Rassegna stampa 8 marzo 2016

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Transcript Rassegna stampa 8 marzo 2016

Il Piccolo 8 marzo 2016 Regione Medici in rivolta contro i rettori Sotto tiro il protocollo d’intesa tra Regione e Università per la gestione dell’assistenza. Telesca: «Disponibili al confronto» di Marco Ballico. TRIESTE. Troppo potere ai rettori, troppo poco ai medici ospedalieri. Le posizioni sul protocollo d'intesa che la Regione ha sottoscritto con Università di Trieste e Udine per disciplinare lo svolgimento delle attività assistenziali, di didattica e di ricerca restano distanti. «Si è preparata la strada agli universitari per poter dirigere strutture nell'intero Servizio sanitario del Fvg», denuncia la segretaria regionale di Anaoo Assomed Laura Stabile dopo oltre due ore di vivace confronto con Debora Serracchiani e Maria Sandra Telesca. Presidente e assessore, già contestate per il Piano di emergenza, si ritrovano al tavolo con i rappresentanti sindacali dei medici ospedalieri. Sul tavolo il protocollo (approvato in via preliminare lo scorso 20 febbraio) che, parola della giunta, «dà avvio all'ultima fase della riforma» e segna «il primo passo in direzione dell'integrazione tra Università e assistenza e tra ospedale e territorio anche nelle Aziende dove insiste l'Università e vale per le Aziende Ospedaliero-­‐Universitarie di Udine, Trieste e per il Burlo». Di fatto si disciplina l'incorporazione delle Aou nelle AaS (i nuovi enti territoriali) nonché lo svolgimento dell'attività assistenziale congiuntamente con l'attività di didattica e di ricerca. Propositi messi su carta che gli ospedalieri ritengono fondati su uno «sbilanciamento che favorisce il sistema universitario». E dunque di complicata attuazione. Due nodi, in particolare, rimangono irrisolti. Nel mirino della dirigenza medica, veterinaria e sanitaria c'è la «cogestione del Ssr tra Regione e Università, con il via libera alla seconda di estendere la propria influenza a tutto il territorio, anche al di fuori delle Aziende “miste” che -­‐ ricorda Stabile -­‐ sono state costituite per legge proprio per perseguire al loro interno l'integrazione tra assistenza, didattica e ricerca». In sostanza, secondo i sindacati ospedalieri, si sono poste le basi perché gli atenei, «che dovrebbero operare nei soli enti di Trieste e Udine», possano dirigere strutture nell'intero Ssr, «al di là di quanto previsto nelle norme e al di fuori della propria area di riferimento». In secondo luogo, insiste Stabile, la giunta, nel definire il protocollo, «non ha esplicitato motivi, principi e criteri che hanno portato all'individuazione delle direzioni in capo alle Università. Ci saremmo aspettati fotografie sui volumi e le tipologie di attività, oltre che sui professori e sui ricercatori presenti, ma non c'è nulla di tutto questo». Non siamo ancora alla rottura perché Telesca prende nota, spiega, promette verifiche. «In alcuni casi -­‐ fa sapere a fine incontro l'assessore -­‐ sono stati dati dei chiarimenti, mentre su altri punti le sigle hanno offerto un contributo che riteniamo utile. Su altri aspetti sono inoltre state presentate proposte che ci riserviamo di esaminare». Un vertice utile, aggiunge, in vista del passaggio del protocollo in terza commissione. «Raccogliamo tutto ciò che serve a migliorare il testo». Ma la controparte non si convince più di tanto: «Aspettiamo i fatti -­‐ dice Stabile -­‐. Purtroppo, siamo ancora ad aperture minime. Difficile immaginare che ci possano essere modifiche radicali. Speriamo almeno che ci vengono comunicate le motivazioni per cui sono state fatte alcune scelte». Tra queste, come noto, «la decisione di chiudere Chirurgia e Ortopedia a Trieste, decisioni prese prima ancora di scriverle nel protocollo». Di emergenza, pure all'ordine del giorno ieri, non si è invece parlato. Le posizioni delle sigle sindacali si sono diversificate. «Abbiamo ribadito che siamo aperti al confronto anche sul Piano ma soprattutto sulla sua attuazione», assicura comunque Telesca. Da parte della Regione «la disponibilità a un incontro sia a livello tecnico con il Comitato regionale per l'emergenza urgenza, che è stato di recente nominato proprio per la verifica dell'attuazione del Piano, sia sul piano più prettamente politico-­‐sindacale». 1 Bonus regionali alle aziende amiche della terza età Nascono gli incentivi per chi riduce l’orario ai “senior” e li impiega in mansioni più soft o in attività civili di Marco Ballico. TRIESTE. I “senior” sono ancora in gamba, ma iniziano a sentire il peso degli anni in ufficio o in fabbrica? La Regione pensa a un loro ricollocamento in attività meno stancanti ma non residuali, dalla supervisione alla consulenza, fino al telelavoro. Una strategia che prevede anche incentivi a favore delle imprese pronte a facilitare percorsi di completamento dell’attività lavorativa. Superando l’approccio tradizionale, la promozione dell’invecchiamento attivo non riguarda più solo l'aspetto socio-­‐sanitario ma diventa trasversale. Lo si legge nel Programma triennale 2016-­‐18 approvato in via definitiva dalla giunta che, fatta sintesi delle proposte formulate dalle parti sociali e dai rappresentanti della società civile, oltre che delle principali esperienze europee in materia, attua la legge regionale 22/2014. «Una norma che presuppone il superamento delle visioni assistenziali e sanitarie -­‐ ricorda l’assessore a Salute e Promozione sociale Maria Sandra Telesca -­‐ per rafforzare le politiche sul versante del sostegno all’autonomia e dell’indipendenza personale tramite forme di istruzione, nuova formazione, ampliamento delle conoscenze e supporti derivanti da ricerca e innovazione». Un cambio di filosofia imposto dall’innalzamento dell’età pensionabile che interessa pure il lavoro. L’intenzione è di mandare in soffitta prepensionamento e uscita definitiva dal circuito produttivo e di ridurre il ricorso a sussidi e misure per malattia e invalidità. L’azione congiunta tra gli assessorati Telesca e Panariti (Formazione e Lavoro) ha pianificato una serie di sostegni alternativi con l’obiettivo di un pensionamento flessibile e progressivo. La strategia di invecchiamento attivo nella sfera lavorativa punta innanzitutto su due buone prassi: la riduzione dell’orario e l’alternanza con l’impegno civile. Le imprese che condivideranno il coinvolgimento dei loro dipendenti anziani nell’animazione, nella custodia e vigilanza di musei, biblioteche e parchi, nell’assistenza culturale e sociale negli ospedali e nelle carceri riceveranno fondi pubblici stanziati nelle prossime manovre regionali. Ma c’è dell’altro. Nel Programma 2016-­‐18 si sollecitano anche una ridefinizione della mansioni da svolgere in base all’anzianità anagrafica attraverso l’alleggerimento di ritmi e carichi giornalieri e la limitazione della turnazione notturna per le risorse umane senior. E non si dimentica il tema chiave della trasmissione delle competenze: gli anziani al lavoro possono tornare molto utili anche in forme di collaborazione intergenerazionale. Nel Programma ci sono però anche linee di intervento consolidate come le iniziative di sostegno alle famiglie per la permanenza a domicilio degli anziani: oltre ai fondi diretti, in campo consulenze legali, previdenziali e psicologiche. Ma pure in questo caso sono previsti incentivi alle imprese che sappiano conciliare i tempi (welfare aziendale) per consentire al lavoratore l’assistenza in casa di un parente. Di rapporti intergenerazionali si parla anche nel capitolo della formazione. La Regione promuove accordi tra università, scuole, imprese, parti sociali e ordini professionali per favorire la trasmissione di esperienze e competenze. Progetti specifici sono quelli del recupero degli antichi mestieri, dell’impiego di docenti over 60 in percorsi rivolti alla terza età, dell’informazione sulla sicurezza (domestica, stradale, informatica) e del supporto formativo agli anziani che si occupano di accudire ed educare i nipoti. Spazio anche alle nuove tecnologie. Ai nonni verrà insegnato a usare tablet e smartphone, a fare ricerche sul web, a usare gli strumenti social, a gestire l’home banking e i pagamenti online. In agenda, sempre per gli anziani, anche iniziative di turismo sociale, di car sharing (con le finalità, tra l’altro, della socializzazione o dello shopping), di sostegno a chi promuova l’accesso e la fruizione a eventi musicali, culturali e di spettacolo. 2 Lettere Un caso di ambigua sanità interno all’ospedale di Cattinara la lettera del giorno. Desidero iniziare questa mia dichiarazione con un doveroso ringraziamento a tutto il personale medico, infermieristico ed inserviente dei reparti di medicina d'urgenza e di terapia intensiva dell'Ospedale di Cattinara. Le cure professionali, tempestive ed amorevoli che mio marito ha ricevuto in questi reparti, gli hanno letteralmente salvato la vita. Una volta fuori pericolo, è stato trasferito a Medicina Clinica, dove è stato preso in carico dal dottor Illicher. Quest'ultimo, con grande professionalità e profonda umanità, lo sta accompagnando quotidianamente nel suo cammino verso la guarigione. La tappa successiva di questo percorso, volto al recupero dell'autosufficienza, prevede un ricovero ulteriore presso una Rsa, cioè una struttura per persone che necessitano di assistenza e riabilitazione. E qui, purtroppo, iniziano le dolenti note. Nessuna Struttura triestina è disposta ad accogliere quest'uomo buono e gentile, che per quarant'anni della sua vita è stato un fedele servitore dello stato. Ma che colpa potrà aver mai commesso mio marito , per vedersi sbattere tutte queste porte in faccia? Ebbene, la risposta è: nessuna; assolutamente nessuna! A fronte di un servizio ospedaliero di vera eccellenza, ci troviamo ora a fare i conti con delle infernali pastoie burocratiche, che rischiano di inficiare l'ottimo lavoro svolto sino ad ora dai medici. A quanto pare, un cittadino italiano, residente in quel di Grado, non ha alcun diritto di condurre la propria convalescenza a Trieste, dove è stato curato, dove, nei mesi freddi, sverna con la famiglia e dove, per altro, si trova il suo medico di base. Ora io mi chiedo, come si possa anche solo pensare che, un paziente anziano, che necessita di assistenza continua anche da parte della famiglia, possa essere spedito fuori città, dove i familiari, anch'essi anziani, non avrebbero certo modo di raggiungerlo ogni giorno, due volte al giorno, com'egli necessita. Com'è possibile che a causa di un mero cavillo burocratico, ovvero un indirizzo su un pezzo di carta, un paziente anziano e disorientato debba essere privato della presenza e del supporto dei propri affetti? E ancora mi chiedo, com'è possibile che nell'era dell'Europa Unita vigano leggi che sembrano volerci far compiere un balzo all'indietro nel tempo, riportandoci nell'epoca dei Comuni? Cui prodest? Mi auguro che questa mia porti all'attenzione, di chi di dovere, un problema che oggi affligge la nostra famiglia, ma che di certo in passato può aver riguardato ed in futuro potrà riguardare anche altri pazienti. Confidando in una sollecita risposta da parte delle autorità, saluto cordialmente i lettori e li invito a portare a conoscenza dell'opinione pubblica, casi analoghi di disagio e disservizio, nella speranza che qualcosa possa cambiare. Neddi Godina Dudine SANITA'. Esame “saltato” Venerdì 4 marzo avevo un appuntamento in privato (costo circa 200 euro), al Sanatorio Triestino per fare eseguire una gastroscopia a mia madre (anni 79). L'appuntamento era alle 15 e pertanto lei era a digiuno dalla sera precedente. Ci siamo recati in loco alle 14.45 e abbiamo atteso. Circa un’ora dopo alle 15.40, visto che nessuno ci chiamava, sono ritornato alla reception dove, stupita, l'impiegata non si capacitava del ritardo. La stessa ha telefonato al reparto, scoprendo dall'assistente che il dottore era andato via! Scusandosi per l'accaduto ci ha dato un altro appuntamento. Voglio sperare che non sia la normalità, ma se avessi preso ferie per quella visita in privato chi mi avrebbe rimborsato la giornata? Maurizio Stella 3 Gorizia Pronto soccorso intasato: lunghe attese per 30 pazienti Fine settimana d’inferno all’astanteria dell’ospedale, gli stessi numeri di Cattinara per malattie respiratorie. Manca un “filtro” sul territorio di Francesco Fain. Ci risiamo. Il Pronto soccorso del “San Giovanni di Dio” torna ad essere sotto pressione. E registra numeri che ricordano quelli totalizzati, in un normale fine settimana, dal Pronto soccorso dell’ospedale di Cattinara, a Trieste. Soltanto che c’è una differenza sostanziale: Gorizia è una “cittadina” con meno di 35mila abitanti e la struttura (in termini numerici) medica e infermieristica è quella che è... Morale della favola? Lo scorso fine settimana è stato da “bollino rosso”: soprattutto domenica pomeriggio si è registrato un afflusso molto alto di pazienti, con carichi di lavoro raddoppiati, se non addirittura triplicati rispetto alla normalità. E la preoccupazione torna a salire perché lo stress è notevole sia fra i medici sia fra gli infermieri che si fanno letteralmente in quattro per garantire un’assistenza adeguata a tutte queste persone. E dire che appena qualche giorno prima pareva di essere in un deserto. Pochissime presenze di pazienti, movimento quasi vicino allo zero. Domenica pomeriggio attorno alle 16, invece, c’erano 28 persone in attesa di essere visitate contro le 10, quasi un terzo, dell’astanteria del nosocomio di Monfalcone. Ieri pomeriggio, altri 37 malati in fila. Insomma, non c’è stata partita. In contemporanea, lo stesso numero di pazienti si stavano registrando a Cattinara e all’astanteria del nosocomio di Pordenone che, com’è noto, si trovano in città che contano popolazioni ben maggiori rispetto a Gorizia. A testimoniarlo non sono le sensazioni ma i dati ufficiali dell’Aas Bassa Friulana-­‐Isontina. Infatti, sul sito aziendale, già nella home page, c’è un link che rimanda al monitoraggio dei pazienti in attesa di cure al Pronto soccorso. Cliccandoci sopra, si apre una nuova finestra. «Il tempo medio di attesa -­‐ recita un’apposita legenda -­‐ è calcolato a partire dall’intervallo temporale tra assegnazione della priorità di triage e accesso al trattamento». Analizzando i dati, emerge che continuano ad essere molti (anzi troppi) gli isontini che si rivolgono al Pronto soccorso, con il risultato che viene intasato spesso e volentieri. E molte volte la causa è sempre la stessa, ovvero i servizi a livello territoriale insufficienti per cui casi non gravi, che potrebbero essere “smaltiti” da strutture sul territorio, affluiscono al Pronto soccorso. Insomma, diventa urgente l’apertura dei tanti decantati Centri di assistenza primaria. Dovevano essere inaugurati entro il 2015. Queste, almeno, era le (buone) intenzioni dei vertici aziendali. Oggi si apprende che i primi Cap, super-­‐ambulatori che disinteseranno i Pronto soccorso e gli ospedali, apriranno i battenti entro l'estate sul territorio isontino. Messaggero Veneto 8 marzo 2016 Regione LA RIFORMA SANITARIA Latisana, sospeso il Punto nascita L’ultimo parto entro il 17 marzo Il dg Pilati firma il decreto e detta la riorganizzazione dell'ospedale, compresi pediatria e nido. L'assessore Telesca : " E' una scelta tecnica, di sicurezza, quella politica non è ancora stata presa". di Anna Buttazzoni. UDINE. L’ultimo bambino dovrà nascere entro la mezzanotte del 17 marzo, mentre il 20 termineranno le degenze pediatriche e il 21 l’attività del nido. È la nuova sospensione tecnica del Punto nascita di Latisana, pubblicata ieri sul sito internet dell’Azienda per l’assistenza sanitaria 2 Bassa Friulana-­‐Isontina e firmata dal direttore generale Giovanni Pilati. Una scelta tecnica, dunque, perché la scelta politica la giunta di Debora Serracchiani 4 ancora non l’ha presa, non ha deciso quale Punto nascita chiudere tra Latisana e Palmanova. E allora tocca di nuovo al vertice dell’Azienda stabilire, con ampie motivazioni, che così non si può andare avanti, per questione di sicurezza – dei bimbi e delle mamme – e di responsabilità penali, del direttore e dei medici, in una struttura dove per altro si attende il 23 marzo per capire quanti nuovi pediatri arriveranno. «Tecnicamente si tratta di una sospensione temporanea – argomenta l’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca – , perché sappiamo che a Latisana le condizioni sono precarie, ma non è ancora la decisione della giunta, non è ancora la scelta politica che faremo in tempi brevi». L’assessore ripete che in un ospedale dove mancano pediatri se dovesse accadere qualcosa a un neonato o a sua madre, la responsabilità sarebbe penale, di Pilati e dei medici. «Il 23 marzo è stato organizzato il concorso per pediatri e attendiamo di sapere come andrà. Di certo oggi, però assistiamo a un caso, quello di Latisana, dove sono diminuite le risorse mediche e a oggi sono un terzo in meno rispetto a quelle che dovrebbero essere», spiega Telesca. Inutile incalzare l’assessore per sapere quando la giunta stabilirà la scelta politica, quella cioè di un Punto nascita chiuso tra Palamonva e Latisana, come quella che arrivò a fine giugno 2015 tra Monfalcone e Gorizia, ponendo lo stop a Gorizia. «Decideremo quando saranno fatte tutte le valutazioni politiche del caso – taglia corto Telesca – e comunque se saranno ripristinate le condizioni tecniche, il Punto nascita di Latisana sarà riaperto. Anche per questo attendiamo di vedere quanti professionisti di pediatria saranno recuperati con il concorso del 23 marzo. Ma, ripeto, non so dire il giorno esatto in cui approveremo la delibera ufficiale, con la situazione di emergenza a Latisana sono saltati un po’ tutti i tempi, i termini e le condizioni, perché appunto c’è una situazione di emergenza da gestire. Decideremo quale struttura chiudere. In tempi brevi», conclude Telesca. Nel decreto di sospensione il dg Pilati scrive che il 10 febbraio il direttore del dipartimento materno infantile «ha confermato, fermo restando le attuali risorse, interne ed esterne, la non possibilità di prosecuzione dell’attività del Punto Nascita di Latisana, garantendo gli standard di sicurezza approvati con l’Accordo Stato-­‐Regioni del 16 dicembre 2010, in particolare in relazione all’assenza per malattia di una unità e alla cessazione di un’altra unità: pertanto anche il concorso per due posti a tempo indeterminato, le cui prove sono previste per il prossimo 23 marzo non permetterà di incrementare adeguatamente l’organico, ma solo di stabilizzare i due posti a tempo determinato vacanti. Pertanto, si procede alla richiesta di autorizzazione all’assunzione a tempo indeterminato e pieno di ulteriori sette unità necessarie alla stabilizzazione degli organici per il funzionamento, secondo gli standard di sicurezza per i pazienti e gli operatori, mediante scorrimento della graduatoria che esiterà dalla procedura concorsuale citata». Non solo. Il 30 aprile scadrà la convenzione con l’Irccs “Burlo Garofalo” di Trieste, per l’acquisto di turni di guardia pediatrica, una convenzione che, è già stato comunicato, non potrà continuare e quindi non sarà garantita oltre la disponibilità di guardie pediatriche ai Punti nascita della Aas 2. Dettagli che chiariscono come la situazione sia complicata da sostenere, tecnicamente e politicamente. annabuttazzoni IL VERTICE Trattativa con i sindacati in stallo il nuovo Piano del 118 non decolla di Maura Delle Case. UDINE. Il piano che riorganizza il 118 in Fvg resta per ora una rivoluzione scritta sulla carta. In stallo a causa del braccio di ferro tra le organizzazioni sindacali dei dirigenti medici ospedalieri e la giunta regionale che non accenna a sbloccarsi. Dopo il forfait dato dalla gran parti sociali circa due settimane fa, l’esame del Piano era stato aggiornato a ieri. All’appuntamento con la presidente della Regione, Debora Serracchiani, e con l’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca, stavolta le organizzazioni sindacali c’erano, ma rispetto alla scorsa volta il copione non è poi cambiato molto. Tantomeno il risultato. Anche ieri l’esame del documento, che ha l’onere d’iniziare a calare sul territorio quanto scritto dall’amministrazione regionale nella riforma della sanità, è stato rinviato. «A quando le 5 organizzazioni sindacali dei medici troveranno una posizione unitaria – ha fatto sapere ieri l’assessore Telesca a margine dell’incontro ospitato in Regione cui ha preso parte insieme alla presidente Serracchiani –. Tra loro ci sono ancora divergenze. Quanti a noi, abbiamo ribadito che siamo aperti al confronto anche sul Piano, ma soprattutto sulla sua attuazione». Telesca ieri ha garantito alle parti sociali la massima disponibilità a effettuare un incontro sia a livello tecnico con il Comitato regionale per l’emergenza-­‐urgenza, «di recente nominato proprio per la verifica dell’attrazione del Piano, che a livello più politico sindacale». Ha così rilanciato la palla nel campo del sindacato dei dirigenti medici. Chiamato anzitutto a cercare una sintesi al suo interno prima del prossimo incontro. Il terzo, si spera quello buono. Telesca sta alla finestra. In attesa. E mette le mani avanti: «Considerate alcune divergenze di posizioni tra i sindacati dei medici ospedalieri attendiamo di capire come intendano procedere per attivare il confronto». Se dunque il Piano delle emergenze/urgenze resta al palo, un passo avanti lo ha fatto ieri il protocollo d’intesa tra la Regione e le Università di Udine e Trieste, chiamato disciplinare lo svolgimento delle attività assistenziali, di didattica e di ricerca dei due atenei. Su quel documento il confronto ieri è stato possibile. E a sentire Telesca pure positivo. Le osservazioni prodotte dalle sigle sindacali «in alcuni casi – ha commentato ancora l’assessore a margine della riunione – hanno offerto chiarimenti, in altri un contributo che riteniamo utile. Su altri aspetti ancora hanno presentato proposte che ci riserviamo di esaminare». L’assessore ha osservato che «è sempre utile un confronto» anche in vista del passaggio del Protocollo in III Commissione consiliare. «Raccogliamo tutto ciò che serve a migliorare il testo», ha concluso Telesca osservando come il confronto sia sempre utile, a maggior ragione in vista del prossimo passaggio del protocollo dalla III commissione consigliare. CANNARSA (CISL) «Basta mani private sull’assistenza» UDINE. «Riportare l’assistenza sanitaria integrata del distretto udinese all’interno del sistema pubblico». A chiederlo è Nicola Cannarsa, referente regionale della Cisl per la sanità. L’Adi del distretto di Udine e dei comuni del comprensorio (Campoformido, Martignacco, Pagnacco, Pasian di Prato, Pradamano, Pavia di Udine, Pozzuolo del Friuli e Tavagnacco) è l’unica esternalizzata in Fvg, con appalto aggiudicato all’epoca a Medicasa (business unit della multinazionale Air Liquide) scaduto a fine 2015 e prorogato fino a giugno per consentire alla Aas di bandire una nuova gara. Caso unico in regione, rappresenta un pericoloso precedente per le Aziende sanitarie alle prese con vincoli di bilancio e di spesa (soprattutto per il personale) che ricorrendo agli appalti spostano la voce di costo su un capitolo meno condizionato. E il rischio è che si riduca il personale pubblico incrementando quello privato, e non è detto sia un bene. «Nel 2006 quando l’allora Ass 4 decise di fare ricorso all’esternalizzazione, la situazione era complessa, infermieri non c’erano e le università non ne laureavano abbastanza – spiega Cannarsa –. Oggi abbiamo invece infermieri disoccupati e che operano in realtà in cui vige il ricatto occupazionale e condizioni contrattuali tali per cui il pubblico impiego in sanità appare un miraggio, anche se i dipendenti pubblici non navigano in mari tranquilli stante il contratto fermo da sette anni e competenze in aumento». Nessuna critica a Medicasa o alla qualità del servizio, ma un richiamo alle ragioni che diedero origine alla gara d’appalto e alla necessità di rivedere quella scelta. «Anche alla luce di quel che prevede la riforma sanitaria del Fvg, con la nascita dei Centri di cura primaria e il nuovo ruolo dei Distretti», dice Cannarsa. Da qui la richiesta di un incontro all’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca per realizzare uno studio di fattibilità sulla presa in carico dell’Adi da parte dell’Azienda, «studio che non deve essere legato solo a logiche di contenimento dei costi ma all’internalizzazione di un servizio “Core”», chiude Cannarsa.(e.d.g.) 6 Cronaca & costume Obesità, consulenze gratuite per la festa della donna L’iniziativa del dottor Anna Cacitti, responsabile di “Diamo peso al benessere” Le visite in via San Valentino fino a venerdì. In Fvg hanno problemi 30 persone su 100 di Rosalba Tello. Trenta persone su cento in Friuli Venezia Giulia sono in sovrappeso, il 10% è un “obeso severo”, e il fenomeno sta aumentando in regione coinvolgendo sempre più i minori. «Un dato spaventoso – commenta Anita Cacitti, responsabile scientifica del progetto “Diamo peso al benessere”, associazione che dal 2004 aiuta le donne con problemi di obesità –. E anche la richiesta di aiuto cresce: abbiamo decine di persone in lista d’attesa che aspettano di essere inserite nei nostri gruppi, ma le risorse purtroppo non ci consentono di rispondere a tutti». Per questo la onlus guidata dalla dottoressa Cacitti, in occasione della giornata dedicata alla donna, offrirà consulenze tutte le mattine di questa settimana, dalle 9 alle 12, fino a venerdì 11 marzo nella sede del Distretto sanitario di Udine, via San Valentino 20 (secondo piano, sala riunioni, segreteria organizzativa: Liliana Zuliani, cell. 340 2891151). Oggi in pensione, a fine carriera il medico ha voluto continuare ad aiutare – coadiuvata da un team di psicologi – le pazienti “ereditate” dal suo lavoro in azienda sanitaria (oltre 1.700 persone, 62 gruppi di lavoro terapeutici). Attualmente, per non interrompere il processo di cambiamento in corso, si è presa carico tramite la onlus (la sede è nella Ass 4 Medio Friuli in via Pozzuolo) la conduzione di 5 gruppi terapeutici; settimanalmente seguono un innovativo percorso basato sul “Self-­‐Empowerment”, «metodo che mira a un’altra e alta qualità della vita mettendo al primo posto la salute», informa Cacitti. Altri gruppi nasceranno a breve, risorse permettendo (la onlus si autofinanzia con i 20 euro delle iscrizioni degli associati), a Latisana, Udine e Gorizia. «L’obiettivo – spiega la psicoterapeuta – è perdere peso impadronendosi consapevolmente delle proprie risorse senza deleghe; cogliere insomma l’opportunità per cambiare, costruire progetti, conquistare salute. No dieta, no farmaci, no calcolo delle calorie, no interventi chirurgici, bensì un percorso che supera la logica della privazione a favore di quella del piacere». Il bandolo della matassa sta nel capire che il sovrappeso è un problema di testa, e che bisogna imparare a distinguere la fame biologica da quella nervosa. Il 50% dei pazienti viene inviato alla onlus dai servizi specialistici aziendali, il 30% giunge grazie i mass media, il restante 20% con il passa parola. «Si rivolgono all’associazione dopo aver sperimentato molteplici interventi terapeutici presso servizi pubblici e privati, anche extra-­‐
regionali, senza alcuna modifica stabile del proprio comportamento e della propria condizione psico-­‐fisica». Solo il 15% abbandona, negli anni, le attività di gruppo, per lo più per problemi familiari e di salute. I casi più gravi vengono inviati fuori regione (in Veneto vi sono tre strutture che accolgono obesi, anche giovani), «perché purtroppo il nostro territorio non copre questo servizio». Uno dei maggiori crucci di Anita Cacitti è quello di non poter dare risposta alla richiesta sempre più urgente non solo delle persone con obesità, ma delle tante mamme che cercano risposte immediate per i loro ragazzi e bambini. «Solo col volontariato, però, non riusciamo a sostenere il carico di lavoro; auspichiamo quindi – è l’appello di Cacitti – un sostegno dalla Regione per poterci permettere di pagare dei professionisti e continuare a fornire questo importante servizio». La “rinascita” sostituendo il canto al cibo Chi arriva all’associazione tenta l’ultima spiaggia: ha già provato mille diete, conosciuto la depressione, visto il proprio corpo rovinato dall’effetto “yo-­‐yo”. L’età media delle donne seguite dalla onlus è di circa 45 anni, con un disagio spesso collegato alla disoccupazione. Gli uomini sono solo il 10%, «perché i maschi – spiega la psicoterapeuta responsabile del progetto – fanno più fatica a raccontarsi e a chiedere aiuto». La svolta avviene quando si sostituisce «il cibo killer con cose nuove che permettono di godere la vita, volersi bene e capire che ci potrà essere un futuro in salute», afferma Cacitti. È ciò che è accaduto a Maria, un 7 quintale di peso per 165 cm di altezza. Lasciata dal marito, depressa, da tempo in terapia al Centro di salute mentale, trovava nel cibo l’unica soddisfazione. Grazie al “Self-­‐Empowerment” ha scoperto il canto, la sua voce; è entrata a far parte di una realtà musicale della regione ed è stata chiamata a cantare persino a Londra. «È diventata bellissima, una donna elegante, con tanta voglia di vivere, sempre disponibile a cantare per allietare i nostri associati». C’è poi la “rinascita” di un’anziana, che all’età di 70 anni ha finalmente perso i 15 chili di troppo: per festeggiare si è tatuata una coccinella sulla mano, «ora indossa leggins e fa spinning in palestra, è diventata un modello per le ragazze». (r.t.) Quattro autiste di ambulanza, ecco gli “angeli” del soccorso Cinzia Calligaro, Melinda Picotti, Carla Saccardo e Manuela Zonta sono il fiore all’occhiello della Sogit di Maristella Cescutti. Sono un fiore all’occhiello della Sogit le quattro donne – Cinzia Calligaro, Melinda Picotti, Carla Saccardo e Manuela Zonta – autiste di emergenza di ambulanze, che guidano con disinvoltura, sicurezza e massima attenzione. In servizio indossano una divisa di un arancione abbagliante con strisce argento ben visibili anche di notte, ai piedi scarpe antinfortunio con punta metallica. A “terra” in un attimo di pausa sono vivaci e sorridenti. Ieri è stato difficile incontrarle tutte e quattro in una volta sola. Le chiamate di soccorso non danno tregua e così dopo un breve incontro, via di corsa a bordo della loro seconda casa. Queste donne si trasformano così in angeli del soccorso. Un saluto rapido da dietro al finestrino e via a sirene spiegate. Il 30% del team Sogit sono donne, le uniche in Provincia. In convenzione con l’ospedale civile di Udine, la Sogit mette a disposizione 24 ore al giorno due ambulanze con due equipaggi composti da autista e soccorritore. A bordo anche infermiere e medico dell’Azienda come spiega Maurizio Rinaldi di Sedegliano, presidente Sogit dal 2006. Sono circa 30 i servizi erogati al giorno, complessivamente lavorano 25 dipendenti e 40 volontari. Cinzia Calligaro, di Buja, ha grinta da vendere. Lei come tutte le sue colleghe ha iniziato questo lavoro da volontaria. La passione, la generosità e la voglia di aiutare il prossimo è alla base del suo operare. Da nove anni è impegnata come soccorritrice e da 5 come autista. Rivalità con i colleghi maschi ? «Siamo alla pari, magari un po’ migliori noi – azzarda Cinzia –. Per giungere a questo abbiamo dovuto impegnarci al massimo». La seconda autista d’emergenza è Mellinda Picotti di Udine «siamo autiste ma soprattutto soccorritrici e quindi – aggiunge – abbiamo una sensibilità diversa avendo famiglia». C’è differenza con il lavoro dei colleghi maschi? «Nessuna, con la barella a cucchiaio, per esempio, abbiamo sceso le scale di otto piani con paziente e presidi. Anche per estrarre i feriti dalle vetture incidentate non abbiamo alcun problema. Questo mestiere bisogna farlo con passione». Cosa si prova a guidare in emergenza? «Intanto bisogna avere una grande sicurezza, mille occhi, la gente, da noi e in generale in Italia, ancora non è abituata a mettersi da parte quando si avvicina un mezzo di soccorso a sirene spiegate. Noi dobbiamo sempre attenerci al codice della strada, chiediamo il permesso di passare. Prima di tutto, infatti, dobbiamo tutelare la nostra sicurezza e quella del paziente. Auspichiamo maggiore collaborazione da parte di automobilisti, ciclisti e pedoni. Abbiamo una grossa responsabilità, tempi da rispettare, dobbiamo fare la strada più breve e veloce per arrivare sul posto dell’intervento». C’è stato un momento drammatico nella vostra carriera? Mellinda Picotti: «Mi è capitato una volta di coinvolgere con l’ambulanza a sirene spiegate un mezzo con una persona che aveva la radio a volume alto e non aveva sentito la sirena. Inoltre, anni fa, siamo andati a soccorrere un ragazzo che era già morto, la mamma ci supplicava di salvarlo». Cinzia Calligaro: «Una ragazza vittima di un incidente, poco prima di morire mi ha sussurrato “Salvami”. In questi momenti entra in gioco sì la professionalità, ma poi quando finisce tutto si piange». Qual è la caratteristica essenziale per esercitare questa professione? Carla Saccardo: «Avere grande umanità e amore per il 8 prossimo. Tenere per esempio la mano a una persona anziana durante il tragitto verso l’ospedale. E quando un paziente in arresto riprende a vivere, oppure quando si riceve un semplice “grazie” con gli occhi, veniamo ripagate di tutto». Manule Zonta condivide tutto quanto detto dalle colleghe. Non ha tempo di aggiungere altro, deve raggiungere via in ambulanza un luogo dove può avere inizio una vita. È accaduto anche questo alle autiste d’emergenza ed ecco che il suono della sirena può non appare così tragico. Gara di solidarietà in Carnia per il piccolo malato di leucemia Cercivento: intorno alla famiglia di Simone, 4 anni, non solo il paese ma tante persone e associazioni La diagnosi all’ospedale di Tolmezzo, ora ci vorranno due anni di cure al Burlo Garofolo di Trieste di Gino Grillo. CERCIVENTO. Gara di solidarietà in Carnia, ma non solo, per Simone, un bimbo di quattro anni appena compiuti che sta lottando contro la leucemia. Appena si è saputo – difficile in un piccolo paese di montagna dove tutti si conoscono tenere nascoste queste notizie – la popolazione non si è chiusa nel silenzio, ma si è fatta partecipe dello sgomento della famiglia colpita da questo dramma. Tutti si sono dati da fare: immediata una raccolta di fondi indetta dalla parrocchia con don Harris, dalla riserva di caccia con Edimiro Della Piera e dal bar Da Victoria. «E' stata una gara di solidarietà e di vicinanza -­‐ ha raccontato il papà di Simone – che ci conforta in questo momento, uno dei più brutti che stiamo attraversando». I genitori, che hanno pure una figlia di 10 anni, hanno scoperto la malattia di Simone nel giorno di San Valentino. «Lamentava mal di pancia e dolori alle gambe. Lo abbiamo portato all’ospedale di Tolmezzo dove, tramite anche un’analisi del sangue, gli è stato diagnosticato il male». Da qui Simone è stato immediatamente indirizzato al Burlo Garofolo di Trieste. «Debbo ringraziare il reparto di pediatria di Tolmezzo, hanno subito compreso cosa affliggeva mio figlio – racconta il padre – e ci hanno trattato con molta professionalità e umanità. Lo stesso trattamento che abbiamo ricevuto a Trieste». È nel momenti meno felice che si conoscono gli amici. «Qui in paese– prosegue il genitore – tutti ci sono stati vicini, moralmente ma anche concretamente, chi con offerte di denaro, chi dicendosi pronto a portare il bambino due volte la settimana a Trieste per le cure e in altre maniere». Simone è già in cura, ogni martedì e sabato si reca a Trieste per la chemioterapia, poi deve rimanere chiuso in casa. I medici hanno detto che Simone ha il 90 per cento di possibilità di recuperare completamente, ma saranno necessari due anni di sacrificio. Le sue condizioni immunitarie sono al minimo, per cui vanno evitati contatti con altre persone, diminuiti anche i giochi con la sorellina, alla quale i genitori hanno parlato a lungo su quanto accade. Intanto Simone trascorre le giornate, quando non è in ospedale, guardando cartoni animati alla TV e giocando con il Lego. Solidarietà concrete sono giunte tramite il sindaco Luca Boschetti dai Comuni di Cercivento, Moggio e Ovaro e da alcune associazioni che si occupano di casi così. Quanti desiderassero dare una mano alla famiglia possono farlo effettuando un versamento bancaro all'Iban IT35O(lettera "O") 07601123 00000 61518601 con la causale “Per Simone”. Lettere SANITÀ/1 La riforma e Cividale Ha ragione Maria Cristina Novelli: a cosa serve una commissione comunale per la salute se non viene coinvolta nemmeno quando la presidente e l’assessore alla Salute regionali arrivano in visita al nostro ospedale? E ha ragione Roberto Novelli quando afferma che ci scipperanno il pronto soccorso e un’ambulanza, che sarà trasferita nelle valli. Come mai l’ambulanza per soccorrere un infartuato a Premariacco è arrivata da Udine e non da Cividale? Dopo la visita delle due illustri personalità l’ospedale di Cividale cosa conserverà? Mi ha 9 colpito il silenzio del sindaco Balloch che non solo non ha convocato la Commissione comunale per la salute e non ha dato giusta rilevanza alla visita delle due personalità, ma non ci ha fatto nemmeno conoscere le conclusioni di tale visita e il suo giudizio. O sarà la signora Telesca a spiegarci di persona i cambiamenti alla riforma? E che dire della soddisfazione espressa dai vertici del Pd cittadino sui risultati di tale visita (implementazione delle funzioni specialistiche? Quali? Reparto di medicina senza pronto soccorso? Assurdo! Climatizzazione delle sale operatorie? Da quanti anni la stiamo aspettando...). Ma sanno cosa significa recarsi al pronto soccorso di Udine? Facciamo quindi gli scongiuri e auguriamoci buona salute e di non aver bisogno dei servizi ospedalieri che ci verranno tolti. Fra l’altro mi domando se fossero necessari tutti quegli esperti per partorire il piano dell’emergenza e quanto siano costati. Piera Specogna -­‐ Cividale SANITÀ/2 Un grazie all’ospedale Attraverso le pagine di questo quotidiano avevo ringraziato ed elogiato il reparto di Pneumologia degenze diretto dal dottor Emilio Lugatti. Vorrei ora ringraziare il dottor Angelo Morelli direttore del reparto di Chirurgia toracica e il suo staff, dottor Gianluca Masullo, dottor Giuseppe Aresu, dottor Francesco Londero e per un periodo la dottoressa Elena Baracchinil, la dottoressa Stefania Basso, ora operative in altri reparti, che con le due bravissime infermiere dell’ambulatorio di chirurgia toracica, Cristina Barbui e Marilisa Del Dò, per tre volte alla settimana e per più di un anno mi hanno medicato con grande competenza e gentilezza, sempre puntuali e sorridenti. Ringrazio il dottor Mauro Schiavon, direttore del reparto di Chirurgia plastica e il suo staff che, assieme allo staff del dottor Morelli citato prima, mi ha assistito in una lunghissima e non semplice operazione chirurgica dall’esito non scontato. Ma la grande professionalita di tutti i presenti in sala operatoria ha fatto sì che tutto andasse a buon fine. Ringrazio tutti gli operatori della terapia intensiva e della terapia semi intensiva per l’alta professionalita dimostrata. Ringrazio poi il personale medico infermieristico e gli operatori socio sanitari del reparto di Chirurgia plastica degenze diretto dal dottor Mauro Schiavon per la grande competenza, gentilezza, pazienza e rassicurante assistenza, doti che aiutano a guarire meglio, essendo stato trattato come una persona e non come un numero. A tutte queste persone un sentito, doveroso e riconoscente grazie di cuore. Giuseppe Siega -­‐ Tarvisio Pordenone Pulizie negli ospedali Tagli e paghe ridotte Sos da 195 lavoratrici Il salario mensile non supera i 450 euro, sono allo stremo Le condizioni incidono anche sulla qualità dei servizi di Miroslava Pasquali. Lavorano sotto contratto part-­‐time, dalle 14 alle 20 ore, con retribuzioni che difficilmente superano i 450 euro mensili. Sono le 195 addette alle pulizie e sanificazione di ospedali e presidi medici della provincia di Pordenone. Donne e mamme, il cui salario è spesso l'unica fonte di reddito in famiglia, chiamate a fare le spese della «grave situazione – come la definiscono i sindacati Filcams Cgil e Fisascat Cisl – venutasi a creare a seguito dei pesanti tagli di prestazioni operate nel nome di un risparmio del comparto della sanità». Dal 2012 a oggi, denunciano le sigle sindacali, le pulizie delle strutture sono state ridotte, in termini complessivi, di un 15 percento rispetto al monte ore stabilito dall'appalto regionale. Il risvolto della situazione è duplice: da un lato i tagli si riversano sulle lavoratrici in termini di retribuzione, dall'altro ne risente la qualità del servizio erogato all'utente finale. La questione si trascina già da un paio d'anni, «nella manifesta latitanza da parte delle istituzioni 10 coinvolte, a vari livelli, le quali non si sono ancora degnate di dare una risposta alle varie richieste di confronto delle organizzazioni sindacali, giocando al rimpallo». Il passaggio di competenze sul tema lavoro dalla Provincia alla Regione ha giocato un ruolo chiave, in senso negativo, nella vicenda. «C'è un rimbalzo di responsabilità», spiega Romildo Scala della Filcams Cgil. La prima richiesta di un tavolo di confronto era stata inoltrata dai sindacati all'allora presidente provinciale Alessandro Ciriani, sul finire del mandato, e replicata al successore Claudio Pedrotti. La domanda, dopo il trasferimento della funzione lavoro alla Regione, è stata “girata” a Trieste: le due richieste di settembre e novembre 2015 sono rimaste lettera morta. «Non è con i risparmi derivanti dalle minori pulizie negli ospedali che si assesta la spesa sanitaria regionale e nazionale», sottolinea Scala. L’appalto regionale sulle pulizie ospedaliere, ricordano dalla Filcams, è stato vinto non al massimo ribasso, ma con un progetto basato al 60 percento sulla qualità del servizio. «Qualcuno dovrebbe calarsi nei panni di queste lavoratrici, che vivono una realtà ben diversa da quella di chi decide di fare bella figura “risparmiando” su di loro. Non è tollerabile che si continui ad agire sull'ambiguità del soggetto pubblico competente in materia: se la riforma dei servizi per il lavoro della Regione Fvg è questa, a noi non serve». Violenza di genere, pronto soccorso strategico Vittime almeno il 25% delle donne che vi accedono. Medici e infermieri le aiutano ad affrontare il problema di Paola Dalle Molle. «Donne di tutte le età senza distinzioni sociali. La violenza di genere può riguardare chiunque». Così spiega Fabiana Nascimben, medico di Pronto soccorso, responsabile della formazione in merito al riconoscimento della violenza di genere, organizzata dall’Azienda per l’assistenza sanitaria 5 del Friuli occidentale. «Si pensa che il fenomeno della violenza contro le donne rappresenti solo un problema privato invece, si tratta di un problema sociale, di salute pubblica, che riguarda tutti e in particolar modo gli operatori sociosanitari. Questi ultimi – prosegue – lo affrontano da un punto di vista determinante poiché le donne, prima di riconoscere e denunciare la violenza, possono manifestare malesseri diffusi e aspecifici, se non addirittura patologie vere e proprie, che le portano a visite e approfondimenti medici ripetuti, senza contare i multipli accessi in Pronto soccorso dovuti a traumatismo, il più delle volte denunciato come accidentale invece che provocato. Alcuni dati dicono, inoltre, che una percentuale tra il 25 e il 35% delle donne che accedono ai Pronto soccorso per qualsiasi motivo, sia vittima di violenza, così pure almeno il 14% delle donne che si rivolgono agli ambulatori di visita specialistica medica. In quelle circostanze spesso le donne, confidano che qualcuno le ascolti e creda loro. Per questo è fondamentale che medici e infermieri sappiano riconoscere i segnali di una violenza. Infatti, la violenza domestica, tra le molteplici conseguenze, porta anche a un progressivo isolamento della vittima rendendo difficile la richiesta di aiuto. Inoltre è noto che le vittime di violenza giungono più frequentemente a prendere coscienza del problema e a decidere di uscirne se a chiederglielo è un medico o un infermiere. Per tutti questi motivi il Pronto soccorso si conferma struttura strategica nei casi di violenza sulle donne soprattutto nell’intercettare situazioni di rischio, esprimendo i nostri dubbi alle pazienti sulla dinamica dichiarata e cercando di creare con loro un percorso di uscita, fornendo numeri e indirizzi a cui rivolgersi o, se necessario, attuando una strategia di protezione immediata, coinvolgendo immediatamente il centro antiviolenza e le forze dell'ordine. Le strutture sanitarie, inoltre, sono un osservatorio anche per il riconoscimento della violenza sia contro i soggetti deboli (anziani e disabili)sia all’interno delle mura domestiche che delle istituzioni. Per questo nasce l’impegno dell’Aas 5 a organizzare corsi formativi aperti a tutto il personale sanitario e non, per fornire degli strumenti utili al riconoscimento delle situazioni di violenza sia contro la donna e i minori, ma anche contro altri soggetti deboli. 11 Progetto smile, i medici tra i poveri del mondo L’associazione Anps di Sacile opera dal 2008, fondata dal chirurgo Sergio Dus. Volontariato nella Repubblica Dominicana «per regalare un sorriso a chi soffre» di Chiara Benotti. SACILE. Medicina sacilese in prima linea nella Repubblica Dominicana. Il medico chirurgo Sergio Dus direttore sanitario del poliambulatorio in via Colombo a Sacile, è un punto di riferimento nel volontariato solidale. Nel 2008 ha fondato l’Amps, Associazione medici Progetto smile (la sede è in riva al Livenza) per offrire un contributo concreto nell’assistenza sanitaria alle popolazioni povere del pianeta. Il progetto dà una speranza a chi vive ai margini dei paradisi del turismo occidentale, dove la povertà è cronica. L’obiettivo è »di regalare un sorriso a chi soffre». La missione. Nella clinica rurale della salute pubblica a San Rafael del Yuma, nella provincia di Higüey, il dottor Dus ha attivato un progetto di volontariato. «Con l’aiuto del collega locale Yurkis Jorge Rodrigues e di altri due medici italiani, Bruno Lo Giudice e Romeo Donato, abbiamo prestato le cure soprattutto alla comunità di Benerito» sottolinea Dus, chirurgo stomatologo, specificando che quella comunità «è costituita da un’elevata percentuale di haitiani i quali, come la maggior parte del popolo dominicano, non si possono permettere cure mediche e dentistiche». La Repubblica Dominicana fa parte dell’isola caraibica di Hispaniola, nelle Grandi Antille. Confina a ovest con la repubblica di Haiti e conta circa un quarto di popolazione haitiana tra regolari e clandestini. Osserva Dus: «I resort turistici ingannano sulla reale situazione della popolazione locale, la quale vive in condizioni economico sanitarie precarie». Il Progetto smile. L’Associazione medici progetto smile «ha l’obiettivo di curare le persone bisognose, inviare strumentario chirurgico, fornire supporto e creare un gemellaggio con i medici del posto». Evidenzia Dus, anima del progetto: «Nella Repubblica Dominicana le prime cause di morte e di invalidità sono i politraumatismi, conseguenti soprattutto a incidenti con motoveicoli». Al secondo posto ci sono le complicanze delle gravidanze, spesso in giovane età, motivo per il quale è stato donato un ecografo portatile («Potrà essere trasportato nelle varie comunità della “salud publica”, utile soprattutto nell’attività sanitaria preventiva»). Sinora sono stati eseguiti circa 150 interventi in anestesia locale con l’inserimento dei primi impianti mandibolari nella sanità pubblica dominicana. Le collaborazioni. Il medico sacilese è stato accolto all’Universidad central de l’Este a San Pedro de Macoris per una conferenza indirizzata ai docenti e agli studenti della scuola di odontoiatria, un’iniziativa «che ha destato, come in passato, molto interesse». «La collaborazione medica è una carta vincente – specifica Dus – Abbiamo incontrato il proprietario della clinica privata polispecialistica Cedano di Higüey, il quale ha offerto la struttura con tre sale operatorie». E aggiunge: «Nel 2017 pensiamo di effettuare non solo interventi di chirurgia orale e odontologia, ma anche di chirurgia maxillo facciale e plastica». Interventi gratuiti indirizzati alla gente bisognosa della regione, grazie alla clinica. È prevista anche l’attivazione di un settore dedicato alla chirurgia oculistica, grazie all’aiuto di un volontario spagnolo. Chiosa il medico liventino: «Il collega dominicano è motivato ad accoglierci per offrire alle persone meno fortunate i servizi della nostra associazione». LA MISSION Alta mortalità tra i più piccoli «Intervenire è una priorità» SACILE. Venti giorni per contribuire ad aiutare, dal punto di vista sanitario, chi non può pagarsi le cure. Dall’1 al 20 febbraio il medico sacilese Sergio Dus era nella Repubblica Dominicana, a offrire il proprio prezioso servizio a quelle popolazioni. «Un collega è stato colpito da un’infezione, ha mangiato probabilmente cibo avariato» ricorda, osservando che si tratta di un «imprevisto che va messo in conto». I medici del progetto smile hanno donato un 12 ecografo e, negli anni passati, un’ambulanza e una Tac (dismessa). Hanno donato anche un container zeppo di letti, medicine e apparecchiature mediche diretto a Bayahibe per allestire il poliambulatorio e altri sportelli di primo soccorso sul territorio: un territorio nel quale il tasso di mortalità infantile è da brivido. «Abbiamo avuto richieste in passato anche dal Kenya» ricorda Dus, a testimonianza dell’importanza del lavoro volontario dei medici nelle aree più a rischio nel mondo. L’associazione Amps ha una missione: aiuti sanitari e scambi scientifico-­‐
culturali. Il progetto, in passato, ha posto le basi per un reparto di chirurgia infantile, maxillo facciale e odontostomatologia nell’ospedale di Santo Domingo, la capitale dominicana. I medici no profit offrono assistenza gratuita e il convegno annuale serve a dare ulteriore impulso al Progetto smile, che va avanti. Valigie sempre pronti per operare e dare una speranza di vita aggiunta dove la povertà non frena la speranza e il sorriso. Medici e paramedici del gruppo Amps friulano fanno squadra. «L’obiettivo è portare aiuti sanitari in America Latina – è il messaggio diffuso nel sito web www.dusmedical.it – Vogliamo prestare servizio anche negli orfanotrofi e creare gemellaggi e scambi culturali. Sono sempre bene accolti i colleghi volontari e gli aiuti in farmaci e di apparecchiature sanitarie». (c.b.) «Rispondiamo alle emergenze grazie alla solidarietà» Lo stomatologo al Rotary di Maniago-­‐Spilimbergo: «Andiamo avanti, ma servono rinforzi: chi può ci aiuti» VIVARO. Una serata speciale quella dedicata al reportage sanitario nella Repubblica Dominicana proposto dal medico-­‐chirurgo Sergio Dus al Rotary club Maniago-­‐Spilimbergo, riunitosi a Vivaro. Dus, rotariano, ha portato la propria testimonianza intervenendo sul tema “Io, medico e volontario: donare un po’ del nostro tempo alle persone meno fortunate dell’America Latina”. «Clandestini, haitiani in fuga dalla povertà, senzatetto, poveri e bambini “de rua” incrementano le fasce sociali deboli nell’hinterland della provincia dominicana di La Romana e nelle altre zone del Paese – ha relazionato Dus – Malattie e incidenti stradali sono una condanna senza riscatto per chi non ha nulla. I medici no profit dell’Amps rispondono all’emergenza. Abbiamo portato negli anni container con lettini per la degenza, poltrone chirurgiche e apparecchi radiografici». L’appello è all’occidente ricco. «C’è bisogno di aiuto – ha detto Dus – Non hanno strumentazioni e gli ospedali pubblici spesso sono senza fondi. Abbiamo eseguito decine di interventi di chirurgia in questi anni del “Progetto smile” e ci sono stati colleghi che sono andati a operare anche ad Haiti». La prima causa di morte e invalidità sono gli incidenti stradali, al 90 percento sugli scooter: al secondo posto ci sono le gravidanze delle adolescenti (quattordicenni), quindi le malattie cardiovascolari. «Tutte le nostre prestazioni sono gratuite – il gruppo della medicina solidale conta una squadra di specialisti – Cerchiamo chirurghi volontari, per recarci una volta all’anno nel Paese, a rotazione». Il progetto va avanti ma servono rinforzi. «La nostra associazione è costituita soprattutto da medici e paramedici: portiamo nella Repubblica Dominicana aiuti raccolti anche grazie alla solidarietà occidentale – ha puntualizzato Dus – Operiamo per i poveri, la gente bisognosa senza distinzione di razza, sesso, età, religione o politica». Il gruppo dei “camici bianchi” del progetto dominicano è costituito da circa venti medici e da altre persone: tutti volontari. «Ci attiviamo dove c’è bisogno del nostro aiuto – ha ricordato Dus ai rotariani – Oltre a fare donazioni di medicinali, apparecchiature medicali e attrezzature, si opera in ospedale oppure nelle strutture private e negli ambulatori». (c.b.) Centro diurno, oggi il sopralluogo dell’Aas5 È l’ultima verifica prima dell’apertura della struttura. Novità per la gestione della casa di riposo SACILE. Centro diurno verso l’apertura. Confermato per oggi il sopralluogo della commissione dell’Aas5 alla nuova struttura per il via libera al suo utilizzo. «Ci sentiamo di rivolgere un ringraziamento – dicono il sindaco Roberto Ceraolo e l’assessore Maurizia Salton – al 13 Dipartimento di prevenzione per aver capito la necessità di procedere speditamente seppur nell’ambito della nuova normativa emanata dalla Regione che sarà proprio in questa occasione “collaudata” per la prima volta. Il via libera dell’Aas5 metterà il Centro nelle condizioni di essere utilizzato. È, inoltre, la premessa indispensabile per ottenere dalla Regione la formalizzazione dell’accreditamento con conseguente erogazione del contributo (diaria per abbattimento delle rette) a vantaggio dei futuri utenti». Dal sindaco Roberto Ceraolo arrivano rassicurazioni sulla casa di riposo dopo che nei giorni scorsi alcune notizie di cronaca avevano sollevato un certo allarmismo nella popolazione sacilese. «Tutto regolare – spiega il primo cittadino – alla casa di riposo. Il direttore della struttura Rossano Maset è stato letteralmente tempestato di telefonate per avere chiarimenti rispetto a presunti abusi che sarebbero stati commessi nei confronti di ospiti di una struttura residenziale della provincia. Le notizie diffuse anche in riva al Livenza hanno evidentemente fatto ritenere che il caso potesse riguardare la nostra città. Ritengo pertanto doveroso, insieme con l’assessore Salton e lo stesso direttore, rassicurare tutti sul fatto che l’episodio denunciato non riguarda né interessa in alcun modo la casa di riposo gestita dal Comune di Sacile». Nella gestione della Casa di riposo, intanto, il nuovo anno ha portato novità. La nuova convenzione con l’Aas5 (che da sempre ha erogato i servizi alberghiero-­‐gestionali alla struttura) ha visto, infatti, esclusi i servizi di lavanderia e guardaroba. Sono rimasti quindi solo il servizio di cucina ed i servizi generali. Preso atto che dal 1° febbraio l’Azienda sanitaria non intende più fornire alla casa di riposo il servizio di lavanderia e guardaroba, il Comune ha provveduto a un nuovo appalto. Il servizio di lavanderia è stato affidato sino al 31 dicembre, con possibilità di rinnovo, alla ditta Fantuzzi di Pordenone per un importo di 39.236 euro. Quanto alla convenzione con l’Aas5a è stata rinnovata sino a fine 2017 con una spesa prevista per il 2016 in 407.274 euro. Esclusi dalla convenzione anche i servizi di sterilizzazione ferri e presidi sanitari. (m.mo.) 14