassa pressione a destra ed
uno ad alta pressione a sinistra (almeno per la
parte esterna visibile del modello). E qui sono
intervenuto limando via le forme inesatte dei
cilindri ad alta pressione, sostituendo i coperchi
con degli aggiuntivi simili a quelli della locomotiva 470 e configurandoli al meglio. E’ ovvio che
i cilindri originali della locomotiva tedesca sono
stati eliminati con seghetto e olio di gomito, così
come il pancone portarespingenti, di cui ho preservato gli stessi respingenti per riposizionarli in
seguito. Per quest’ultimo particolare ho usato un
pancone standard in ottone della cessata PiErre,
come altri aggiuntivi in mio possesso.
Dopo aver praticato i fori per le aste degli stantuffi
nel blocco cilindri, ho proceduto ad adattare nel
suo alloggiamento la slitta, verificando il normale
scorrimento dello stantuffo. Sul davanti del cilindro ho riposizionato l’asta copristantuffo originale
della Roco, eliminando il predellino. Ho ricreato
la biella di ancoraggio che va dall’asse motore al
glifo con uno spezzone di ottone sagomato ed ho
rimontato il tutto utilizzando dei rivetti (chiodini
di provenienza navale) da 0,6 mm. Anche il perno di manovella dell’asse motore è stato rifatto,
poiché quello originale è solidale con la biella del
glifo troppo lunga, quindi inutilizzabile. Adesso il
lavoro volge al termine e la fatica è compensata
dai risultati.
L’effetto finale mi sembra efficace nel ridare l’immagine del prototipo ed anche la marcia è spedita
e sicura. L’unico neo è che, avendo acquistato a
suo tempo un modello della BR 57 molto datato,
gli anelli di aderenza dell’asse centrale sono
completamente disfatti, per cui devo pensare a
sostituirli. Ma anche così va alla grande.
Una cosa che non ho scritto (e forse ce ne sono
altre che ho trascurato involontariamente) è che il
modello ha due punti di ancoraggio a vite tra telaio
e caldaia. Attraverso un foro in corrispondenza del
blocco cilindri e l’altro in corrispondenza della
cabina, inferiormente al piano di calpestio, ho
collegato tramite due viti il carro e la caldaia.
Se ho trascurato qualcosa, non era mia intenzione
e comunque quello che ho scritto è da ritenersi
solo un suggerimento costruttivo o anche una
proposta modellistica. Ciascuno potrà decidere
come procedere.
Claudio Nastasi
25
L
Vecchie glorie alla ribalta: un trapianto di telai
o scopo di questa elaborazione è aggiornare
il carro serie E (secondo la marcatura internazionale) della vecchia produzione Rivarossi
facendone un modello compatibile con la esatta
scala H0. Detto carro è una bella riproduzione
che Rivarossi fece in una scala solo di pochissimo
superiore alla canonica 1:87, ma che fu costretta
a dotare di parasala e ruote sproporzionate per
renderlo compatibile con il resto della sua produzione vistosamente fuori scala. L’idea è quella di
sostituire il telaio con un altro in scala esatta
prelevato da un altro modello; in particolare
ho scelto il carro serie F (Gs secondo la
marcatura internazionale) della vecchia
produzione Lima (oggi nuovamente
disponibile nella serie Hobby Line)
acquistato in una borsa scambio.
La ragione di questa scelta è spiegata nel riquadro e comunque
in mancanza basta qualunque
altro carro dotato di un telaio
con il passo giusto e la giusta
riproduzione dei particolari boccole,
balestre, ecc.
Si smonta il telaio del serie E e si ripulisce il
sottocassa da tutte le sporgenze ivi presenti. Non
potrà essere usata la zavorra originale Rivarossi
perché troppo sottile, a meno di non interporre
un appropriato spessore, per esempio di cartoncino, ma se ne dovrà trovare, o costruire,
un’altra in metallo da circa 1 mm di spessore.
Dal serie F si stacca il telaio e lo si spiana dalla
parte superiore, per poterlo incollare sotto al
cassone del serie E previa interposizione della zavorra. Lo si priva delle orrende scalette
stampate e con una lama ben affilata si tagliano
via le traverse di testa con i respingenti a 2,5
mm dall’estremità delle stesse. Questo lavoro
va fatto con una lama, o una lametta da barba
(da maneggiare con molta cautela), per non
portare via lunghezza alla parte rimanente di
telaio che si incastrerà precisamente sotto al
cassone del serie E.
E’ necessario ricostruire i tiranti al centro del telaio
mediante spezzoni di filo d’ottone da 0,8 mm saldati a stagno e fissati con colla a due componenti
al fine di evitare scollamenti a causa del calore
prodotto dal saldatore. Inoltre, ho deciso di dotare
il telaio di timoneria per ganci corti usando quelle
Roco per carri di
lunghez-
za entro
140 mm; prima di incollarle
al loro posto con colla
a due componenti bisogna ricavare una sede
di forma opportuna, spianando il telaio e liberandolo da tutti gli elementi sporgenti con una
lama a scalpello. Si staccano i ceppi dei freni
stampati in posizione non complanare alle ruote
e si riposizionano nella giusta posizione supportandoli con una striscia di plasticard da 0,25 mm
incollata al telaio.
A destra il carro serie E elaborato, a confronto con un modello Roco dello stesso carro in perfetta
scala H0.
26
Per gli inguaribili amanti del vecchio Rivarossi
Il carro serie F Lima è in un certo senso il contrario del serie E Rivarossi: è dotato di una cassa
dalle dimensioni rivarosseggianti montata su
un telaio assolutamente in scala esatta. Allora
perché non scambiare il telaio con quello del
serie E ottenendo un modello compatibile con
il vecchio Rivarossi, riutilizzando al 100% gli
avanzi dell’elaborazione descritta in questo
articolo?
Innanzi tutto si ripulisce il sottocassa da tutte le
sporgenze ivi presenti con una lama a scalpello.
Si incollano al loro posto sotto la cassa le due
traverse di testa già staccate dal telaio e poi si
aggiusta il telaio del serie E, che richiede solo
minimi adattamenti alle estremità per inserirsi
sotto alla cassa del serie F. Nel serie E il telaio
era trattenuto in posizione da due viti che tengono anche i ganci modellistici; siccome nella
cassa del serie F mancano gli innesti delle viti,
questi ultimi vanno ricostruiti incollando un
tondino di plastica forato al centro che poi la
vite di fissaggio del gancio autofiletterà da
sé. Si eliminano i tiranti del telaio stampati e
si ricostruiscono le due predelle laterali con
lamiera e filo d’ottone. A questo punto si incolla
il nuovo telaio sotto la cassa del serie F previa
interposizione della originale zavorra Lima ed
il lavoro è finito.
Ho colto l’occasione per dare una generale
invecchiatura al carro e soprattutto per liberarlo dal “sapore” di plastica nuda, mediante
i classici nero opaco, ruggine e giallo sabbia.
Chi vorrà potrà ulteriormente migliorare il realismo riportando i due corrimani sui montanti
d’angolo della cassa in corrispondenza delle
due predelle.
Ho approfittato dell’occasione
per invecchiare un po’ il carro,
in particolare riproducendo
le tipiche toppe di colore sul
cassone, con l’accortezza di
farle partire sempre dal basso.
Le scritte sono riprodotte nel
modo seguente. Si dipinge
un foglio di cartoncino dello
stesso colore della cassa, si
eseguono le scritte con un
pennino intinto di vernice
bianca in una scala doppia
dell’HO per una migliore riuscita delle stesse e poi le si fotocopiano a colori
su carta lucida e sottile riducendole del 50%. Si
ritaglia un riquadro contenente le scritte e lo si
incolla al suo posto sul carro con colla vinilica.
Naturalmente il risultato è molto inferiore a quello
ottenibile con decals, che però hanno un costo
maggiore e richiedono l’uso di un programma di
grafica al PC.
Fabrizio Baroni
Nella pagina a fianco: Il telaio del carro F Lima separato dalla cassa e
modificato come spiegato nel testo.
Qui sotto: il carro E con il telaio sostituito.
Adesso il telaio può essere incollato sotto al cassone
e deve essere riverniciato in nero opaco per intero,
per mascherare il “sapore di plastica” del nylon nudo.
Le ruote vanno bene quelle Roco o Lima (non quelle
di vecchia produzione con il centro ruota troppo scavato ed il bordino troppo alto) da 11 mm di diametro.
Infine si completa il carro con le predelle di testa ed
i relativi corrimani autocostruendoli con lamiera e
filo d’ottone entrambi da 0,5 mm.
A destra il carro serie F Lima a confronto con un serie G della vecchia produzione Rivarossi fuori
scala.
27
Elaborazione della Gru Lima
S
i dice che l’appetito vien mangiando, e dopo
avere auto costruito la mia E636 sacrificando
una E424 e una E646 Lima, sempre tra gli anni
’70 e ’80 decisi di modificare la gru ferroviaria
anch’essa storico modello della Lima. Da tempo
avevo acquistato l’articolo, nelle condizioni in
cui appare nell’immagine presa da un vecchio
catalogo. Il modello, per quanto accattivante e
operativo manualmente, era molto semplificato
e di una foggia e colore per nulla italiani; una
piccola grande pecca per me che, nato a pochi
metri dalla ferrovia Bologna-Rimini, fin da
bambino sono stato un ferromodellista italiano
convinto. Grazie all’aiuto delle attuali riviste
del settore che muovevano i primi passi e ad osservazioni visive fatte nello
scalo fiorentino (ndr: cfr. p.es. foto di
copertina del bollettino n° 300), decisi
di mettere mano al modello e, pur con
qualche licenza personale, renderlo più
vicino alla realtà.
Come primo atto, decisi di sacrificare
l’operatività del braccio, accantonando le due manopole. Con un pezzo di
plexiglass chiusi la grande apertura sul tetto della cabina lasciando comunque libero l’attacco
dei tiranti del braccio. Il colore verde originale
fu sostituito dal giallo dei mezzi di soccorso,
con un’abbondante sporcatura tipica dei mezzi
28
che passano molto tempo all’aperto esposti
alle intemperie, soprattutto nelle numerose
griglie. Sempre con il plexiglass chiusi tutte le
finestrature esistenti. Un po’ di colore bianco
per evidenziare i vetri dei due fanali posti a
fianco dello snodo del braccio, tre mancorrenti
per gli sportelli di ogni fiancata e lo scarico sul
tetto (cavo elettrico con guaina, spellato alle
estremità a simulare la marmitta) e la cabina
poteva dirsi conclusa.
Era tempo ora di mettere mano al carro. I quattro
assi in plastica furono sostituiti da ruote metalliche
così da aumentare il peso e abbassare il baricentro;
montai quattro respingenti (l’originale non ne era
fornito) e sul pancone posteriore il
gancio realistico e
due condotte pneumatiche. Tre scale
per lato in corri-
spondenza delle porte
d’accesso alla cabina
e due volantini contribuirono a dare un’immagine più reale
del modello che stava prendendo corpo (almeno
nella mia fantasia). Il carro fu colorato di grigio
cenere e il carrello di nero con abbondante sporcatura. Eliminato il gancio ad occhiello posteriore,
sostituii quello anteriore con un gancio corto
Roco che avrebbe equipaggiato anche il carro il gioco era fatto. Lascio alle immagini il commento
appoggio. Il braccio ricolorato color metallo e sul lavoro svolto che come già per la E636 mi soddisfa
anch’esso abbondantemente sporcato di ruggine ancora oggi pur essendo tutto perfettibile e quindi
e grasso acquistava così una immagine di vita suscettibile di aggiornamento; d’altra parte il nostro
hobby è sinonimo di continua evoluzione, tempo
più vissuta.
libero permettendo ...
Ora toccava al carro apFranco Camaggi
poggio. Per semplificare il
Tessera FIMF 3381/C
tutto, decisi di mantenere
(Gruppo Adriatico)
le ruote di piccolo diametro; cominciai eliminando
l’alzata frontale per sostituirla con un predellino
con mancorrente e scalette
d’accesso, avanzato da un
modello Roco che già fornito
di respingenti mi semplificò
notevolmente il lavoro. Era tempo
di mettere mano ai colori: grigio cenere
per il pianale e nero con abbondante sporcatura
per i carrelli. Anche i pesi furono colorati di nero,
dopo essere stati dotati di aggancio per il sollevamento; un
fusto, due taniche e alcune traversine per “animare” il pianale, le
tabelle realizzate in cartoncino e gli allora immancabili trasferibili R41 e

Lettere alla redazione

C
ome è noto,
su queste
pagine si sta approfondendo da
circa un anno
l’argomento carri
serbatoio. Ho poi
letto con estremo
interesse l’articolo sul bollettino
327 sulla ferrovia
a scartamento ridotto del Roslagen.
La Svezia ha
oggi diversi siti
museali attivi
sulle ferrovie a 981 mm di scartamento. Uno molto
famoso è quello del retroterra di Göteborg, la Anten
Gafsnas; bene in tale sito ho avuto modo di fotografare nel 2000 una cisterna a due assi della Shell
appena restaurata.
Invio la foto per continuare la documentazione sugli
argomenti sia cisterne che Svezia.
Edoardo Tripodi
Piccoli Annunci
Cessione di pubblicazioni ferroviarie d’epoca
da grande collezione.
gli interessati possono rivolgersi a
Maurizio Panconesi (e-mail: maurizio.
[email protected])
29
I nostri Gruppi
Gruppo di Trento “Arnaldo Pocher” - Plastico Vernaccini
I
l nostro gruppo in questi ultimi mesi è stato
coinvolto in uno fenomeno particolare, un
poco triste dal nostro punto vista, cioè la volontà
da parte delle famiglie di ricordare la figura di
fermodellisti scomparsi, che mai però al di fuori
della cerchia famigliare avevano reso palese la
propria passione. Fra questi vogliamo ricordare
in particolare il trentino Ezio Vernaccini, persona sobria, riservata, ma molto attiva, nato nel
1925 e morto nel 2013 (foto a colori).
30
Sportivo, fin da studente liceale praticò la
scherma, l’alpinismo e la vela, passione quest’ultima coltivata per tutta la sua vita; ancora
universitario si dedicò alla progettazione di
piccole imbarcazioni da regata, che poi realizzava con mezzi artigianali utilizzando anche il
terrazzo e il garage di casa. Fu tra i fondatori
dell’Associazione Velica Trentina sul Lago di
Caldonazzo e partecipò a numerose regate su
lago e su mare.
Nel 1966/67 realizzò il suo
grande sogno: acquistato a Livorno nel Cantiere Benello uno
scafo in vetroresina disegnato da
Sparkman-Stephen, (lunghezza
11 m; pescaggio 1,85 m; 7 posti
letto) lo fece trasportare a Trento
per ferrovia e lo armò, realizzando anche gli arredi interni,
in un’area ferroviaria nei pressi
31
della sua abitazione
(vedi foto in bianco
e nero); ne curò poi
il trasporto su ferrovia a Venezia e poi
via mare a Lignano
Sabbiadoro, ove per
trent’anni “La Sirenetta” fu per Lui e
per la sua famiglia
come una seconda
casa, che condivise nelle uscite in
mare con numerosi
amici.
Per il trasporto da
Livorno a Trento
venne utilizzato il
carro Pvz 697 917
all’epoca da poco
entrato in servizio (costruzione
1964/65, tavola FS
1332).
Come attività professionale diresse
per anni il Medio
Credito TrentinoAlto Adige e, appassionato fotografo,
nel tempo libero
realizzò un corposo archivio d’immagini scattate nei
numerosi viaggi in tutti i Continenti, spesso
autorganizzati e impegnativi, condivisi con
la sempre entusiasta moglie Angioletta.
Ed il modellismo ferroviario? Laureato
in Ingegneria a Padova con specializzazione in ferrovie e trasporti,
come hobby costruì un plastico
Märklin, per la gioia dei figli e,
naturalmente, sua. Un classico
plastico alla Märklin, con prevalenza della parte ferroviaria sul paesaggio
ridotto all’essenziale, ed anch’esso molto tecnologico grazie al percorso stradale realizzato
con l’autopista Faller AMS, antenata anni ’60
dell’attuale Faller Car System. A riposo il plastico è divisibile in tre parti: il pannello base
(2,40 per 1,40 m) destinato ad esser ricoverato
in verticale dopo aver tolto gli elementi galleria/rilievo e FV con piazza.
32
Come gruppo contiamo di recuperare il plastico e renderlo nuovamente funzionante, a
ricordo di Ezio Vernaccini e come testimonianza “viva” delle tipiche realizzazioni degli
anni passati con modelli ed accessori della
casa di Göppingen.
Pietro Merlo

In libreria

S
ta per vedere la luce la nuova opera editoriale del
Col. Antonio Gamboni, presidente Clamfer. L’ermetico titolo “La funicolare di Capri”, ne sintetizza
il contenuto.
Con le sue 64 pagine in gran parte a colori e stampato
su carta pesante (cm 17x24), percorre la storia di questo
intelligente mezzo di trasporto che collega la Marina
Grande con la celebre Piazzetta, giunto ormai alla sua
quarta generazione tecnologica.
E’ un racconto indirizzato è vero a tutti gli appassionati
dei trasporti, ma rappresenta altresì una finestra aperta
sulla splendida isola azzurra di cui racconta inediti
aneddoti, non disdegnando spunti turistici splendidamente illustrati. Insomma si preannuncia una lettura
agile ed affabulatoria, come ormai ci ha abituati lo
stile del prolifico autore, pur trattando con leggiadria
una materia tecnica.
Se ne può richiedere una copia all’indirizzo e-mail
[email protected] al costo di euro 13,00 più spese
di spedizione.
Gennaro Fiorentino
perché non c’è regione esente dai disagi, così
come vengono evidenziati i problemi oggi
del personale viaggiante che lavora sotto le
minacce dei senza biglietto.
Un libro da leggere per conoscere meglio
le realtà del nostro paese … prima di mettersi in viaggio su di un treno “pendolare”.
Lo si trova nelle librerie “Feltrinelli” delle
stazioni.
Alessandro Giglio
Ci scusiamo per il disagio
di Gerardo Adinolfi e Stefano Taglione
154 pagine, 14 euro - Round Robin editore
“Lavorare stanca, viaggiare in treno distrugge”: si
potrebbe parafrasare così la frase di Cesare Pavese
per chi volesse avventurarsi oggi a viaggiare sulle
linee ferroviarie italiane minori, cioè quelle dedicate
ai pendolari. “Vorrei un biglietto per Matera”: mai spot
fu così ingannevole.
“Ci scusiamo per il disagio” non è solo il messaggio
diffuso nelle stazioni italiane per annunciare un ritardo
o la soppressione di un treno, ma è anche il titolo di un
recente libro sui treni, pendolari e odissee tutte italiane.
Gli autori Gerardo Adinolfi (giornalista, collabora con
“Repubblica” di Firenze) e Stefano Taglione (giornalista
de “Il Tirreno”) hanno compiuto un lunghissimo viaggio
lungo le tratte ferroviarie utilizzate maggiormente da lavoratori, studenti, pendolari: insomma, un lungo viaggio
partito da Ragusa per terminare a Torino.
Si racconta dell’Italia a due velocità, con dati statistici
alla mano elaborati anche da Associazioni e Comitati
di liberi cittadini, da coloro che utilizzano il treno tutti
i giorni. Si raccontano storie assurde, odissee, disagi,
passeggeri che stilano dati statistici come una pendolare di Milano Bovisa che fotografa sul suo tablet tutti
i ritardi annunciati: 2415 minuti di ritardo in un anno,
cioè un giorno, 16 ore e 15 minuti persi a causa dei ritardi. Se ne fa comunque un quadro di tutta la penisola,
33