a cura del Settore Ricerca e Informativa Finanziaria

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7 marzo 2016
a cura del Settore Ricerca
e Informativa Finanziaria
Febbraio è risultato il mese peggiore da oltre un anno per l'attività delle imprese della zona
euro. L'indice finale composito dei direttori acquisti a cura di Markit (Purchasing Managers' Index)
è sceso il mese scorso a 53 dal 53,6 di gennaio, peggior risultato da inizio 2015. Il dato di oggi è
tuttavia superiore a quello preliminare di 52,7 e resta comunque superiore alla soglia di 50 che
separa la crescita dalla contrazione. "Il rallentamento della crescita dell'attività, accompagnato da
un frenata simile nel ritmo di creazione di posti di lavoro e nella maggiore flessione dei prezzi
applicati in un anno segnalano che la ripresa della regione sta perdendo slancio", ha commentato
il chief economist Chris Williamson. "La delusione su più fronti aumenta le chance che la Banca
centrale europea agisca in maniera
aggressiva per evitare un'altra recessione".
Il sottoindice relativo ai prezzi di produzione
è sceso a 48,5 da 48,9. Flessione ai minimi
di tredici mesi per l'indice Pmi relativo ai
servizi, a 53,3 da 53,6 di gennaio anche se
sopra la stima flash di 53.
In
dettaglio,
l'attività
del
settore
manifatturiero è al minimo da un anno, con
la marcata revisione al ribasso dei prezzi
sinora non in grado di contrastare il
rallentamento dei nuovi ordini. L'indice è
sceso a 51,2 da 52,3 di gennaio, risultando
leggermente migliore della stima flash a
51,0. Il Pmi resta oltre la soglia dei 50 punti,
dunque in territorio di crescita, ma la lettura
odierna è la peggiore da un anno. Dai
sottoindici, emerge come le imprese
abbiano tagliato i prezzi al ritmo più marcato
da giugno 2013, a 47,6 da 48,3. Ai minimi
da un anno anche il sottoindice della
produzione, passato a 52,3 da 53,4, contro
51,9 della prima lettura.
Il rallentamento manifatturiero resta
tuttavia in atto e diffuso anche ad altre
economie sviluppate: in Giappone il
relativo indice ha registrato a febbraio una
crescita al ritmo più lento da otto mesi, con
una contrazione dei nuovi ordini che riflette
un calo della domanda sia interna che
estera.
L'indice
Pmi
Markit/Nikkei
manifatturiero giapponese è sceso infatti a
50,1 punti nella lettura finale di febbraio,
sotto la stima flash di 50,2 punti e il dato di
gennaio di 52,3. L'indice rimane sopra la
soglia di 50 che separa crescita da
contrazione per il decimo mese consecutivo,
ma il rallentamento rispetto al mese precedente potrebbe essere fonte di preoccupazione per i
responsabili della politica economica del Paese. Il sottoindice dei nuovi ordini è sceso a 49,5,
contro il 49,9 in versione preliminare e 52,8 di gennaio, evidenziando il calo più rapido da aprile.
Anche nel Regno Unito, l'indice manifatturiero Markit/CIPS è sceso a 50,8, sotto le attese, da 52,9
a gennaio. La lettura - la più debole da aprile 2013 - supporta l'orientamento espansivo della
Banca d'Inghilterra, che si è detta pronta a nuovi stimoli all'economia se necessari. I nuovi ordini
sono stati i più deboli da quando l'economia ha iniziato a riprendersi dalla crisi finanziaria nel 2013.
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L'indagine è stata condotta in larga parte prima della marcata correzione della sterlina a fine
febbraio, legata ai timori per una possibile uscita della Gran Bretagna dalla Unione Europea. Il
settore manifatturiero ha visto una riduzione dei posti di lavoro per il secondo mese consecutivo
anche se la flessione è stata contenuta. Le imprese hanno anche dichiarato di aver ridotto i prezzi
dei beni venduti per il sesto mese di fila ma la discesa è stata leggermente meno marcata di quella
di gennaio.
Il tasso di disoccupazione negli Stati Uniti è rimasto invariato al 4,9% nel mese di febbraio,
in linea con le attese. Nello stesso mese sono stati creati 242mila posti di lavoro, un dato
nettamente superiore alle attese degli analisti che ipotizzavano la creazione di 200.000 nuovi
impieghi. Rivisti al rialzo anche i dati dei due mesi precedenti, rispettivamente a +172.000 posti per
gennaio (da 151.000) e a +271.000 per dicembre (da 262.000). Il salario orario medio è sceso in
febbraio di 3 centesimi a 25,35 dollari, o lo 0,1% su mese, con un rialzo su base annua pari al
2,2%. In calo di 0,2 ore a 34,4 ore la settimana lavorativa media. Un punto positivo che emerge dal
rapporto è che la dinamica occupazionale,
oltre ad essere sostenuta, è diffusa in tutti i
settori, con eccezione del manifatturiero che
è frenato da dollaro e petrolio. Il settore
pubblico crea 12mila posti. L’occupazione
rilevata con l’indagine presso le famiglie,
tipicamente volatile, registra un aumento di
530 mila unità. Il tasso di partecipazione alla
forza lavoro aumenta al 62,9%, con la forza
lavoro in rialzo per il quinto mese
consecutivo. Il tasso di disoccupazione resta
a 4,9% (minimo da febbraio 2008), risultato
particolarmente brillante dato l’ampio rialzo
della forza lavoro. Il tasso di occupazione
sale a 59,8% (massimo da aprile 2009).
L'indagine congiunturale a cura di Ism
sul settore manifatturiero statunitense si
attesta a febbraio a 49,5, ancora al di
sotto della soglia dei 50 punti che separa
espansione e contrazione ma superando
le attese degli analisti. Dopo il 48,2 di
gennaio, il consensus scommetteva su una
lettura di 48,5. Il settore dei servizi Usa è
cresciuto a febbraio, ma a ritmo più lento
rispetto
al
mese
precedente,
con
l’occupazione in flessione per la prima volta
in due anni. L'indice per l'attività non manifatturiera è sceso a 53,4 da 53,5 del mese precedente,
al di sotto delle stime di consenso poste a 53,2. L'indice sull'attività economica è salito a 57,8 da
53,9, sopra le stime di 54. Di rilievo il fatto che il sottoindice dell’occupazione è sceso a 49,7 da
52,1 di gennaio, primo calo da febbraio 2014. I nuovi ordini sono calati a 55,5 da 56,5 e l'indicatore
sui prezzi a 45,5 da 46,4.
Il Pil del Brasile si è contratto nel 2015 del 3,8%, segnando il dato peggiore dal 1990. Sul
dato hanno pesato il taglio degli investimenti aziendali ed il forte deterioramento del
mercato del lavoro, con la perdita di 1,5 milioni di posti di lavoro. Il Brasile si avvia quindi
verso quella che potrebbe diventare la recessione più profonda e protratta da quando è iniziata la
raccolta dei dati, all'inizio del secolo scorso. Il paese è stato colpito nella parte finale del 2015 da
un disastroso incidente in una delle sue principali miniere e dal più esteso sciopero in 20 anni nel
settore petrolifero, che hanno ulteriormente colpito un'economia già indebolita da una protratta crisi
politica, da inflazione e tassi di interesse in salita e dalla netta discesa dei prezzi delle materie
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prime. Per il 2016 il Pil è stimato in contrazione del 3,45%, secondo un recente sondaggio
condotto dalla banca centrale tra economisti.
Ancora una settimana di recuperi per azioni, obbligazioni societarie e materie prime, in
quello che sembra probabile essere un rally da ricoperture. Marcata sovraperformance degli
attivi emergenti. La fase del ciclo economico nei paesi sviluppati (soprattutto negli Stati Uniti) resta
molto matura, su base storica, ed i margini di profitto negli Usa sono sotto pressione avendo
toccato nuovi massimi storici durante questo ciclo, spinti dal basso livello dei tassi d'interesse e
dalla debole crescita salariale. Anche la crescita della produttività resta deludente e nettamente
inferiore ai cicli economici precedenti. Negli Stati Uniti, lo spostamento di lavoratori dalla
disoccupazione all'occupazione ha spinto il tasso di disoccupazione al 4,9%. Cresce il rischio che,
da un certo momento, i datori di lavoro siano forzati ad aumentare le retribuzioni per acquisire
personale. Ciò eserciterà pressioni al ribasso sui margini di profitto o indurrà a trasferire i maggiori
oneri d'impresa sui prezzi di vendita, riavviando l'inflazione e spingendo la Fed ad intervenire.
Unico antidoto a questo scenario è la crescita della produttività, che come detto latita. E' possibile
ipotizzare che un'eventuale espansione dei multipli azionari compensi la bassa crescita degli utili
ma ad oggi ciò appare improbabile, visto che le banche centrali sembrano aver quasi esaurito le
proprie munizioni e che la politica fiscale è vincolata da elevati livelli di debito. Tutti questi elementi
inducono pertanto alla cautela nel posizionamento sugli attivi rischiosi.
In settimana, il rally degli attivi rischiosi ha indotto un aumento dei rendimenti sui titoli di stato, con
il Treasury decennale in rialzo di circa 15 punti base, il Bund ed il Gilt di circa 10 punti base. Forte
rally dei mercati del credito, in particolare del comparto High Yield statunitense, sulla spinta del
recupero delle quotazioni azionarie e del greggio.
Il recupero dei mercati rischiosi ha portato con sé l'indebolimento del cambio del dollaro, così
come espresso dal Dollar Index. Se ciò è valido in media, cioè nel confronto del dollaro contro il
paniere dei suoi maggiori partner economici, a livello di singole coppie di cambi i differenziali di
performance restano molto forti. Sui mercati delle materie prime, il greggio ha proseguito il proprio
recupero, con minore volatilità realizzata. Ripresa anche per i metalli industriali, verosimilmente da
ricoperture indotte da stabilità del dollaro, rally dei prezzi del greggio e nuova fase di lieve
allentamento monetario cinese.
Performance maggiori mercati azionari, settimana da 26 febbraio a 4 marzo
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