9/4/2016 - studio ducoli

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Sabato, 09 aprile 2016
IL CASO DEL GIORNO
CONTABILITÀ
Splafonamento
ravvedibile anche nelle
liquidazioni periodiche
Decreto bilanci con effetto incerto sui
rendiconti 2016
/ Alfio CISSELLO e Simonetta LA GRUTTA
Per effetto dell’art. 7 comma 4 del
DLgs. 471/97, è punito con la sanzione dal 100% al 200% del tributo chi, in
mancanza dei presupposti di legge,
dichiara all’altro contraente o in dogana di volersi avvalere della facoltà
di acquistare beni senza applicazione dell’imposta, ovvero ne beneficia
oltre il limite consentito.
Il caso, pertanto, concerne le violazioni commesse dall’esportatore abituale, come il classico splafonamento.
L’Amministrazione finanziaria ha illustrato procedure alternative al fine
di regolarizzare la violazione relativa all’acquisto di beni senza imposta
in assenza delle condizioni di legge
(N. M. 10 marzo 1999 n. 39186; circ.
Agenzia delle Entrate 12 giugno 2002
n. 50, § 24.2, 19 febbraio 2008 n. 12, §
3.7 e 12 marzo 2010 n. 12, § 10.4).
Si evidenzia subito che la violazione
si ritiene perfezionata nel momento
in cui il fornitore, a causa dell’errata
dichiarazione dell’esportatore abituale, emette la fattura in regime di
non [...]
La prima applicazione del DLgs. 139/2015 potrebbe determinare effetti rilevanti
sul risultato dell’esercizio 2016 e/o sul patrimonio netto
/ Silvia LATORRACA
L’adeguamento alla nuova disciplina in materia di bilancio introdotta
dal DLgs. 139/2015 è stato oggetto,
negli ultimi mesi, di grande interesse da parte della stampa specializzata, che si è concentrata in particolare sull’eliminazione dall’attivo patrimoniale delle spese di ricerca e
pubblicità, per i rilevanti effetti che
potrebbero prodursi sul risultato di
periodo e/o sul patrimonio netto.
Analoghe considerazioni devono essere fatte anche in relazione alle altre voci di bilancio interessate dalle
modifiche normative.
In prima analisi, posto che le novità
si applicano a decorrere dai bilanci
2016 (per i soggetti “solari”), i fatti
aziendali che si verificano a decorrere dal 1° gennaio 2016 devono essere classificati secondo gli schemi
previsti dagli artt. 2424 e 2425 c.c.,
così come modificati dal DLgs.
139/2015, e devono essere rilevati secondo i nuovi criteri di valutazione
introdotti dal decreto.
Occorre, quindi, adeguare senza in-
dugio il piano dei conti dell’impresa,
nonché provvedere all’aggiornamento del sistema amministrativo-contabile.
I sistemi informativi devono consentire, tra l’altro, anche la rilevazione
delle movimentazioni finanziarie, in
virtù dell’introduzione dell’obbligo di
redigere il Rendiconto finanziario per
tutte le imprese di maggiori dimensioni.
Discorso diverso deve, invece, essere
fatto per i fatti aziendali che si sono
verificati fino al 31 dicembre 2015 e
che, quindi, troveranno rappresentazione contabile nel bilancio 2015.
In relazione alle modifiche che riguardano il contenuto dello Stato patrimoniale e del Conto economico, occorre considerare quanto disposto
dall’art. 2423-ter comma 5 c.c., ai sensi del quale “per ogni voce dello stato
patrimoniale e del conto economico
deve essere indicato l’importo della
voce corrispondente dell’esercizio
precedente. Se le voci non sono comparabili, quelle [...]
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IN EVIDENZA
FISCO
Responsabilità “limitata” per amministratori senza deleghe e
sindaci
L’estraneo vuole solo l’impoverimento del patrimonio
/ REDAZIONE
In circolare le risposte dell’Agenzia alla stampa specializzata
ALTRE NOTIZIE
Spesometro al 20 aprile
anche per i soggetti IVA
mensili
/ DA PAGINA 9
I soggetti che effettuano la liquidazione mensile IVA hanno tempo fino al
20 aprile, esattamente come i trimestrali, per lo “spesometro”.
Con un comunicato [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Splafonamento ravvedibile anche nelle liquidazioni
periodiche
Tuttavia, la procedura non si discosta molto dall’ordinaria emissione dell’autofattura, ma consente la
compensazione dell’IVA a debito
/ Alfio CISSELLO e Simonetta LA GRUTTA
Per effetto dell’art. 7 comma 4 del DLgs. 471/97, è punito con la sanzione dal 100% al 200% del tributo chi, in
mancanza dei presupposti di legge, dichiara all’altro
contraente o in dogana di volersi avvalere della facoltà di acquistare beni senza applicazione dell’imposta,
ovvero ne beneficia oltre il limite consentito.
Il caso, pertanto, concerne le violazioni commesse
dall’esportatore abituale, come il classico splafonamento.
L’Amministrazione finanziaria ha illustrato procedure
alternative al fine di regolarizzare la violazione relativa all’acquisto di beni senza imposta in assenza delle
condizioni di legge (N. M. 10 marzo 1999 n. 39186; circ.
Agenzia delle Entrate 12 giugno 2002 n. 50, § 24.2, 19
febbraio 2008 n. 12, § 3.7 e 12 marzo 2010 n. 12, § 10.4).
Si evidenzia subito che la violazione si ritiene perfezionata nel momento in cui il fornitore, a causa dell’errata dichiarazione dell’esportatore abituale, emette la
fattura in regime di non imponibilità.
È possibile regolarizzare il tutto evitando di coinvolgere il cedente, tramite autofattura, corrispondendo l’imposta direttamente all’Agenzia delle Entrate oppure
contabilizzandola a debito nelle liquidazioni periodiche.
A tal fine, nel primo caso, bisogna emettere apposita
autofattura in duplice esemplare, contenente gli estremi identificativi di ciascun fornitore, il numero progressivo di protocollo delle fatture ricevute, l’ammontare eccedente il plafond e l’imposta che avrebbe dovuto essere applicata.
Naturalmente, occorre versare imposta, interessi e
sanzioni ridotte con modello F24, indicando, come codice tributo, quello relativo al periodo in cui erroneamente è stato effettuato l’acquisto senza IVA.
In maniera analoga a quanto indicato dall’art. 6 comma 8 del DLgs. 471/97 sull’obbligo di regolarizzazione
del cessionario, l’autofattura va trasmessa alle Entrate
e, quando viene riconsegnata con visto di regolarizzazione, è possibile recuperare l’IVA in detrazione.
Relativamente alla dichiarazione, l’imposta va indicata nel rigo VE24 (“Variazioni e arrotondamenti d’imposta”) al fine di evitare duplicazioni, anteponendo il se-
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
gno positivo, e il versamento nel rigo VL29.
Ai fini della detrazione, l’imponibile e l’imposta risultanti dall’autofattura vanno dichiarati nel quadro VF,
nel rigo corrispondente all’aliquota applicata (righi da
VF1 a VF11), con la conseguenza che l’importo della fattura emessa in regime di non imponibilità non deve
essere indicato nel rigo VF12 (“Acquisti e importazioni
senza pagamento d’imposta, con utilizzo del plafond”).
In caso contrario, sarebbe altresì integrata la violazione di dichiarazione infedele (art. 5 comma 4 del DLgs.
471/97), e ciò necessiterebbe di un ulteriore ravvedimento.
Nel contempo, l’imposta rileverà tra quella dovuta per
il mese in cui l’autofattura è stata emessa (quadro VH)
e nel quadro VL (determinazione dell’imposta).
Non è necessario coinvolgere il cedente
La circ. Agenzia delle Entrate 12 giugno 2002 n. 50, §
24.2 ha specificato che la regolarizzazione può avvenire anche in sede di liquidazione periodica IVA, “mediante la contabilizzazione della maggiore imposta derivante dall’autofattura emessa e degli interessi
dell’IVA a debito”.
Si evidenzia – alla luce di quanto indicato nella C.M. 17
maggio 2000 n. 98, § 8.2.3 – che l’autofattura è necessaria anche nel caso in cui la regolarizzazione avvenga in detta maniera. Quindi, pure in tal caso, essa è
presentata all’Agenzia delle Entrate e annotata nel registro degli acquisti.
L’imposta oggetto di regolarizzazione confluirà nella
dichiarazione annuale nel rigo VE24 anteponendo il
segno positivo, nel quadro VF (acquisti) e contemporaneamente rileverà tra l’imposta dovuta per il mese in
cui l’autofattura è stata emessa (quadro VH) e nel quadro VL (determinazione dell’imposta).
Chiaramente, rimane ferma la necessità di versare le
sanzioni ridotte per effetto del ravvedimento.
Tale procedura non si distingue dalla precedente, se
non per il fatto di consentire la compensazione imposta su imposta con eventuali crediti IVA, circostanza
che, in alcuni frangenti, la può rendere conveniente.
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ancora
CONTABILITÀ
STUDIO DUCOLI
Decreto bilanci con effetto incerto sui rendiconti 2016
La prima applicazione del DLgs. 139/2015 potrebbe determinare effetti rilevanti sul risultato
dell’esercizio 2016 e/o sul patrimonio netto
/ Silvia LATORRACA
L’adeguamento alla nuova disciplina in materia di bilancio introdotta dal DLgs. 139/2015 è stato oggetto, negli ultimi mesi, di grande interesse da parte della
stampa specializzata, che si è concentrata in particolare sull’eliminazione dall’attivo patrimoniale delle spese di ricerca e pubblicità, per i rilevanti effetti che potrebbero prodursi sul risultato di periodo e/o sul patrimonio netto. Analoghe considerazioni devono essere
fatte anche in relazione alle altre voci di bilancio interessate dalle modifiche normative.
In prima analisi, posto che le novità si applicano a decorrere dai bilanci 2016 (per i soggetti “solari”), i fatti
aziendali che si verificano a decorrere dal 1° gennaio
2016 devono essere classificati secondo gli schemi
previsti dagli artt. 2424 e 2425 c.c., così come modificati dal DLgs. 139/2015, e devono essere rilevati secondo i
nuovi criteri di valutazione introdotti dal decreto.
Occorre, quindi, adeguare senza indugio il piano dei
conti dell’impresa, nonché provvedere all’aggiornamento del sistema amministrativo-contabile.
I sistemi informativi devono consentire, tra l’altro, anche la rilevazione delle movimentazioni finanziarie, in
virtù dell’introduzione dell’obbligo di redigere il Rendiconto finanziario per tutte le imprese di maggiori dimensioni.
Discorso diverso deve, invece, essere fatto per i fatti
aziendali che si sono verificati fino al 31 dicembre 2015
e che, quindi, troveranno rappresentazione contabile
nel bilancio 2015.
In relazione alle modifiche che riguardano il contenuto dello Stato patrimoniale e del Conto economico, occorre considerare quanto disposto dall’art. 2423- ter
comma 5 c.c., ai sensi del quale “per ogni voce dello
stato patrimoniale e del conto economico deve essere
indicato l’importo della voce corrispondente dell’esercizio precedente. Se le voci non sono comparabili,
quelle relative all’esercizio precedente devono essere
adattate; la non comparabilità e l’adattamento o l’impossibilità di questo devono essere segnalati e commentati nella nota integrativa”.
A tal proposito, il documento OIC 12 precisa che “ogni
voce dello stato patrimoniale e del conto economico
deve essere confrontata con la corrispondente voce
del bilancio del precedente esercizio, che deve avere
un contenuto omogeneo. La norma facilita la comparazione tra i bilanci di una stessa società in due esercizi
differenti; il lettore del bilancio è, infatti, posto nelle
condizioni di constatare immediatamente, in base ad
un unico prospetto, l’andamento di alcune voci di bilancio o di alcune classi di valore”.
Il fatto che l’art. 2423-ter comma 5 c.c. imponga di indiEutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
care, per ogni voce dello Stato patrimoniale e del Conto economico, l’importo della voce corrispondente
dell’esercizio precedente implica che le voci risultanti
dal bilancio 2015 (classificate secondo i previgenti
schemi di bilancio) debbano essere nuovamente classificate, facendo applicazione delle nuove disposizioni
introdotte dal DLgs. 139/2015.
Altre considerazioni devono essere fatte in relazione
alle modifiche che riguardano i criteri di valutazione.
Il passaggio dalla disciplina precedentemente in vigore a quella delineata dal DLgs. 139/2015 sembra configurarsi come un cambiamento di criterio di valutazione, anche se occorre considerare che, nella specie, il
cambiamento non dipende da una decisione degli amministratori (cambiamento volontario), ma è determinato dalla modifica di una norma di legge.
A tal riguardo, il codice civile si limita a stabilire, all’art.
2423-bis c.c., che “i criteri di valutazione non possono
essere modificati da un esercizio all’altro”. Deroghe a
tale principio “sono consentite in casi eccezionali” e, in
tali ipotesi, “la nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione della
situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato
economico”.
Le modalità attraverso le quali può essere riflessa in
bilancio la rettifica risultante da un cambiamento di
criterio di valutazione sono descritte dal documento
OIC 29, secondo il quale:
- gli effetti dei cambiamenti di principi contabili sono,
quale regola generale, rilevati retroattivamente;
- l’applicazione retroattiva implica che il nuovo principio contabile sia applicato anche ai fatti e alle operazioni avvenuti in esercizi precedenti a quello in cui interviene il cambiamento, come se il nuovo principio
fosse stato sempre applicato.
Peraltro, secondo il richiamato principio contabile, l’effetto cumulativo del cambiamento di un principio contabile è determinato all’inizio dell’esercizio (nella specie, il 2016) ed è rilevato a Conto economico tra i componenti straordinari di reddito.
Sotto quest’ultimo profilo, cioè quello attinente alla
classificazione in bilancio degli effetti derivanti
dall’adozione dei nuovi criteri di valutazione, si pongono ulteriori problematiche.
Occorre, infatti, evidenziare che il DLgs. 139/2015 ha
eliminato l’area straordinaria del Conto economico.
Pertanto, laddove si propendesse, come una parte della dottrina, per l’imputazione a Conto economico degli
effetti derivanti dalla prima applicazione del DLgs.
139/2015, i componenti di reddito in esame dovrebbero
confluire nell’area ordinaria del prospetto contabile.
/ 03
ancora
STUDIO DUCOLI
Tuttavia, come evidenziato da altri autori, tale soluzione (che parte dall’applicazione dell’attuale OIC 29) determinerebbe un effetto distorsivo sul risultato
dell’esercizio 2016, in alcuni casi anche di importo significativo. Inoltre, il cambiamento di criterio di valutazione determinato dalla modifica normativa verrebbe così assimilato ad un cambiamento “volontario” di
principio contabile.
Queste considerazioni hanno indotto altra parte della
dottrina a propendere per la rilevazione a patrimonio
netto degli effetti prodotti dal DLgs. 139/2015, così come previsto dallo IAS 8 nell’ambito dei principi contabili internazionali IAS/IFRS.
A tal fine, saranno dirimenti le indicazioni che fornirà
l’OIC nell’ambito dell’aggiornamento dei principi con-
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
tabili nazionali disposto dall’art. 12 comma 3 del DLgs.
139/2015 (si veda “Sul decreto bilanci prime indicazioni transitorie dell’OIC” del 10 marzo 2016).
Nel valutare le azioni che devono essere poste in essere ai fini dell’adeguamento alle disposizioni del DLgs.
139/2015, occorre infine considerare che in relazione
ad alcune poste di bilancio è stata prevista una specifica disciplina transitoria, mentre per altre non è stato
normativamente disciplinato il passaggio al nuovo criterio di valutazione.
Le problematiche evidenziate saranno oggetto di successivi approfondimenti su Eutekne.info, in relazione
alle principali fattispecie oggetto di modifica da parte
del DLgs. 139/2015 e in attesa di chiarimenti da parte
dell’OIC.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Spesometro al 20 aprile anche per i soggetti IVA
mensili
Ieri in serata l’Agenzia ha reso noto di aver unificato il termine per venire incontro alle difficoltà degli
operatori
/ REDAZIONE
I soggetti che effettuano la liquidazione mensile IVA
hanno tempo fino al 20 aprile, esattamente come i trimestrali, per lo “spesometro”.
Con un comunicato stampa in extremis, ieri in serata
l’Agenzia delle Entrate ha infatti annunciato che, mediante un provvedimento in corso di pubblicazione, sono ritenuti validi gli invii dei dati delle operazioni rilevanti relativi al 2015 effettuati entro tale data per tutti
gli operatori.
In merito, si ricorda che, secondo quanto previsto dal
punto 8 del provvedimento n. 94908/2013, le comunicazioni relative allo “spesometro”, riferite all’annualità
2015, avrebbero dovuto essere effettuate entro:
- lunedì prossimo, 11 aprile, in quanto il 10 cade di domenica, da parte dei soggetti che effettuano la liquidazione IVA con periodicità mensile;
- il 20 aprile, da parte degli altri soggetti.
Al fine di stabilire il termine per l’invio della comunicazione, la periodicità della liquidazione IVA va verificata con riguardo alla situazione del contribuente
nell’anno in cui avviene la trasmissione del modello.
L’Agenzia spiega di aver disposto il differimento del
termine per venire incontro alle difficoltà tecniche
rappresentate dai soggetti interessati da questo adempimento.
Quello di ieri costituisce solo l’ultimo di una serie di recenti interventi dell’Amministrazione finanziaria in
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
materia di spesometro.
Venerdì scorso, sempre con un comunicato, l’Agenzia
ha infatti annunciato un provvedimento in corso di
pubblicazione per semplificare l’adempimento per
commercianti al dettaglio e tour operator da un lato e
per le amministrazioni pubbliche dall’altro (da ultimo,
si veda “Nuovi esoneri dallo spesometro per commercianti, agenzie di viaggio ed enti pubblici” del 4 aprile).
Il mercoledì successivo è stato poi pubblicato il provvedimento, che, a differenza di quanto preannunciato
il 1° aprile, ha differenziato la soglia prevista per l’esonero parziale dei commercianti al minuto e delle agenzie di viaggio (si veda “Esoneri dallo spesometro differenziati per commercianti e agenzie di viaggio” del 7
aprile).
Lo stesso giorno, l’Agenzia ha diffuso un nuovo comunicato, chiarendo, per quanto riguarda gli operatori del
settore sanitario, che i soggetti che hanno trasmesso i
dati al Sistema tessera sanitaria sono esonerati
“dall’obbligo di inserire tali dati nella comunicazione
telematica delle operazioni rilevanti ai fini IVA”, e confermando quindi la portata “oggettiva” dell’esonero
previsto dall’art. 1 comma 953 della legge di stabilità
2016, a livello letterale, “per coloro i quali trasmettono i
dati al Sistema Tessera Sanitaria” (si veda “Medici obbligati allo spesometro per le spese non trasmesse al
Sistema TS” del 7 aprile).
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ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Responsabilità “limitata” per amministratori senza
deleghe e sindaci
I segnali d’allarme devono essere pienamente conosciuti e, ciononostante, deve essere omessa una
qualsiasi attivazione per scongiurarli
/ Maurizio MEOLI
La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 14045/2016,
segna un ulteriore importante passaggio verso il consolidarsi dei corretti principi da considerare ai fini della configurazione di una responsabilità penale, da
omesso controllo, in capo ad amministratori non esecutivi e sindaci per reati commessi dagli amministratori delegati. Vengono, infatti, ripresi e specificati gli
approdi della migliore – e maggiormente garantista –
ricostruzione in materia.
Ai fini della responsabilità penale dell’amministratore
privo di deleghe (così come dei componenti del Collegio sindacale) per fatti di bancarotta fraudolenta, non è
sufficiente l’oggettiva presenza di dati (c.d. “segnali
d’allarme”) da cui desumere un evento pregiudizievole
per la società o almeno il rischio della verifica di detto
evento, ma è necessario che egli ne sia “concretamente” venuto a conoscenza e abbia volontariamente
omesso di attivarsi per scongiurarlo ( cfr. Cass. nn.
23000/2013 e 9736/2009).
Qualora non sussista la prova che l’amministratore abbia acquisito diretta conoscenza delle condotte penalmente rilevanti, il giudice di merito deve accertare la
percezione, da parte del medesimo, dei sintomi dell’illecito. Percezione certamente desumibile anche dal
grado di anormalità e inequivocabilità dei sintomi (cfr.
Cass. nn. 32352/2014 e 3708/2012), ma pur sempre attraverso una valutazione che deve avere ad oggetto la
situazione concreta e che deve dunque essere parametrata alle specifiche peculiarità della singola vicenda,
alle condizioni soggettive dell’agente e al ruolo effettivamente svolto dal medesimo; e, quindi, al significato
che per lo stesso assumono, nella situazione data, i segnali d’allarme astrattamente rilevabili (cfr. Cass. n.
23838/2007).
Ed allora, precisa la sentenza in commento, in tanto si
può discutere di dolo dell’amministratore privo di delega (o del sindaco), in quanto egli sia concretamente venuto a conoscenza di dati da cui possa desumersi un
evento pregiudizievole per la società, o almeno il rischio che un siffatto evento si verifichi, e abbia volontariamente omesso di attivarsi per scongiurarlo.
Dunque, occorre l’effettiva conoscenza del “segnale di
allarme”, non già la mera conoscibilità. Per dare senso
e concretezza al dolo eventuale (spesso utilizzato come parametro minimo per la riferibilità psicologica di
quell’evento pregiudizievole al soggetto attivo del reato) occorre poi che il dato indicativo del rischio di verificazione dell’evento non sia stato soltanto conosciuto,
occorrendo che lo stesso sia in effetti rappresentato
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
come dimostrativo di fatti potenzialmente dannosi, e
non di meno si sia rimasti deliberatamente inerti.
Ragionando diversamente, infatti, non si potrebbe discutere di dolo, neppure nella forma del dolo eventuale, che richiede pur sempre da parte del soggetto attivo – per potersi affermare che un fatto è da lui voluto,
per quanto in termini di mera accettazione del rischio
che si produca – la determinazione di orientarsi verso
la lesione o l’esposizione a pericolo del bene giuridico
tutelato dalla norma incriminatrice.
In pratica, un conto è che il controllante rimanga indifferente dinanzi ad un “segnale di allarme” percepito
come tale, in quanto decida di non tenere in alcuna
considerazione l’interesse dei creditori o il destino
stesso della società. Altra cosa è che egli continui a riconoscere fiducia, per quanto mal riposta, verso le capacità gestionali di altri; ovvero che per colpevole –
ma non dolosa – superficialità venga meno agli obblighi di controllo su di lui effettivamente gravanti, accontentandosi di informazioni insufficienti su un’operazione che gli viene sottoposta per l’approvazione
senza che egli si renda davvero conto delle conseguenze che ne potrebbero derivare ( cfr. Cass. n.
23000/2013).
Solo nel primo caso l’amministratore (o il sindaco) può
essere chiamato a rispondere penalmente delle proprie azioni od omissioni, non già nel secondo, dove –
ferma la possibilità di ravvisare una responsabilità in
sede civile, ricorrendone i meno rigorosi presupposti –
può ritenersi provato soltanto l’addebito di aver agito
(rectius omesso di agire) per colpa.
In particolare, potrebbe al massimo ricadersi nella forma della colpa cosciente, per avere ritenuto erroneamente che le capacità manageriali di qualcun altro
avrebbero di certo impedito il verificarsi di un pur previsto evento: e l’ordinamento non consente la condanna in sede penale per fatti di bancarotta connotati da
mera colpa.
In altre parole, l’aspetto volitivo non può ritenersi presente a fronte della mera mancata decisione di realizzare l’azione imposta dall’ordinamento nonostante la
conoscenza della situazione tipica; conclusione che si
risolverebbe nella trasposizione in termini normativi
del dolo, con conseguente elisione della componente
psicologica. L’inerzia in sé non può essere ascritta al
“dolo” (anche solo eventuale) piuttosto che alla “colpa”
in assenza di una consapevole e definitiva scelta di rinunziare ad agire a fronte di un segnale d’allarme percepito come tale.
/ 06
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
L’estraneo vuole solo l’impoverimento del patrimonio
Per il concorso nella bancarotta fraudolenta per distrazione non è, invece, necessaria la conoscenza
dello stato di insolvenza
/ Maurizio MEOLI
Rilevanti sono anche le precisazioni che la sentenza
della Cassazione n. 14045/2016 fornisce in ordine ai
profili soggettivi del concorso del c.d. extraneus nella
bancarotta fraudolenta per distrazione (art. 216 comma 1 n. 1 del RD 267/42).
Posto che nell’ambito della citata fattispecie il dissesto non è elemento costitutivo del reato, con conseguente estraneità dello stesso dall’oggetto del dolo,
non vi sono ragioni, nel rispetto delle regole generali
sul concorso di persone nel reato, perché a tale oggetto debba essere attribuito contenuto diverso e più ampio per la posizione del concorrente estraneo rispetto a
quanto richiesto per l’amministratore della società.
Infatti, come già precisato in più occasioni dalla Suprema Corte ( cfr. Cass. nn. 1706/2014, 16579/2010 e
9299/2009), il dolo dell’extraneus si risolve nella consapevolezza di concorrere nella sottrazione dei beni alla
funzione di garanzia delle ragioni dei creditori per scopi diversi da quelli inerenti all’attività d’impresa (immediatamente percepibile dal concorrente esterno,
così come dall’imprenditore con il quale lo stesso concorre, come produttivo del pericolo per l’effettività di
tale garanzia nell’eventualità di una procedura concorsuale), a prescindere dalla conoscenza della condizione di insolvenza.
Tale soluzione, afferma la sentenza in commento, garantisce anche la neutralizzazione di “presunte” note
dissonanti che si “potrebbero” rinvenire in alcune pronunzie di legittimità. Ad ogni modo, anche tali decisioni, ove sottoposte ad un’analisi più attenta, si rivelano
in effetti non contrastanti con l’interpretazione esposta. Talune di esse (Cass. nn. 16000/2010 e 16388/2011)
non fanno altro che richiamare una precedente decisione (Cass. n. 23675/2004) in cui si individuava il dolo
dell’extraneus nella consapevolezza del possibile pregiudizio derivante dalla distrazione per la garanzia dei
creditori, riservando, in tale prospettiva, alla conoscenza del dissesto una funzione meramente probatoria rispetto al dolo come sopra delimitato. Altra pronuncia
(Cass. n. 41333/2006), invece, incentra il dolo del concorrente estraneo nella consapevolezza non dell’insolvenza, ma del “rischio di insolvenza”.
Non è infine possibile trarre indicazioni contrarie
all’orientamento preferito dalla Cass. n. 27367/2011, che
ravvisa il dolo del concorrente esterno nella “consapevolezza e volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto
a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a
tutela dei creditori dell’impresa”, ove al riferimento al
dissesto non è attribuito l’inequivoco significato
dell’indicazione di una componente dell’oggetto del
dolo piuttosto che di un’espressione meramente deEutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
scrittiva della posizione del concorrente interno.
D’altra parte, sarebbe singolare pretendere che la configurabilità del concorso dell’“extraneus” in un reato alla cui struttura non appartiene lo stato di dissesto al
momento della consumazione della condotta dipenda
dalla sua consapevolezza dello stesso. Ciò equivarrebbe a sostenere che il concorso esterno nella bancarotta patrimoniale potrebbe sussistere esclusivamente
nell’ipotesi in cui il dissesto dell’impresa è già conclamato; ma si tratterebbe di affermazione non coerente
con il dato normativo.
È comunque indiscutibile che, qualora l’impresa impoverita dalla distrazione versi in stato di decozione, la
consapevolezza di tale stato costituisca un indice inequivocabile del dolo del concorrente che a tale distrazione abbia prestato il proprio contributo. Allo stesso
tempo, ciò non significa che, in situazioni in cui il dissesto o il solo squilibrio economico dell’impresa non si
sia ancora manifestato, le circostanze del fatto cui il
soggetto concorre non possano rivelarne la natura effettivamente distrattiva nel senso sopra illustrato.
Infatti, osservano ancora i giudici di legittimità, quello
che ha indotto le citate pronunzie ad “enfatizzare” la
conoscenza dello stato di decozione è il timore dell’affermarsi di automatismi interpretativi che possano
sfociare nell’affermazione della responsabilità dell’extraneus a mero titolo di responsabilità oggettiva nelle
ipotesi in cui il distacco del bene dal patrimonio
dell’imprenditore – cui in qualche modo il concorrente contribuisce – non risulti di per sé sintomatico della sua intrinseca pericolosità.
Ma tali pronunzie non hanno mai messo in discussione l’orientamento per cui il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un
depauperamento del patrimonio sociale ai danni del
creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica
conoscenza del dissesto della società; con la conseguenza che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi dell’art. 216 del RD 267/42, in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo, il quale non costituisce l’evento del reato. Evento
che, invece, coincide con la lesione dell’interesse patrimoniale della massa, posto che se la conoscenza dello
stato di decozione costituisce dato significativo della
consapevolezza del terzo di arrecare danno ai creditori ciò non significa che essa non possa ricavarsi da diversi fattori, quali la natura fittizia o l’entità dell’operazione che incide negativamente sul patrimonio della
società (tra le altre, Cass. nn. 15613/2015 e 16579/2010).
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FISCO
STUDIO DUCOLI
In circolare le risposte dell’Agenzia alla stampa
specializzata
La circolare n. 12, pubblicata ieri, raccoglie le precisazioni fornite nel corso di Telefisco e del
Videoforum 2016
/ REDAZIONE
Come di consueto, anche quest’anno l’Agenzia delle
Entrate ha “formalizzato” in un documento di prassi le
risposte fornite alla stampa specializzata. La corposa
circolare n. 12 pubblicata ieri contiene infatti i chiarimenti forniti in occasione degli eventi in videoconferenza organizzati a gennaio.
Come già approfondito su Eutekne.info nelle scorse
settimane, le risposte coprono un ampio spettro di tematiche fiscali: agevolazioni prima casa, cedolare secca, regime di vantaggio e forfetario, super-ammortamenti, patent box nuovo regime sanzionatorio, ravvedimento, dichiarazione precompilata e Certificazione
Unica, detrazioni, ristrutturazioni edilizie, contenzioso
e riscossione.
Per quanto riguarda la decorrenza del regime di vantaggio, l’Agenzia ha precisato che i soggetti che hanno
applicato tale regime per la nuova attività avviata nel
2015, beneficiando della proroga disposta dall’art. 10
comma 12-undecies del DL 192/2014, conv. L. 11/2015,
possono continuare ad applicarlo fino a scadenza naturale, ossia per un quinquennio o fino al trentacinquesimo anno di età del contribuente.
Con specifico riferimento al regime forfetario – sul
quale si è soffermata anche la circ. n. 10/2016, che richiama le precisazioni fornite nel corso di Telefisco –
è stato chiarito che i soggetti che, nel 2015, avevano
optato per il regime ordinario possono, dal 1° gennaio
2016, revocare detta opzione e accedere al forfetario (si
veda “Accesso al regime forfetario anche per chi ha optato per l’ordinario nel 2015” del 29 gennaio).
Sul fronte dei “super-ammortamenti” di cui all’art. 1
commi 91 ss. della L. 208/2015, invece, l’applicazione
della norma riguarda solo le imposte sui redditi e non
rileva ai fini dell’IRAP. Sotto il profilo temporale, inoltre, ai fini della determinazione della spettanza della
maggiorazione, l’imputazione degli investimenti al periodo di vigenza dell’agevolazione (15 ottobre 2015-31
dicembre 2016) segue le regole generali della competenza previste dall’art. 109 commi 1 e 2 del TUIR (si veda “Super-ammortamenti sui beni di costo inferiore a
516,46 euro” del 4 febbraio).
Ancora, la possibilità di usufruire della maggiorazione
del 40% deve essere esclusa per i contribuenti forfetari,
che determinano il reddito attraverso l’applicazione di
un coefficiente di redditività al volume dei ricavi o
compensi. In tale ipotesi, infatti, l’ammontare dei costi
sostenuti dal contribuente (inclusi quelli relativi all’acquisto di beni strumentali nuovi) non rileva ai fini del
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
calcolo del reddito imponibile.
In relazione alle Certificazioni Uniche, la circ. n. 12
conferma che, se non contengono dati da utilizzare per
l’elaborazione della dichiarazione precompilata, esse
potranno essere trasmesse entro il termine di presentazione del modello 770; le ipotesi di esclusione dalle
sanzioni introdotte dalla legge di stabilità 2016 si applicano però solo con riferimento alle certificazioni trasmesse nel 2015 (si veda “Proroga parziale per le Certificazioni Uniche” del 29 gennaio).
L’Agenzia delle Entrate dedica inoltre diversi paragrafi
ai chiarimenti sulle agevolazioni legate agli immobili,
soffermandosi sulle novità introdotte dalla legge di
stabilità 2016, che consente l’accesso all’agevolazione
prima casa anche a chi sia titolare, al momento del
nuovo acquisto, di un’altra abitazione su tutto il territorio nazionale già acquistata col beneficio, a condizione che il titolare se ne liberi entro un anno dal nuovo
acquisto. L’Amministrazione finanziaria conferma definitivamente che tale novità trova applicazione anche in campo IVA e anche in ipotesi di acquisto a titolo gratuito. Infine, viene confermato che il credito
d’imposta ex art. 7 della L. 448/1998 per il riacquisto
della “prima casa” spetti anche nell’ipotesi in cui tale
secondo acquisto avvenga prima della vendita dell’immobile pre-posseduto (si veda “Si estende anche il credito di imposta per il riacquisto della prima casa” del
29 gennaio 2016.
Per quanto riguarda la “cedolare secca”, l’Agenzia ribadisce la propria posizione già espressa con la circolare
n. 26/2011, ossia l’esclusione da tale regime del contratto di locazione stipulato con i conduttori che operano
nell’esercizio di attività di impresa o di lavoro autonomi. Invece, in merito a all’esenzione, dall’imposta di registro e di bollo, dell’atto con cui le parti dispongono la
riduzione del canone, essa spetta anche nel caso in cui
tali parti concordino la riduzione solo per un limitato
periodo di durata del contratto, ad esempio un anno (si
veda “Niente cedolare secca se il conduttore è lavoratore autonomo” del 30 gennaio 2016).
Infine, il Fisco torna sul “bonus mobili”, confermando
che possono beneficiarne i contribuenti che hanno sostenuto le spese d’acquisto entro il 2016 anche per interventi di recupero del patrimonio edilizio a decorrere dal 26 giugno 2012, fermo restando il rispetto del limite massimo di spesa agevolabile di 10 mila euro (si
veda “Bonus mobili nel 2016 per i lavori ultimati nel
2012” del 10 febbraio 2016).
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Indetraibilità assoluta dell’IVA sui fabbricati
accatastati come abitativi
La preclusione non opera solo per le imprese di costruzione di detti immobili
/ Simonetta LA GRUTTA
La Cassazione, con la sentenza n. 6883 depositata ieri,
ha stabilito il principio secondo cui le disposizioni di
cui all’art. 19-bis1, lett. i) del DPR 633/72 precludono, in
maniera assoluta, la detrazione dell’IVA assolta sugli
acquisti di fabbricati accatastati come abitativi, salvo
che l’acquirente non sia un’impresa che ha per oggetto
esclusivo o principale la costruzione dei predetti fabbricati.
La fattispecie oggetto di giudizio trae origine da un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto un credito IVA, chiesto a rimborso,
derivante dall’acquisto di un immobile ad uso abitativo (una villa), in quanto il bene non può considerarsi
strumentale all’attività dell’acquirente, poiché diversa
da quella per la quale la preclusione della norma in
esame non opera.
Il contribuente, impugnato l’avviso di accertamento, ha
visto le proprie motivazioni respinte dal giudice di prime cure, ma accolte dal giudice di seconde cure.
Quest’ultimo, infatti, ha ritenuto prevalente, sulla disposizione legislativa, il giudizio di strumentalità sul
bene, valutato in fatto. Dalle note integrative ai bilanci
dell’anno d’imposta in cui è stato effettuato l’acquisto e
dell’anno successivo risulta, infatti, l’intento di ristrutturare la villa e destinarla a sede dell’attività d’impresa.
Ricorda la Suprema Corte che, per regola generale,
mentre le cessioni di beni (e le prestazioni di servizi)
poste in essere da una società di capitali sono ex lege
effettuate nell’esercizio d’impresa e rientranti nel campo di applicazione dell’IVA, non lo stesso può dirsi per
gli acquisti di beni (e di servizi), che assumono rilevanza ai fini del tributo, solo nel caso in cui si dimostri in
concreto l’inerenza e la strumentalità di quanto acquistato rispetto alla specifica attività imprenditoriale
svolta.
Qualora la strumentalità non risulti immediatamente
verificabile, devono sussistere elementi obiettivi che
consentano di ritenere l’acquisto prodromico all’esercizio dell’attività d’impresa e destinato, almeno prospetticamente, a procurargli un lucro.
L’onere probatorio è più stringente in casi come quello
in esame, in cui esiste una norma che espressamente
statuisce l’esclusione della detrazione, qualora non si
verifichino determinate condizioni (i.e. esercizio di at-
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
tività di costruzione di detti immobili).
Secondo la Suprema Corte, in questi casi, il contribuente dovrà dar prova concreta non solo dell’inerenza, ma anche dell’effettiva riconduzione del bene ad
una categoria diversa da quella per la quale vige
l’esclusione del diritto in parola. Ciò non è avvenuto
nel caso di specie, poiché il giudice di seconde cure
non ha illustrato sulla scorta di quali elementi oggettivi abbia ritenuto di poter superare la limitazione di legge ed ha erroneamente posto l’onere della prova a carico dell’Ufficio. La Corte di Cassazione ha concluso accogliendo il ricorso e rinviando la controversia alla C.T.
Reg. per il riesame di merito.
Si nota, inoltre, che, al punto 2.4.8. la Corte afferma il
seguente principio: “ove l’operazione non rientri
nell’oggetto esclusivo o principale dell’attività, il compratore non ne dovrà dimostrare solo l’inerenza e la
strumentalità in base a elementi oggettivi e in concreto, (…) ma dovrà dimostrare anche che il bene non rientra più nella categoria dei beni a destinazione abitativa, per i quali, in base ad un criterio legale oggettivo, è
prevista l’esclusione della detrazione”.
Prevale l’effettiva strumentalità del bene alla luce
dell’attività esercitata
In sede di primo commento, nonostante il tenore letterale del principio espresso, si ritiene resti valida la posizione assunta dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 29 aprile 2015 n. 8628. In tale occasione, è stata
riconosciuta la detraibilità dell’IVA assolta sui lavori di
ristrutturazione di un immobile, avente destinazione
catastale abitativa (cat. A2), utilizzato per lo svolgimento di attività imprenditoriale di “affittacamere e
case per vacanze”. La natura di bene strumentale era,
dunque, stata verificata anche in caso di immutata categoria catastale.
In definitiva, in entrambe le sentenze, si riconosce la
prevalenza della sostanza, ossia dell’effettiva strumentalità del bene, valutata in considerazione dell’attività
esercitata. Negli stessi termini la posizione assunta
dall’Agenzia delle Entrate (Ris. del 22 febbraio 2012 n.
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STUDIO DUCOLI
Computo delle perdite pregresse in caso di
accertamento con IPEA
L’Agenzia delle Entrate ha approvato il modello per l’istanza di computo in diminuzione delle perdite
pregresse dai maggiori imponibili
/ Grazia CARBONE
È stato emanato ieri, in attuazione dell’art. 25 comma 4
del DLgs. 158/2015, il provvedimento n. 51240 dell’Agenzia delle Entrate con il quale è stato approvato il modello, corredato delle relative istruzioni, per il computo
in diminuzione delle perdite pregresse dai maggiori
imponibili nell’ambito dell’attività di accertamento.
Il documento in parola delinea l’ambito di applicazione, i contenuti, le modalità e i termini di presentazione dell’istanza, denominata “modello IPEA”, che i contribuenti non rientranti nella tassazione di gruppo –
per i quali continua invece a valere il “modello IPEC” –
devono utilizzare per beneficiare del computo in diminuzione delle perdite dai maggiori imponibili accertati
oppure definiti.
Il citato provvedimento, altresì, declina nello specifico
gli adempimenti che l’Ufficio competente è tenuto a
effettuare nei diversi scenari in cui interviene la presentazione dell’istanza.
Ciò premesso, occorre osservare che nel documento
oggetto di commento viene, in primo luogo, precisato
che la richiesta di scomputo in diminuzione dei maggiori imponibili accertati può riguardare solo le perdite pregresse ancora disponibili, intendendo per tali le
perdite maturate anteriormente al periodo di imposta
oggetto di rettifica e ancora utilizzabili alla data di
chiusura dello stesso – secondo le previsioni di cui
agli artt. 8 e 84 del TUIR – e non ancora utilizzate alla
data di presentazione dell’istanza.
Peraltro, tali perdite “pregresse” possono essere scomputate dal maggior imponibile accertato solo a seguito
della presentazione del modello il quale, stando alla
lettera del provvedimento, deve essere trasmesso, unitamente alla copia di un documento di identità del firmatario dell’istanza, all’indirizzo di posta elettronica
certificata (PEC) dell’Ufficio competente.
Sotto il profilo operativo, sono disciplinati gli adempimenti da porre in essere in relazione alle diverse fasi
del procedimento di accertamento, sia esso ordinario
che con adesione; in particolare, l’Agenzia delle Entrate declina con puntualità la procedura sia nell’ipotesi
di presentazione dell’istanza a seguito di notifica di
avviso di accertamento, che nei casi in cui la presentazione dell’istanza intervenga in presenza di accertamento con adesione (comprendendo sia l’adesione
“successiva” alla notifica dell’avviso di accertamento
che “anteriore” alla stessa).
Caratteristica comune a tutte le ipotesi sopra descritte
è il riscontro dell’utilizzabilità delle perdite da parte
dell’Ufficio prima di procedere al ricalcolo degli impor-
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
ti accertabili o da definire.
Nel caso di notifica dell’avviso di accertamento, viene
ribadito che il modello deve essere presentato entro il
termine per la proposizione del ricorso, sospendendo
lo stesso per un periodo di 60 giorni. L’Ufficio dopo
aver riscontrato l’effettiva utilizzabilità delle perdite
procede al ricalcolo dell’eventuale maggiore imposta
dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l’esito al contribuente, entro sessanta giorni
dalla presentazione del modello. Tale esito non deve
essere considerato un atto autonomo e in ogni caso
non è preclusa la possibilità per il contribuente di presentare successivamente istanza di accertamento con
adesione.
Nel diverso scenario in cui il modello IPEA sia inviato
in presenza di istanza di accertamento con adesione
presentata a seguito di notifica di avviso di accertamento, non varia il termine entro il quale presentare il
modello – entro il termine per la proposizione del ricorso – e comunque lo stesso si ritiene interrotto per
60 giorni (ulteriori, ovviamente, rispetto ai 90 giorni di
sospensione previsti per l’accertamento con adesione).
Tuttavia, in tale ipotesi, la rideterminazione dell’imponibile al netto delle perdite disponibili va ad innestarsi
direttamente sul procedimento di adesione. In tal senso, è infatti previsto che l’Ufficio formuli l’invito a comparire ai sensi dell’art. 6 del DLgs. n. 218/1997, al fine di
instaurare il contraddittorio con il contribuente e predisponga l’atto di accertamento con adesione contenente, direttamente, i maggiori imponibili al netto delle perdite utilizzabili.
Qualora l’atto così predisposto sia sottoscritto dal contribuente, la procedura si perfeziona poi secondo le regole ordinarie per effetto del compimento degli adempimenti di cui all’art. 9 del DLgs. 218/1997. Per contro,
nel caso di mancata definizione dell’atto, l’Ufficio che
ha emesso l’avviso di accertamento procede comunque, sulla base del modello presentato, al ricalcolo
dell’eventuale maggiore imposta dovuta e degli oneri
correlati dando comunicazione dell’esito al contribuente.
Procedura simile è prevista, infine, nell’ultimo scenario descritto nel provvedimento in cui l’istanza interviene nel caso di procedimento di accertamento con
adesione avviato precedentemente alla notifica
dell’avviso di accertamento. Al ricorrere di una simile
fattispecie il modello IPEA deve essere presentato dal
contribuente nel corso del contradditorio e l’Ufficio
nell’atto di adesione deve tener conto delle perdite
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STUDIO DUCOLI
scomputabili. Se l’adesione non si perfeziona, l’Ufficio
notifica l’avviso di accertamento, computando comunque in diminuzione dai maggiori imponibili le perdite
oggetto del Modello presentato e procedendo al calcolo dell’eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate.
Da ultimo, si evidenzia come il provvedimento il com-
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
mento preveda espressamente un ulteriore obbligo per
l’Ufficio; in particolare, una volta operato il computo in
diminuzione delle perdite pregresse in accertamento o
in adesione, l’Ufficio ha l’onere di rettificare l’ultima dichiarazione dei redditi presentata riducendo l’importo
delle perdite riportabili.
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LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Somme corrisposte ripetibili se la decisione sul
licenziamento è riformata
Retribuzioni giustificate dall’obbligo risarcitorio che deriva dall’illegittimità del licenziamento e non
dall’inosservanza del datore all’ordine di reintegra
/ Paolo BERTI
Chiedersi se si possano ripetere le somme indebitamente corrisposte costituisce una domanda che, posta
in questo modo, è a dir poco insignificante e altrettanto lo sarebbe la risposta.
Tuttavia, se gli importi contesi sono rappresentati dalle retribuzioni che il lavoratore ha percepito in esecuzione di una sentenza (o di un ordine del giudice) che
dichiarava illegittimo il licenziamento intimato dal
datore di lavoro, sentenza od ordine poi riformati nelle
successive fasi del giudizio, il quesito da cui siamo
partiti si fa più intrigante e meno intuitivo, così come
la sua soluzione.
Dunque, immaginiamo che un lavoratore, licenziato
per giusta causa (ma il motivo del licenziamento, ai
nostri fini, è del tutto ininfluente), impugni in via d’urgenza il provvedimento espulsivo ed un Giudice, riconosciuta, prima facie, l’illegittimità dell’atto, lo reintegri nel posto di lavoro, obbligando il datore a corrispondere le retribuzioni perdute medio tempore sulla scorta di quanto previsto dall’art. 18 della L. 300/70, vecchia formulazione.
Il datore di lavoro, pur sollecitato per iscritto dal lavoratore al ripristino del rapporto, non adempie all’ordine del giudice se non per la parte che riguarda le retribuzioni maturate successivamente alla reintegra disposta in via cautelare. Immaginiamo ancora che, su
impulso del datore di lavoro, il provvedimento cautelare venga riformato e che pertanto il licenziamento diventi, a questo punto, legittimo.
Il lavoratore dovrà o meno restituire al datore di lavoro
le somme che ha percepito in esecuzione della pronuncia emessa in via cautelare? È più o meno questo il
tema su cui si è trovata a decidere la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 6054/2016, che ha fatto
chiarezza con parole che non si prestano ad interpretazioni.
Secondo la Suprema Corte le somme erogate in favore
del lavoratore ex art. 18 della L. 300/70 (nel testo vigente ante L. 92/2012) sono giustificate dall’obbligo risarcitorio che deriva dall’illegittimità del licenziamento e
non dall’inosservanza del datore all’ordine giudiziale
di reintegra e, come tali, sono ripetibili in ogni caso in
Eutekne.Info / Sabato, 09 aprile 2016
cui il provvedimento giudiziale sia stato successivamente riformato.
Il Supremo Collegio ha, inoltre, aggiunto che l’offerta
da parte del dipendente della prestazione lavorativa e
il conseguente rifiuto della stessa da parte del datore
non assumono alcun rilievo ai fini della restituzione,
con ciò ribadendo un principio già espresso in altre
pronunce (cfr. Cass. nn. 16037/2004 e 15251/2014).
Per la Corte la regola della ripetibilità delle somme non
è però priva di eccezioni: se, infatti, il datore di lavoro,
in esecuzione della prima pronuncia, riammette effettivamente in servizio il dipendente, costui ha diritto di
essere remunerato per il lavoro svolto, valendo in questo caso la regola generale sancita dall’art. 2126 c.c., secondo cui la nullità o l’annullamento del contratto di
lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione, salvo che la nullità derivi
dall’illiceità dell’oggetto o della causa.
In definitiva, non è la mera offerta della prestazione lavorativa successiva all’ordine di reintegra (poi riformato) che può mutare il titolo della corresponsione da risarcitorio a retributivo, ma solo l’effettiva ripresa
dell’attività lavorativa.
La sentenza citata, per il vero, appare piuttosto tranciante nel definire oramai consolidato l’orientamento
sopra esposto, dimenticando piuttosto di sottolineare
come, nel caso di mancata reintegra post sentenza, la
giurisprudenza di legittimità si fosse a lungo assestata
negli anni Ottanta e Novanta su una posizione di totale irripetibilità delle somme (Cass. SS.UU. n. 1669/1982)
o di ripetibilità condizionata alla mancata messa a disposizione, da parte del lavoratore, delle proprie energie (Cass. SS.UU. n. 2925/1988; Cass. nn. 9716/1992,
315/1993).
D’altra parte, è pur vero che la riforma della sentenza
dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento fa venir meno il titolo che attribuiva, in origine, al lavoratore il diritto di richiedere il salario, ma è altrettanto vero che, mettendosi a disposizione dell’azienda, il lavoratore sposta su quest’ultima l’onere di una scelta che,
se assunta, non può non comportare alcuna conseguenza giuridica per chi la fa.
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ECONOMIA & SOCIETÀ
STUDIO DUCOLI
Btp e spread in rialzo sull’aumento dell’avversione al
rischio
Una settimana di forte incertezza sulle borse e in particolare sul settore bancario si riflette sui
rendimenti dei titoli governativi italiani
/ Stefano PIGNATELLI
I mercati azionari si sono dimostrati deboli fin da inizio settimana e ciò ha condotto a tensioni sul Btp,
mentre ne beneficiano i tassi “risk free”. Solo ieri le
borse hanno tentato un recupero con il Ftse/Mib (borsa italiana) in ripresa dopo i forti cali dei giorni precedenti, soprattutto del settore bancario.
I Btp vedono un rialzo dei rendimenti su tutta la curva
(decennale ieri all’1,34% con massimi a 1,4% in settimana).
Il Bund 10 scende allo 0,10%, con lo spread Btp-Bund
che sale a 125 bps (massimo a 132). I Bund sono negativi fino alla scadenza 9 anni.
In tale contesto di avversione al rischio non è da escludere che anche il 10 anni possa finire in negativo, aiutato oltretutto dagli acquisti del QE Bce potenziato (da
60 a 80 mld da questo mese; gli acquisti possono essere fatti fino ad un rendimento minimo pari al tasso depo di -0,4%). I minimi di aprile 2015 (0,05%) potrebbero
quindi essere infranti.
I tassi Irs scendono leggermente (10 anni 0,52%),
anch’essi appena sopra i minimi storici (5 anni a zero).
L’ipotesi di vedere Bund e Irs sotto i minimi storici è legata ad un aumento dell’avversione al rischio e quindi
potrebbe avere carattere temporaneo.
In calo le attese sull’Euribor 3 mesi (tassi Future); il parametro trimestrale (-0,247%) è previsto restare in territorio negativo fino alla fine del 2019.
La scarna agenda macro settimanale non giustifica i
ribassi sui tassi e le tensioni sull’azionario; i pochi dati
sono risultati misti (in Europa vendite al dettaglio più
forti delle attese, indice Pmi rivisto al ribasso, in Germania calano gli ordini all’industria). Quindi c’è dell’altro.
Non sono state neanche le parole della numero uno del
Fondo monetario internazionale, che chiede azioni più
forti a favore della crescita a livello globale, avvertendo che i rischi cresceranno senza mosse decisive.
Neppure la pubblicazione delle minute dell’ultima riu-
nione Fed giustifica particolari tensioni. Dopo le parole di Janet Yellen della scorsa settimana, improntate a
toni di cautela, sono suonate accomodanti anche le
minute dell’ultimo meeting di politica monetaria: ne
emerge che difficilmente ci potrà essere un nuovo intervento sui tassi prima di giugno.
Il motivo potrebbe essere legato al fatto che per vedere
salire le borse, dopo gli ampi recuperi dai minimi di
febbraio (Wall Street ha ripreso tutto il terreno perso),
c’è bisogno di nuovo carburante e questo deve arrivare
da buoni dati macro e dai bilanci delle quotate.
In attesa di ciò potrebbe perdurare una fase di nervosismo. Non aiuta l’azionario il rischio di rialzi dei Fed
Fund; basta vedere cosa è successo dopo quello di dicembre (due mesi di forti cali di borse e di tassi).
I bassi tassi rappresentano un allarme per le banche, i
cui modelli di business vanno in crisi se dovessero effettivamente rimanere negativi o estremamente bassi
per oltre 2-3 anni: i mercati penalizzano il settore anche per questo motivo, oltre che per le sofferenze.
Dal 2014, la Bce impone un onere alla banche che parcheggiano a fine giornata liquidità (tasso sui depositi 0,4%), misura che ha portato gli istituti di credito a lamentare un restringimento dei margini, nell’impossibilità di rifarsi con un analogo prelievo sui propri depositanti.
Difficile da raggiungere il target al 2% per l’inflazione
voluto dalla Bce
Tuttavia il mandato Bce è chiaro: target al 2% per l’inflazione e, per tentare di raggiungerlo, bassi tassi nominali sono reputati necessari.
Questo target, con tutte le spinte deflazionistiche presenti sia congiunturali (materie prime, bassa crescita e
alta disoccupazione) sia strutturali (globalizzazione e
digitalizzazione), appare attualmente difficile da centrare.
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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