Cangiari, no alla `ndrangheta. Dalla moda un futuro etico

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VENERDI 4 MARZO 2016 • CORRIERE CANADESE
8
L'INTERVISTA
ALTA MODA
Cangiari, no alla ’ndrangheta. Dalla moda un futuro etico
CATIA
RIZZO
Toronto - La Calabria, considerata terra di criminalità organizzata, ma anche di valori fortemente
radicati; terra con poche prospettive di sviluppo ma colma di straordinarie ricchezze naturali; terra
dal passato drammatico e dal futuro incerto, ma con un patrimonio storico incommensurabile.
Per dirla con una frase dello
scrittore e giornalista Guido Piovene, “La Calabria sembra essere
stata creata da un Dio capriccioso che, dopo aver creato diversi
mondi, si è divertito a mescolarli
insieme”.
La diferenza è abissale tra gli
occhi di chi semplicemente la
guarda e il cuore di chi invece la
vive, ma di certo solo un calabrese sa quanta forza ci vuole per amarla, quando il desiderio di realizzare un sogno diventa quasi un
gesto eroico.
Ed ecco, questo è l’aspetto della
Calabria sul quale vogliamo concentrare lo sguardo, quella parte
che non si arrende alle barriere
poste dalla realtà stessa, ma cer-
«Programmare un
telaio a mano è un’arte
molto complicata, si
devono passare nei
licci 1800 fili secondo
un preciso ordine
matematico»
ca la soluzione, si alza, si ribella
e vince. Esempio concreto di inlessibile coraggio, oltre che simbolo delle più peculiari virtù e
tradizioni calabresi, è la casa di
moda Cangiari, primo marchio di
moda-etica di fascia alta in Italia.
Per comprendere l’efettivo valore di questo marchio, morale
prima ancora che di produzione,
abbiamo intervistato il presidente
di Cangiari, Vincenzo Linarello.
Cosa è Cangiari?
«Cangiari è un marchio del
gruppo cooperative Goel. È questa una realtà nata nel 2003 nella
Locride calabrese, con il preciso
obiettivo di riscatto per la nostra
regione. Vedevamo intorno a noi
grossi problemi quali la disoccupazione, la ndrangheta, retticoli
di poteri deviati, politica corrotta,
Goel doveva essere allora qualcosa in più della semplice denuncia:
dovevamo costruire delle alternative».
Obiettivo ammirevole ma
tutt’altro che semplice. Cosa avete fatto nello speciico?
«Abbiamo
individuato ogni ambito
nel quale era possibile agire, creando
una proposta politico-culturale forte,
volta alla realizzazione di esperienze dirette per far vedere
concretamente ai
calabresi che vi era
una strada giusta
da seguire. Oggi
il gruppo Goel si
muove in ambito
sociale con comunità di accoglienza per minori a
rischio, migranti nordafricani
richiedenti asilo politico; gestiamo un pezzo di sanità nella
psichiatria
dove forniamo
servizi di cura
alle
persone
con
disturbi
mentali;
una
serie di attività
imprenditoriali
che
operano sul mercato
privato: “I viaggi del
Goel”, ovvero un tour
operator specializzato in turismo responsabile; la cooperativa
“Goel Bio” che riunisce numerose aziende
agricole colpite dalla ’ndrangheta e che
noi abbiamo messo
in iliera al ine di una
produzione
agroalimentare biologica per
la comunità; la casa di
moda “Cangiari”».
Cangiari è un marchio di alta moda, non
è un’unione comune
quella tra un qualcosa
di così prestigioso e una realtà rurale. Come è nata ?
«Vi è una storia particolare dietro Cangiari. Qualche anno fa, si
rivolsero al Goel alcune giovani
donne calabresi intenzionate a
salvare l’antica e prestigiosa tradizione della tessitura a mano.
Quella della nostra regione è anche la più antica tessitura d'Italia,
i primi telai risalgono alla Magna
Grecia. Fino a cinquanta anni fa
quasi tutte le famiglie calabresi
avevano un telaio in casa, ma negli ultimi venti anni la tradizione
è quasi scomparsa. Queste donne si sono recate dalle anziane
majistre, non semplici tessitrici
che sapevano adoperare il telaio,
ma le uniche maestre che
sapevano programmarlo.
Attraverso le diverse
programmazioni del
telaio si stabilisce
praticamente quale tipo di tessuto
realizzare.
Perché nessuno,
a parte le majistre, ne conosceva il meccanismo?
Programmare
un telaio a mano
è un'arte molto complicata
poiché consiste nel passare
milleottocento
ili secondo un
ordine matematico preciso nei licci nel
telaio per ottenere un tessuto
piuttosto
che
un altro. Parliamo di complesse
programmazioni
moltiplicate per
decine di tipi di
tessuto che ognuna di loro custodiva nella propria
memoria. La cosa
sensazionale
è
che nella maggior parte dei
casi si trattava
di anziane donne analfabete».
Questo è un
dato straordinario, analfabetismo ma
conoscenza, al tempo
stesso,
di tecniche
complesse
basate su
principi
m a te m a t i - ci. Vi deve essere
sistema dietro questa antica maestria.
«Esatto! Avevano memorizzato in alcune nenie le sequenze matematiche con cui intrecciate i 1800 ili. Nei versetti di queste
cantilene vi erano praticamente
nascoste le istruzioni per ogni
tipo di tessuto. Nessun altro conosceva quelle nenie, perché venivano tramandate gelosamente
solo da madre in iglia, quella che
oggi deiniremmo “la loro proprietà intellettuale”».
Perché hanno deciso di svelarle a voi.
«Considerato che le loro nuove
generazioni non erano più interessate ad apprendere, le anziane
majistre hanno deciso di cantarcele e per la prima volta nella
storia abbiamo trascritto decine e
decine di tessuti della tradizione
grecanica e bizantina. Le giovani
donne che hanno avviato questa
iniziativa hanno ricostruito e restaurato i vecchi telai, diventando
a loro volta le nuove majistre».
Un tessuto prodotto attraverso uno dei metodi più antichi e complessi, quanto deve
valere?
«Questo è proprio il punto cruciale in cui tutto stava andando a
naufragare. I prodotti di artigianato costano tanto, soprattutto se
il lavoro che vi è dietro viene ripagato con il meritato compenso.
Pensi che per fare un metro lineare di tessuto con telaio a mano
si impiegano dalle tre alle sei ore
di lavoro. Volendo retribuire tale
lavoro attraverso un contratto legale, il costo della stofa diventava improponibile per il mercato
locale. Arrivati a quel punto ci
siamo detti che se quel tessuto
era tanto prezioso doveva inire
in abiti preziosi, di conseguenza
l'unico segmento che poteva ripagare sindacalmente questi tessuti
era quello della moda di fascia
alta».
Quindi, quando questa idea
ha cominciato ad essere un’azienda attiva sul mercato?
«Ci accorgemmo che non vi era
alcun marchio etico nell'alta moda in Italia e quindi decidemmo
che l'avremmo fatto noi. Da lì è
nato appunto “Cangiari” che nel
dialetto calabrese signiica “cambiare”. Abbiamo poi reclutato una
nota stilista italiana, Marina Spadafora, che nel 2010 ci ha aiutato
ad avviare l’azienza. Siamo andati
così a Milano per proporre i nostri capi e lì abbiamo ricevuto
dal comune della città un bene
coniscato alla ’ndrangheta che è
diventato il nostro showroom nel
quadrilatero italiano della moda.
Questo è diventato il simbolo
della nostra battaglia di riscatto
contro la criminalità organizzata
del posto che noi portiamo avanti
con Goel».
La vostra azienda, come appunto l’intero Goel, si oppone
apertamente alla ’ndrangheta.
Vi è collaborazione da parte
dei cittadini in questa vostra
battaglia o crede si tenda ancora a una timorosa indiferenza
per non esporsi a possibili rischi?
«Voglio raccontarle una storia.
Proprio recentemente, ovvero alla ine dello scorso ottobre, una
delle nostre aziende agricole ha
subito un attentato da parte della ’ndrangheta, il settimo in sette
anni. Sono stati incendiati l’intero
capannone e i vari mezzi agricoli,
eppure nonostante queste continue intimidazioni l'azienda con-
«Avevano memorizzato in alcune nenie
segrete le complesse
istruzioni con cui
intrecciate i 1800 fili»
tinua a resistere e a non cedere ai
colpi della criminalità organizzata. A questa provocazione abbiamo risposto lanciando una grande campagna stampa di denuncia
a livello nazionale e abbiamo
messo in moto una raccolta fondi
di solidarietà, attraverso la quale
in un mese e mezzo abbiamo ricostruito il capannone bruciato e
ricomprato tutti i mezzi distrutti.
Proprio su quello stesso terreno
abbiamo poi organizzato una “festa della ripartenza”, per far capire che non solo non ci siamo piegati, ma abbiamo ricostruito tutto
ricominciando meglio di prima.
Per rispondere alla sua domanda,
in quell'occasione, tra trattori ed
aranceti, vi erano un migliaio di
calabresi a festeggiare insieme a
noi».
Da calabrese attivo sul territorio, può dire allora che qualcosa è cambiata o vi è ancora
abbondanza di omertà?
«C’è ancora la Calabria omertosa, ma c'è anche una Calabria che
dice di no alla ’ndrangheta, persone che si uniscono e riescono
anche a vincere, come in questo
caso. Non solo infatti l’azienda è
ripartita, ma stiamo anche vendendo tutti i suoi prodotti e questo è un forte segnale di riscatto».
«C’è ancora la Calabria
omertosa, ma c’è anche
una Calabria che dice di
no alla ’ndrangheta»
Potremmo dire che è un marchio doppiamente etico.
Direi più volte etico, perché abbiamo salvato l’antica tradizione
della tessitura a mano e perché
dietro vi sono delle cooperative sociali che ofrono lavoro alle
persone svantaggiate, non solo
economicamente ma anche a causa di handicap e disturbi mentali.
Etico, ancora, perché tutti i materiali che Cangiari utilizza sono
biologici e certiicati dal marchio
internazionale di controllo chiamato GOTS e inine etico per il
messaggio che mandiamo. La bellezza non può limitarsi a un connotato solo estetico, deve avere
anche un contenuto di valore».
Riscontra interesse verso
questo tipo di artigianato?
Si, noi riscontriamo molto interesse. Io credo che l’artigianato
piace ai giovani, ma deve sempre
esserci dietro una contropartita
economica che faccia in modo
che non sia solo un hobby, bensì
un'alternativa lavorativa vera e
propria. Ovviamente più Cangiari
cresce e più ci sarà possibile creare tali alternative».
Cangiari distribuisce i suoi
prodotti solo a livello nazionale o esportate anche in altri
Paesi?
«Attualmente solo in Italia. Abbiamo avuto delle piccole collaborazioni con l'Estero, per esempio in Cina, in Libano e anche in
Canada. Il nostro obiettivo principale ovviamente è quello di raggiungere il mercato internazionale, ma in questo purtroppo abbiamo delle diicoltà. Per realizzare
una distribuzione commerciale
internazionale avremmo bisogno
insomma di qualche aiuto. Siamo
comunque consapevoli che sono
proprio quelli esteri i mercati dove l’etico e il biologico si stanno
più afermando».
Vuole dire qualcosa ai calabresi oggi lontani dalla loro
terra?
«Noi stiamo lottando ed abbiamo bisogno della solidarietà
dei calabresi nel mondo. Non abbandonateci, mettetevi in collegamento con noi».