17/3/2016 - studio ducoli

Download Report

Transcript 17/3/2016 - studio ducoli

11111
Giovedì, 17 marzo 2016
IL CASO DEL GIORNO
FISCO
Reverse charge
“interno” sempre
prevalente
Bonus ricerca e sviluppo anche per le reti di
imprese
La circolare n. 5/2016 dell’Agenzia delle Entrate fornisce gli attesi chiarimenti
sull’agevolazione
/ Francesco D'ALFONSO
Il principio di carattere generale, in
regime interno, per le cessioni di beni e/o prestazioni di servizi soggette
ad IVA è che debitore dell’imposta è
colui il quale, in quanto soggetto IVA,
compie la cessione o la prestazione
(art. 17, comma 1 del DPR n. 633/72).
Tuttavia, per diverse operazioni interne, è prevista l’applicazione del
meccanismo del “reverse charge” (es.
cessioni di fabbricati imponibili per
opzione). Attraverso il meccanismo
dell’inversione contabile, l’obbligo di
versamento d’imposta e di effettuazione degli adempimenti connessi,
relativo a tutte le prestazioni di servizi/cessioni di beni effettuate nei
confronti di soggetti passivi, deve
essere necessariamente adempiuto
da questi ultimi.
L’applicazione di tale meccanismo
ha un’importanza notevole nel sistema IVA, per la sua finalità di misura
anti-frode. Conseguentemente, qualora altri istituti siano al contempo
rilevanti ai fini dell’operazione soggetta al “reverse charge” (ad es. per
via della particolare [...]
/ Pamela ALBERTI
L’Agenzia delle Entrate, con la corposa circolare n. 5 di ieri, fornisce gli
attesi chiarimenti in merito al credito d’imposta per la ricerca e sviluppo di cui all’art. 3 del DL 145/2013
(come sostituito dalla L. 190/2014) e
disciplinato dal DM 27 maggio 2015.
La circolare analizza i presupposti
soggettivi ed oggettivi di accesso al
beneficio, le modalità di calcolo e di
utilizzo, le ipotesi di cumulo con altre agevolazioni e agli adempimenti
necessari per la corretta fruizione
del credito di imposta e sarà anche
in seguito oggetto di ulteriori articoli di approfondimento.
Con riferimento all’ambito soggettivo, la circolare precisa che sono ammesse all’agevolazione sia le imprese residenti nel territorio dello Stato
che le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di imprese non residenti. Possono, inoltre, beneficiare dell’agevolazione gli enti non
commerciali, con riferimento all’attività commerciale eventualmente
esercitata, nonché le imprese agri-
cole che determinano il reddito agrario ai sensi dell’art. 32 del TUIR. Si precisa, altresì, che sono ammessi anche
i consorzi e le reti di imprese; in caso
di “rete-contratto”, in relazione ai costi relativi ad attività di ricerca e sviluppo eleggibili, fatturati o “ribaltati”
alle singole imprese, queste ultime
hanno diritto al credito di imposta. Il
beneficio non spetta qualora i soggetti beneficiari siano sottoposti a procedure concorsuali non finalizzate alla
continuazione dell’esercizio dell’attività economica (es. fallimento e liquidazione coatta).
Quanto all’ambito oggettivo, con riferimento alla ricerca agevolabile, viene precisato che le attività di ricerca e
sviluppo possono essere svolte anche
in ambiti diversi da quelli scientifico
e tecnologico (es. in ambito storico o
sociologico) atteso che, in linea generale, le attività di ricerca e sviluppo
sono volte all’acquisizione di nuove
conoscenze, all’accrescimento di
quelle esistenti e all’utilizzo di tali conoscenze per [...]
PAGINA 2
PAGINA 3
IN EVIDENZA
FISCO
Novità sui bilanci da parametrare alle dimensioni della società di
persone
Accertamento anticipato nullo anche se il termine decadenziale è
imminente
Strumenti finanziari partecipativi convertibili al valore reale della
riserva
ALTRE NOTIZIE
/ DA PAGINA 8
Niente ipocatastali
proporzionali alla
costituzione del trust
/ Ennio VIAL
Le sentenze n. 25478/2015 e n.
25479/2015 rappresentano i primi interventi organici noti della Cassazione sul tema delle imposte ipocatastali in materia di [...]
PAGINA 5
ancora
IL CASO DEL GIORNO
STUDIO DUCOLI
Reverse charge “interno” sempre prevalente
Inapplicabili le disposizioni ex art. 17-ter del DPR 633/72 se la P.A. è soggetto passivo e l’operazione
prevede l’inversione contabile
/ Francesco D'ALFONSO
Il principio di carattere generale, in regime interno, per
le cessioni di beni e/o prestazioni di servizi soggette
ad IVA è che debitore dell’imposta è colui il quale, in
quanto soggetto IVA, compie la cessione o la prestazione (art. 17, comma 1 del DPR n. 633/72).
Tuttavia, per diverse operazioni interne, è prevista l’applicazione del meccanismo del “reverse charge” (es.
cessioni di fabbricati imponibili per opzione). Attraverso il meccanismo dell’inversione contabile, l’obbligo di
versamento d’imposta e di effettuazione degli adempimenti connessi, relativo a tutte le prestazioni di servizi/cessioni di beni effettuate nei confronti di soggetti
passivi, deve essere necessariamente adempiuto da
questi ultimi.
L’applicazione di tale meccanismo ha un’importanza
notevole nel sistema IVA, per la sua finalità di misura
anti-frode. Conseguentemente, qualora altri istituti
siano al contempo rilevanti ai fini dell’operazione soggetta al “reverse charge” (ad es. per via della particolare natura soggettiva dell’acquirente), sarà quest’ultimo
a dover prevalere, a scapito dei predetti istituti.
Ciò accade, ad esempio, con riferimento alle forniture
verso la P.A. per le quali è prevista l’applicazione del
meccanismo dello “split payment”. Laddove, infatti,
l’ente pubblico agisca nella qualità di soggetto passivo
d’imposta (ossia i beni e/o servizi siano da esso acquistati nell’esercizio della propria attività economica) e
la tipologia di operazione effettuata preveda l’adozione della misura antifrode (“reverse charge”), sarà
quest’ultima a prevalere e comporterà l’inapplicabilità
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
delle disposizioni di cui all’art. 17-ter del DPR 633/72
(cfr. circ. Agenzia delle Entrate n. 14/2015).
Negli acquisti “promiscui” reverse charge solo per
l’attività commerciale
Conseguentemente, in caso di acquisti c.d. “promiscui”, destinati in parte allo svolgimento della propria
attività istituzionale e in parte allo svolgimento della
propria attività commerciale, il “reverse charge” dovrà
applicarsi soltanto a quest’ultima; la restante parte
soggiace alla disciplina dello “split payment”.
Logica analoga deve seguirsi in caso di acquisti posti
in essere da parte dei c.d. “esportatori abituali” (circ. n.
14/2015). Anche in questo caso, infatti, allorché l’operazione sia assoggettata al meccanismo dell’inversione
contabile “interno”, non può essere emessa dal fornitore fattura ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera c) del DPR
n. 633/1972, ma tali operazioni dovranno, invece, essere assoggettate ad imposta con il meccanismo dell’inversione contabile.
Va, infine, rilevato che, nell’ipotesi di cessioni di beni
e/o prestazioni di servizi poste in essere dal 1° gennaio 2015 per le quali è previsto l’obbligo di applicazione
del meccanismo del “reverse charge”, i soggetti che utilizzano il regime dell’IVA per cassa non applicano tale
regime in relazione alle menzionate operazioni (circolare n. 14/2015). Ciò in quanto il soggetto tenuto al versamento dell’imposta a debito è colui che ha ricevuto il
bene o il servizio e non il fornitore.
/ 02
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Bonus ricerca e sviluppo anche per le reti di imprese
La circolare n. 5/2016 dell’Agenzia delle Entrate fornisce gli attesi chiarimenti sull’agevolazione
/ Pamela ALBERTI
L’Agenzia delle Entrate, con la corposa circolare n. 5 di
ieri, fornisce gli attesi chiarimenti in merito al credito
d’imposta per la ricerca e sviluppo di cui all’art. 3 del
DL 145/2013 (come sostituito dalla L. 190/2014) e disciplinato dal DM 27 maggio 2015. La circolare analizza i
presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso al beneficio, le modalità di calcolo e di utilizzo, le ipotesi di cumulo con altre agevolazioni e agli adempimenti necessari per la corretta fruizione del credito di imposta e
sarà anche in seguito oggetto di ulteriori articoli di approfondimento.
Con riferimento all’ambito soggettivo, la circolare precisa che sono ammesse all’agevolazione sia le imprese residenti nel territorio dello Stato che le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di imprese non residenti. Possono, inoltre, beneficiare dell’agevolazione
gli enti non commerciali, con riferimento all’attività
commerciale eventualmente esercitata, nonché le imprese agricole che determinano il reddito agrario ai
sensi dell’art. 32 del TUIR. Si precisa, altresì, che sono
ammessi anche i consorzi e le reti di imprese; in caso
di “rete-contratto”, in relazione ai costi relativi ad attività di ricerca e sviluppo eleggibili, fatturati o “ribaltati”
alle singole imprese, queste ultime hanno diritto al
credito di imposta. Il beneficio non spetta qualora i
soggetti beneficiari siano sottoposti a procedure concorsuali non finalizzate alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica (es. fallimento e liquidazione coatta).
Quanto all’ambito oggettivo, con riferimento alla ricerca agevolabile, viene precisato che le attività di ricerca
e sviluppo possono essere svolte anche in ambiti diversi da quelli scientifico e tecnologico (es. in ambito
storico o sociologico) atteso che, in linea generale, le
attività di ricerca e sviluppo sono volte all’acquisizione di nuove conoscenze, all’accrescimento di quelle
esistenti e all’utilizzo di tali conoscenze per nuove applicazioni.
Il decreto attuativo ha ricompreso, tra le attività ammissibili nell’ambito dello sviluppo sperimentale, anche gli “studi di fattibilità”. Secondo l’Agenzia, la collocazione degli studi di fattibilità nell’ambito della definizione di “sviluppo sperimentale” non esclude che tale attività sia agevolabile se svolta nelle fasi della ricerca fondamentale e della ricerca industriale.
Sono poi escluse dal perimetro dell’agevolazione le
modifiche non significative di prodotti e di processi
(es. modifiche stagionali, modifiche di design di un
prodotto, mera sostituzione di un bene strumentale,
miglioramenti qualitativi o quantitativi derivanti
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
dall’utilizzo di sistemi di produzione che sono molto
simili a quelli già usati). Sono agevolabili, invece, le
modifiche di processo o di prodotto che apportano
cambiamenti o miglioramenti significativi delle linee
e/o delle tecniche di produzione o dei prodotti (quali,
ad esempio, la sperimentazione di una nuova linea
produttiva, la modifica delle caratteristiche tecniche e
funzionali di un prodotto).
Viene, inoltre, chiarito che la riconducibilità di specifiche attività aziendali (es. lo sviluppo di una data molecola da parte di un’azienda nel settore chimico-farmaceutico) ad una delle attività di ricerca e sviluppo ammissibili comportano accertamenti di natura tecnica
che involgono la competenza del Ministero dello Sviluppo economico. I soggetti interessati possono quindi
presentare, ai sensi dell’art. 11 della L. 212/2000,
un’istanza di interpello all’Agenzia che provvederà ad
acquisire il parere del Ministero. Con riferimento alle
attività ammissibili nell’ambito del settore del tessile e
della moda, sono valide, in linea generale, le indicazioni fornite dalla circolare del MISE n. 46586/2009.
Criterio di competenza per gli investimenti
Considerato che l’agevolazione spetta per gli investimenti in ricerca e sviluppo effettuati “a decorrere dal
periodo di imposta successivo a quello in corso al 31
dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre
2019” (2015-2019 per i “solari”), l’imputazione avviene
secondo le regole generali di competenza fiscale previste dall’art. 109 del TUIR, valide, secondo quanto precisato dall’Agenzia, anche per i soggetti che determinano il proprio reddito su base catastale o forfettaria e
per i soggetti IAS-adopter. Sulla base di tale criterio di
imputazione temporale concorrono alla determinazione del bonus spettante nei singoli periodi agevolati anche i costi capitalizzati.
Secondo l’Agenzia, inoltre, il riferimento agli investimenti effettuati a decorrere dal periodo di imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 non
esclude, di per sé, l’ammissibilità di investimenti in attività di ricerca che risultino già avviate in data anteriore al predetto periodo di applicazione dell’agevolazione. In tal caso, l’agevolazione compete per la parte
di costi sostenuti nel periodo individuato dalla norma.
Sono, pertanto, agevolabili tutti gli investimenti effettuati durante il periodo di vigenza del beneficio, a prescindere dal momento in cui sono stati avviate le relative attività di ricerca.
/ 03
ancora
CONTABILITÀ
STUDIO DUCOLI
Novità sui bilanci da parametrare alle dimensioni
della società di persone
Se rientrano nei parametri delle micro imprese, dovrebbero essere esonerate dall’applicazione di certi
criteri di valutazione
/ Fabrizio BAVA e Alain DEVALLE
Le nuove regole sui bilanci introdotte nel codice civile
dal DLgs. 139/2015 riguarderanno, in alcuni casi, anche
i bilanci delle società di persone.
Infatti, se da un lato tali società non sono tenute a rispettare gli schemi di bilancio civilistici, né a redigere
la Nota integrativa, i criteri di valutazione e, pertanto,
le modalità di determinazione del risultato di periodo
sono i medesimi previsti per le società di capitali.
Il richiamo ai criteri di valutazione è previsto dal secondo comma dell’art. 2217 c.c., laddove stabilisce che
“nelle valutazioni di bilancio l’imprenditore deve attenersi ai criteri stabiliti per i bilanci delle società per
azioni, in quanto applicabili”.
Il riferimento è all’art. 2426 c.c., significativamente
modificato a seguito del DLgs. 139/2015 a partire dal 1°
gennaio 2016.
Le novità nei criteri di valutazione interessano anche
le società di persone e, di conseguenza, occorre tener
conto delle modifiche apportate all’art. 2426 c.c.
In particolare, cambia la valutazione dei costi di ricerca, sviluppo e pubblicità, in quanto non è più prevista
la possibilità di capitalizzare i costi di ricerca e pubblicità e, con riferimento ai costi di sviluppo, si modificano i criteri di determinazione dell’ammortamento, che
deve essere effettuato in relazione alla vita utile e, nel
caso in cui non sia identificabile, in un tempo massimo di cinque anni.
Pertanto, in sede di riapertura dei conti 2016, dovranno
essere stornate dall’attivo le eventuali spese di ricerca
che non sono qualificabili quali costi di sviluppo, così
come le eventuali spese di pubblicità capitalizzate.
Nel bilancio 2016, inoltre, gli eventuali nuovi avviamenti dovranno essere ammortizzati sulla base della
vita utile o, nel caso in cui non sia stimabile, al massimo in dieci esercizi (e non più venti come consentito
dall’OIC 24 attualmente in vigore).
Dal punto di vista contabile, le problematiche maggiori emergono per la valutazione dei derivati e l’utilizzo
del costo ammortizzato per titoli, debiti e crediti.
L’esplicito rinvio dell’art. 2217 c.c. ai criteri di valutazione previsti per le società di capitali porterebbe alla
conclusione che le società di persone debbano iscrivere gli strumenti finanziari derivati e utilizzare il crite-
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
rio del costo ammortizzato.
L’applicazione di tali criteri di valutazione comporta
inevitabilmente per la società un incremento dei costi
amministrativi, che potrebbero, però, non corrispondere a un effettivo miglioramento della qualità dell’informativa fornita (peraltro non soggetta a deposito presso la competente Camera di commercio).
In generale, occorre, a nostro avviso, “incrociare” le novità previste per la redazione del bilancio e la dimensione delle società a cui è richiesto di applicare tali novità: dalle società che redigono il bilancio in forma ordinaria, alle società che redigono il bilancio in forma
abbreviata, alle micro imprese.
Le società a responsabilità limitata che presentano i
requisiti per essere qualificate micro imprese sono
esonerate dall’applicazione di certi criteri di valutazione (es. derivati e costo ammortizzato).
Pertanto, è ragionevole, sebbene non sia presente uno
specifico rinvio alle società di persone, che anche queste ultime, se rientrano nei parametri delle micro imprese, siano esonerate dall’applicazione degli obblighi
sopra indicati.
Allo stesso modo, è ragionevole che le società di persone che non raggiungono i limiti per la redazione del bilancio in forma ordinaria (ma che superano quelli per
la redazione del bilancio delle micro imprese), per analogia, non siano tenute all’applicazione del metodo del
costo ammortizzato, ma “solo” alla rilevazione degli
strumenti finanziari derivati.
Altrimenti, le società di persone devono applicare il
DLgs. 139/2015
Le società di persone, invece, che non presentano i requisiti per essere inquadrate quali micro imprese e
non rientrano nemmeno nei limiti previsti per la redazione del bilancio in forma abbreviata sono tenute ad
applicare – se non interverranno indicazioni legislative differenti – interamente le novità previste dal DLgs.
139/2015 relativamente alle valutazioni, a meno di
“semplificazioni” che verranno fornite dall’OIC con
l’emanazione dei nuovi documenti in corso di aggiornamento.
/ 04
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Niente ipocatastali proporzionali alla costituzione del
trust
Per la Cassazione nella fase iniziale, tali imposte si pagano in misura fissa in quanto manca l’effetto
arricchitorio nei confronti del trustee
/ Ennio VIAL
Le sentenze n. 25478/2015 e n. 25479/2015 rappresentano i primi interventi organici noti della Cassazione sul
tema delle imposte ipocatastali in materia di disposizione di beni immobili in trust.
Va da subito evidenziato come i casi oggetto di intervento ricadano nella disciplina fiscale del trust previgente alla riforma contenuta nel DL 262/2006. Per
quanto concerne il profilo delle ipocatastali, tuttavia, le
conclusioni hanno una portata che va oltre la riforma e
che potrà essere validamente richiamata dai contribuenti in caso di contenzioso.
I supremi giudici hanno avuto modo di chiarire che,
nella fase iniziale, le imposte ipotecaria e catastale si
pagano in misura fissa in quanto manca l’effetto arricchitorio nei confronti del trustee.
Secondo i giudici di legittimità, il trust, avente causa di
liberalità, con attribuzione di beni al beneficiario, rientra nell’orbita civilistica delle donazioni indirette.
L’arricchimento del beneficiario si realizza con la mediazione della causa fiduciaria cui è soggetta la previa
attribuzione dei beni al trustee, il quale è tenuto semplicemente ad amministrarli per poi devolverli ai beneficiari alla scadenza stabilita.
L’effetto arricchitorio è quindi differito nel tempo e si
concretizzerà, anche ai fini dell’imposizione fiscale,
nel momento dell’effettivo trasferimento di ricchezza
al beneficiario.
La particolarità, invero, non sta tanto nel fatto della
identificazione dello scopo di donazione nell’unitarietà delle negoziazioni che compongono il trust (scopo
implicitamente riconosciuto anche dal legislatore del
2006), quanto nel fatto che al detto scopo la donazione
è pure fiduciaria. Con la donazione fiduciaria, difatti, in
ambito civilistico, il donante, nelle condizioni date, generalmente persegue lo scopo (e solo lo scopo) di arricchire il terzo effettivo donatario.
Si realizza un fenomeno di c.d. doppia proprietà (dual
ownership) l’una, in capo al trustee, che risulta finalizzata solo all’amministrazione, mentre è l’altra, quella
che farà capo al beneficiario, che assume rilevanza
quale momento di effettivo godimento del bene e delle
relative utilità giuridiche.
E in questo senso la precarietà dell’attribuzione al trustee cozza con l’idea della sottoposizione del vincolo
all’imposta sui trasferimenti fin dalla sua costituzione.
Secondo i giudici è, quindi, illogico affermare applica-
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
bili le imposte ipotecaria e catastale già al momento
della istituzione del trust. L’illogicità discende dal fatto che a tale momento non è correlabile il trasferimento definitivo di ricchezza che in effetti rileva quale indice di capacità contributiva.
Affascinante appare anche la ricostruzione dei giudici
secondo cui la tassabilità in relazione all’atto dispositivo potrebbe emergere solo se si creasse un meccanismo di sostituzione di imposta per cui il trustee operasse come sostituto di imposta del beneficiario. Si
tratta di una ricostruzione suggestiva che, tuttavia, in
mancanza di un puntuale riferimento normativo, secondo i giudici non può essere accolta.
Il trust non è da subito produttivo degli effetti
traslativi finali
Per la Cassazione, pretendere da subito le imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale equivale a
considerare il trust (erroneamente) immediatamente
produttivo degli effetti traslativi finali che costituiscono il presupposto dell’imposta.
Ciò che manca è l’attribuzione definitiva dei beni al
soggetto beneficiario.
L’atto soggetto a trascrizione, ma non produttivo di effetto traslativo in senso proprio (id est, definitivo), postula l’applicazione di dette imposte in misura fissa
(art. 1 del DLgs. 347/90 e art. 4 dell’allegata Tariffa,
quanto all’ipotecaria; art. 10, comma 2, del DLgs. citato,
quanto alla catastale).
La Cassazione era in realtà già intervenuta sul tema
con l’ordinanza n. 3886/2015 avente ad oggetto un trust auto dichiarato.
In quell’occasione, i giudici hanno ritenuto applicabili
le imposte ipotecarie e catastali nella misura del 3%.
In realtà, la questione delle ipocatastali è affrontata in
modo solo incidentale e le conclusioni dei supremi
giudici sono palesemente inadeguate, atteso che nel
trust auto dichiarato l’imposta ipocatastale non può
essere dovuta in misura proporzionale, mancando il
requisito della trascrizione immobiliare a favore di un
trustee diverso dal disponente.
A favore delle ipotecarie e catastali fisse si pongono
anche la sentenza n. 379/09/2015 della C.T. Prov. di
Treviso e la C.T. Prov. di Milano con la sentenza n.
6579/46/15.
/ 05
ancora
FISCO
STUDIO DUCOLI
Accertamento anticipato nullo anche se il termine
decadenziale è imminente
La Cassazione consente però di dimostrare che ciò non è dovuto a carenze organizzative degli uffici
/ Alessandro BORGOGLIO
La Cassazione, con la sentenza n. 5137 di ieri, ha stabilito che l’avviso di accertamento emesso prima del decorso di 60 giorni dal rilascio del PVC è nullo, anche se
l’emissione anticipata è stata determinata dall’imminente spirare del termine decadenziale per l’esercizio
dell’attività accertatrice.
Dai fatti di causa emerge che una srl era stata sottoposta a verifica fiscale alla fine di novembre e il relativo
PVC era stato consegnato il 3 dicembre. Appena 18
giorni dopo l’Agenzia delle Entrate aveva notificato
l’avviso di accertamento che su tale verbale si fondava,
stante la scadenza di fine anno dei termini decadenziali.
La questione controversa riguarda la possibilità di considerare tale causa – la scadenza dei termini per l’attività di accertamento – quale idoneo motivo di urgenza che, derogando all’obbligo del contraddittorio in caso di verifica presso la sede del contribuente, consenta al Fisco di emettere l’atto prima del decorso del termine sospensivo di 60 giorni, successivo alla consegna del PVC, durante il quale detto contraddittorio dovrebbe realizzarsi.
L’art. 12, comma 7 dello Statuto del contribuente (L.
212/2000) dispone, in particolare, che, nel rispetto del
principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi
di controllo, il contribuente possa comunicare entro 60
giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli
uffici impositori. L’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del termine, salvo
casi di particolare e motivata urgenza.
Le Sezioni Unite, in proposito, hanno stabilito che l’atto impositivo emesso prima del decorso del predetto
periodo sospensivo è nullo, atteso che la sua finalità è
quella di tutelare l’effettivo dispiegarsi del contraddittorio endoprocedimentale, che costituisce espressione dei principi di derivazione costituzionale di collaborazione e buona fede, sempreché non sussistano ragioni di motivata urgenza che legittimino l’emissione anticipata dell’atto impositivo (sentenza n. 18184/2013;
cfr. anche SS.UU. n. 19667/2014).
Naturalmente, come previsto dalla disposizione statutaria, la nullità dell’atto impositivo non si verifica in
presenza della causa esimente, che il legislatore ha individuato nella “particolare e motivata urgenza”; ma
può ritenersi tale la situazione caratterizzata dall’imminente spirare del termine decadenziale di accertamento?
I giudici di legittimità avevano già stabilito, in passato,
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
che la ratio della norma in oggetto non consente di affermare le ragioni d’urgenza come riferibili a profili o a
deficienze organizzative tutte interne all’Amministrazione (Cass. n. 1869/2014).
Poiché il contraddittorio procedimentale deve rilevare
alla stregua di criterio orientativo per il legislatore e
per l’interprete, è illogico attribuire effetto di sanatoria
a eventi, come l’approssimarsi del termine di decadenza dell’azione accertatrice, cui la posizione del soggetto tutelato (il contribuente) è completamente indifferente. È illogico perché la lesione del diritto al contraddittorio verrebbe così degradata a una semplice questione formale, suscettibile di cedere il passo dinnanzi
ad esigenze altre, quali i tempi e le modalità dell’azione amministrativa, rispetto a quella in effetti tutelata
(Cass. n. 7315/2014).
Con la sentenza di ieri, la Suprema Corte ha ribadito la
sua posizione, puntualizzando che il vizio invalidante
l’atto impositivo non consiste nell’omessa enunciazione dei motivi di urgenza che hanno determinato
l’emissione anticipata dell’atto, bensì nell’effettiva assenza di specifiche ragioni di urgenza riferite al rapporto tributario controverso, le quali non sono però
identificabili tout court nell’imminente spirare del termine di decadenza dell’attività accertatrice, dal momento che ciò comporterebbe l’inammissibile effetto
di una generalizzata convalida di tutti gli atti in scadenza, quando è invece dovere del Fisco attivarsi per
consentire il dispiegarsi del contraddittorio.
Pertanto, compete all’Amministrazione fornire la prova della concreta ricorrenza, all’epoca dell’emissione,
di siffatto requisito esonerativo dall’osservanza del termine.
Nel caso di specie, però, l’Agenzia delle Entrate non
aveva allegato, come era invece suo onere, a seguito
della contestazione del contribuente, la prova che l’imminente scadenza del termine decadenziale era dipesa da fatti o condotte ad essa non imputabili a titolo di
incuria, negligenza o inefficienza. Con decisione di
merito, è stato quindi accolto il ricorso della società.
È il caso di aggiungere, al riguardo, che, secondo la più
recente giurisprudenza, il concetto di “atto emanato”
non può che riferirsi all’accertamento sottoscritto dal
funzionario dell’Ufficio e, pertanto, la data rilevante da
considerare nella verifica del rispetto del termine sospensivo è, da una parte, quella di sottoscrizione
dell’accertamento (e non quella successiva di notifica
dell’atto) e, dall’altra parte, ovviamente la data di consegna del PVC da parte dei verificatori al contribuente
(Cass. nn. 25118/2014 e 11088/2015).
/ 06
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Strumenti finanziari partecipativi convertibili al
valore reale della riserva
Il Tribunale di Napoli interviene per la prima volta sugli strumenti finanziari partecipativi introdotti
dalla riforma del diritto societario
/ Maurizio MEOLI
Il Tribunale di Napoli, con provvedimento del 25 febbraio scorso, fa registrare il primo intervento giudiziario, almeno a quanto ci consta, in materia di strumenti
finanziari partecipativi (sfp) ex art. 2346 comma 6 c.c.
In base a tale disposizione, infatti, il legislatore della riforma del diritto societario (DLgs. 6/2003) ha precisato
che la spa può, a seguito dell’apporto da parte dei soci o
di terzi anche di opera o servizi, emettere strumenti finanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di diritti
amministrativi, escluso il voto nell’assemblea generale degli azionisti. In tal caso lo statuto ne disciplina le
modalità e condizioni di emissione, i diritti che conferiscono, le sanzioni in caso di inadempimento delle
prestazioni e, se ammessa, la legge di circolazione.
L’art. 2351 comma 5 c.c., inoltre, stabilisce che questi
sfp “possono essere dotati del diritto di voto su argomenti specificamente indicati e in particolare può essere ad essi riservata, secondo modalità stabilite dallo
statuto, la nomina di un componente indipendente del
Consiglio di amministrazione o del Consiglio di sorveglianza o di un sindaco. Alle persone così nominate si
applicano le medesime norme previste per gli altri
componenti dell’organo cui partecipano”.
Ai sensi del comma 1 dell’art. 2376 c.c., infine, “se esistono diverse categorie di ... strumenti finanziari che
conferiscono diritti amministrativi, le deliberazioni
dell’assemblea, che pregiudicano i diritti di una di esse,
devono essere approvate anche dall’assemblea speciale degli appartenenti alla categoria interessata”.
Le scarne indicazioni legislative hanno dato adito a
numerosi dubbi in materia. Tra l’altro, è parsa incerta
la causa dei possibili “apporti” a fronte dei quali è prevista la relativa emissione. In dottrina, infatti, sono stati ipotizzati i seguenti casi: provvista di un’operazione
di finanziamento, con obbligo di rimborso (si avrà
quindi uno strumento ibrido nel quale, come corrispettivo del finanziamento, vengono attribuiti diritti partecipativi ad oggi riservati alle azioni); apporto a titolo di
associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.), a fronte
del quale all’associato vengono attribuiti diritti amministrativi oltre alla partecipazione agli utili della società; acquisto da parte della società di capitale di rischio,
senza alcun obbligo di restituzione se non in sede di liquidazione (si è parlato, al riguardo, di apporto di “quasi capitale”, in quanto il correlato strumento finanziario non attribuirebbe diritto di voto nell’assemblea generale degli azionisti, ma diritti amministrativi inferiori rispetto a quelli riconosciuti alle azioni).
Nel caso di specie, una spa deliberava, da un lato,
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
l’emissione e l’offerta in opzione ai soci di 5.000.000 di
sfp (del valore nominale di un euro ciascuno) convertibili in azioni ordinarie (su richiesta o a scadenza di un
determinato termine) e, dall’altro, il correlato aumento
del capitale sociale. Rispetto a tale operazione, poi, era
prevista l’istituzione della “riserva apporti strumenti
finanziari” di valore pari al valore nominale degli sfp,
rispetto alla quale si precisava che, ove la stessa fosse
risultata erosa da perdite al momento dell’esercizio del
diritto di conversione, il diritto medesimo avrebbe potuto essere esercitato solo per il minore importo risultante al netto delle perdite subite.
Gli strumenti in questione venivano sottoscritti solo da
uno dei tre soci. In esito alla sua richiesta di conversione in azioni, poi, sorgevano contrasti in merito alle
perdite che avrebbero dovuto incidere sulla relativa riserva. Circostanza non di poco conto, perché avrebbe
condotto, in esito alla conversione al nominale, ad una
sostanziale variazione del “peso” delle partecipazioni.
Ciononostante il CdA decideva di procedere nella conversione; rispetto a tale deliberazione, però, veniva presentata istanza di sospensione nelle more della pronuncia di merito di annullamento della stessa.
Il Tribunale di Napoli, nell’accogliere l’istanza, precisa
che, a fronte di perdite incidenti sul patrimonio sociale, al fine di salvaguardare l’esigenza della corrispondenza fra capitale nominale e capitale reale, la conversione in capitale di rischio degli sfp non può prescindere da una verifica della situazione patrimoniale esistente al momento della conversione; verifica da effettuare sulla base di un bilancio infrannuale che tenga
conto delle regole di formazione delle perdite e/o degli
utili di periodo, con erosione delle riserve secondo la
graduazione ed i principi tracciati dalla giurisprudenza di legittimità e di merito per il bilancio d’esercizio
(cfr. Cass. n. 5740/2004, Cass. n. 23269/2005 e App. Napoli 19 giugno 2008).
La riserva costituita a fronte dell’apporto di capitale di
rischio per il tramite di sfp (c.d. Riserva apporti strumenti finanziari) è, quindi, suscettibile di erosione totale a fronte di perdite subite dall’emittente e, prima di
procedere alla conversione in azioni degli strumenti
stessi, va assoggettata all’assorbimento delle perdite,
secondo l’ordine suddetto. Qualora, poi, effettivamente
la “Riserva apporti strumenti finanziari” dovesse risultare erosa dalle perdite maturate al momento dell’esercizio del diritto di conversione, tale diritto potrà essere
esercitato soltanto per il minore importo risultante al
netto delle perdite subite dall’emittente.
/ 07
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Più incentivi per la fatturazione elettronica tra privati
Il Governo potrebbe pensare a un decreto correttivo, introducendo nuovi meccanismi premiali ma non
l’obbligatorietà
/ Savino GALLO
La diffusione della fatturazione elettronica tra privati,
che verrà introdotta, in via facoltativa, a partire dal
prossimo luglio, potrebbe essere spinta attraverso “una
progressiva intensificazione degli incentivi premiali”,
sempre in una logica di “minori adempimenti e riduzione dell’esposizione agli accertamenti” dell’Agenzia
delle Entrate. Ad anticipare le possibili prossime mosse del Governo in materia di digitalizzazione e lotta
all’evasione fiscale è il Viceministro all’Economia, Enrico Zanetti, intervenuto ieri a Roma ad un convegno
organizzato da Assosoftware proprio sul tema della
fatturazione elettronica “B2B”.
In quella sede, l’Associazione delle imprese fornitrici di
sistemi informatici ha chiesto un “segnale più forte e
deciso” per dare impulso alla fatturazione elettronica
tra privati, nella convinzione che gli incentivi attualmente previsti non siano abbastanza per indurre imprese e professionisti a sfruttare questo canale di comunicazione. Su tale proposta, come detto, è arrivata
l’apertura di Zanetti, il quale ha spiegato che il Governo ragionerà sulla possibilità di apportare delle modifiche all’attuale disciplina, una “manutenzione” che potrebbe portare anche ad un decreto correttivo della delega fiscale.
Il tutto, però, lasciando inalterata la “facoltatività” della fatturazione elettronica: “Sono assai poco propenso
– ha aggiunto Zanetti – a logiche di obbligatorietà, non
solo perché ci sono obiettivi problemi di inquadramento giuridico per l’Europa, ma proprio come forma mentis: dobbiamo convincere sempre più sulla base di strumenti adeguati e con logiche premiali e sempre meno
ricorrere al vincolo dell’obbligatorietà, in un Paese in
cui gli obblighi sono già molti”.
La sensazione, però, ha spiegato Rossella Orlandi, Direttrice dell’Agenzia delle Entrate, è che l’Europa stia
andando proprio nella direzione dell’obbligatorietà (oggi lo è solo in Portogallo) anche tra privati, seppur in
tempi non proprio brevi. Un passaggio del genere, ovviamente, consentirebbe di fare un passo in avanti notevole anche nella lotta all’evasione fiscale, perché
permetterebbe “l’incrocio massivo dei dati” e, soprattutto, di “averli in tempo reale”, in modo tale da “fornire
subito al contribuente le informazioni che lo conducono verso il corretto adempimento”.
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
Detto ciò, Orlandi riconosce che l’obbligatorietà della
fatturazione elettronica tra privati potrebbe creare
qualche problema, se si considera la conformazione
del tessuto economico del Paese, formato da “tante
piccole e piccolissime imprese”. Per questo, si potrebbe eventualmente pensare di renderla obbligatoria per
le imprese più grandi, ma questa, sottolinea Orlandi, “è
una scelta di politica economica”, che non spetta
all’Agenzia.
Per i soggetti meno strutturati, invece, rimane l’esigenza di un “ruolo sussidiario” da parte dello Stato, attraverso la “fornitura di strumenti utili” che ne possano
“accompagnare la crescita”. A proposito del programma informatico che le Entrate dovranno mettere a disposizione delle imprese a partire dal 1° luglio prossimo, Bonfiglio Mariotti, Presidente di Assosoftware, ha
esposto le sue perplessità: “Attenzione – ha avvertito –
che il sistema gratuito di generazione, invio e conservazione delle fatture non diventi una sorta di freno per
quelle imprese che vogliono digitalizzarsi per davvero”
(si veda, in proposito, anche “Assosoftware: «Un credito d’imposta per le imprese che si digitalizzano»” dell’11
marzo).
Ma il compito dello Stato, ha ricordato Zanetti, è quello
di “dare gli strumenti di base affinché chiunque sia
chiamato ad applicare le norme possa farlo senza dover ricorrere a dei fornitori”. Nulla più di questo, però,
perché “ciò che è servizio aggiuntivo è giusto che venga sviluppato dal mercato”.
Un mercato che fa registrare numeri sempre crescenti
di imprese che si affidano alla fatturazione elettronica.
Nel solo mese di gennaio, i fornitori della Pubblica Amministrazione che utilizzano il sistema di interscambio sono passati da 650 mila a 700 mila. La completa
digitalizzazione (la fatturazione elettronica è solo una
parte del processo), invece, è stata realizzata solo da
pochissime imprese (circa 70 mila) ma, ha sottolineato Roberto Cunsolo, Tesoriere del CNDCEC, si tratta di
“un processo ineludibile” che, col tempo, dovrà essere
affrontato da tutti. Un processo in cui “i commercialisti faranno la propria parte”, come sempre al fianco di
imprese, soprattutto le Pmi, per le quali “rimangono un
punto di riferimento” anche su questo tema.
/ 08
ancora
IMPRESA
STUDIO DUCOLI
Riforma del concordato preventivo orientata al
risanamento
Sarà, inoltre, obbligatorio suddividere i creditori in classi omogenee per posizione giuridica e interesse
economico
/ Michele BANA
L’art. 6 dello schema di disegno di legge recante delega al Governo per la riforma organica delle discipline
della crisi di impresa e dell’insolvenza prevede l’introduzione di rilevanti novità in materia di concordato
preventivo, con l’intento di circoscrivere l’istituto alla
sola ipotesi “in continuità aziendale”.
In primo luogo, è prospettata l’inammissibilità di domande che, in virtù del loro contenuto sostanziale, abbiano natura essenzialmente liquidatoria: tale novità
trae origine dalla considerazione che, nonostante la
maggiore flessibilità che le riforme dell’ultimo decennio hanno assicurato al concordato preventivo, le proposte hanno continuato ad assumere il tradizionale
contenuto della cessione dei beni, che raramente rappresenta per i creditori una soluzione davvero vantaggiosa, rispetto alla liquidazione fallimentare, e che
neppure salvaguarda in modo più efficace l’eventuale
residuo dell’impresa.
Il progetto di riforma ritiene, quindi, che il favore per
l’istituto concordatario è giustificabile qualora sia idoneo a garantire la continuità aziendale e, attraverso
essa, riesca altresì ad assicurare, nel tempo, una migliore soddisfazione dei creditori.
In tal senso, l’accesso al concordato preventivo sarà riconosciuto esclusivamente all’imprenditore in situazione di crisi o anche di vera e propria insolvenza, ma
reversibile, che deposita una proposta di superamento
di tale stato critico, mediante la prosecuzione – anche
soltanto indiretta – dell’attività aziendale, sulla base di
un adeguato piano, consono anche al soddisfacimento,
per quanto possibile, dei creditori. In altre parole, non
sarà ammessa la proposta liquidatoria, salvo che tale
componente del piano sia, sotto il profilo sostanziale,
tale da non compromettere la qualificazione della proposta in termini di continuità aziendale.
L’art. 6 dello schema di Ddl. delega contempla pure l’inserimento della legittimazione del terzo a promuovere
il procedimento – attraverso la proposizione della domanda di concordato preventivo – nei confronti del
debitore che versi in stato di insolvenza, nel rispetto
del principio del contraddittorio e con adozione di adeguati strumenti di tutela del debitore, in caso di successivo inadempimento del terzo.
Questa possibilità è funzionale a stimolare lo stesso
debitore a formulare eventuali proposte concordatarie
effettivamente appetibili, prima che lo scivolamento
nell’insolvenza possa attribuire tale diritto a soggetti
estranei all’impresa: la facoltà del terzo è, quindi, limitata esclusivamente al caso in cui il debitore si trovi in
Eutekne.Info / Giovedì, 17 marzo 2016
stato di insolvenza, e non di semplice crisi, poiché soltanto in questa grave circostanza appare giustificato
un meccanismo che – in base a un piano proposto da
soggetti terzi – potrebbe anche comportare la sottrazione dell’azienda al proprio originario titolare.
Si segnala, poi, che non è prevista la soppressione della possibilità di presentare la domanda di concordato
preventivo “in bianco”, ovvero con riserva del successivo deposito del piano e della proposta, attualmente disciplinata dall’art. 161, comma 6 del RD 267/42: tale istituto verrebbe, quindi, confermato nonostante la possibilità che l’accesso al concordato preventivo sia preceduto dallo svolgimento della procedura, non giudiziale,
di allerta e composizione assistita della crisi che potrebbe, in diversi casi, far venire meno le condizioni
che oggi giustificano il deposito del ricorso “prenotativo”.
Resta il concordato preventivo “in bianco”
Lo schema di disegno di legge delega non ritiene, pertanto, di espungere tale possibilità dal sistema, in
quanto non vi è una necessaria propedeuticità della
procedura di allerta e composizione assistita della crisi rispetto a quella concordataria: in altri termini, è stato considerato eccessivo precludere i benefici derivanti dal deposito della domanda di concordato preventivo con riserva a chi, per le più svariate ragioni, non abbia potuto avvalersi della predetta procedura stragiudiziale di allerta e composizione assistita della crisi.
È, inoltre, prevista la revisione della disciplina delle
misure protettive, con peculiare riguardo alla durata e
agli effetti, prevedendone la revocabilità, su ricorso degli interessati, qualora non arrechino beneficio al buon
esito della procedura.
Infine, l’art. 6, comma 1, lett. e) dello schema di Ddl.
prospetta l’introduzione dell’obbligo della suddivisione
dei creditori in classi omogenee, per posizione giuridica e interessi economici. Il raggruppamento in un’unica collettività di creditori portatori di interessi diversi
è, infatti, ritenuto contrario al principio maggioritario,
che rinviene la propria legittimazione in una premessa di fondo, ovvero la comunanza di interessi tra i
componenti di un gruppo: si pensi al caso dei creditori
garantiti da capienti fideiussioni personali dei soci o di
altre società del gruppo della debitrice, che non si curano – a differenza di altre tipologie di creditori, come
quelli chirografari – della percentuale di soddisfazione loro garantita dalla proposta concordataria.
/ 09
LAVORO & PREVIDENZA
STUDIO DUCOLI
“Tempo tuta” non retribuito se compreso nell’orario
delle timbrature
Retribuzione aggiuntiva solo se la rilevazione con la timbratura avviene dopo la vestizione in entrata e
prima della svestizione in uscita
/ Paolo BERTI
Il Tribunale di Ivrea (cfr. sentenza n. 37/2016) è stato
sollecitato da alcuni infermieri di un’ASL a condannare l’azienda al pagamento di alcune maggiorazioni retributive non corrisposte. In particolare gli infermieri,
rappresentando di essere impegnati su turni e di essere costretti, a ogni inizio e fine turno, rispettivamente a
indossare e a dismettere, per ragioni di servizio, l’apposita divisa fornita dall’azienda, composta di camice,
pantaloni, calze e scarpe, chiedevano il riconoscimento della retribuzione per il tempo impiegato.
I lavoratori, evidenziando come il tempo della vestizione e della svestizione perdurassero ognuno all’incirca
10 minuti e che, entrambi, si consumassero prima
dell’inizio del turno e dopo la fine dello stesso, sostenevano che la datrice di lavoro avrebbe dovuto compensare tale “sforzo” con il riconoscimento di una maggiorazione salariale, pari a 4,96 euro giornalieri.
Il Tribunale, ritenuta superflua un’attività istruttoria
sui fatti di causa, ricostruisce gli stessi come segue:
agli infermieri era richiesto di iniziare la prestazione
indossando la divisa e l’attività di vestizione/svestizione doveva avvenire all’interno dei locali aziendali per
ragioni igieniche; agli infermieri, che timbravano in
entrata prima della vestizione e in uscita dopo la svestizione, era comunque concesso un periodo, che il Tribunale chiama “comporto”, di 10 minuti in entrata e di
10 minuti in uscita per il passaggio delle consegne; il
tempo di lavoro espletato e retribuito veniva calcolato
avuto riguardo alle timbrature in entrata e in uscita.
Sulla base di queste premesse, il Tribunale ha deciso la
controversia, richiamandosi ai precedenti giurisprudenziali in materia del c.d. “tempo tuta”.
Il Tribunale, infatti, ricorda, in uno con la Corte di Cassazione, che “nel rapporto di lavoro subordinato, il tempo occorrente per indossare la divisa aziendale, ancorché relativo a fase preparatoria del rapporto, deve essere autonomamente retribuito ove la relativa prestazione, pur accessoria e strumentale rispetto alla prestazione lavorativa, debba essere eseguita nell’ambito
della disciplina d’impresa e sia autonomamente esigibile dal datore di lavoro, il quale può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria” (Cass. 10
settembre 2010 n. 19358) e ribadisce come il concetto
sopra espresso sia stato cristallizzato in altre pronunce della Suprema Corte (cfr. Cass. 2 luglio 2009 n. 15492
e 8 settembre 2006 n. 19273).
Il diritto al compenso per il lavoro impiegato per indossare e dismettere la divisa di lavoro è dunque astrattamente attribuibile ai lavoratori, trattandosi a tutti gli
effetti di un tempo di lavoro.
Tuttavia – prosegue nel ragionamento il Tribunale –
gli arresti dei giudici di legittimità hanno tutti riguardato casi in cui il diritto a una retribuzione aggiuntiva
si riferiva a ipotesi nelle quali, in fatto, la rilevazione
dell’orario di lavoro con la c.d. timbratura del cartellino avveniva dopo la vestizione in entrata e prima della svestizione in uscita: solo in questi casi, si poteva
parlare di prestazione in più, come tale da remunerare
in aggiunta al normale salario.
Nel caso sottoposto al vaglio del Tribunale di Ivrea, la
prestazione di vestizione/svestizione avveniva dopo la
timbratura in ingresso e prima della timbratura in
uscita, di tal che essa era già ricompresa nella prestazione remunerata per il turno di lavoro: nessuna maggiorazione doveva essere dunque concessa agli infermieri in aggiunta al salario già percepito.
Il giudicante osserva, infine, che nessun rilievo poteva
avere il fatto che dai tabulati delle presenze emergessero orari di timbratura maggiori non retribuiti, posto
che nel pubblico impiego vige la regola – recepita dalla contrattazione collettiva nazionale del settore comparto sanità e da quella integrativa aziendale – secondo la quale il diritto al pagamento degli straordinari
sorge soltanto ove gli stessi siano stati previamente
autorizzati dal datore di lavoro, cosa che non era stata
dedotta né dimostrata nel caso di specie.
Il tribunale usa il precedente giurisprudenziale come
dato normativo
In calce, sia concessa una piccola osservazione, non
tanto con riferimento alla conclusione a cui è pervenuto il Tribunale (ineccepibile, a quanto pare), quanto sulla tecnica utilizzata per raggiungerla.
In verità, il Tribunale utilizza – come troppo spesso accade – il precedente giurisprudenziale della Cassazione come se fosse il dato normativo di riferimento: il
giudice di merito diventa così non un interprete della
legge e dunque un creatore del diritto, ma un piatto
esecutore delle decisioni degli organi superiori.
Direttore Editoriale: Michela DAMASCO
EUTEKNE.INFO È UNA TESTATA REGISTRATA AL TRIBUNALE DI TORINO REG. N. 2/2010 DELL’8 FEBBRAIO 2010
Copyright 2016 © EUTEKNE SpA - Via San Pio V 27 - 10125 TORINO