22/3/2016 - studio ducoli

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Martedì, 22 marzo 2016
IL CASO DEL GIORNO
CONTABILITÀ
Non imponibilità IVA
per l’ampliamento
aeroportuale
Pronte le istruzioni per il deposito dei bilanci
2015
/ Emanuele GRECO
Il regime di non imponibilità IVA è
applicabile a tutte le prestazioni rese all’interno del sedime aeroportuale, finalizzate a completare, ampliare
e ammodernare gli impianti aeroportuali esistenti.
In questo senso deve essere interpretato l’art. 9 comma 1 n. 6) del DPR
633/72 che, nella sua formulazione
letterale, prevede la non imponibilità per i “servizi prestati negli aeroporti (...) che riflettono direttamente
il funzionamento e la manutenzione
degli impianti ovvero il movimento
di beni o mezzi di trasporto”.
Alla norma menzionata si accompagna, poi, l’art. 3 comma 13 della L.
90/90, precisando che, tra i citati servizi, “che riflettono direttamente il
funzionamento e la manutenzione”
devono ritenersi “compresi anche
quelli di rifacimento, completamento, ampliamento, ammodernamento,
ristrutturazione e riqualificazione
degli impianti già esistenti, pur se tali opere vengono dislocate all’interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla [...]
La guida predisposta da sistema camerale e CNDCEC fornisce le istruzioni per il
deposito telematico in base alla nuova tassonomia integrata XBRL
/ Silvia LATORRACA
È disponibile dalla giornata di ieri, 21
marzo 2016, il Manuale operativo per
il deposito dei bilanci al Registro
delle imprese, che descrive le modalità per la compilazione della modulistica elettronica e per il deposito
telematico dei bilanci e degli elenchi soci, con specifico riferimento
alla campagna bilanci in atto.
Il documento, messo a punto dal sistema camerale e dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili e scaricabile
dai relativi siti internet
(www.unioncamere.gov.it, www.registroimprese.it e www.cndcec.it),
ha l’obiettivo di facilitare le società e
i professionisti nell’adempimento
degli obblighi di deposito del bilancio, oltre che di creare linee guida di
comportamento uniformi su scala
nazionale.
Gli occhi sono puntati, evidentemente, sul formato elettronico elaborabile XBRL, che è utilizzato in via
obbligatoria per la presentazione
dei bilanci al Registro delle imprese
dal 2010, ma interessa, a partire dallo
scorso anno (campagna bilanci 2015),
anche la Nota integrativa, documento
che, per sua natura, risulta maggiormente complesso da “standardizzare”
e, quindi, da codificare in XBRL.
Sotto questo profilo, si ricorda che
l’Associazione XBRL Italia ha recentemente rilasciato una nuova versione
della tassonomia integrata (denominata 2015-12-14), che deriva dall’implementazione di quella precedentemente in vigore (versione 2014-11-17)
e, quindi, rappresenta in un unico file
informatico tutto il bilancio, comprensivo della Nota integrativa, ma
consente di superare alcune delle
problematiche operative riscontrate
durante la passata campagna bilanci.
Nella specie, la nuova versione non
rappresenta soltanto la disclosure
prevista dal codice civile, ma anche le
informazioni legate alla conformità ai
principi contabili (es. leasing e Rendiconto finanziario). È stato, inoltre, migliorato il modello informativo proposto per rappresentare la [...]
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IN EVIDENZA
FISCO
Linee guida per la revisione ai fini della rateazione dei ruoli da
Modello IVA TR
aggiornato con le ultime
novità
Assirevi
/ Michele BANA
Conferimenti di partecipazioni in società senza prelazione
Gli accordi preventivi di imprese con attività internazionale
trovano le regole
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 8
Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate
ha pubblicato, nella giornata di ieri, il
provvedimento n. 42623, mediante il
quale è stato approvato il modello IVA
TR per la richiesta di [...]
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ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Non imponibilità IVA per l’ampliamento aeroportuale
L’agevolazione può concernere anche i lavori di nuova costruzione, purché connessi a impianti già
esistenti
/ Emanuele GRECO
Il regime di non imponibilità IVA è applicabile a tutte
le prestazioni rese all’interno del sedime aeroportuale,
finalizzate a completare, ampliare e ammodernare gli
impianti aeroportuali esistenti.
In questo senso deve essere interpretato l’art. 9 comma 1 n. 6) del DPR 633/72 che, nella sua formulazione
letterale, prevede la non imponibilità per i “servizi prestati negli aeroporti (...) che riflettono direttamente il
funzionamento e la manutenzione degli impianti ovvero il movimento di beni o mezzi di trasporto”.
Alla norma menzionata si accompagna, poi, l’art. 3
comma 13 della L. 90/90, precisando che, tra i citati
servizi, “che riflettono direttamente il funzionamento e
la manutenzione” devono ritenersi “compresi anche
quelli di rifacimento, completamento, ampliamento,
ammodernamento, ristrutturazione e riqualificazione
degli impianti già esistenti, pur se tali opere vengono
dislocate all’interno dei predetti luoghi, in sede diversa dalla precedente”.
La fattispecie dei lavori di costruzione e ampliamento
di un aeroporto è stata oggetto, di recente, di una risposta a interpello rilasciata dalla Direzione Regionale
dell’Agenzia delle Entrate del Veneto.
Il caso esaminato nell’interpello riguardava, tra l’altro,
la costruzione di un percorso pedonale assistito (con
l’impiego di tappeti mobili), da realizzarsi mediante
tunnel sopraelevato, di collegamento tra l’aerostazione e un’altra struttura ubicata anch’essa all’interno del
sedime aeroportuale.
L’agevolazione di cui trattasi può, dunque, concernere
anche i lavori di nuova costruzione, purché connessi a
impianti già esistenti.
Il punto, già chiarito dall’Agenzia delle Entrate con la
risoluzione 31 marzo 2008 n. 118, trova conferma nella
Eutekne.Info / Martedì, 22 marzo 2016
citata risposta a interpello n. 954-414/2015 resa dalla
DRE Veneto.
Aggiungiamo che, nel caso di interventi oggettivamente riconducibili all’ambito di applicazione del reverse
charge in edilizia (ad esempio, completamento dell’aeroporto o manutenzioni sugli edifici), non viene meno
il regime di non imponibilità dell’operazione.
Infatti, per le prestazioni di servizi in ambito portuale e
aeroportuale – non imponibili IVA ai sensi dell’art. 9
comma 1 n. 6) del DPR 633/72 – non è possibile avvalersi del meccanismo del reverse charge, essendo il
presupposto applicativo dell’inversione contabile l’imponibilità dell’operazione (si veda “Nel reverse charge
«interno» le sole operazioni imponibili” del 7 gennaio
2016).
Non è possibile avvalersi del meccanismo del reverse
charge
Una questione di tenore analogo è stata trattata
dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 37 del 22
dicembre 2015 (§ 16). In quel caso l’esempio portato era
quello dei servizi di pulizia effettuati all’interno di edifici in ambito aeroportuale (fattispecie anch’essa riconducibile all’art. 9 comma 1 n. 6) del DPR 633/72).
Si affermava quindi che, “pur essendo i servizi riconducibili, in via di principio, nell’ambito applicativo
dell’art. 17 co. 6 lett. a-ter) del DPR 633/72, non sono
soggetti al meccanismo del reverse charge, trattandosi di servizi non imponibili”.
Il meccanismo del reverse charge “interno”, infatti, mira a contrastare le frodi nel settore dell’IVA, ma nessun rischio può sussistere nel caso in cui l’operazione
non preveda l’addebito dell’imposta al committente.
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CONTABILITÀ
STUDIO DUCOLI
Pronte le istruzioni per il deposito dei bilanci 2015
La guida predisposta da sistema camerale e CNDCEC fornisce le istruzioni per il deposito telematico in
base alla nuova tassonomia integrata XBRL
/ Silvia LATORRACA
È disponibile dalla giornata di ieri, 21 marzo 2016, il
Manuale operativo per il deposito dei bilanci al Registro delle imprese, che descrive le modalità per la
compilazione della modulistica elettronica e per il deposito telematico dei bilanci e degli elenchi soci, con
specifico riferimento alla campagna bilanci in atto.
Il documento, messo a punto dal sistema camerale e
dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e
degli esperti contabili e scaricabile dai relativi siti internet (www.unioncamere.gov.it, www.registroimprese.it e www.cndcec.it), ha l’obiettivo di facilitare le società e i professionisti nell’adempimento degli obblighi di deposito del bilancio, oltre che di creare linee
guida di comportamento uniformi su scala nazionale.
Gli occhi sono puntati, evidentemente, sul formato
elettronico elaborabile XBRL, che è utilizzato in via obbligatoria per la presentazione dei bilanci al Registro
delle imprese dal 2010, ma interessa, a partire dallo
scorso anno (campagna bilanci 2015), anche la Nota integrativa, documento che, per sua natura, risulta maggiormente complesso da “standardizzare” e, quindi, da
codificare in XBRL.
Sotto questo profilo, si ricorda che l’Associazione XBRL
Italia ha recentemente rilasciato una nuova versione
della tassonomia integrata (denominata 2015-12-14),
che deriva dall’implementazione di quella precedentemente in vigore (versione 2014-11-17) e, quindi, rappresenta in un unico file informatico tutto il bilancio,
comprensivo della Nota integrativa, ma consente di
superare alcune delle problematiche operative riscontrate durante la passata campagna bilanci.
Nella specie, la nuova versione non rappresenta soltanto la disclosure prevista dal codice civile, ma anche le informazioni legate alla conformità ai principi
contabili (es. leasing e Rendiconto finanziario). È stato,
inoltre, migliorato il modello informativo proposto per
rappresentare la fiscalità differita (si veda “Pubblicata
la nuova tassonomia XBRL” del 25 novembre 2015).
Il Manuale operativo evidenzia che la nuova tassonomia non incide, comunque, sul perimetro dei soggetti
obbligati all’impiego di XBRL e, in tal senso, nulla cambia rispetto allo scorso anno.
Sono, infatti, esclusi dall’obbligo di utilizzare il formato elettronico elaborabile (art. 3 comma 2 del DPCM 10
dicembre 2008):
- le società di capitali quotate;
- le società (anche non quotate) che redigono il bilancio d’esercizio o consolidato in conformità ai principi
contabili internazionali IAS/IFRS;
Eutekne.Info / Martedì, 22 marzo 2016
- le società esercenti attività di assicurazione e riassicurazione;
- le banche e gli altri istituti finanziari;
- le società controllate e incluse nel bilancio consolidato redatto dalle società precedentemente indicate.
Inoltre, non sono attualmente soggetti al formato
XBRL:
- i bilanci delle società estere aventi sede secondaria
in Italia;
- i bilanci sociali e le situazioni patrimoniali delle imprese sociali;
- le situazioni economiche e patrimoniali delle società
di mutuo soccorso;
- i bilanci consolidati delle società di persone;
- i bilanci finali di liquidazione.
Tanto premesso, nel fornire le istruzioni per la predisposizione dell’istanza XBRL, il Manuale riporta, avuto
riguardo alla decorrenza della nuova tassonomia,
quanto già previsto sui siti internet di XBRL Italia e
dell’Agenzia per l’Italia Digitale. Pertanto, la nuova versione è obbligatoria per i bilanci chiusi il 31 dicembre
2015 (o successivamente) e approvati in assemblea dal
1° marzo 2016.
Il Manuale ricorda, inoltre, che, analogamente alla precedente, la nuova tassonomia codifica il solo bilancio
individuale d’esercizio (tanto in forma ordinaria, quanto in forma abbreviata), mentre non prevede ancora la
possibilità di codificare il bilancio consolidato.
Per quanto detto, in relazione alla campagna bilanci
2016 e avuto riguardo ai soggetti che rientrano nell’ambito di applicazione del formato XBRL, la pratica di deposito si comporrà secondo modalità differenti a seconda che abbia per oggetto un bilancio d’esercizio oppure un bilancio consolidato, nonché (per i bilanci
d’esercizio) a seconda della data di chiusura dell’esercizio e di approvazione da parte dell’assemblea.
In specie, il bilancio consolidato continuerà a seguire,
anche per la campagna bilanci in atto, la tassonomia
versione 2011-01-04 n. 1.10, con il conseguente utilizzo
del formato XBRL per i soli schemi quantitativi e il deposito della Nota integrativa in formato pdf.
Si ricorda, da ultimo, che, per la predisposizione
dell’istanza XBRL, si potranno utilizzare i software disponibili sul mercato oppure gli strumenti gratuiti
messi a disposizione da InfoCamere sul sito internet
webtelemaco.infocamere.it, sezione “Bilanci > Bilanci
XBRL”, pagine “Strumenti PC” e “Strumenti PC+NI”.
Tali software sono differenziati a seconda della diversa tassonomia applicabile.
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Modello IVA TR aggiornato con le ultime novità
L’istanza può essere già utilizzata per la richiesta di rimborso o compensazione del credito del 1°
trimestre 2016
/ Michele BANA
Il Direttore dell’Agenzia delle Entrate ha pubblicato,
nella giornata di ieri, il provvedimento n. 42623, mediante il quale è stato approvato il modello IVA TR per
la richiesta di rimborso o per l’utilizzo in compensazione del credito IVA trimestrale, le relative istruzioni e le
specifiche tecniche per la trasmissione telematica dei
dati.
Tale istanza è riservata, ai sensi dell’art. 38-bis comma
2 del DPR 633/1972, ai soggetti passivi IVA che – in
presenza delle condizioni previste dall’art. 30 comma 3
lett. a), b) ed e), del medesimo decreto, con alcune limitazioni nelle ipotesi delle lett. c) e d) rispetto al rimborso annuale – intendono domandare il rimborso dell’eccedenza d’imposta detraibile per un periodo inferiore
all’anno: in alternativa, è possibile richiedere di utilizzare tale credito in compensazione, nel modello F24, a
norma dell’art. 8 del DPR 542/1999.
L’approvazione del nuovo modello IVA TR si è resa necessaria per adeguare la struttura e il contenuto dello
stesso alle ultime novità, introdotte dalla L. 208/2015 –
in termini di aliquote d’imposta – e dal DM 26 gennaio
2016, che ha innalzato le percentuali di compensazione applicate alle cessioni di alcuni prodotti del settore
lattiero-caseario e di animali vivi delle specie bovina e
suina.
Un’altra novità è presente nel frontespizio, in corrispondenza della sezione “Casi particolari di compilazione”, dove il campo “Rettifica utilizzo credito” è stato
ridenominato in “Modifica istanza precedente”: tale casella deve essere barrata nel caso in cui il soggetto
passivo IVA intenda modificare – secondo le istruzioni fornite, prima, dalla risoluzione dell’Agenzia delle
Entrate n. 99/2014 e, poi, dalla circolare n. 35/2015 –
una domanda già tempestivamente presentata.
Il nuovo modello IVA TR comprende altresì, analogamente al precedente, il prospetto riepilogativo riservato all’ente o società controllante che si avvale delle disposizioni dell’art. 73 del DPR 633/1972 – così come attuate dal DM 13 dicembre 1979 – per la domanda di
rimborso, o per l’utilizzo in compensazione, del credito
Eutekne.Info / Martedì, 22 marzo 2016
trimestrale IVA del gruppo (quadro TE). Tali soggetti
possono, infatti, richiedere il rimborso infrannuale, oppure l’utilizzo in compensazione, dell’eccedenza di
credito del gruppo relativa alle società appartenenti allo stesso in possesso dei suddetti requisiti previsti
dall’art. 30 comma 3 lett. a), b) ed e), del DPR 633/1972, e
dalle lett. c) e d), della medesima disposizione, queste
ultime con le limitazioni stabilite dall’art. 38-bis, comma 2, del DPR 633/1972. A tale fine, l’ente o la società
controllante presenta appunto il quadro TE, allegando
– per ciascuna delle società del gruppo IVA munita dei
predetti presupposti – il modulo previsto per la generalità dei contribuenti con l’indicazione degli elementi
contabili del trimestre.
Deve, inoltre, essere compilato il rigo TD9, nell’ipotesi
di richiesta di rimborso o utilizzo in compensazione
dell’eccedenza detraibile risultante dalle annotazioni
periodiche riepilogative di gruppo: in particolare, nel
campo 1, deve essere indicato il numero di partita IVA
dell’ente o della società partecipante all’IVA di gruppo
cui il modulo si riferisce, per il quale nel quadro TE è
stato indicato – nella corrispondente casella della colonna 2 – il possesso di uno dei requisiti previsti
dall’art. 30, comma 3, lett. a), b), c), d) ed e), del DPR
633/1972. Nel campo 2 del rigo TD9, inserito dal provvedimento direttoriale 2016/42623, deve essere esposto
l’importo richiesto a rimborso dalla controllante.
Il nuovo modello IVA TR deve essere utilizzato, in luogo di quello approvato dal Direttore dell’Agenzia delle
Entrate con provvedimento del 20 marzo 2015, a decorrere dalle richieste di rimborso o utilizzo in compensazione del credito IVA relativo al primo trimestre
dell’anno 2016, da presentare entro l’ultimo giorno del
mese successivo al trimestre di riferimento, ai sensi
dell’art. 8 del DPR 542/1999. Tale istanza può, pertanto,
essere utilizzata – in presenza dei suddetti presupposti – già per la richiesta a rimborso, o l’utilizzo in compensazione, del credito IVA del 1° trimestre 2016, purché sia trasmesso telematicamente entro il 30 aprile
2016.
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IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Conferimenti di partecipazioni in società senza
prelazione
La Cassazione delimita l’ambito di operatività della clausola di prelazione riferita ai trasferimenti a
titolo oneroso
/ Maurizio MEOLI
In presenza di uno statuto di società di capitali in cui il
principio di libera trasferibilità delle partecipazioni si
atteggia come criterio guida, e nel quale il diritto di
prelazione dei soci è espressamente escluso in caso di
trasferimento tra parenti, mentre è ammesso in caso
di cessione “a titolo oneroso”, la clausola di prelazione
non si applica all’ipotesi di conferimento delle quote in
altra società partecipata dai medesimi soci conferenti.
A stabilirlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n.
5507, depositata ieri.
Nella specie, come evidenziato in premessa, ci si trovava al cospetto di uno statuto di srl in cui il principio
di libera trasferibilità delle quote presentava rilevanza
centrale. Contestualmente, peraltro, il diritto di prelazione dei soci era espressamente escluso in caso di
trasferimento interparentale, mentre era ammesso in
caso di cessione a titolo oneroso della partecipazione;
tale condizione (l’onerosità) risultava chiaramente desumibile dagli specifici riferimenti che la clausola conteneva alle nozioni di “prezzo” e di “trasferimento”.
In tale situazione, la Suprema Corte reputa corretta la
soluzione adottata dai giudici di merito di escludere la
violazione della clausola di prelazione nell’ipotesi di
conferimento, da parte di taluni soci, delle proprie quote nella srl in altra società partecipata dai medesimi
soci conferenti.
La conclusione è reputata “convincente” perché la denuntiatio cui il socio alienante era tenuto per statuto –
verso la società, al fine di consentirle di avvisare gli altri soci circa la sussistenza, da parte di taluni, dell’intenzione di cedere la propria quota di partecipazione –
si atteggiava effettivamente quale congegno funzionante solo in caso di “sostituzione soggettiva”, evitabile da parte degli altri soci mediante una controprestazione identica a quella indicata dal socio uscente (cedente la quota), ovvero corrispondendo il prezzo.
Di contro, il conferimento delle quote da parte di taluni soci in una società dai medesimi partecipata – che
in tal modo assumeva la qualità di socia della srl in sostituzione dei conferenti che in tal modo ne liberavano il capitale – non mostra né direttamente di atteggiarsi a violazione del citato limite alla circolazione
delle quote (non ricorrendo l’identico elemento dello
scambio), né di integrare un’ipotesi di alienazione onerosa; piuttosto, fa emergere un meccanismo negoziale
riorganizzativo delle partecipazioni stesse.
D’altra parte, sottolinea la sentenza in commento, tale
differenza trova conferma anche nei regimi di prelazione a fonte legale, dimostrandone la compatibilità
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razionale con la clausola in questione.
Infatti: il conferimento di un fondo rustico in una società di capitali non implica prelazione e riscatto in favore dell’affittuario, in quanto, configurando un trasferimento privo di controprestazione in denaro e correlato all’acquisto della qualità di socio sulla base di un
negozio intuitu personae, non è assimilabile ai contratti di scambio di cui all’art. 8 della L. 590/1965 (cfr.
Cass. n. 7039/1992); il conferimento del fondo rustico in
società di capitali non implica i diritti di prelazione e
riscatto in favore del coltivatore diretto, atteso che
l’art. 8 comma 2 della L. 590/1965, sull’esclusione dei
diritti medesimi in caso di permuta, va riferito ad ogni
ipotesi in cui l’immobile sia trasferito dietro un corrispettivo costituito non da denaro, ma da altro bene determinato e infungibile (Cass. n. 26044/2005); il conferimento nel capitale di una società, per effetto della
sottoscrizione di aumento del capitale, della proprietà
di un immobile oggetto di dismissione del patrimonio
degli enti previdenziali pubblici, dietro la cessione di
una partecipazione azionaria in favore del conferente,
non è riconducibile alla fattispecie di vendita, quale tipo contrattuale propriamente legittimante la configurazione del diritto di prelazione a vantaggio del titolare del contratto di locazione del medesimo immobile,
alla luce della chiara previsione dell’art. 3 comma 109
della L. 662/1996 (Cass. n. 710/2014); il conferimento nel
capitale sociale della proprietà di un immobile già concesso in locazione non fa sorgere in capo al conduttore i diritti di prelazione e di riscatto previsti dagli artt.
38 e 39 della L. 392/1978, poiché il conferimento non
equivale ad un “trasferimento a titolo oneroso” ai sensi
del primo comma dell’art. 38 della legge citata (Cass. n.
12230/2012).
Né, in senso contrario, vale la prelazione sui beni culturali di cui all’art. 60 del DLgs. 42/2004.
Ciò non solo per la peculiare dimensione pubblicistica
che governa la facoltà di acquisto in capo allo Stato e
agli enti pubblici, ma proprio per l’espressa indicazione anche del meccanismo determinativo della prestazione dovuta dal prelazionario nei confronti del conferitario il bene in una società, in luogo della prestazione infungibile del conferente.
Si tratta, dunque, di una norma di stretta interpretazione che non fa altro che porre in risalto il fatto che, nella prelazione convenzionale societaria del caso di specie, non venne previsto nessun congegno di funzionamento per il conferimento delle quote in una società.
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ancora
PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Linee guida per la revisione ai fini della rateazione
dei ruoli da Assirevi
In appendice al documento sono forniti modelli di relazione di revisione
/ Stefano DE ROSA
Assirevi ha pubblicato il documento di ricerca n. 196
(che sostituisce il n. 136 del 2009) che ha l’obiettivo di
definire le linee guida per le attività svolte per la revisione contabile sulla situazione patrimoniale intermedia ai fini della rateazione dei debiti tributari iscritti a
ruolo.
In tale ambito, si ricorda che Equitalia richiede che le
istanze di rateazione siano corredate alternativamente:
- da una situazione patrimoniale intermedia dell’impresa debitrice con in allegato anche un prospetto contenente l’individuazione dell’indice di liquidità e
dell’indice alfa, nonché degli elementi necessari ai fini
del calcolo del valore degli stessi;
- da un prospetto contenente le sole voci adeguatamente motivate che rilevano ai fini del calcolo degli
indici (vale a dire, la liquidità immediata e differita
nonché le passività correnti per l’indice di liquidità e il
valore della produzione e il debito complessivo, comprensivo di interessi di mora, aggi, spese esecutive e
diritti di notifica della cartella, per l’indice Alfa).
In particolare, la direttiva Equitalia DRS/NC/2008/017
del 13 maggio 2008 (che integra le precedenti direttive
DRS/NC/2008/009 e DRS/NC/2008/012 del marzo 2008)
prevede che se l’ultimo bilancio approvato si riferisce
ad un esercizio chiuso da oltre sei mesi, i soggetti che
intendono accedere alla rateazione dovranno allegare
alla domanda “una relazione relativa allo stato economico-patrimoniale redatta secondo i criteri previsti
dall’art. 2423 e segg. del cod. civ. risalente a non oltre
due mesi dalla data di presentazione della domanda
...[omissis]... approvata dall’organo di controllo contabile”.
Nel documento Assirevi si precisa che, nel caso di redazione di una situazione patrimoniale intermedia,
l’oggetto dell’incarico per il revisore o per la società di
revisione è rappresentato dalla verifica della situazione patrimoniale intermedia nel suo complesso secondo gli standard professionali. Le verifiche del revisore
non si estendono, quindi, alla verifica dei parametri rilevanti ai fini dell’istanza di rateazione e del prospetto
contenente l’individuazione degli indici né agli elementi individualmente necessari ai fini del loro calcolo.
Le procedure di revisione da svolgere sulla situazione
patrimoniale intermedia possono essere inquadrate e
Eutekne.Info / Martedì, 22 marzo 2016
ricondotte nell’ambito del principio di revisione internazionale ISRE 2410, che disciplina la revisione limitata.
Inoltre, affinché il revisore possa accettare l’incarico
sulla situazione patrimoniale intermedia è necessario
che il bilancio dell’esercizio più recente sia stato assoggettato a revisione contabile completa (di norma,
da parte del medesimo revisore). Nelle rare circostanze ove ciò non sia possibile, ed in presenza di bilanci
assoggettati a revisione da altro revisore, il professionista, nel valutare l’incarico dovrà valutare le procedure aggiuntive da svolgere sui dati storici.
Il revisore può indicare rilievi nel paragrafo che
precede le conclusioni
Nell’esprimere le proprie conclusioni sulla base del lavoro svolto, il revisore può riscontrare la presenza di
rilievi da indicare nel paragrafo che precede quello
delle conclusioni.
In queste fattispecie, il revisore dovrà valutare se la
portata dei rilievi sia tale da portare alla formulazione
di una conclusione negativa o da impedire la formulazione delle conclusioni. Nell’allegato A al documento
in esame è riportato un modello di relazione del revisore.
Nei casi in cui, ai fini della presentazione della domanda di rateazione dei debiti tributari, venga predisposto
un bilancio intermedio, rispettando tutte le regole formali di presentazione previste dal principio contabile
OIC 30 (o dal principio contabile internazionale IAS 34),
il revisore emetterà una relazione di revisione (come
quella presentata nell’allegato B del documento in esame) in linea con quanto previsto dal documento di ricerca Assirevi n. 188, con gli opportuni adattamenti del
caso.
Anche la predisposizione del solo prospetto contenente le sole voci rilevanti ai fini del calcolo degli indici di
liquidità e Alfa presuppone la disponibilità di una situazione economico-patrimoniale intermedia da cui
estrarre tali dati. In tali circostanze, si ritiene che l’oggetto dell’attività di revisione sia costituito da tale situazione contabile e che il tipo di incarico sia sempre
inquadrabile e riconducibile nell’ambito del principio
di revisione internazionale ISRE 2410.
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FISCO
STUDIO DUCOLI
Gli accordi preventivi di imprese con attività
internazionale trovano le regole
L’Agenzia dà attuazione a quanto disposto dall’art. 1 del DLgs. 147/2015
/ REDAZIONE
L’Agenzia delle Entrate detta le regole sugli accordi
preventivi col Fisco per le imprese con attività internazionale. Il provvedimento n. 42295 di ieri, infatti, attua la disciplina introdotta dall’art. 1 del DLgs. 147/2015,
che ha aggiunto nel corpo del DPR 600/73 un nuovo
art. 31-ter e, contestualmente, abrogato l’art. 8 del DL
269/2003 (conv. L. 326/2003) che disciplinava il cosiddetto “ruling internazionale”.
Innanzitutto, per impresa con attività internazionale si
intende l’impresa residente nel territorio dello Stato,
qualificabile come tale ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di imposte sui redditi, che, in alternativa o congiuntamente:
- si trovi rispetto a società non residenti in una o più
delle condizioni indicate nell’art. 110 comma 7 del
TUIR;
- il cui patrimonio, fondo o capitale sia partecipato da
soggetti non residenti ovvero partecipi al patrimonio,
fondo o capitale di soggetti non residenti;
- abbia corrisposto a, o percepito da soggetti non residenti, dividendi, interessi, royalties o altri componenti
reddituali;
- eserciti la sua attività attraverso una stabile organizzazione in un altro Stato.
Gli ambiti di operatività degli accordi preventivi, poi,
riguardano:
- la preventiva definizione in contraddittorio dei metodi di calcolo del valore normale dei prezzi di trasferimento (art. 110 comma 7 del TUIR);
- la preventiva definizione in contraddittorio dei valori
di uscita o d’ingresso in caso di trasferimento della residenza all’estero o in Italia (artt. 166 e 166- bis del
TUIR);
- l’applicazione a un caso concreto di norme, anche di
origine convenzionale, concernenti: attribuzione di
utili e perdite alla stabile organizzazione estera di
un’impresa o ente residente o alla stabile organizzazione in Italia di un soggetto non residente; erogazione o percezione di dividendi, interessi e royalties e altri componenti reddituali a o da soggetti non residenti;
- la valutazione preventiva della sussistenza o meno
dei requisiti che configurano una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, alla luce dei criteri previsti
dall’art. 162 del TUIR e delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia.
Il provv. di ieri, quindi, definisce le modalità di presentazione della richiesta, la procedura per ottenere l’accordo e le modalità di verifica del rispetto dei termini e
del sopravvenuto mutamento delle condizioni di fatto
o di diritto su cui si fonda l’accordo, e si applica anche
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ai procedimenti volti alla stipula di accordi preventivi
già avviati e non ancora conclusi.
Nel dettaglio, per accedere alla procedura le imprese
devono consegnare direttamente, o inviare a mezzo
raccomandata con avviso di ricevimento, un’istanza,
redatta in carta libera, all’Ufficio Accordi preventivi e
controversie internazionali della Direzione Centrale
Accertamento dell’Agenzia, sezione di Roma o di Milano. Copia dell’istanza e della documentazione devono
essere prodotte anche in formato elettronico. Un successivo provvedimento disciplinerà ulteriori modalità
di presentazione per via telematica.
La richiesta deve contenere, a pena d’inammissibilità:
- denominazione, sede legale o, se diverso, domicilio fiscale, codice fiscale e/o partita IVA dell’impresa ed
eventuale domiciliatario nazionale per la procedura,
diverso dall’impresa, presso il quale si richiede di inoltrare le comunicazioni;
- indirizzo della stabile organizzazione nel territorio
dello Stato, se presentata da impresa non residente, ed
eventuale domiciliatario nazionale per la procedura;
- chiara indicazione dell’oggetto dell’accordo preventivo e sintetica descrizione degli elementi indicati;
- documentazione, in allegato, che provi il possesso dei
requisiti relativi all’impresa con attività internazionale;
- firma del legale rappresentante o di altra persona
munita dei poteri di rappresentanza.
Devono poi essere indicati ulteriori elementi, diversi a
seconda dell’oggetto della richiesta.
Se l’istanza è “completa”, entro 30 giorni dal suo ricevimento l’ufficio ne comunica l’ammissibilità. Per i soggetti non residenti che non si avvalgono di un domiciliatario nel territorio dello Stato, la comunicazione potrà essere inviata via posta elettronica ordinaria usando l’indirizzo indicato nell’istanza.
Sempre entro 30 giorni, se l’ufficio non è messo nelle
condizioni di verificare la sussistenza degli elementi,
comunica l’improcedibilità dell’istanza e concede un
termine non inferiore a 30 giorni per integrarla; in questo caso i termini per comunicare l’ammissibilità iniziano a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.
Infine, l’istanza è dichiarata inammissibile quando siano mancanti gli elementi richiesti, quando l’istante
non provveda a integrare la richiesta nei termini o
quando la documentazione integrativa prodotta non
sia ritenuta idonea.
Il provvedimento fornisce poi indicazioni su: verifica
degli accordi; violazione totale o parziale, modifica e
rinnovo dell’accordo.
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ancora
PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Tirocinio “senza crediti” anche per gli esperti
contabili
Anche i futuri iscritti alla sezione B potranno iniziare la pratica durante l’Università senza aver
raggiunto i crediti previsti dalla convenzione quadro
/ Savino GALLO
Le disposizioni dettate dal MIUR in merito allo svolgimento dei primi 6 mesi di tirocinio in concomitanza
con l’ultimo anno del percorso di studi universitari, ancorché senza aver ottenuto i crediti previsti dalla convenzione quadro 2014, si applicano tanto ai praticanti
dottori commercialisti quanto agli aspiranti esperti
contabili.
Il chiarimento arriva dal Consiglio nazionale di categoria che, con il Pronto Ordini n. 6/2016 (in risposta ad un
quesito arrivato dall’ODCEC di Latina), ritorna sulle
precisazioni fornite dal Ministero dell’Istruzione con
nota dell’11 gennaio scorso diffusa con l’Informativa
CNDCEC n. 17/2016 (si veda “Tirocinio durante gli studi
anche senza i crediti della convenzione quadro” del 2
febbraio).
La questione attiene all’applicazione pratica della nuova Convenzione quadro tra lo stesso MIUR e il CNDCEC firmata nel 2014 che, previa intesa tra Ordini territoriali e singoli atenei, consente agli studenti arrivati
all’ultimo anno del proprio percorso di studi di svolgere i primi sei mesi del tirocinio professionalizzante in
concomitanza con l’Università. Precondizione per poter accedere a tale beneficio, l’aver raggiunto un numero minimo di crediti formativi universitari, fissato a 45
CFU per gli aspiranti dottori commercialisti e 39 per gli
esperti contabili.
Il problema nasce dal fatto che molti corsi di laurea,
per come sono strutturati, non consentono di arrivare
all’ultimo anno del percorso di studi già con il monte
crediti previsto per poter iniziare il tirocinio. Per questo, dopo apposita missiva in cui il CNDCEC segnalava
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l’impossibilità di far fronte alle disposizioni della convenzione quadro, il MIUR prendeva posizione, spiegando che si può iniziare il tirocinio anche senza aver raggiunto il numero di crediti previsto dall’art. 4, “purché
siano acquisiti durante l’intero percorso della laurea
magistrale”.
Nello specifico, quindi, il Ministero, parlando di laurea
magistrale, ha fatto chiarezza solo in merito al tirocinio per dottori commercialisti. Di qui, i dubbi dei rappresentanti dell’ODCEC di Latina, i quali hanno chiesto al CNDCEC se, per analogia, tali disposizioni potessero essere applicate anche per il tirocinio da esperto
contabile.
Una domanda a cui il Consiglio nazionale risponde in
maniera affermativa: “Anche se nella nota si parla specificamente di corsi di laurea magistrale – si legge nel
Pronto Ordini – si ritiene che quanto affermato sia riferibile anche ai corsi di laurea triennale, in quanto sono gli stessi Atenei ad evidenziare, in sede di attuazione della Convenzione quadro, l’impossibilità che i crediti possano essere acquisiti all’inizio dell’ultimo anno
della laurea triennale”.
Le disposizioni del MIUR, quindi, “possono essere estese anche per ciò che riguarda i crediti da acquisire nel
percorso triennale”. Di conseguenza, anche gli aspiranti esperti contabili, come i futuri dottori commercialisti, potranno iniziare il tirocinio durante l’ultimo anno
di corso senza aver ottenuto tutti i crediti previsti, salvo poi essere chiamati a conseguirli nel restante periodo di studi universitari.
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ancora
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
Non vanno autorizzati gli strumenti audiovisivi
necessari alla prestazione
Anche se si tratta di potenziali strumenti di controllo, il DLgs. 151/2015 esclude la necessità di
accordo sindacale o autorizzazione ministeriale
/ Mario PAGANO
L’art. 23 del DLgs. 151/2015 ha dato attuazione all’art. 1
comma 7 lett. f) della L. 183/2014, che aveva previsto la
revisione della disciplina dei controlli a distanza, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del
lavoratore.
Il legislatore ha, conseguentemente, apportato alcune
rilevanti modifiche alla norma di riferimento in tema
di controlli a distanza, l’art. 4 della L. 300/70, in parte
confermandone la pregressa impostazione, in parte innovandone i contenuti.
Rispetto alle prime ipotesi di modifica alla disposizione de qua, è rimasto pressoché inalterato il ruolo delle
Direzioni Territoriali del Lavoro, che intervengono con
proprio provvedimento autorizzativo all’impiego di impianti audiovisivi e di controllo dei lavoratori.
L’art. 23 citato ha confermato che gli strumenti audiovisivi e non solo possono essere impiegati anche laddove derivi una possibilità di controllo a distanza dei
lavoratori. Tutto ciò a condizione che ricorra una giustificazione ritenuta apprezzabile dal legislatore; la
presenza, in altre parole, di un interesse meritevole di
tutela. Il comma 1 dell’art. 4 cita le esigenze organizzative e produttive, la sicurezza delle condizioni di lavoro e, novità introdotta proprio dalle recenti modifiche,
la tutela del patrimonio aziendale.
Sussistendo almeno una di siffatte condizioni, il datore di lavoro, per il lecito impiego dell’impianto audiovisivo, dovrà siglare uno specifico accordo collettivo con
le rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa,
nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse Province della stessa Regione ovvero in più Regioni, tale accordo potrà essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative
sul piano nazionale.
In difetto di accordo sindacale, il datore di lavoro avrà
ancora una possibilità, potendo chiedere alla Direzione Territoriale del Lavoro, ovvero, per le imprese con
unità produttive dislocate negli ambiti di competenza
di più Direzioni territoriali del lavoro, allo stesso Ministero, apposita autorizzazione all’impiego dell’impianto audiovisivo.
L’istanza dovrà essere presentata con marca da bollo
da 16 euro e dovrà contenere una serie di notizie utili,
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quali le caratteristiche tecniche dell’impianto con i
modelli e le tipologie di telecamere da installare, nonché la planimetria dei locali, nella quale riportare
l’esatto numero e il posizionamento di ciascuna telecamera.
Naturalmente, il datore di lavoro dovrà indicare la ragione per la quale intende impiegare un sistema di videosorveglianza, che, come detto, potrà rientrare unicamente tra quelle normativamente previste, ossia le
esigenze organizzative e produttive, la tutela della sicurezza sul lavoro o del patrimonio aziendale. Circostanze queste che, evidentemente, saranno oggetto di
istruttoria da parte delle Direzioni del Lavoro.
Come chiarito dal Ministero con nota n. 7162/2012, l’autorizzazione può essere rilasciata d’ufficio, sulla scorta della documentazione esibita, indicando, eventualmente, particolari prescrizioni circa il corretto utilizzo
dell’impianto di videosorveglianza.
Laddove, tuttavia, sia necessario, potrà essere effettuato un sopralluogo preventivo al rilascio dell’autorizzazione per verificare direttamente la sussistenza dei
presupposti normativi, che giustificano l’impiego
dell’impianto, ed escludere che lo stesso, riprendendo
postazioni fisse di lavoro, abbia l’unico e reale fine di
controllo dei lavoratori.
Ancora dubbi sull’impiego di GPS sui mezzi aziendali
La vera novità introdotta dall’art. 23 è, però, contenuta
nel nuovo comma 2 dell’articolo 4, il quale esclude la
necessità di accordo sindacale ovvero di autorizzazione ministeriale per l’impiego di strumenti utilizzati dal
lavoratore per la resa della prestazione. Cellulari,
smartphone, tablet e pc che, in certi casi, costituiscono veri e propri potenziali strumenti di controllo dei lavoratori, se necessari alla resa della prestazione lavorativa, esonerano il datore di lavoro dalle procedure sopra descritte, contenute al comma 1 dell’articolo 4.
Permangono, invece, dubbi circa l’impiego dei GPS installati su mezzi aziendali di trasporto (cfr. Cass. 2 ottobre 2015 n. 20440). Ci si chiede se gli stessi possano
effettivamente rientrare, come parrebbe logico e opportuno, nelle ipotesi di cui al comma 2, con la conseguente esclusione, come detto, dalla procedura autorizzativa, di cui al precedente comma 1.
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ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Agevolazione per gli edifici storici anche se il vincolo
è solo sul portone
La Cassazione ha riconosciuto anche ai fini delle imposte sui redditi il trattamento agevolato nel caso
di vincolo su parte dell’immobile
/ Antonio PICCOLO
L’ordinanza n. 4244/2016 della Cassazione ha riconosciuto anche ai fini delle imposte sui redditi il trattamento agevolato dei fabbricati storici o artistici allorquando il vincolo “diretto” sia motivato solamente da
una parte dell’edificio come, ad esempio, la facciata o il
portale d’ingresso. Si tratta di una questione interpretativa che, nell’ambito della giurisprudenza tributaria
di legittimità, ha già fatto il suo esordio in materia di
imposta di registro (sentenza n. 12024/2006) e di ICI
(sentenza n. 11794/2010).
I primi giudici tributari capitolini avevano accolto il ricorso introduttivo di una contribuente, mentre i giudici del riesame hanno accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate confermando, per conseguenza, l’avviso di
accertamento per l’IRPEF relativa all’anno 2004 e correlata a maggiori redditi di locazione derivanti da tre
unità immobiliari ubicate in un unico fabbricato situato a Roma. La contribuente ha insistito sulla determinazione del reddito mediante applicazione della minore delle tariffe d’estimo previste per le abitazioni della
zona censuaria, ai sensi del comma 2 dell’art. 11 della L.
n. 413/1991, trattandosi di immobili dichiarati di interesse storico e artistico, mentre il Collegio regionale ha
ritenuto inapplicabile il beneficio fiscale, dato che interessata alla soggezione al vincolo non è l’intero edificio, bensì solamente la sua porta (elemento architettonico notevole per la sua caratteristica ornamentale).
I giudici di legittimità, nell’accogliere il ricorso della
contribuente, hanno invece riaffermato che l’agevolazione ICI, prevista dall’art. 2, comma 5 del DL n. 16/1993
(convertito dalla L. n. 75/1993) per gli immobili dichiarati di interesse storico o artistico, ai sensi dell’art. 3
della L. n. 1089/1939 (ora art. 10 del DLgs. 42/2004), perseguendo l’obiettivo di venire incontro alle maggiori
spese di manutenzione e conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per preservare le caratteristiche degli immobili vincolati, si applica anche nel
caso in cui l’interesse riguardi solo una porzione
dell’immobile, in quanto anche in quest’ultima ipotesi
gravano a carico del proprietario gli oneri di manutenzione e conservazione (per tutte, sentenza n.
13738/2015 e ordinanza n. 5626/2014).
Secondo i giudici di legittimità, il provvedimento impositivo del vincolo non può considerarsi identificato
con una specifica porzione dell’unità immobiliare, ma
con l’intera unità immobiliare stessa a cui la porzione
di specifico interesse storico o artistico appartiene e rispetto alla quale il vincolo risulta essere stato iscritto.
Perciò, anche se la ragione del particolare interesse
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storico o artistico è stata individuata e motivata
nell’architettura della facciata, oppure di uno specifico
elemento di facciata come la porta, il vincolo si riferisce e grava sull’intera unità immobiliare a cui la facciata appartiene, come comprovato dalla menzionata
iscrizione.
Del resto, conclude la Cassazione, il regime speciale
stabilito dal comma 2 dell’art. 11 della L. n. 413/1991 fa
riferimento agli immobili che siano dichiarati di interesse storico o artistico (ai sensi del previgente art. 3
della L. n. 1089/1939), senza distinguere a seconda che
l’interesse derivi dall’intero immobile o da una sua porzione e questo perché la ratio della normativa fiscale
di agevolazione riposa nella necessità di venire incontro alle maggiori spese di manutenzione e di conservazione che i proprietari sono tenuti ad affrontare per
preservare le caratteristiche degli immobili sottoposti
al vincolo e sul presupposto implicito che tali oneri
sussistono anche nell’ipotesi in cui la ragione del vincolo riguardi soltanto una porzione dell’immobile, peraltro inscindibile rispetto all’intero edificio.
Riflessi su IMU e TASI
La questione in esame si riflette anche sulle discipline
dell’IMU e della TASI. In particolare si ricorda che l’art.
13, comma 3, lett. a) del DL n. 201/2011 (convertito dalla
L. n. 214/2011) ha stabilito espressamente che ai fini
dell’IMU la base imponibile per i fabbricati di interesse storico o artistico, di cui all’art. 10 del DLgs. n.
42/2004 (Codice dei beni culturale e del paesaggio), è
ridotta del 50%.
Secondo il Dipartimento delle Finanze, anche agli effetti della TASI la base imponibile relativa ai fabbricati
storici o artistici a vincolo “diretto” va ridotta del 50%.
Infatti, con nota del 22 maggio 2015 n. 16252/DF, nel
confermare quanto espresso nella risposta n. 8 alle
FAQ del 3 giugno 2014, ha ribadito che il comma 675
dell’art. 1 della L. n. 147/2013 (legge di stabilità 2014) ha
sancito che la base imponibile della TASI è quella stabilita per l’applicazione dell’IMU, compreso il 50% previsto per gli immobili di interesse storico o artistico e
per i fabbricati dichiarati inagibili o inabitabili e di fatto non utilizzati. Peraltro tale comma 675 ha richiamato esplicitamente l’art. 13 del DL n. 201/2011 il quale stabilisce una serie di regole per la determinazione della
base imponibile IMU, tra le quali vanno necessariamente ricomprese anche quelle relative ai fabbricati di
interesse storico o artistico.
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ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Niente reato se il commissario del concordato
preventivo è esaustivo
Se sono state spiegate le condizioni nelle quali è stata fatta la richiesta di concordato non si configura
l’omessa denuncia
/ Maria Francesca ARTUSI
La Cassazione si interroga sulla possibile rilevanza di
talune condotte omissive poste in essere dal commissario giudiziale nominato in una procedura di concordato preventivo.
Il caso concreto su cui si pronuncia la sentenza n.
11921, depositata ieri, riguarda il commissario di una
società per azioni a cui erano stati contestati i reati di
omessa denuncia di reato e favoreggiamento reale,
nell’ambito di un processo per bancarotta patrimoniale nei confronti degli amministratori della medesima
società. La condotta fraudolenta aveva natura distrattiva (artt. 216 comma 1 n. 1 e 223 del RD 267/1942) ed era
stata realizzata mediante la stipula di un contratto di
collaborazione, volto a conferire ad altra società, di cui
uno degli amministratori era anche amministratore di
fatto, l’uso esclusivo di un marchio registrato.
Secondo l’ipotesi accusatoria, tale cessione d’uso era
stata stipulata con un corrispettivo che, però, non era
stato mai erogato, così come il ramo di azienda non
era stato restituito neppure dopo la scadenza quinquennale del contratto. Il giudice di merito ha, tuttavia,
escluso la responsabilità del commissario giudiziale.
Dietro ricorso del Pubblico Ministero, la Cassazione si
è pronunciata sulle questioni di diritto connesse a tali
fatti.
Va premesso che, indubbiamente, le condotte distrattive poste in essere prima dell’ammissione al concordato preventivo rientrano nell’ambito previsionale
dell’art. 236 comma 2 L. fall., il quale, in virtù
dell’espresso richiamo dell’art. 223 del medesimo decreto, punisce i fatti di bancarotta commessi da amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di società fallite.
L’omessa denuncia di reato (art. 361 c.p.) potrebbe rilevare per il commissario del concordato preventivo, in
quanto costui assume il ruolo di pubblico ufficiale ex
art. 165 della legge fallimentare. D’altronde, però, l’art.
172 L. fall. obbliga tale soggetto solo a redigere l’inventario del patrimonio del debitore e una relazione particolareggiata delle cause del dissesto, sulla condotta del
debitore, sulle proposte di concordato e sulle garanzie
offerte ai creditori; e la stessa relazione, oltre ad essere depositata in cancelleria almeno tre giorni prima
dell’adunanza dei creditori, viene trasmessa al Pubblico Ministero, in quanto parte del procedimento concordatario e avendo questi piena facoltà di contraddire sulla domanda di concordato preventivo.
Eutekne.Info / Martedì, 22 marzo 2016
È del tutto evidente, allora, secondo la Cassazione, che
non possa configurarsi il reato di omessa denuncia allorché risulti che l’imputato abbia illustrato in maniera esaustiva le condizioni nelle quali era stata fatta richiesta di concordato preventivo. L’accusa di favoreggiamento reale (art. 379 c.p.) era, invece, fondata
sull’affermazione per cui il commissario avrebbe aiutato gli amministratori ad assicurarsi il profitto della
distrazione del ramo di azienda, omettendo di segnalare nella già citata relazione che la suddetta società era
proprietaria del marchio registrato ceduto in uso.
La Cassazione, però, esclude che il non avere dettagliatamente spiegato ed illustrato tutte le circostanze relative al marchio, “poiché si trattava di circostanza già
agli atti della procedura per il concordato”, possa costituire condotta idonea ad integrare il delitto di favoreggiamento reale. Ciò sia perché mancherebbe il dolo tipico di tale reato, sia, ancor più radicalmente, perchè
verrebbe meno anche l’elemento oggettivo della fattispecie in questione, che si sostanzia in qualsiasi comportamento idoneo a far definitivamente conseguire al
favorito il provento della sua precedente attività criminosa.
L’informazione sull’entità del passivo è affidata alla
documentazione
D’altronde, la giurisprudenza civile ha più volte affermato che l’informazione dei creditori sull’entità e la
natura del passivo è affidata alla documentazione allegata alla proposta di concordato nonchè alla relazione
del commissario giudiziale sulla scorta della verifica
dei crediti ed è completata, senza necessità di ulteriore comunicazione, dai risultati dell’ammissione provvisoria dei crediti ai fini del voto (Cass. n. 15345/2014).
Ne consegue che anche il semplice richiamo alla documentazione a supporto della proposta di concordato
può ritenersi sufficiente a mettere i creditori, il giudice
delegato e il Pubblico Ministero in condizioni di conoscere tutta la situazione patrimoniale della società in
maniera adeguata, tanto da scongiurare qualsiasi ausilio (concorrente o postumo) da parte di terzi nelle condotte distrattive poste in essere dagli amministratori.
Per le stesse ragioni il giudice di merito aveva correttamente escluso la sussistenza di qualunque possibile
concorso del commissario nella bancarotta degli amministratori.
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PROFESSIONI
STUDIO DUCOLI
Possibile la costituzione di STP nella forma di srl
semplificata
Occorre rispettare la peculiare disciplina che contraddistingue tale forma societaria
/ Roberta VITALE
La società tra professionisti (STP) può essere costituita nella forma di società a responsabilità limitata semplificata. È quanto ribadisce il CNDCEC nel Pronto Ordini 14 marzo 2016 n. 262, riprendendo quanto già affermato nella precedente circolare CNDCEC 12 luglio
2013 n. 32/IR.
Infatti, l’art. 10, comma 3 della L. 183/2011 fa un generico rinvio ai “modelli societari regolati dai titoli V e VI
del libro V del codice civile” e, quindi, sia ai modelli
personalistici, sia a quelli capitalistici, nonché al modello cooperativo.
Nello specifico, le società tra professionisti possono
essere costituite, indifferentemente, come:
- società di persone;
- società di capitali;
- società di cooperative (in questo caso, il numero dei
soci non può essere inferiore a 3).
Nell’ambito delle società di capitali, può essere utilizzata anche la nuova forma societaria della srl semplificata di cui all’art. 2463-bis c.c., ma – così come precisato nella circ. CNDCEC n. 32/IR/2013 – “con gli accorgimenti che si rendano necessari in ragione della peculiare disciplina che la contraddistingue”.
A tal proposito, si ricorda innanzitutto che, per la costituzione della srl semplificata, introdotta con l’art. 3,
comma 1 del DL 1/2012 (conv. L. 27/2012), è stato previsto un procedimento semplificato e alcune agevolazioni in deroga alle disposizioni dettate per le srl “ordinarie” al fine di incentivare l’imprenditoria giovanile
(sull’argomento, si rimanda al Tema on line “I diversi
modelli della srl”).
Inoltre, con il DM 23 giugno 2012 n. 138, emanato dal
Ministero della Giustizia di concerto con il Ministro
dell’Economia e delle finanze e con il Ministro dello
Sviluppo economico, è stato previsto il regolamento
sul modello standard di atto costitutivo e statuto (art. 3,
comma 2 del DL 1/2012).
Ai sensi dell’art. 2463-bis, comma 3 c.c., sono inderogabili le clausole del modello standard tipizzato.
Tale disposizione è stata introdotta successivamente
dall’art. 9, comma 13 lett. b-bis) del DL 76/2013 (conv. L.
99/2013).
Clausole del modello standard inderogabili
Come evidenziato dal CNDCEC nel PO in commento,
l’inderogabilità delle clausole del modello standard va
intesa nel senso che “solamente le clausole previste
nel modello standard tipizzato non sono derogabili e
non che il modello standard tipizzato sia inderogabile”.
Sulla distinzione fra derogabilità del modello standard
tipizzato o piuttosto delle sole clausole previste, si era
espresso il CNDCEC nel documento 15 febbraio 2016 a
cura della Fondazione nazionale dei commercialisti.
Nel documento viene precisato che, fermo restando il
contenuto tipizzato del modello, adeguato alle modifiche successive all’art. 2463-bis c.c., sembrano consentite le integrazioni “peraltro non incompatibili con il
contenuto minimo dell’atto costitutivo espresso nel
modello standard, che si rendano necessarie in relazione all’esatta configurabilità dell’organizzazione della società qualora il modello standard taccia sul punto”
(si veda “Consentite integrazioni con valore organizzativo al modello delle srls” del 23 febbraio 2016).
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
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