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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVI n. 14 (47.149)
Città del Vaticano
mercoledì 20 gennaio 2016
.
Annunciato il Governo di unità nazionale in Libia
Mercati finanziari in crisi e si aggrava il divario tra ricchi e poveri
Faticosa
ricerca di stabilità
Dove nascono le disuguaglianze
TRIPOLI, 19. È un «salto in avanti
ma ora abbiamo davanti un duro
lavoro». Così si è espresso oggi il
rappresentante dell’Onu per la Libia, Martin Kobler, commentando
la formazione del nuovo Governo
libico — dopo una notte di difficili
trattative tra le parti a Tunisi — che
nasce in un Paese in pieno caos
politico, finora diviso tra due Governi e due Parlamenti rivali e caratterizzato dall’ascesa di gruppi
jihadisti come il cosiddetto Stato
islamico (Is).
Un comunicato della Missione
di supporto delle Nazioni Unite in
Libia (Unsmil) sottolinea che Kobler «dà fortemente il benvenuto
alla formazione del Governo di accordo nazionale» quale «passo significativo nella ricerca di una fine
delle divisioni politiche e del conflitto armato in Libia». Citando le
parole dell’inviato dell’Onu, l’Unsmil scrive che «questa è una genuina opportunità per i libici di
riunirsi per costruire il loro Paese».
La formazione dell’Esecutivo, aggiunge Kobler, «è un importante
balzo sul sentiero verso la pace e la
stabilità in Libia».
Kobler, aggiunge la nota, sottolinea la necessità di muoversi immediatamente verso il prossimo passo
che è l’avallo del Governo di unità
nazionale da parte dei due Parlamenti e si rivolge alla Camera dei
rappresentanti di Tobruk, riconosciuta dalla comunità internazionale: «Mi appello ai componenti
dell’Assemblea e alla sua presidenza a porre gli interessi nazionali
del Paese al di sopra di ogni altra
considerazione e di riunirsi prontamente per discutere e approvare il
proposto Governo» ha dichiarato.
Il Consiglio presidenziale del
Governo libico ha annunciato che
il nuovo Esecutivo sarà composto
da 32 ministeri. Con il decreto numero 3 del 2016, il Consiglio presidenziale ha deliberato «la formazione del Governo di accordo nazionale» presieduto dal primo ministro Fayez Mustafa Al Sarraj.
Suoi vice, come si legge nell’articolo 2 del decreto, saranno Fathi Abdel Hafiz Al Mujbiri, Ahmad
Omar Mitiiq, Mousa Al Kuni Belkani e Abdelsalam Saad Husayn
Kajman. Il decreto, si legge ancora
nell’articolo 2, entra in vigore dalla
data di approvazione da parte del
Parlamento.
Tra i ministeri chiave del nuovo
Governo libico, quello della Difesa
è stato affidato ad Al Mahdi Al
Barghathi, l’Interno ad Al Aref Al
Khoja, la Giustizia ad Abdelsalam
Junaidi e gli Esteri a Marwan Abusrewil. L’agenzia libica Lana sottolinea che il vice presidente per la
regione orientale Ali Al Qatrani, e
il ministro di Stato nel Consiglio
presidenziale Omar Al Aswad si
sono ritirati dalle riunioni consultive di ieri a Tunisi e non hanno firmato il decreto sulla formazione
del Governo di unità nazionale.
Sviluppo integrale e sostenibile auspicato dal cardinale Parolin
ROMA, 19. Dal 2010 al 2015 il patrimonio dei 62 supermiliardari nel
mondo è aumentato del 44 per cento, arrivando ai 1760 miliardi di dollari. Questo mentre il reddito delle
fasce più povere della popolazione è
crollato del 41 per cento. A certificarlo è uno studio dell’Oxfam (ong
internazionale che si batte per lo
sradicamento della povertà), che
esce in concomitanza con l’apertura
dell’annuale vertice di Davos organizzato dal World Economic Forum.
Il fatto è all’apparenza semplice: a
causa della crisi lo squilibrio nella
distribuzione della ricchezza aumenta, la polarizzazione dei redditi mina
le basi della crescita per i ceti medi,
creando sacche di povertà e disoccupazione. Ma è proprio così? Davvero
la colpa delle crescenti disuguaglianze va data esclusivamente al mercato, alle speculazioni selvagge, alla
globalizzazione e alle rivoluzioni introdotte dalle nuove tecnologie? A
queste
domande
il
rapporto
dell’Oxfam dà una risposta negativa,
suggerendo un’analisi fuori dal coro:
sono le grandi imprese che, servendosi dei “paradisi fiscali”, evitano i
loro doveri fiscali e quindi sottraggono denaro alle casse degli Stati
che invece potrebbero utilizzare quei
fondi per promuove piani di protezione sociale, formazione, reinserimento, ecc. In altre parole, l’O xfam
propone un cambiamento di ottica:
non bisogna più guardare ai movi-
menti dei mercati (titoli, prezzi, concorrenza dei Paesi in via di sviluppo,
svalutazioni competitive, ecc.) ma alla responsabilità sociale e finanziaria
delle multinazionali e alla rete di interessi che proteggono. La mancanza
di responsabilità e di scelte coraggiose da parte di queste grandi imprese è la radice delle difficoltà dei
mercati e delle disuguaglianze dei
redditi. La denuncia dell’Oxfam è
significativa per due ragioni. La prima è che, come detto, arriva proprio
alla vigilia dell’apertura del vertice
di Davos, tradizionale summit che
vede tra i partecipanti alcuni dei
massimi esponenti dell’élite politicoeconomica del mondo. Tra l’altro —
fanno notare molti analisti — molte
delle multinazionali nel mirino del-
Combattimenti a Deir Ezzor mentre a Madaya e in altre località assediate arrivano i primi convogli umanitari
Escalation di violenze nell’est della Siria
DAMASCO, 19. Escalation di violenze
nell’est della Siria. Nuovi combattimenti sono stati segnalati a Deir
Ezzor, la città dove sabato scorso
centinaia di civili sarebbero stati uccisi, secondo fonti di Damasco, dai
miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is).
E ieri gli uomini di Al Baghdadi,
con un comunicato e delle foto,
hanno rivendicato la cattura di circa
quattrocento militari governativi si-
riani, che si teme possano essere uccisi nelle prossime ore.
I combattimenti nella città assediata dalle forze dell’Is non conoscono tregua. I jihadisti affermano
di aver ucciso finora almeno cinquanta militari siriani, un altro centinaio nelle ultime 48 ore. L’agenzia
governativa Sana dice che le forze
lealiste hanno ripreso il controllo di
buona parte del villaggio di Baghaliya e dei dintorni di Ayash, entrambi alle porte di Deir Ezzor. Nel cen-
tro abitato, invece, l’esercito ha respinto un attacco dei jihadisti al
quartiere di Al Rashediya. Si combatte anche attorno all’aeroporto
militare situato a sud della città.
Nel frattempo, convogli umanitari hanno consegnato altro cibo, medicine e carburante in quattro città
sotto assedio in Siria: Madaya, Zabadani, Fuaa e Kafraya. Come rende noto un comunicato congiunto
delle Nazioni Unite, della Commissione internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa, quantità
di carburante sono state consegnate
a Fuaa e Kafraya, villaggi assediati
dai ribelli, e a Madaya, che è sotto
l’assedio delle forze governative; ci-
bo e medicine sono inoltre state distribuite a Zabadani. Il comunicato
precisa però che non è stato possibile entrare a Fuaa e Kafraya per
valutare le necessità umanitarie. «La
squadra ha dovuto rinviare la missione a Fuaa e Kafraya perché i
gruppi armati hanno detto di aver
bisogno di altro tempo per mettere
a punto la sicurezza nelle zone sotto
il loro controllo» si legge nella nota.
Le quattro città rientrano in un accordo raggiunto lo scorso settembre
con la mediazione dell’Onu mirato
a metter fine ai combattimenti e
permettere la consegna di aiuti. E
sulla situazione umanitaria in Siria è
intervenuto ieri anche l’Alto com-
missario Ue per la politica estera e
di sicurezza comune, Federica Mogherini. Per Bruxelles — ha detto —
«occorre proteggere il processo, fragile ma importante, per porre fine
al conflitto siriano». La linea
dell’Ue, ha spiegato Mogherini, è
lavorare per «superare la guerra civile e contrastare l’Is, che resta una
minaccia per il Paese e per la regione». Sul fronte politico, Russia e
Qatar stanno sostenendo trattative
tra il Governo siriano e l’opposizione. Dovrebbero iniziare entro la fine
del mese. L’annuncio è stato dato
ieri al termine dell’incontro a Mosca
tra il presidente russo e l’emiro del
Qatar.
l’Oxfam sono sponsor della manifestazione. La seconda ragione è che il
rapporto esce proprio in un momento critico per i mercati. Dalle Borse
asiatiche è partita una nuova onda
anomala che sta travolgendo i listini
dell’occidente. Il nuovo scossone —
dopo la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti e quella dei debiti sovrani in Europa — partirebbe dalla
Cina, che sta registrando il peggior
rallentamento della crescita negli ultimi 25 anni. E se rallenta un Paese
da quasi un miliardo e mezzo di
persone, a farne le spese sono tutti
gli altri, nessuno escluso. A ciò si
aggiunge poi il crollo dei titoli bancari e del prezzo del petrolio, ormai
molto al di sotto della quota psicologica dei trenta dollari.
Di fronte a un simile scenario diventa essenziale il richiamo a una
forma di sviluppo più integrale e sostenibile, come ha sottolineato il cardinale Pietro Parolin, segretario di
Stato, nel suo intervento, ieri a Roma, alla tavola rotonda organizzata
dal Global Foundation. È necessario
— ha detto Parolin — «mettere il potere creativo dell’intelligenza umana
al servizio del bene comune, con
spirito di solidarietà e misericordia».
In tal senso, ricordando le parole di
Papa Francesco, il cardinale ha indicato soprattutto la necessità della
«corretta applicazione della tecnologia» e del «controllo dello spirito
d’impresa» quali «elementi essenziali
di un’economia che vuole essere moderna, inclusiva e sostenibile».
In un libro di Aldo Schiavone
Gesù visto da Pilato
di LUCETTA SCARAFFIA
on è la prima volta che succede, e forse
in questi ultimi anni succede perfino più
spesso, che gli occhi di un laico, di uno
scrittore non “esperto” di esegesi, riescano a vedere nella narrazione evangelica e nei suoi personaggi aspetti nuovi e ipotesi interpretative sfuggite a chi li studia professionalmente. E riescano,
soprattutto, a farli rivivere con una forza viva, vera e particolarmente coinvolgente. Questo è senza dubbio l’effetto immediato dell’ultimo libro
che Aldo Schiavone, uno fra i più grandi studiosi
di diritto romano, ha dedicato a Ponzio Pilato.
È un testo audace e spiazzante, non solo per la
sapienza con cui ha saputo fondere la sua profonda conoscenza storica e giuridica del periodo
con la materia incandescente che tratta, non solo
per la scrittura veramente appassionante, che
coinvolge in una suspense il lettore anche quando sa già benissimo come andrà a finire.
Il libro è bellissimo perché ha capito che si poteva indagare su Pilato, e raccontare chi era il
prefetto della Giudea, solo raccontando chi era
Gesù. Anche se Schiavone ha dato di Gesù
un’interpretazione certo approfondita sul piano
storico — splendidi sono i passi sulla legge giudaica e sul modo diverso e rivoluzionario di Gesù di intendere il rapporto con il potere — ma in
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Soccorsi nella città di Aleppo colpita da bombardamenti (Afp)
fondo riduttiva, perché lo studioso evita volutamente di toccare il tema teologico della salvezza.
Le ragioni di questa lacuna si possono cogliere
in una frase dell’introduzione: «La verità dei
Vangeli risiede ormai molto di più nella potenza
millenaria del cristianesimo che nella riscontrabilità oggettiva del loro racconto». Affermazione
che in realtà viene smentita proprio da questo libro e dalla sua trascinante bellezza: il racconto è
così bello perché l’autore si è lasciato prendere
da quelle parole, è entrato in quella scena, ha assistito a quel confronto nel momento in cui si
svolgeva. Il libro è splendido perché Schiavone
ha “visto” Gesù. Certo, l’ha “visto” attraverso gli
occhi di Pilato, ma ha capito — e in questo sta la
principale grandezza del testo — che Pilato lo
aveva “visto”.
Nel libro si spiega bene chi è Pilato, chi sono
Caifa e Anna, chi sono gli evangelisti, ma noi
non “vediamo” nessuno di loro: vediamo solo
Gesù. Da questo si capisce che l’autore ha trasmesso un’esperienza vera. E vedere Gesù cambia
la vita in senso profondo: questo rende il libro
grandissimo, diverso da tutti gli altri. Anche di
ricerche importanti sui vangeli scritte da cristiani
convinti.
È in questo “vedere” che sta l’interpretazione
di Pilato sostenuta da Schiavone, la stessa già
avanzata — ma grazie all’accesso a fonti oggi
scomparse — da Tertulliano: e cioè che Pilato
avesse capito che il condannato voleva farsi condannare, Gesù sapeva bene che questo era il suo
destino e vi stava andando incontro.
In un crescendo: prima intuisce «la presenza
dell’ignoto davanti a lui», poi capisce che il suo
comportamento come prefetto e la sua posizione
di comando «sono ricompresi in un disegno che
li oltrepassa completamente», infine arriva alla
consapevolezza che tra lui e Gesù «si sia stretto
come un tacito e indicibile patto».
È un’interpretazione che va contro la tradizione condivisa che Pilato sia colui che non decide,
che “se ne lava le mani”, immagine a cui rimanda
anche — in questo caso fuori luogo — la copertina del libro. Forse invece Pilato è stato veramente, come ha scritto Tertulliano, pro sua conscientia
Christianus. In ogni caso, come sottolinea Schiavone, il suo nome doveva restare unito per sempre a quello di Gesù.
Un enigma
tra storia e memoria
ALD O SCHIAVONE
A PAGINA
5
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 2
mercoledì 20 gennaio 2016
Il confine
tra Serbia ed ex Repubblica jugoslava
di Macedonia (Reuters)
Dati allarmanti nel rapporto dell’Istat
Bullismo
piaga italiana
BERLINO, 19. Nell’Europa che litiga
sui profughi, ora si teme l’effetto domino. Dopo gli annunci dell’Austria,
anche la Slovenia e la Croazia sono
pronte a sospendere gli accordi di
Schengen sulla libera circolazione in
Europa. In realtà Vienna aveva ristabilito i controlli sulle frontiere già
nel settembre scorso, e va verso un
proroga della misura, e il Governo
di Hans-Werner Faymann non esclude che il provvedimento possa riguardare anche il Brennero, cioè la
principale frontiera con l’Italia.
«L’Austria ha istituito di nuovo
controlli temporanei alle frontiere a
settembre, e queste misure sono in
vigore da quel momento», ha affermato il portavoce del ministero
dell’Interno austriaco, Karl-Heinz
Grundboeck, aggiungendo che «la
durata della proroga dipenderà dal
comportamento degli altri Paesi».
L’Austria ha accolto nel 2015 oltre
90.000 richiedenti asilo, spiegano al
ministero, e per il 2016 le stime sono
ancora più elevate. Il ministro degli
Esteri austriaco, Sebastian Kurz, ha
invece attaccato la Grecia, «poco disposta a lasciarsi aiutare» nella gestione della sicurezza delle frontiere
esterne, facendo presente che non si
arriverà a una soluzione europea, si
dovrà «ricorrere a misure nazionali,
o a un coordinamento fra pochi Paesi dell’Unione europea».
Nel frattempo, l’O rganizzazione
internazionale per le migrazioni ha
fatto sapere che nei primi 18 giorni
Dopo l’Austria anche Slovenia e Croazia verso la chiusura dei confini ai migranti
Effetto domino
di gennaio, sono già arrivati in Grecia via mare 31.244 migranti, pari a
21 volte gli arrivi per l’intero gennaio
2015 quando furono 1.472. I numeri
– dice l'organizzazione – «suggeriscono che gli arrivi marittimi in Grecia nel 2016 possano superare in modo significativo gli 853.650 migranti
che sono arrivati in Grecia via mare
nel 2015».
Stanziati due miliardi di euro per nuovi posti di lavoro
Piano di Hollande
contro la disoccupazione
Il presidente francese Hollande (Ap)
PARIGI, 19. Misure contro la disoccupazione in Francia. Il presidente
François Hollande ha presentato
ieri, a meno di diciotto mesi dalla
scadenza del suo mandato, un piano d’emergenza sul lavoro da oltre
due miliardi di euro. «Di fronte al
disordine mondiale, di fronte a una
congiuntura economica incerta e a
una disoccupazione persistente, c'è
anche uno stato d’emergenza economico e sociale da proclamare»,
ha affermato Hollande durante i
lavori del Consiglio economico e
sociale a Parigi. «Oltre alla sicurezza — ha continuato il presidente —
l’occupazione è l’unica cosa che
conti per i francesi».
Tra le misure del piano d’emergenza ci sono anzitutto i programmi per la formazione di 500.000
disoccupati meno qualificati, in
particolare in settori come il digitale e l’ambiente. Gli iscritti a questi
nuovi corsi di formazione non verranno più conteggiati tra i senza
lavoro. Il capo dello Stato ha assicurato che in questa operazione
«non c'è nessun artificio statistico».
Ciò che conta — ha puntualizzato
— «è fare le riforme fino in fondo,
al di là delle scadenze elettorali».
Tra l’altro, il presidente prevede
incentivi immediati di 2.000 euro
all’anno per un periodo di due anni che andranno alle imprese che
assumono con contratti indetermi-
nati o a termine di almeno sei mesi. I due miliardi di euro, spiegano
al ministero dell’Economia, «verranno interamente finanziati da risparmi e tagli alla spesa dello
Stato».
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In questo scenario ad altissima
tensione, Lubiana e Zagabria hanno
annunciato che se Vienna dovesse
confermare i controlli ai propri confini, anche loro ripristinerebbero i
controlli rendendo così necessaria la
presentazione dei documenti per attraversare le frontiere. «Si tratta di
un effetto domino», ha affermato il
futuro vicepremier del Governo
Tempi lunghi
in Spagna
per formare
il nuovo Governo
MADRID, 19. Si allungano i tempi
in Spagna per la formazione del
nuovo Governo. A un mese dalle
legislative, che hanno lasciato il
Paese senza una maggioranza e
con un Parlamento molto frammentato, il re Filippo VI ha avviato le consultazioni politiche. Gli
incontri dureranno fino a venerdì,
quando Filippo vedrà Pablo Iglesias di Podemos, il socialista Pedro Sánchez e il presidente del
Governo uscente, Mariano Rajoy
del Partito popolare. Gli indipendentisti catalani di Esquerra Republicana de Catalunya e i baschi
di Euskal Herria Bildu hanno rifiutato di recarsi a palazzo reale
della Zarzuela. Il sovrano — dice
la stampa — è consapevole che la
formazione di un nuovo Esecutivo sarà un’impresa difficile e dai
tempi lunghi. «Penso che ci rivedremo nel prossimo futuro» ha
infatti detto Filippo a Isidro Martínez, rappresentante del piccolo
partito Foro delle Asturie, secondo quando ha riferito quest’ultimo ai media.
Un’indagine rivela decine di gare combinate
croato, Tomislav Karamarko, e l’Europa non potrà che prenderne atto.
Ma rimettere in discussione
Schengen e la libera circolazione
delle persone rischia di affossare il
progetto di Unione europea. Questo
il punto nodale dell'intervento tenuto oggi dal presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker,
nell’Aula del Parlamento europeo.
Juncker ha spiegato che se continua
così, «oggi si reintroducono i controlli alle frontiere, domani ci accorgeremo che il colpo economico è
considerevole e dopodomani ci chiederemo perché c’è ancora una moneta unica se non c’è più la libertà di
movimento».
In pratica, ha avvertito Juncker,
«il mercato unico e di conseguenza
l’Ue sono minacciati nei fondamenti». Per l’Europa «c’è un rischio
molto forte, un rischio di sopravvivenza», dovuto anche all’inazione
degli Stati membri, visto che su ricollocamento e redistribuzione dei
migranti «gli accordi raggiunti non
sono ancora tradotti in pratica».
ROMA, 19. Sempre più diffuso il fenomeno del bullismo in Italia. Secondo quanto riporta un’indagine
dell’Istat, risalente alla fine del
2015, un ragazzo su due (52,7 per
cento) nell'ultimo anno è stato preso di mira almeno una volta dai
bulli e circa uno su dieci (9,1 per
cento) ha subito atti di bullismo
con cadenza settimanale.
Le vittime — dice il rapporto —
sono per lo più ragazze, giovanissime (11-13 anni) e residenti al nord.
Le femmine, inoltre, sono più spesso bersaglio di cyberbullismo. Oltre il 55 per cento delle giovani 1117enni è stata oggetto di prepotenze qualche volta nell'anno, mentre
per il 20,9 per cento le vessazioni
hanno avuto almeno una cadenza
mensile e per il 9,9 per cento settimanale (contro, rispettivamente, il
49,9, il 18,8 per cento e l'8,5 dei
coetanei maschi). Tra le 11-17enni si
registra una quota più elevata di
vittime di cyberbullismo: il 7,1 per
cento delle ragazze che si collegano al web o dispongono di un cellulare sono state oggetto di vessazioni continue, contro il 4,6 per
cento dei ragazzi. Le vittime assidue di soprusi raggiungono il 23
per cento degli 11-17enni nel Nord.
Considerando anche gli episodi
sporadici, sono oltre il 57 per cento
le vittime residenti al Nord, contro
una quota inferiore al 50 per cento
nel centro e al sud.
Le prepotenze più comuni — si
legge ancora nel rapporto dell’Istat
— consistono in offese con brutti
soprannomi, parolacce o insulti
(12,1 per cento), derisione per l'aspetto fisico o il modo di parlare
(6,3), diffamazione (5,1), esclusione
per le proprie opinioni (4,7 per
cento). Aggressioni con spintoni,
botte, calci e pugni sono denunciate dal 3,8 per cento dei ragazzi. Il
16,9 per cento degli 11-17enni è rimasto vittima di atti di bullismo
diretto e il 10,8 di azioni indirette,
prive di contatti fisici.
E a rilanciare il dibattito sul bullismo in Italia c’è anche un recente
episodio di cronaca: il drammatico
gesto di una bambina di 12 anni di
Pordenone che ieri si è lanciata dal
balcone di casa. La giovanissima,
ferita non in modo grave, è stata
prima trasportata all’ospedale della
città e poi all’ospedale di Udine
per traumi agli arti inferiori. Prima
di cadere nel vuoto, la piccola ha
lasciato due lettere sulla scrivania:
una ai genitori, scusandosi per il
gesto; l’altra ai compagni di classe,
con una frase emblematica: «Adesso sarete contenti».
Cadendo, la bambina è finita
sulla tapparella del piano sottostante, che ne ha frenato la discesa,
poi è precipitata a terra. Rimasta
sempre cosciente, è stata immediatamente soccorsa. Oltre che nella
lettera lasciata sulla scrivania, anche nelle prime fasi dei soccorsi,
tanto al personale del 118, quanto
alla mamma e pure agli agenti della polizia che stanno svolgendo le
indagini, ha ripetuto il proprio disagio per i difficili rapporti con
amici e coetanei della scuola.
Juncker rilancia l’impegno contro il terrorismo
L’Europa
più forte delle minacce
BRUXELLES, 19. Il terrore non vincerà, «le nostre democrazie sono più
forti delle minacce e non ci lasceremo
intimidire». Con toni forti e senza
mezzi termini il presidente della
Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, ha rilanciato oggi l’impegno europeo contro il terrorismo. In un intervento al Parlamento europeo, Juncker ha spiegato che «i terroristi cercano di intimidirci e distruggere il
nostro modo di vivere; continueremo
a lavorare per preservare la nostra libertà». Da quando ci siamo incontrati qui l’ultima volta «sono accadute
atrocità a Jakarta e Istanbul, un ulte-
riore affronto alla nostra democrazia»; tuttavia «questo Parlamento —
ha aggiunto Juncker — sostiene i valori dei diritti umani che dovranno
trionfare sui terroristi che cercano di
intimidirci e distruggere il nostro modo di vivere». Continueremo «a lavorare per preservare la nostra libertà, il
nostro modo di vivere, di vivere insieme la nostra società e l’umanità
nel suo insieme». Ieri, intanto, è stato arrestato in Marocco Gelel Attar,
26 anni, belga di origini marocchine,
che è accusato di essere «legato direttamente» agli autori degli attentati
del 13 novembre a Parigi.
Tennis truccato
LONDRA, 19. Un altro scandalo
scuote e si abbatte sul mondo dello sport. Dopo le accuse di doping sistemico indirizzate nei giorni scorsi all’atletica leggera, adesso
il sospetto di decine di gare truccate aleggia pesantemente sul tennis. È quanto emerso da un’indagine congiunta condotta dalla Bbc
e BuzzFeed News, che sono venute in possesso di alcuni documenti
che evidenziano anche la scarsa attenzione, se non proprio la complicità, dei vertici dell’Atp, l’Associazione mondiale che riunisce i
giocatori professionisti. L’Atp sarebbe stata troppo timida nell’assumere provvedimenti o approfondire le inchieste sui giocatori sospettati di combine. Il numero di
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
atleti che sarebbero coinvolti è
considerevole. Bbc e BuzzFeed
News parlano addirittura di sedici
giocatori dei primi cinquanta della
classifica mondiale. Gli atleti negli
ultimi dieci anni avrebbero “aggiustato” i propri incontri ai massimi
livelli del tennis, compreso lo storico torneo di Wimbledon. Tutti i
sospetti sarebbero stati puntualmente segnalati alla Tennis Integrity Unit (un ente di controllo,
creato dalla stessa Atp, proprio
con lo scopo di stroncare le scommesse), eppure mai sospesi né oggetto di ulteriori accertamenti. Tra
gli accusati ci sarebbero anche alcuni vincitori dei tornei più prestigiosi e dotati dei montepremi più
elevati.
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Nel capodanno a Colonia
Primo arresto
per le violenze
alle donne
BERLINO, 19. La polizia tedesca
ha effettuato ieri il primo arresto
direttamente collegato alle violenze contro le donne avvenute
a Colonia la notte di capodanno. In manette è finito un algerino di ventisei anni, che risulta
avere presentato richiesta di asilo politico in Germania. L’uomo
è accusato dal procuratore generale di Colonia, Ulrich Bremer,
di avere aggredito una ragazza e
di averle poi sottratto il telefono
cellulare.
Secondo fonti della Procura,
la sua cattura risale a due giorni
fa: il giovane sarebbe stato localizzato in un centro di accoglienza per profughi a Kerpen,
cittadina che si estende alla periferia ovest di Colonia, nel Land
del Nord Reno-Westfalia. Insieme a lui è stato tratto in arresto
un connazionale ventiduenne,
anch’egli in attesa di asilo politico, ma soltanto per il furto di
un altro telefonino. Entrambi si
trovano adesso in custodia preventiva. Secondo la Procura, sono ben 766 le donne che hanno
presentato denuncia per i gravi
fatti della notte di San Silvestro
a Colonia. Circa la metà delle
denunce riguarda reati di natura
sessuale.
Altre sette persone sono state
arrestate finora per le violenze
della notte di San Silvestro, tra
le quali un terzo profugo algerino di venticinque anni, bloccato
venerdì scorso ad Aquisgrana.
Questi arresti, però, sono avvenuti per rapina.
Dopo i fatti di Colonia il Governo tedesco ha deciso di inasprire i controlli, ribadendo che
i migranti responsabili di reati
saranno puniti. In ogni caso, ha
dichiarato oggi il portavoce del
Governo, il cancelliere Angela
Merkel non intende cambiare linea politica in materia di immigrazione, malgrado le critiche.
La Germania non attuerà dunque misure restrittive sugli arrivi. Il cancelliere — ha detto il
portavoce — «ha un’agenda
chiara sulle questioni nazionali
ed europee. E a questa agenda
stiamo lavorando».
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L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 20 gennaio 2016
pagina 3
Il fumo su Sana’a provocato
dal raid saudita (Ap)
La peggiore siccità degli ultimi trent’anni
Etiopia in ginocchio
Dalla Fao aiuti per cinquanta milioni di dollari
ROMA, 19. In Etiopia oltre dieci milioni di persone sono ridotte alla fame a causa della perdita di bestiame
e del raccolto. Il Paese africano è
infatti investito dalla peggiore siccità degli ultimi trent'anni. La popolazione è allo stremo e il Governo
Sanguinosi
agguati
nella capitale
del Burundi
BUJUMBURA, 19. Uomini armati
hanno ucciso ieri nella capitale
del Burundi tre persone, tra cui
un alto funzionario del ministero
dell’Istruzione. Le altre due vittime, raggiunte dagli aggressori in
moto, erano un agente di polizia
e un avvocato. L’agguato è stato
compiuto a Bwiza, già teatro di
proteste contro il terzo mandato
presidenziale di Pierre Nkurunziza. In effetti, il Paese è scosso da
episodi di violenza da quando
Nkurunziza lo scorso aprile ha
deciso di concorrere a un terzo
mandato, vincendo le successive
elezioni di luglio, boicottate
dall’opposizione. Da allora, centinaia di persone sono rimaste
uccise in vari scontri.
Per fare fronte a questa tragica
situazione, il Consiglio di sicurezza dell’Onu cercherà di ottenere dal Governo di Bujumbura
l’apertura di un dialogo con l’opposizione nel quadro di una nuova mediazione. Come ha reso noto oggi l’emissario dell’Onu, Jamal Ben Omar, gli ambasciatori
dei quindici Paesi membri del
Consiglio di sicurezza inizieranno giovedì una missione di due
giorni a Bujumbura, la seconda
in meno di un anno. È previsto
in precedenza uno scalo della delegazione ad Addis Abeba, sede
dell’Unione africana.
Il problema, ha spiegato Ben
Omar, è che non esiste un processo politico per fare uscire il
Burundi dalla grave crisi che attraversa. Sarebbe necessario, ha
aggiunto in un colloquio con i
giornalisti, «un processo ampio
nel quadro di una mediazione
imparziale, con un calendario
chiaro, un ordine del giorno, un
accordo sui partecipanti, e questo
è quello che andiamo a trattare».
L’Uganda ha intrapreso da alcuni mesi una mediazione che finora non ha avuto successo. Le
Nazioni Unite hanno rafforzato
la loro presenza a Bujumbura, dispiegando questa settimana una
delegazione di venti persone incaricata di sorvegliare il rispetto
dei diritti umani e incoraggiare il
dialogo politico.
sta cercando rimedi. La grave crisi
alimentare è stata causata dal fenomeno El Niño, legato al riscaldamento anomalo delle acque superficiali dell’Oceano Pacifico che provoca siccità in alcune zone del mondo e inondazioni in altre.
Per far fronte all'emergenza la
Fao (organizzazione delle Nazioni
Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) ha stanziato cinquanta milioni
di dollari per interventi dedicati alla
protezione degli allevamenti e al ristabilimento della produzione agricola, crollata anche del 90 per cento
in alcune regioni del Paese e completamente fallita in quelle orientali.
«Le prospettive per il 2016 sono
molto negative — ha sottolineato
Amadou Allahoury, rappresentante
della Fao in Etiopia — dopo la perdita di due raccolti consecutivi. Il
buon esito del raccolto della stagione che inizia sarà fondamentale».
Secondo l’ultimo rapporto della
Fao, in Etiopia l’accesso a pascoli e
a fonti d’acqua continuerà «a diminuire fino all’inizio della prossima
stagione delle piogge a marzo». Le
riserve di raccolti sono «praticamente esaurite», lasciando i contadini
«vulnerabili» e «senza mezzi di produzione». La conseguenza è che la
malnutrizione è drasticamente aumentata.
Obiettivo del piano messo a punto dalla Fao è di assistere «1,8 milioni di contadini e allevatori nel
2016 per ridurre le deficienze alimentari e ripristinare le fonti di reddito»; la prima fase si concerterà
«tra gennaio e giugno», durante la
quale saranno assistite 131.500 famiglie a seminare. Il piano prevede distribuzione di semi, progetti di irrigazione su piccola scala, sostegno
per la creazione di orti domestici,
accesso
a
microcredito.
Circa
293.000 famiglie beneficeranno di
progetti mirati all’allevamento. Saranno rafforzati i mezzi di sussistenza di oltre 30.000 famiglie per migliorare la loro capacità di reazioni
a fenomeni del genere. La siccità,
sottolinea ancora la Fao, tiene sotto
scacco anche il Sud Africa dove si è
appena chiuso l’anno più arido mai
registrato.
Trenta morti in un raid contro una roccaforte dei ribelli a Sana’a
Non si placa la violenza nello Yemen
SANA’A, 19. Malgrado gli sforzi delle Nazioni Unite non
si placa il conflitto nello Yemen tra le forze lealiste del
presidente Abd Rabbo Mansour Hadi, riconosciuto
dalla comunità internazionale, e i ribelli huthi. E la
popolazione civile è sempre più vittima di questa tragica situazione. Nella capitale Sana’a — controllata dal
settembre del 2014 dai ribelli huthi — un raid aereo della coalizione a guida saudita ha colpito ieri una sede
della polizia. Il bilancio è di almeno trenta morti e altrettanti feriti, secondo quanto hanno reso noto fonti
locali.
La coalizione lancia quasi quotidianamente raid per
colpire i ribelli huthi nella capitale e nel nord dello Yemen. Sempre ieri, un giudice è stato ucciso ad Aden,
nel sud del Paese. Secondo quanto riportato dalla polizia, uomini armati non identificati a bordo di una moto
hanno aperto il fuoco contro Abdelhadi Mohammed,
vicino alla sua abitazione, nel quartiere di Mansoura.
L’attentato è l’ultimo di una serie di attacchi contro i
responsabili della sicurezza nella città dove i gruppi
jihadisti come Al Qaeda nella penisola arabica e il cosiddetto Stato islamico (Is) hanno una forte presenza.
Giovanissimi gli autori della strage nel Burkina Faso
Un piano per rilanciare i negoziati tra Governo e talebani
Minori usati
come strumenti di morte
Progressi
nel dialogo afghano
OUAGAD OUGOU, 19. I minori sono
sempre di più usati come tragici
strumenti di morte dal terrorismo
jihadista. Sono infatti tre i ragazzini, probabilmente minorenni, che si
sono fatti esplodere venerdì scorso
in un bar e in un hotel di Ouagadougou, capitale del Burkina Faso,
uccidendo ventinove persone, tra
cui un bambino italiano di nove anni. Le foto dei tre giovani terroristi
suicidi sono state divulgate ieri sera
dal ramo nordafricano di Al Qaeda,
l’Aqmi. Sono tutti giovanissimi. Impugnano i fucili in mimetica, con lo
sguardo di sfida e la bandiera nera
sullo sfondo.
Gli investigatori danno la caccia
ai loro complici: nelle ultime ore sono emersi dettagli del piano che li
ha portati a compiere l’attentato. Il
ministero dell’Interno del Burkina
Faso ha rivelato che i tre attentatori,
prima di compiere la carneficina, si
sono recati in una moschea adiacente all’hotel. E proprio nell’albergo
avrebbero addirittura affittato una
stanza, che ha consentito ai tre e ai
loro presunti complici di effettuare
delle ricognizioni sugli obiettivi prima di passare all’azione.
Non è il primo caso di giovanissimi indottrinati al jihad dalla propaganda dei gruppi terroristici. Lo
scorso gennaio un ragazzino di
quindici anni di origini curde ha attaccato con un machete, ferendolo,
un insegnate ebreo che portava la
kippah in una strada di Marsiglia.
Catturato, ha detto di aver agito «in
nome dell’Is», il cosiddetto Stato
islamico. E anche Al Qaeda non è
da meno nel reclutare minori. Lo
scorso marzo, l’Is ha pubblicato il
video di un bambino mentre uccideva con un colpo di pistola una presunta «spia del Mossad».
A luglio, un gruppo di ragazzini
è stato immortalato in un video
mentre uccideva venticinque uomini
a Palmira. Il video è poi stato diffuso in rete dall'Is. Altri sono addestrati nelle basi in Libia, mentre in
Iraq quattrocento minori yazidi rapiti dallo Stato islamico stati arruolati e addestrati come attentatori
suicidi.
Anche Boko Haram fa ricorso all'uso dei minori per fini terroristici.
Gli affiliati dell’Is Africa occidentale
hanno seminato morte e sangue in
tutta la regione ricorrendo ai bambini e alle bambine. Tutti giovanissimi, probabilmente ignari o costretti
contro la propria volontà. A dicembre tre ragazzini hanno fatto strage
a un checkpoint dell’esercito nello
Stato di Borno.
Ma è a ottobre che va in scena il
crimine più efferato: cinque ragazzine si sono fatte esplodere nei pressi
di una moschea a Maiduguri, uccidendo nove persone.
KABUL, 19. I partecipanti al secondo incontro quadripartito (Afghanistan, Pakistan, Stati Uniti e Cina)
che si propone di rilanciare il processo di pace afghano hanno assicurato ieri sera a Kabul di avere compiuto progressi sulla «messa a punto di una Road Map che permetta
di iniziare un dialogo fra Governo
e talebani».
La Road Map, si legge in un comunicato, «punta a fissare specifiche misure necessarie alla creazione
di un clima propizio all’avvio di
colloqui di pace, a guida e gestione
afghana, fra rappresentanti del Governo di Kabul e dei gruppi talebani per la riduzione della violenza
nel Paese e il raggiungimento di
una pace stabile». In questo ambito
i partecipanti all’incontro hanno rivolto un appello ai talebani «ad avviare il più presto possibile un dialogo con il Governo in modo da risolvere le divergenze politicamente
d’accordo con la volontà e le aspirazioni del popolo afghano».
Il prossimo appuntamento del
gruppo, dopo il primo svoltosi a
Islamabad l’11 gennaio scorso, è stato fissato per il 6 febbraio nella capitale pakistana. All’incontro di ieri
hanno partecipato i viceministri degli Esteri afghano e pakistano, Hekmat Khalil Karzai e Aizaz Ahmad
Chaudhry, l’inviato speciale statunitense per Afghanistan e Pakistan,
Auspicati interventi contro il riscaldamento globale
Appello di Ban Ki-moon sul clima
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon (Reuters)
NEW YORK, 19. «È tempo di agire
per fermare il riscaldamento globale». I Governi, il settore privato e le
organizzazioni internazionali devono
«iniziare a lavorare per attuare gli
ambiziosi obiettivi» per uno sviluppo sostenibile adottati dall’Onu a
settembre.
Questo il richiamo espresso dal
segretario generale delle Nazioni
Unite, Ban Ki-moon, in un intervento durante l’annuale World Future
Energy Summit di Abu Dhabi. Sul
riscaldamento climatico, a dicembre
è stato raggiunto uno storico accordo durante la Conferenza mondiale
sul clima Cop21 di Parigi, che prevede l’impegno a mantenere il rialzo
delle temperature al di sotto dei due
gradi. «Abbiamo davanti a noi cinque anni cruciali prima che l’accordo
di Parigi entri in vigore. Cinque anni
che dobbiamo usare per dare vita al-
la trasformazione delle nostre economie», ha sottolineato il ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius.
«Il costo delle tecnologie pulite
scenderà e gli investimenti nell’economia low-carbon devono aumentare», ha aggiunto il ministro, avvertendo che occorre mantenere vivo lo
«spirito della Conferenza di Parigi».
L’emergenza clima, infatti, non diminuisce. L’anno da poco concluso,
hanno confermato i meteorologi internazionali, è risultato essere il più
caldo da quando esistono le rilevazioni. Il 2015 ha così scalzato il 2014
come anno più rovente della storia
ed è probabile — indicano gli esperti
del settore — che questo trend al riscaldamento inarrestabile possa proseguire anche nei prossimi undici
mesi. Con il sempre più probabile risultato che il 2016 risulti ancora più
caldo del 2015.
Richard Olson, e quello cinese per
l’Afghanistan, Deng Xijun.
Nel frattempo, si svolgeranno il
15 ottobre le elezioni parlamentari e
amministrative in Afghanistan, rinviate dallo scorso a giugno a causa
dell’instabilità politica. Lo ha reso
noto ieri il capo della commissione
elettorale, Yousuf Nuristani. Il
mandato quinquennale del Parlamento afghano era scaduto a giugno ma le elezioni parlamentari
erano state posposte a causa dei timori sulla trasparenza e correttezza
del voto dopo le controversie che
avevano paralizzato il Paese in seguito alle presidenziali del 2014.
Attentato
suicida
a Peshawar
ISLAMABAD, 19. Almeno dieci
persone sono stati uccise oggi in
un attentato suicida a un posto
di blocco a Peshawar, nel nord
ovest del Pakistan. L’esplosione
è avvenuta nei pressi del mercato
di Karkhano dove stazionava
una pattuglia della forza paramilitare della Khyber Khasadar
Force.
Secondo una prima ricostruzione, l’attentatore suicida è
giunto a bordo di una motocicletta e si è fatto esplodere vicino al posto di blocco eretto lungo Jamrud Road, alla periferia
della città. Sul posto sono giunte
le squadre degli artificieri per accertare la natura della deflagrazione, mentre le forze dell’ordine
stanno setacciando l’area alla ricerca di indizi. Tra le vittime —
si contano anche molti civili, tra
cui un bambino — c’è anche un
ufficiale, Nawab Shah e il presidente della Tribal Union of
Journalists, Mehmoob Shah.
Le immagini delle televisioni
mostrano alcuni veicoli distrutti
dalle fiamme che si sono sprigionate dopo la deflagrazione.
Nell’ospedale Hayatabad dove
sono stati portati decine di feriti
— anche per questo il bilancio
delle vittime potrebbe aggravarsi
con il passare delle ore — è stata
dichiarata l’emergenza. La Khasadar Force è una milizia filogovernativa che opera nei distretti
tribali con compiti di polizia.
Cooperazione
tra Aiea
e Teheran
TEHERAN, 19. Il presidente iraniano, Hassan Rohani, che ieri ha incontrato il direttore generale
dell’Agenzia internazionale per
l’energia atomica (Aiea), Yukya
Amano, ha invitato l’organizzazione dell’Onu a collaborare con
Teheran, mentre svolgerà i suoi
compiti di supervisione sul rispetto dell’accordo dello scorso luglio
sul nucleare pacifico iraniano.
Teheran continuerà a rispettare
i suoi impegni come ha sempre
fatto, ha assicurato Rohani, se l’altra parte farà altrettanto. Amano
ha incontrato anche il capo
dell’Agenzia atomica iraniana, Ali
Akbar Salehi. Quest’ultimo ha poi
riferito di aver chiesto all’Aiea una
compensazione per l’Iran, per tutte le opportunità di cooperazione
perse in questi ultimi 12 anni in
cui Teheran è stata penalizzata
dalle sanzioni internazionali.
L’Iran ha intanto preso posizione sulle altre misure varate dagli
Stati Uniti — dall’impatto peraltro
limitato a una quindicina di società e individui — contro i nuovi
missili balistici, e va avanti sulla
sua strada: quella di proseguire
nel suo programma che, ha detto
ieri il ministero degli Esteri, è «legale» in quanto finalizzato non
all’uso di testate nucleari, ma solo
allo «sviluppo delle capacità di difesa».
Missione a Riad
del premier
pakistano Sharif
RIAD, 19. Il primo ministro pakistano, Nawaz Sharif, sta portando
avanti una missione diplomatica
in Arabia Saudita e in Iran. Ieri il
premier ha incontrato a Riad re
Salman e alcuni membri del Governo saudita cui ha manifestato
preoccupazione per le tensioni esistenti nella regione e in particolare
nelle relazioni irano-saudite. Sharif, si è appreso, ha rivolto un appello per una rapida soluzione
delle divergenze fra le due Nazioni con mezzi pacifici e «nell’interesse supremo della Ummah (la
comunità islamica)», in particolare
in quest’epoca, densa di difficoltà.
Il premier pakistano è giunto oggi
in missione a Teheran dove è previsto un incontro anche con il presidente iraniano, Hassan Rohani.
L’OSSERVATORE ROMANO
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mercoledì 20 gennaio 2016
Anche le farfalle
Meditazione come antidoto alla fuga da se stessi
di PABLO D’ORS
l lavoro, l’agitazione, le chiamate, gli impegni. Tutto sembra cospirare per distoglierci da noi stessi. Alla fine, ovunque
siamo, la domanda «chi sono?», che risuona di continuo, non ottiene risposta.
Ci affanniamo allora per riempirci di più lavoro e
più agitazione, di più impegni e più corse, di più
andirivieni, messaggi, chiamate, commissioni, appuntamenti. Facciamo di tutto pur di non ascoltare quella domanda insopportabile e insistente:
chi sono? dove vado? che senso ha il mondo? Ma
quella domanda, comunque la formuliamo, sta
sempre lì, palpitando costantemente, nascosta
dietro l’angolo.
In un volto che incrociamo. In un secondo che
sembra non passare mai. Nel rumore del termosifone, nel gocciolio di un rubinetto, o in una sveglia che suona. «Chi sei? Dove vai? Che fai qui?
Che stai facendo della tua vita?». Tutto per sapere una sola cosa: «Sono amato? Ho diritto a esistere?». Infine accade qualcosa.
I
so del giorno. O della notte. E per vedere e
ascoltare il mistero, discreto e insieme potente. E
per sperimentare una gioia profonda, immotivata.
Meditiamo per risvegliarci dal sonno, per scoprire che siamo luminosi. Per tirar fuori il meglio
di noi stessi. Per essere quello che siamo. Per non
Gli interrogativi che tanto ci spaventano
si nascondono dovunque
In un volto che incrociamo
nel gocciolio di un rubinetto
In un secondo che sembra non passare mai
stare separati e percepire che tutto, anche ciò che
ci appare peggiore, è buono. Meditiamo per rendere culto alla fiducia, per abitare serenamente
nell’oscurità, per contemplare quel «chi sono?»
come chi vede volare una farfalla. Il lavoro, l’agitazione, le chiamate sì… Ma anche le farfalle.
Sull’audacia innovativa del padre della pittura italiana
di PIETRO PETRAROIA
Nuova luce su Giotto: questa, in sintesi, è l’esperienza vissuta dai centonovantamila visitatori della mostra
milanese Giotto, l’Italia, realizzata da
Electa con Palazzo Reale di Milano,
di recente conclusasi e a partire dalla
quale prende ora le mosse un programma di ricerca scientifica, convegni, pubblicazioni che si svilupperà
nel corso del 2016 con la collaborazione di enti pubblici e di fondazioni private.
La mostra, dunque, non è finita
del tutto, anzi è stata un inizio. Nata in occasione di Expo Milano 2015
per proporre agli italiani e a un pubblico internazionale l’incontro a tu
per tu con il sommo artista che ha
dato origine alla pittura italiana, ha
accompagnato anche la conclusione
dell’Anno internazionale della luce:
una coincidenza che possiamo cogliere come suggerimento a leggere
l’innovazione giottesca proprio secondo l’esperienza della luce.
L’incontro diretto con Giotto, in
una mostra senza precedenti per il
numero di sue opere poste a confronto, ci sollecita infatti a capire
meglio come in Italia, fra Duecento
e Trecento, sia maturata una nuova
comprensione della luce: quella naturale, della quale gode il nostro
sguardo rivolto al mondo attorno a
noi, fino al cosmo; quella della conoscenza, che abilita il nostro intelletto alla comprensione sia del mondo che delle persone; quella teologica, nel suo riferimento a Dio stesso,
da cui irradia incessantemente una
nuova visione di ciò che siamo.
Nella storia, a ogni cambiamento
di comprensione e di uso della luce
— nell’ambiente, nel pensiero, nella
lingua — corrisponde una mutazione
significativa della percezione di noi
stessi e del mondo.
L’arte di ogni tempo sa intercettare e tradurre creativamente tutto
ciò, provocando a sua volta
un’esperienza innovativa di sguardo. Una simile considerazione si
impone, come la mostra ha provato,
sin dalle primissime opere note del
maestro, ad esempio quando ci si
trovi al cospetto del piccolo frammento di “cona” da Borgo San Lorenzo, presso Firenze: una tavola
Infine ci fermiamo. Forse solo per un minuto.
Forse per due o tre o per pochi secondi. Allora la
domanda risuona chiaramente e alla fine ci arrendiamo. Che bello è il momento della resa! Che
bello quando gettiamo le armi e, nudi, ci arrendiamo a quell’evidenza che è la vita e che ci ostiniamo tanto a coprire!
La vita, è questo tutto il mistero. La paura, è
questo tutto il nostro problema. Meditiamo per
non sfuggire dalla vita. Per ascoltare quella domanda. Per lasciarla palpitare, come se fosse viva.
Meditiamo per imparare a fermare la macchina
dei desideri e il motore dei pensieri. Per fare una
sosta nella corsa. Per entrare in sintonia con
l’universo, questa sì che è una bella definizione di
meditazione. Per renderci conto che facciamo
parte di un tutto, di una realtà superiore.
Meditiamo per sapere che non siamo soli, per
capire che anche nella più profonda solitudine
siamo in comunione. Per unirci al canto del Creato, inudibile e insieme fragoroso, per comprendere che la paura è un fantasma e che non ha nessuna motivazione. Meditiamo anche per ricomporre i frammenti in cui ci siamo dispersi nel cor-
Giotto e la luce
dipinta presumibilmente da un
Giotto men che ventenne. Se la figura del Bambino è ormai quasi
tutta scomparsa (ma rivelata dalla
riflettografia all’infrarosso) la Vergine sorprende davvero, così eretta e
statuaria, capace di intercettare il
nostro sguardo nel suo come fosse
un’antica icona romana.
Ancor più sorprendente in quest’opera, forse di poco antecedente
al Crocifisso di Santa Maria Novella,
appare la relazione fra luce e ombra.
Non si tratta, come in Cavallini, di
splendide torniture volumetriche di
figure solenni, all’antica, ove la luce
di qui sul collo di Maria, fino alle
pieghe oblique del manto.
È un’audacia tutta nuova nella
pittura del momento, quella di metter l’ombra sul volto della Madre di
Dio; ma così la luce davvero ne scolpisce la presenza nello spazio. Forse
Cimabue stesso fu impressionato
dall’innovazione del suo allievo, a
ben guardare la sua Maestà della
Vergine agli Uffizi.
Quanto all’oro che risplende nei
fondali, in questo prezioso frammento è ormai del tutto perduto; ma rifulge nelle altre opere che la mostra
milanese ha proposto, e nelle quali
Polittico Baroncelli (1330 circa)
a modellare l’architettura: le mezze
figure della Madonna col Bambino e
dei santi, intenti all’ascolto delle preci dei fedeli, paiono affacciarsi da
una vera e propria loggia d’oro, la
cui struttura preziosa, fra modelli
classici e novità gotiche, condensa
mirabilmente la profondità dello
spazio architettonico nello spessore
del polittico: creature «discese di
cielo in terra a miracol mostrare».
Analoga soluzione spaziale, pur
con maggiore complessità, appare
nel monumentale Polittico Stefaneschi,
che la Fabbrica di San Pietro e i
Musei Vaticani hanno eccezional-
tre scende, gonfiandosi, un velo che Paolo
restituisce alla sua devota Plautilla.
La mostra milanese
ha consentito anche di
riavvicinare, dopo oltre cinque secoli, il
polittico
Baroncelli
della Basilica di Santa
Croce a Firenze con la
cuspide che da esso
era stata segata a fine
Quattrocento, riconosciuta da Federico Zeri a San Diego in California
nel
secolo
scorso e dal museo
che la possiede generosamente concessa in
prestito. L’opus reca
una firma sontuosa,
quasi un’iscrizione imPolittico Stefaneschi, il velo di Plautilla
periale: Giotto vi esi(secondo decennio del Trecento, particolare dal verso)
bisce il titolo di magiche
Roberto
ster,
d’Angiò gli aveva conferito e che Firenze gli confermò al e sul processo creativo del padre della pittura italiana.
rientro da Napoli, nel 1332.
È vivo in chi scrive l’auspicio che
L’eccezionale riaccostamento ha
sollecitato una rinnovata attenzione il 2016 segni una nuova tappa del
per il progetto figurativo, ispirato al percorso di collaborazione negli studi
giotteschi, cui la mostra ha dato
successo della Commedia dell’Alighieri, morto nel 1321: sono soprat- nuovo impulso grazie a enti e istituti
tutto i canti del Paradiso a riecheg- italiani pubblici e privati, annovegiare nell’impianto compositivo, che rando tra i principali protagonisti i
esalta l’armoniosa correlazione fra Musei Vaticani e il loro laboratorio
gioiosa preghiera contemplativa, mu- di diagnostica per la conservazione e
sica e dinamica della luce, fra dora- il restauro.
ture e riecheggiamenti cromatici. Un
canto mixto, come Dante lo definiva,
in cui i cantori non intervengono
tutti all’unisono, ma si vedono con
La morte di Glenn Frey
bocche aperte o chiuse ciascuno secondo la propria parte.
La luce ha invaso in modo sorprendente gli sguardi dei visitatori
Era uno dei migliori interpreti
mente consentito di ammirare a Mi- della mostra anche grazie all’installalano, ricevendolo ora di ritorno dalla zione che, riproducendo con proiedel country-rock californiano,
mostra nella sua sede espositiva con zioni a grandezza naturale la Capo perlomeno uno dei più
più adeguata protezione. Qui la rela- pella Peruzzi di Santa Croce a Ficonosciuti. Glenn Frey,
zione fra spazio architettonico, pae- renze, ha consentito di socializzarne
chitarrista fondatore degli
saggio e luce viene ripresa e svilup- la conoscenza offerta dalle riprese
Eagles, morto il 18 gennaio a
pata con una potenza coloristica all’ultravioletto, proiettate a piena al67 anni, ha attraversato con il
nuova, che apparenta il monumenta- tezza in alternanza continua con le
gruppo gli anni Settanta
le polittico vaticano al cantiere assi- immagini percepibili a luce visibile.
riscuotendo un enorme
siate di Giotto nella chiesa inferiore Si è trattato di un’esperienza davvesuccesso — una loro raccolta è
ro inedita, di solito riservata
tuttora il secondo disco più
venduto nella musica pop —
a pochi esperti e che ha perbruciato nel breve volgere di
messo di percepire pienaVi sono forti affinità
qualche anno. Alla stessa
mente quella qualità di disevelocità, verrebbe da dire, con
gno e composizione, che avetra la concezione dell’artista
la quale i giovani musicisti
va reso la Peruzzi luogo prie il pensiero di Dante
spendevano le loro vite nella
vilegiato di studio per il gio“dorata” California di quei
Anzitutto riguardo all’unità del creato vane Michelangelo Buonartempi. Fiumi di dollari, fiumi
roti.
Richiamando san Francesco
di droga e poi un inesorabile
Anche questa installazione,
disadattamento alla realtà. La
come l’allestimento e l’illumivita nella corsia di sorpasso,
nazione curati da Mario Belcome recitava una canzone
di San Francesco e in specie alla lini, ha messo dunque Giotto in una
degli Eagles (Life in the Fast
cappella della Maddalena, forse di nuova luce, quella del XXI secolo,
Lane), può essere esaltante,
poco precedente. Qui gli azzurri come ha scritto nella prefazione al
ma conduce alla distruzione.
sfolgoranti della Cappella degli catalogo Serena Romano, che con
O, se si è fortunati, a una
Scrovegni si tramutano in oro nei chi scrive ha curato la mostra.
sorta di prigione di lusso dalla
fondali, che però non evocano un
Lo studio di Giotto con irraggiaquale, come cantavano gli
empireo trascendente, bensì quello menti non visibili — che le moderne
Eagles in Hotel California, il
stesso cielo, fatto di aria e di vento, tecnologie permettono di usare porloro brano più conosciuto,
di cui facciamo esperienza con i no- tando alla nostra percezione ciò che
«puoi lasciare la stanza
stri sensi: nell’aria volteggiano ange- il nostro occhio nudo non vede —
quando vuoi, ma non puoi
li, salgono le bolle cristalline di Pie- offre piste di conoscenza sempre
tro e Paolo assunti in paradiso, men- nuove sulla metodologia progettuale
mai partire».
Vite veloci
dà risalto alle emergenze dei corpi;
ma di un lume più “naturale” e diretto, che irraggia dall’alto a sinistra
gettando ombre marcate sulla fronte
della Vergine, proiettando poi l’ombra del naso sulla guancia sinistra e
La placchetta
del pellegrino
Il 20 gennaio nella Sala
dell’Antico Oratorio della
chiesa dei Santi Bartolomeo e
Alessandro dei Bergamaschi,
alla presenza del cardinale
Raffaele Farina, presidente
della Pontificia Commissione
referente sull’Istituto per le
Opere di Religione, e
dell’arcivescovo Jean-Louis
Bruguès, archivista
Bibliotecario di Santa Romana
Chiesa, sarà presentata una
replica fedele della «Placchetta
del Pellegrino – Testimonium»,
il cui originale è custodito
nell’archivio del medagliere
della Biblioteca Vaticana.
torna costantemente protagonista:
basti considerare, fra quelle della
precoce maturità di Giotto, la tavola
di San Giorgio alla Costa e il Polittico
di Badia degli Uffizi.
Tutto però è diverso rispetto agli
schemi pittorici di emanazione
tardo-bizantina diffusi nel secondo Duecento in Italia centrale: l’oro dei fondi e delle aureole
di Giotto esprime in pittura un
contesto culturale che non separa affatto — come sarebbe invece
avvenuto nell’età moderna — la
funzione della luce come metafora del divino dalla sua funzione di naturale illuminamento
del nostro mondo.
In Giotto, dunque, il lucore
dell’oro non separa la luce divina, esperibile con una visione di
fede, dalla luce del nostro quotidiano, ma esibisce l’unità di un
creato ove, come scriveva Dante
Alighieri, «questa natura al suo
fattore unita / qual fu creata, fu
sincera e buona» (Paradiso, VII,
35-36), ovvero evoca in pittura la
convinzione di San Francesco,
che «lo frate sole… de te, altissimo, porta significazione».
Nel caso del Polittico di Badia, poi, l’oro abbandona decisamente l’empireo e viene quaggiù
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 20 gennaio 2016
pagina 5
Ponzio Pilato, un enigma tra storia e memoria secondo Aldo Schiavone
Accettando sino in fondo
quel che lo aspetta
il soccombente
diventerà il trionfatore assoluto
Nella luce
del primo mattino
ue figure si fronteggiano, rischiarate dalla luce del primo mattino.
Sono vicine, si parlano,
condividono il medesimo spazio. L’una è quella di un prigioniero, forse in catene; l’altra, del
suo inquisitore.
La scena è sospesa ed elettrica —
tutto deve ancora accadere — ma i
rapporti di forza appaiono sbilanciati e schiaccianti: si capisce che la
situazione può degenerare in un
niente, la violenza esplodere in ogni
momento; come infatti sarà. Non è
un colloquio. È un interrogatorio.
Eppure, l’uomo che sembra al comando, dall’attimo in cui ha incontrato il suo inquisito, si trova rispetto a lui nell’abisso di un’inferiorità
D
se già essenziale: sarà infatti solo richiamandola al nostro sguardo che
potremo chiarire, a tempo debito, la
svolta cruciale che avrebbe segnato
quel confronto. Ma per adesso è
proprio la scissione tra i due opposti piani — quello che appare e quello che si nasconde — ad addensare
sulla scena il suo particolarissimo
pathos.
Al centro continua a vedersi solo
l’incontrastato controllo di chi sta
conducendo l’inchiesta: anche se noi
sappiamo che la realtà di quel dominio è parziale, incompleta. Esiste
solo in funzione di un sovvertimento totale, che trasformerà il soccombente in un trionfatore assoluto. Accettando sino in fondo quel che lo
aspetta, quest’ultimo sta costruendo
Il libro
Un libro in cui la passione, controllatissima ma
evidente, e la storia, indagata con metodo rigoroso,
si alimentano reciprocamente. È questa in estrema
sintesi l’opera, non estesa ma molto densa (Ponzio
Pilato. Un enigma tra storia e memoria, Torino,
Einaudi, 2016, pagine V, 176, euro 22), in cui Aldo
Schiavone affronta il tratto principale della vicenda
storica del quinto prefetto della Giudea. Nel tempo i
contorni della sua figura sembrano dissolversi, ma il
nome di Pilato, pur nell’assuefazione rituale del
culto cristiano, resta e viene pronunciato ogni volta
che si recita il Credo, sia nella forma detta degli
apostoli sia in quella niceno-costantinopolitana.
Corredata da un apparato puntuale di riferimenti e
indicazioni bibliografiche, la narrazione si svolge in
modo avvincente, dal momento in cui entra in scena
nei vangeli il governatore romano all’ombra in cui la
sua figura viene inghiottita. Anche se la letteratura
biblica apocrifa e apologeti come Giustino e
Tertulliano fondano poi una tradizione sfaccettata
sino a farne un cristiano. Del libro di Schiavone
pubblichiamo l’inizio del prologo e una parte del
quarto capitolo. (g.m.v.)
senza scampo: che lo annienta (ai
nostri occhi) rispetto alla potenza
invisibile di chi gli sta davanti inerme e solo.
Il capovolgimento, tuttavia, per
quanto sconvolgente, non traspare.
È come frenato, occultato: il quadro
rimane drammatico e il contrasto vibrante. Non stiamo assistendo a una
finzione: c’è davvero una vita in
gioco. La rivelazione è trattenuta,
rinviata, e non cancella le condizioni che fissano i due personaggi ai
loro ingannevoli ruoli. È come se i
suoi effetti si producessero in un’altra dimensione, per ora lontana, pur
per se stesso un’apoteosi senza confini.
Consideriamo la posizione del
giudice.
Può capitare, talvolta, di trovarsi
a ricoprire un ruolo di gran lunga al
di sopra dei propri mezzi: e di esserci finiti per caso, senza averlo in
alcun modo cercato, o almeno non
rendendosene conto.
Di solito, più la sproporzione è
significativa, meno è frequente: quel
che ci accade, per la ragione stessa
che ne siamo al centro, è quasi sempre alla nostra portata. Un ferreo
principio di congruità regola abi-
Hristo Shopov è Ponzio Pilato nel film «The Passion of the Christ» di Mel Gibson (2004)
tualmente la meccanica delle nostre
esistenze, su qualunque scala esse si
svolgano.
Se però il metro arriva a spezzarsi, allora si producono conseguenze
dirompenti; tanto più se tutto si
consuma in velocità, e dura pochissimo, non oltre una manciata di ore.
Lo squilibrio può esaltare chi lo subisce, facendolo entrare in un nuovo
ordine di grandezze; oppure lo distrugge; o lo sprofonda solo nel ridicolo. Insomma: l’epico o il tragico
o il comico, anche mescolati insieme, a seconda del variare delle circostanze e delle differenti inclinazioni degli attori in campo.
Più raramente può verificarsi
qualcosa di ancora più estremo e, a
ben guardare, di veramente terribile.
Chi si trova nella tenaglia dell’asimmetria potrebbe non rendersi conto
di esservi precipitato dentro, e non
avvertire, se non in modo nebuloso,
l’eccezionalità di ciò che lo sta travolgendo. È inquieto, adotta una linea di condotta per lui non consueta, ma continua in fondo a credere
di non essersi molto allontanato dalla sua normalità; e invece sta sperimentando l’indicibile. Poi tutto
sembra ricomporsi e riprendere il
ritmo abituale, mentre nulla più sarà come prima.
Alla mancanza di proporzione si
congiungerebbe in tal caso una
completa assenza di percezione, con
l’inconsapevolezza
come
sigillo
dell’intera vicenda.
Come potrebbe prodursi un simile offuscamento?
Basterebbe una semplice sfasatura. Se, cioè, l’evento che ha determinato lo sbilanciamento avesse mostrato la sua autentica qualità soltanto dopo, a cose ormai compiute, e
unicamente nello sguardo retrospettivo di chi, in seguito, l’avrebbe ricostruito e ripensato, conferendogli
proprio con questa elaborazione il
suo eccezionale statuto. Se quel fatto, voglio dire — al di là del suo nudo accadere — fosse diventato straordinario e spiazzante solo più tardi,
grazie alla memoria condivisa e trasfigurante di una collettività in vertiginosa crescita; per entrare poi, partendo da quel ricordo, sempre più
irresistibilmente nella grande storia,
sino a darle una nuova forma.
David Bowie è Ponzio Pilato
in «The Last Temptation of Christ»
di Martin Scorsese (1988)
Di dove sei?
he cosa si aspettava
Gesù dal suo incontro con Pilato? Si
prefiggeva un obiettivo, aveva una strategia? Forse di provare a salvarsi? E come avrà accolto l’orientamento di Pilato favorevole alla
sua liberazione? Qual era il suo
stato d’animo?
Gesù non desiderava affatto
morire, e aveva paura — come
abbiamo visto — di quello che lo
aspettava. Ma non aveva mai
C
A determinare l’esito della vicenda
fu una specie di intesa
scattata a un certo punto
con una forza irresistibile
Quinto governatore romano della Giudea
ebbe una carriera ai margini
dei più importanti circuiti del potere
Poi è stato chiamato a prendere
una decisione dagli esiti incalcolabili
Ed è esattamente questo, quel che
si abbatté sul quinto governatore romano
della
Giudea
quando,
nell’esercizio delle sue funzioni, gli
fu condotto un prigioniero chiamato
Gesù di Nazareth, e dovette decidere in meno di una giornata del suo
destino.
È di lui, di Ponzio Pilato, che vogliamo raccontare. Dei suoi anni
spesi al servizio dell’impero, lasciando dietro di sé poche ma non insignificanti tracce. Di una carriera ai
margini (sebbene non al di fuori)
dei più importanti circuiti del potere
romano, ma che avrebbe, all’improvviso, incluso una decisione dagli esiti incalcolabili, capace di segnare il
futuro del mondo: maturata peraltro
in un modo che continua a sembrare
enigmatico e contraddittorio, e che
ha finito con l’accrescere l’ambigua
oscurità del personaggio. Come se la
sua intera vita ci dovesse apparire
non altrimenti che concentrata in
una singola azione, con tutto il resto
coperto dal riverbero di quell’unico
gesto: la condanna dell’ombra, per
la troppa luce.
pensato a nessuna via d’uscita
rispetto al suo ruolo e al suo annuncio, che non fosse l’estremo
e totale sacrificio di sé. Egli non
riusciva a immaginarsi, vecchio,
in Giudea. Temeva di affrontare
la prova che vedeva incombere
su di lui, ma era certo di sapere
che non aveva alternative. Era
solo la morte — e quella morte
— che poteva eseguire il montaggio finale della straordinaria
sequenza della sua vita. Era solo
la morte che poteva consegnare
definitivamente alla storia il suo
insegnamento. Negli anni della
predicazione, la sua vita —
l’esempio quotidiano — era stato
indisgiungibile dal suo messaggio. E dunque morire così — innocente, straziato dai carnefici —
ne era parte integrante, irrinunciabile. Anzi, ne era l’unico possibile suggello. La morte era un
segno fortissimo e definitivo,
che avrebbe fissato per sempre
le sue parole. La sua fatica sarebbe stata niente, se non si fosse conclusa con quell’epilogo.
Era questo il disegno del Padre
che egli era sicuro — sicuro come può esserlo un uomo — di
dover rispettare: la morte del Figlio, diventato uomo per la salvezza di tutti gli uomini.
Perciò Gesù, di fronte a Pilato, non cercò in alcun modo di
sfuggire alla condanna. E tutte
le volte che la situazione sembrava volgere al meglio per lui
— nel senso che andava verso la
sua salvezza — non partecipò
mai al tentativo di alleggerire la
sua posizione. Egli sapeva che
non sarebbe finita così, e si sentiva di non dover muovere un
dito per favorire un esito diverso
dalla sua morte. L’aveva già fatto al momento dell’arresto, e ancor prima, scegliendo di andare
a Gerusalemme, dove lo aspettavano i suoi nemici. Un caso
esemplare di profezia che — letteralmente — si stava autodeterminando: il più strepitoso e carico di conseguenze nella storia
dell’O ccidente.
Ebbene, io credo che, a partire da un certo momento, quello
stesso indicato (e poi nascosto)
da Giovanni — ek toutou — il governatore abbia collegato in un
unico quadro tutti gli elementi,
si sia reso definitivamente conto
dell’atteggiamento del prigioniero, e si sia persuaso — fortemente suggestionato da lui — a non
contrastarne il disegno. Che
cioè, da un certo momento in
poi, tra Pilato e Gesù si sia
stretto come un tacito e indicibile patto, che spinse Pilato nella
direzione che Gesù riteneva inevitabile. Fu questa specie di intesa, scattata a un certo punto
con una forza irresistibile, a determinare l’esito della vicenda.
È molto probabile che il prefetto si fosse accorto sin dall’inizio del comportamento anomalo
dell’arrestato: una sensazione diventata sempre più netta con il
procedere degli interrogatori.
Ma fu solo da un istante preciso
che una simile percezione si trasformò per Pilato nella chiara
consapevolezza che Gesù, lungi
dal volersi proteggere, sembrava
piuttosto precipitarsi verso la
condanna. E fu quando, di fronte all’insistenza dell’inquisitore
sulla sua innocenza, forse di
fronte all’annuncio della sua liberazione (adombrato in qualche modo nelle contraddittorie
parole di Giovanni), il prigioniero, senza manifestare la minima
soddisfazione o gratitudine per
un simile inatteso sostegno, decise piuttosto di ignorarlo. Preferì invece contestare il fondamento del potere che pure si
stava pronunciando in suo favore, mettendo in crisi la fonte
stessa della sua legittimità, e richiamando un imperscrutabile
disegno di Dio come unica spiegazione di quanto stava accadendo. Forse si spinse ancora
più avanti; disse (o fece) anche
dell’altro, per rendere evidente
come egli fosse certo che il suo
voleva a nessun prezzo sottrarvisi. Pilato dovette nebulosamente
avvertire tanta fermezza come
una potenza ignota e misteriosa
(«di dove sei?») che si stava dispiegando di fronte a lui, come
un segno numinoso che non riusciva a interpretare sino in fondo, ma a cui non era possibile
sfuggire, e decise infine di accogliere l’inspiegabile volontà di
chi gli stava innanzi. E morte
dunque sarebbe stata.
Gesù, dal canto suo, interpretava l’incontro con Pilato come
il tassello ancora mancante nel
disegno della propria missione.
Il punto estremo dove riunire,
ancora una volta, predicazione e
vita. La presenza innanzi a lui
del prefetto romano — il rappresentante di Cesare, che aveva
Gesù non desiderava morire
e aveva paura
di quello che lo aspettava
Ma non aveva mai pensato
a nessuna via d’uscita
che non fosse
l’estremo sacrificio di sé
conquistato il mondo — gli permetteva di ribadire con una solennità e una chiarezza mai prima ottenute alcuni punti cruciali
del suo messaggio, e di concluderlo nel modo più alto possibile, nelle condizioni date. Era
questa la sua strategia: era questo che si aspettava dall’incontro. Pilato non era per Gesù il
padrone del suo destino: questi
Duccio di Buoninsegna, «Cristo torna da Pilato» (1308-1311)
destino non prevedesse la salvezza.
E fu così, io credo, che Pilato
prese atto — senza alcuna possibilità di dubbio — di quale fosse
la meta dove il suo inquisito voleva arrivare. Capì che Gesù
non era stoicamente superiore a
quanto poteva capitargli. Che la
sua non era indifferenza di fronte alla fine, ma che vedeva invece con lucida passione la morte
sulla croce come l’unico esito
possibile della propria predicazione, l’ultimo cruciale atto della sua esistenza terrena, e non
era solo il Padre. Ma gli forniva
l’occasione per un confronto che
giudicava a ragione essenziale: il
momento in cui sciogliere una
volta per tutte il nodo che teneva avvinto come in un groviglio
tutta la storia d’Israele — la concezione del rapporto di Dio con
il potere degli uomini — e liberarla in un orizzonte che sentiva
infinitamente più vasto. Fare
della Bibbia non (solo) il libro
di un’identità “nazionale” — sia
pure d’eccezione — ma di una fede universale, senza più confini.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
mercoledì 20 gennaio 2016
Quello che i cristiani hanno dimenticato
di GABRIEL QUICKE*
Negli ultimi mesi, la televisione ci
ha trasmesso le immagini dei tanti
profughi in fuga dal loro Paese, alla
ricerca di una vita più sicura in Europa. Si tratta spesso di persone
provenienti dalla Siria, dall’Iraq, ma
anche da Paesi come l’Afghanistan e
dal continente africano. E non sono
solo musulmani: sono anche cristiani. Questa dolorosa realtà ci ricorda
che Cristo è ancora sofferente, in fuga. Nei profughi incontriamo infatti
il volto del Cristo sofferente. Cristo
è ancora in fuga, soffre ancora la fame e la sete; Cristo continua a essere oppresso. Più volte, Papa Francesco ha espresso la sua preoccupazione per tutti coloro che sono esposti
a minacce e violenze, compresi i cristiani in Medio oriente e in Africa.
Davanti a essi, si rinnova con crescente urgenza l’appello all’ospitalità
e all’amore. La carità vuole nutrire il
Cristo affamato, dare da bere al Cristo assetato, vestire il Cristo nudo,
visitare il Cristo ammalato e accogliere il Cristo esiliato.
Il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani ha
frequenti contatti con le Chiese di
appartenenza di questi cristiani.
Un’attività ecumenica che coinvolge
le Chiese in Medio oriente.
Rappresentanti della Chiesa cattolica e delle Chiese ortodosse orientali si sono riuniti a Roma dal 24 al 31
gennaio 2015. La Commissione mista per il dialogo teologico tra la
Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse orientali era co-presieduta, da
parte cattolica, dal cardinale Kurt
Koch, presidente del Pontificio
Consiglio
per
la
promozione
dell’unità dei cristiani e, da parte ortodossa, dal metropolita Bishoy di
Damiette della Chiesa ortodossa
copta.
Il principale risultato dell’incontro
è stato l’approvazione del secondo
documento comune prodotto dal
dialogo, intitolato «L’esercizio della
comunione della vita della Chiesa
primitiva e le sue implicazioni oggi
per la nostra ricerca della comunione», che verrà adesso sottoposto alle
rispettive autorità delle Chiese. In
74 paragrafi, il testo esamina nel
dettaglio la natura della relazione
che esisteva tra le Chiese interessate
nel periodo precedente alle divisioni
del V secolo. Il documento evidenzia che la piena comunione esistente
si esprimeva in modi diversi in
un’ampia rete di relazioni e si basava sulla convinzione condivisa che
tutte le Chiese professavano la stessa
fede. Queste diverse espressioni di
comunione si manifestavano in almeno sei modi: attraverso lo scambio di lettere e di visite (sia formali
che informali) anche al di là dei
Dialogo con gli ortodossi orientali
La mia casa
è la tua casa
confini dell’impero romano; tramite
sinodi e concili tenuti per risolvere
problemi riguardanti la dottrina e la
disciplina; la preghiera e altre pratiche liturgiche; la comune venerazione di martiri e santi; lo sviluppo e la
diffusione del monachesimo; attraverso pellegrinaggi ai santuari delle
varie chiese. Alla fine del documento, i membri del dialogo osservano
che molte delle relazioni esistenti tra
le Chiese nei primi secoli si sono
protratte fino ai giorni nostri nonostante le divisioni o sono state ravvivate recentemente. In linea con il tema della prossima fase di dialogo,
durante l’incontro della Commissione mista sono stati presentati diversi
interventi sui sacramenti dell’iniziazione.
Quanto ai rapporti con le Chiese
malankaresi in India, dal 1989, due
dialoghi paralleli hanno luogo una
volta all’anno nel Kerala: uno con la
Chiesa sira ortodossa malankarese e
l’altro con la Chiesa ortodossa sira
malankarese. Questi dialoghi si occupano principalmente di questioni
legate a tre tematiche: la storia della
Chiesa, l’ecclesiologia e la testimo-
nianza comune. La delegazione cattolica comprende rappresentanti della Santa Sede e membri di Chiese di
rito diverso: latino, siro-malabarese e
cattolico siro-malankarese.
La Commissione mista per il dialogo tra la Chiesa cattolica e la
Chiesa sira ortodossa malankarese
ha tenuto il suo diciottesimo incontro presso il Centro patriarcale di
Puthencruz (Kerala) il 14 dicembre
2015. L’incontro era co-presieduto
dal vescovo Brian Farrell, segretario
del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, e
dal metropolita Kuriakose Mar
Theophilose, vicario patriarcale in
Germania, Svizzera e Austria. I temi
principali all’ordine del giorno erano: il ministero petrino, le questioni
morali legate al matrimonio e al divorzio e la preparazione della pubblicazione degli accordi e delle dichiarazioni comuni della Chiesa cattolica e della Chiesa sira ortodossa
malankarese prodotti negli ultimi
venticinque anni.
Nei giorni 15 e 16 dicembre scorsi,
presso il Mar Baselios Dayara (monastero) di Njaliakuzhy (Kottayam)
Il battesimo di Cristo celebrato in Russia con la tradizionale immersione
Un bagno benedetto
MOSCA, 19. Sono stati almeno
125.000, solo a Mosca, i russi
che fra ieri e oggi hanno partecipato al tradizionale bagno
nelle acque ghiacciate, in occasione della santa Teofania, che
per gli ortodossi coincide con il
battesimo (kreshenie) di Cristo.
La Chiesa ortodossa russa, che
segue il calendario giuliano, festeggia infatti con tredici giorni
di ritardo, il 19 gennaio, l’Epifania del Signore celebrata dalla
Chiesa cattolica il 6. Quest’ultima, com’è noto, ricorda il battesimo del Signore la domenica
successiva all’Epifania. Il kreshenie, che chiude le lunghe festività per il nuovo anno e per il
Natale, è in Russia tra le tradizioni cristiane più antiche, caratterizzata da immersioni di
massa in appositi fori aperti nel
ghiaccio (chiamati “Giordano”),
la cui acqua viene benedetta da
sacerdoti ortodossi dopo una
breve processione. Ad aprire ufficialmente i riti per la Teofania
è stato ieri il patriarca di Mosca, Cirillo, con la divina liturgia e l’ufficio della benedizione
delle acque nella cattedrale di
Cristo Salvatore. Come tradizione, i fedeli, ovunque si trovino, portano a casa un po’ di
acqua benedetta e, nonostante
le temperature ben al di sotto
dello zero, sono stati migliaia i
russi che si sono immersi nelle
buche a forma di croce scavate
appositamente in tutto il Paese.
Alla vigilia le agenzie di informazione hanno diffuso l’elenco
dei suggerimenti per evitare
malori e cartine dettagliate dei
posti dove si poteva fare il bagno in presenza di personale
medico.
si è tenuto l’incontro della Commissione mista per il dialogo tra la
Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa sira malankarese, co-presieduto
dal vescovo Farrell e dal metropolita
Gabriel Mar Gregorios, presidente
del dipartimento per le relazioni
ecumeniche della Chiesa ortodossa
sira malankarese. Vari punti erano
all’ordine del giorno della riunione,
tra cui l’armonia religiosa esistente
nel Kerala nel periodo pre-coloniale
e coloniale, i principi ecclesiologici
alla base della cooperazione pastorale e il principio dell’oikonomia nella
Chiesa ortodossa. La Commissione
mista ha anche lavorato a una dichiarazione comune sulla collaborazione pastorale.
A tutto ciò si aggiunge una serie
di incontri ecumenici. Nel nostro
pellegrinaggio verso l’unità dei cristiani, infatti, incontriamo fratelli e
sorelle di altre Chiese e Comunità
ecclesiali. Le visite ecumeniche creano un’opportunità di scambio a livello non solo di riflessioni teologiche, ma anche di amicizia, in uno
spirito di fratellanza e fraternità
evangeliche. Gli incontri ecumenici
permettono di conoscere e farsi conoscere, di accogliere e di essere accolti. La reciproca ospitalità fornisce
una proficua occasione di arricchimento e di confronto sui problemi
che affliggono la vita umana e la società; essa consente altresì una riflessione sulle difficoltà pratiche che riguardano le Chiese, come la condivisione dei luoghi di culto, e sulle
sfide alle quali le Chiese possono
tentare di dare una risposta comune,
come la povertà, l’esclusione sociale,
il razzismo e l’odio razziale.
Karekin II, patriarca supremo e
catholicos di tutti gli Armeni, e
Aram I, catholicos della Grande Casa di Cilicia, hanno partecipato
all’Eucaristia per i fedeli di rito armeno presieduta da Papa Francesco
domenica 12 aprile 2015, nella basilica di San Pietro. Dal 22 al 25 aprile,
il cardinale Koch si è recato in Armenia per assistere alla canonizzazione dei martiri armeni e alla commemorazione del loro centenario,
nella santa sede di Etchmiadzin. Dal
17 al 20 luglio 2015, il cardinale Koch si è recato in Libano per partecipare alla celebrazione del Santo
Myron e alla commemorazione del
centenario dei martiri armeni, nella
santa sede di Cilicia (Antelias). Dal
15 al 17 agosto 2015, il porporato è
stato accolto dalla Comunità di Taizé, in occasione del centenario della
nascita di fratel Roger e del settantacinquesimo anniversario dell’istituzione della comunità. Il 27 settembre 2015, il cardinale Koch ha partecipato all’intronizzazione di Mar
Gewargis III, catholicos-patriarca
della Chiesa assira dell’Oriente, nella chiesa di San Giovanni Battista
ad Ankawa (Erbil) in Iraq. Nel suo
messaggio, il cardinale Koch, a nome di Papa Francesco, ha espresso
la vicinanza nella preghiera al patriarca, al clero e ai fedeli della
Chiesa assira dell’Oriente. Dal 25 al
28 settembre 2015, il sottoscritto, insieme al cardinale Leonardo Sandri,
prefetto della Congregazione per le
Chiese orientali, ha assistito alla celebrazione del Santo Myron nella
santa sede di Etchmiadzin (Armenia). Il 18 giugno 2015, Papa Francesco ha accolto Moran Mor Ignatius
Aphrem II, patriarca di Antiochia e
di tutto l’Oriente. Durante tale visita, vi è stato anche un momento di
preghiera comune nella cappella Redemptoris Mater per ricordare i fedeli del Medio oriente che, oppressi
e perseguitati, sono spesso costretti
a fuggire dai loro Paesi.
Visite e incontri ecumenici ci ricordano, insomma, quanto importante sia l’accoglienza, capace di
creare vincoli di comunione. In questo mondo, tutti noi siamo stranieri
e pellegrini in cammino verso la Gerusalemme celeste. Nel Medio oriente, frequente è l’espressione beitoena
beitikum, (la mia casa è la tua casa).
L’ospitalità è un modo per condividere il dolore e sanare le ferite, è un
modo in cui le ferite stesse possono
diventare fonte di guarigione. Grazie all’accoglienza, la comunità cristiana diventa una comunità capace
di guarire chi ha sofferto e chi soffre. Cristo stesso è il guaritore ferito.
Egli ha reso il suo corpo ferito fonte
di guarigione e di nuova vita. E anche noi, nel nostro essere feriti, possiamo diventare fonte di guarigione
e di vita per gli altri.
*Assistente per la sezione orientale del
Pontificio Consiglio per la promozione
dell’unità dei cristiani
Il nome della Chiesa
è concordia
di ELPID OPHOROS
LAMBRINIADIS*
«Il nome della Chiesa è nome
di sinfonia e di concordia» sottolineava san Giovanni Crisostomo. Eppure, la storia della
contesa cristiana è tanto antica,
quanto è antica la storia della
Chiesa. Come osservò Teodoro
Studita, «dagli apostoli in poi,
in molti modi, molte eresie irruppero contro essa e sudiciume empio e non canonico abbondò». La Chiesa, “l’Una” di
Cristo e l’unica fede in Dio e
salvatore Gesù, che fu accolta
con «semplicità di cuore» dalla
Chiesa nascente (Atti degli apostoli, 2, 46), cominciò rapidamente a spezzettarsi nella misura in cui tutto quanto il mondo
cristiano ancora in fase iniziale,
apparve come un mosaico di
percezioni contrastanti.
Così, le scomuniche del luglio 1054 avvennero in un clima
già di sfiducia e di alienazione
di entrambi i mondi, delle
Chiese d’Oriente e d’O ccidente, cioè in una situazione di distanza già esistente, di rapporti
negativi e di sospetto. Questo
non vuol dire che ci fosse semplicemente una mancanza di
comunicazione, ma significa
che c’era un’allontanamento
teologico e una diversificazione
nei cruciali punti teologici e
strutturali dei due mondi ecclesiastici. Le scomuniche, quindi,
del 1054 non crearono questa
situazione, ma nemmeno la fissarono in modo definitivo. Ciò
significa, quindi, che queste
scomuniche, nonostante l’opinione che generalmente prevale, non crearono dal nulla il
grande Scisma tra Chiesa
d’Oriente e la Chiesa d’O ccidente, né però resero definitiva
la esistente distanza. Questa
constatazione è importante sia
per interpretare gli eventi di allora sia per valutare giustamente la revoca delle scomuniche
nel 1965, 50 anni fa.
Come la ricerca e la realtà
storica dimostrano, lo scisma
non avvenne perciò in un preciso momento, né in una data
particolare. Invece, si constata
che l’estraniazione tra le due
Chiese avvenne gradatamente
nell’arco non solo di molti anni, ma potremmo dire di molti
secoli.
La storia ci informa anche
che già subito dopo il grande
scisma del 1054, innumerevoli
furono i tentativi per lo svolgimento del dialogo teologico tra
l’Oriente ortodosso e l’O ccidente latino. Gli sforzi di unione dall’XI al XV secolo sono stati degli esempi chiari dell’intenzione della Nuova Roma per la
riconciliazione e la comunione
con l’Antica Roma, indipendentemente dal fatto che la
questione della riunificazione
delle due Chiese sorelle non
veniva sempre collocata su una
base retta, ma veniva trasformata in una questione politica e
in un mezzo per raggiungere
scopi altrui.
L’elezione del patriarca Atenagora nel novembre del 1948
segnò una nuova era. Nel suo
discorso di intronizzazione rivolse il consueto saluto di pace
non solo ai capi delle Chiese
ortodosse ma anche ai capi delle altre Chiese cristiane, «tenendo la mano anche a loro
per una collaborazione di fronte ai pericoli contro la Chiesa e
la società».
La particolarità di Atenagora
consiste nella sua volontà irremovibile di promuovere il dialogo dell’amore e della verità,
nonostante le reazioni costanti
e dirette che incontrava nella
realizzazione delle sue visioni
per una riconciliazione e collaborazione cristiana, da parte di
coloro che ritenevano — e persino oggi ce ne sono in parecchi
che lo ritengono — che «il nome di Cristo viene glorificato
soltanto e soprattutto mediante
contrapposizioni fanatiche, scomuniche reciproche, e scontri
smisurati». Parlando davanti ai
padri del Monte Athos, durante la sua visita nel 1963, il patriarca Atenagora diceva che:
«Metto in rilievo, con tutta la
mia forza, che non ci sia cosa
più dolce per l’uomo di avere
dialogo con l’altro. E non c’è
maggior sfortuna per l’uomo di
non essere in dialogo con l’altro. Se il mondo è diviso, questo è dovuto alla mancanza di
dialogo tra le persone».
Alla luce di ciò si può dire
che il più grande successo con
la revoca delle scomuniche è
che si è aperta la via per i contatti tra i cristiani in tutti i livelli. Dopo il ristabilimento di
un clima d’amore e di fratellanza ai più alti livelli della guida
delle nostre Chiese, questo
amore ha iniziato a dispiegarsi
come un’aura divina anche nelle Chiese locali, nei vescovi, nei
sacerdoti e nei nostri fedeli. La
storia dimostra che quando i
padri e le guide spirituali ci
mostrano la via giusta, allora il
giorno della fratellanza, del ristabilimento della pace e del
comune calice non tarderà a
giungere. Come lo scisma non
avvenne in un attimo, ma è stato provocato dall’accumularsi
di molti anni di allontanamento e di intolleranza, così anche
l’unione non avverrà solo con
l’atteso accordo sulle nostre differenze teologiche, ma sarà edificata con pazienza, con perseveranza, con la preghiera, con
amore, con la collaborazione di
noi tutti.
*Metropolita ortodosso di Bursa
L’OSSERVATORE ROMANO
mercoledì 20 gennaio 2016
pagina 7
Lettera pastorale dei presuli
Per difendere la volontà
dei venezuelani
CARACAS, 19. «Affrontare la realtà
della Patria» è il titolo emeblematico dell’esortazione pastorale diffusa dai vescovi venezuelani al
termine della 105ª assemblea ordinaria della Conferenza episcopale. I presuli hanno preso in esame
anzitutto il contrasto istituzionale
in seguito al risultato delle ultime
elezioni, con il partito attualmente al Governo che ha presentato
ricorsi presso il Tribunale supremo di giustizia, contrasto che secondo i presuli non è la strada
giusta «per superare i problemi».
Il Paese, infatti, oggi più che mai,
necessita di certezze, di «saggezza ed efficacia da parte di tutti
gli attori sociali».
La Conferenza episcopale esorta a rispettare i risultati elettorali
del 6 dicembre scorso. La dimostrazione di «responsabilità civica
e volontà pacifica che il popolo
venezuelano ha manifestato nelle
elezioni del 6 dicembre» è stata,
secondo i vescovi, «una luce di
incoraggiamento e di speranza tra
le tante ombre e incertezze» che
offuscano la realtà della nazione.
Il documento dei vescovi ricorda che ogni potere dello Stato ha
la propria competenza ed è compito dell’Esecutivo disegnare e
proporre la rapida soluzione ai
problemi economici e sociali,
mentre quella dei deputati è di
fare le leggi, esaminare e servire
da foro di incontro e di dialogo
per valutare progetti e proposte.
I presuli avvertono che «l’errata politica economica e la discesa
dei prezzi del petrolio», a seguito
dei quali si è assistito a uno smisurato aumento del livello dei
prezzi, hanno portato di conseguenza a «una grande sofferenza
della popolazione» che affronta
quotidianamente la scarsità dei
beni di prima necessità, costretta
a interminabili file per acquistare
prodotti indispensabili e spesso
nell’impossibilità di poterli com-
prare, perché venduti «a prezzi
inaccessibili che aumentano giorno dopo giorno. La crisi alimentare e l’insufficienza dei medicinali — prosegue ancora il documento — possono provocare una
crisi umanitaria di grandi proporzioni e gravissime conseguenze
che devono essere risolte subito e
in modo decisivo». Secondo
l’episcopato venezuelano, tocca
all’Esecutivo risolvere la grave situazione «con un progetto economico mirato al bene comune e
non uno strumento politico che
favorisca interessi parziali e ideologici».
Dopo un’energica condanna al
sistema penitenziario che vìola il
rispetto dei diritti e della dignità
della persona, i vescovi considerano prioritaria una risposta «immediata, giusta e riconciliante»
alla iniqua situazione dei prigionieri politici sottoposti a condizioni inumane. Nel documento si
auspica che in questo anno giubi-
lare della misericordia non ci sia
in Venezuela nessun prigioniero
per motivi politici, e al riguardo i
presuli chiedono la promulgazione di una legge di amnistia.
L’episcopato chiama anche al rispetto e alla difesa della libertà di
espressione come risorsa fondamentale per conoscere la «verità
dei fatti».
I vescovi hanno rivolto la loro
attenzione anche alla preoccupante realtà della violenza che
«opprime le famiglie», immerse
«nel dramma quotidiano dell’insicurezza e della paura, del lutto e
del dolore». I presuli denunciano
come gli interventi contro la criminalità non si siano rivelati fino
a questo momento efficaci e anzi
sottolineano episodi di uso eccessivo della forza. Il testo sottolinea
che sono i settori popolari a risentire di più l’assenza di protezione e sono spesso vittime di
abusi di potere.
Anche la situazione e le difficoltà che affrontano i cittadini alla frontiera con la Colombia è
stata una delle preoccupazioni
dei presuli, i quali, a questo proposito esortano le autorità a creare le condizioni per la convivenza
pacifica e feconda nella zona.
Inoltre, la Chiesa in Venezuela
fa appello affinché siano rispettata l’indipendenza di ogni potere
pubblico e le sue competenze costituzionali e affinché si stabilisca
un dialogo istituzionale che garantisca governabilità e la pace
sociale. «Come cittadini — si legge nel messaggio — non possiamo
essere indifferenti ai problemi e
dobbiamo essere promotori di riconciliazione, propiziando il perdono e la guarigione delle ferite».
L’anno della misericordia indetto da Papa Francesco, ricordano infine i vescovi del Venezuela,
invita istituzioni, persone che ricoprono cariche pubbliche e singoli individui a introdurre «con
creatività e generosità, gesti e
azioni che portino ad assaporare
e a vivere con gioia e sacrificio, i
frutti della solidarietà e della fratellanza».
La Commissione episcopale giustizia e pace del Cile
Sviluppo
nella dignità
SANTIAGO DEL CILE, 19. La Commissione giustizia e pace della pastorale sociale - Caritas del Cile ha
presentato nei giorni scorsi un documento al fine di contribuire al dibattito sullo sviluppo integrale e
più equo per la società cilena. Il
documento porta il titolo: “Equità e
sviluppo in Cile: i nuovi volti degli
esclusi”. L’obiettivo è di favorire un
maggiore dialogo sociale, in modo
che si possano prevenire situazioni
di povertà e disagio e di formulare
proposte che rendano più giusto e
umano lo sviluppo del Paese. «Le
disuguaglianze sociali ed economiche eccessive tra le persone o i popoli dell’unica famiglia umana — si
legge nel testo — sono scandalosi e
vanno contro la giustizia sociale,
l’equità, la dignità della persona
umana e la pace sociale e internazionale».
La riflessione dell’episcopato è
strutturata in tre parti e mette in
evidenza come la forte crescita economica del Paese (negli ultimi anni
mediamente del 5 per cento) ha
certamente ridotto la povertà assoluta ma non ha fatto diminuire gli
squilibri di fondo. Secondo la
Commissione giustizia e pace, il 20
per cento della popolazione cilena
vive ancora sotto il livello di povertà, percentuale che supera il 22 per
cento se si considera l’infanzia. I
dati dimostrano come a maggior rischio di povertà ci siano, come
sempre accade, gli strati più precari
della popolazione, come i migranti
e gli indigeni. Ciò che occorre
quindi, secondo i vescovi, sono più
dialogo, politiche di lungo periodo,
attenzione alle periferie del Paese.
Fra queste, c’è, come accennato,
anche il mondo dell’infanzia. Secondo l’Osservatorio per lo sfruttamento sessuale commerciale di
bambine, bambini e adolescenti
(Escnna), il 47,2 per cento delle vittime in Cile non sono scolarizzate.
L’8 per cento dei minori fa consumo di alcol e il 22 per cento di droghe. Tuttavia, quasi tutti i piccoli
che partecipano al programma del
Servizio nazionale dei minori, un
organismo statale che si occupa della tutela dei diritti dei minori e degli adolescenti, vivono in famiglia e
non per strada, ed è proprio questo
ad allarmare la Fundación San Carlos de Maipo che si occupa dei
bambini a rischio nel Paese. Questa
ha avviato nei mesi scorsi un’iniziativa denominata “Comunidades que
se cuidan”. Si tratta di associazioni
che lavorano con l’obiettivo di creare ambienti protetti in grado di tenere al riparo i minori dai rischi, e
promuovendo il ruolo delle famiglie
e delle comunità nella prevenzione
dello sfruttamento sessuale.
In Messico
Plenaria dell’episcopato panamense
I vescovi del Nicaragua in vista delle prossime scadenze elettorali
Vicini
alle sofferenze
delle famiglie
Contro
la crisi di valori
Un Paese solido e solidale
SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, 19.
«La diocesi non può essere insensibile alle sofferenze delle famiglie». È quanto ha affermato il vescovo di San Cristóbal de las Casas, monsignor Felipe Arizmendi
Esquivel, accettando di farsi mediatore nella grave crisi scoppiata
nel comune messicano di Altos de
Chiapas. Nei giorni scorsi infatti
più di duemila abitanti di Oxchuc
si sono scontrati in modo violento
con la polizia: un centinaio i feriti, tra poliziotti e cittadini, trenta
le persone fermate dalle forze
dell’ordine, diciotto le abitazioni
date alle fiamme o distrutte.
A richiedere l’intervento del vescovo è stata la Commissione permanente del popolo di Oxchuc
che protesta contro il sindaco,
María Gloria Sánchez Gómez, denunciando azioni irregolari che sarebbero avvenute durante le elezioni dell’ottobre scorso e l’arresto
di trentotto rappresentanti della
propria organizzazione.
«La giustizia e la pace sociale
sono priorità. E Papa Francesco ci
ricorda che non possiamo stare
con le braccia incrociate dinanzi
ai problemi della comunità», ha
dichiarato il vescovo di San Cristóbal de las Casas. È urgente lavorare per questi obiettivi, ha ricordato il presule, anche per poter
accogliere degnamente il Pontefice
atteso nel Paese centroamericano
il prossimo 15 febbraio.
PANAMÁ, 19. Riforma elettorale, allargamento del Canale transoceanico, maggiore attenzione alla pubblica istruzione, più servizi alla sanità,
accoglienza migranti e crisi dei valori. Sono questi alcuni dei principali temi affrontati dalla Conferenza episcopale panamense (Cep) e
ricordati in un documento presentato nei giorni scorsi nel quale i vescovi chiedono risposte chiare e
concrete da parte dei governanti. Il
documento è stato diffuso al termine della riunione plenaria dell’episcopato, svoltasi nei giorni scorsi
nella capitale.
Articolato in undici punti, il testo
presenta una vasta panoramica sullo
stato sociale del Paese e della Chiesa locale, partendo dal riconoscimento e dalla valorizzazione delle
forze della comunità e invitando a
un impegno profondo dinanzi alle
sfide del Paese, in particolare in
questo giubileo della misericordia.
Secondo i vescovi, la dignità umana
non viene sufficientemente rispettata: «Non possiamo abituarci alla
violenza — scrivono — alla criminalità, all'omicidio. Questa non è la
nostra natura».
Lunedì scorso, l’Assemblea nazionale del Panamá ha iniziato a discutere un pacchetto di modifiche
al sistema di voto proposte dalla
Commissione nazionale per le riforme elettorali. Il progetto sta attirando sempre più critiche e dissensi su
diversi punti. Nel suo documento,
l’episcopato ha ribadito la necessità
del dialogo, «essenziale per risolvere i problemi del Paese», e ha sottolineato che la situazione nazionale esprime una profonda crisi morale, di valori, di atteggiamenti, di
motivazioni e di comportamenti
che andrebbero corretti. Già nella
precedente assemblea plenaria, i
presuli avevano ribadito la necessità
di continuare a insistere sul «lavoro
per la formazione delle coscienze e
la formazione alla leadership, sulla
cultura dell’onestà e della trasparenza, di ciò che è etico e legale,
per contribuire al bene comune,
cercando i mezzi per denunciare e
combattere tutte le forme di corruzione».
Nel documento diffuso nei giorni
scorsi i vescovi hanno invitato tutti
a camminare insieme ai giovani,
partecipando al Meeting nazionale
del rinnovamento della gioventù,
dal 21 al 24 gennaio prossimo, che
si terrà a Chitré, «per sperimentare
il giovane volto gioioso della Chiesa», e incoraggiarlo affinché i giovani si rendano pronti «a essere discepoli e missionari della misericordia del Padre».
Durante l’assemblea i vescovi
hanno confermato alla guida della
Conferenza episcopale monsignor
José D. Ulloa Mendieta, arcivescovo di Panamá, mentre monsignor
Manuel Ochogavía Barahona, vescovo di Colón, è stato eletto segretario generale della Cep.
MANAGUA, 19. Forte preoccupazione
per lo stato delle istituzioni del Nicaragua è stata espressa dall’episcopato locale. In particolare monsignor Silvio José Báez Ortega, vescovo ausiliare di Managua, ha lanciato l’allarme durante la messa celebrata, domenica scorsa, in occasione delle celebrazioni del Nuestro
Señor de Esquipulas, il cosiddetto
“Cristo Nero” come viene chiamato
in Centroamerica.
Il presule si è detto fortemente allarmato soprattutto per il futuro del
Nicaragua, che a suo modo di vedere manca di una struttura istituzionale sufficientemente solida. Le sfide attuali «non devono limitarsi a
rendere trasparente il processo elettorale», poiché il Paese ha bisogno
in generale di ritrovare la certezza
del diritto. Monsignor Báez Ortega
ha auspicato «una profonda guarigione interiore nelle relazioni perso-
nali, una guarigione della mentalità.
Un Paese — ha detto — si sostiene
proprio grazie allo Stato di diritto,
alla certezza del diritto, al rispetto
delle libertà personali e pubbliche.
Se ciò non accade, il mito della crescita economica non ha più senso. A
me preoccupa il futuro del Nicaragua», che necessita di una struttura
istituzionale solida in grado di garantire progresso, sviluppo e stabilità economica a lungo termine.
Il presule ha sottolineato che solo
la politica «può garantire la giustizia e l’equa distribuzione della ricchezza. Ho paura delle statistiche
del Nicaragua. Rabbrividisco — ha
proseguito il vescovo — quando sento politici e giornalisti occuparsi del
Nicaragua pensando solo ai numeri.
Credo che il maquillage numerico ci
stia offuscando al punto da non farci vedere le ferite profonde che ci
sono nel nostro Paese».
Anche il vescovo di Matagalpa,
monsignor Rolando José Álvarez
Lagos, durante una celebrazione religiosa in onore di Nuestro Señor de
Esquipulas, ha esortato i fedeli del
Nicaragua a vivere, in questo anno
elettorale, secondo una condotta etica, seguendo i valori e i principi
della fede. «Chiedo al popolo di
Dio — ha detto — di non comportarsi come Caino, perché non ci deve essere nessun Caino in Nicaragua
in questo anno elettorale, non ci deve essere nessun partito politico ad
affondare il pugnale nella schiena
del prossimo». Il vescovo ha esortato i fedeli a «buttare giù le barriere
e i confini che spesso i partiti politici vogliono imporre».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
mercoledì 20 gennaio 2016
Messa a Santa Marta
Nonostante i peccati ogni uomo è
stato scelto per essere santo. È il
messaggio di consolazione e di speranza offerto da Papa Francesco nella messa celebrata a Santa Marta
martedì mattina, 19 gennaio. A suggerire la riflessione è stata la vicenda
del re Davide, il «santo re Davide»,
figura centrale nella liturgia di questi
giorni, che presenta brani tratti dal
libro di Samuele.
Dopo aver visto come il Signore
avesse «rigettato Saul perché aveva
il cuore chiuso» e avesse pensato a
un altro re perché questi non gli
aveva ubbidito, nella prima lettura
(1 Sam, 16 1-13) si trova il racconto
di come «venne scelto» il re Davide. Si
legge quindi di Dio
che si rivolge a Samuele: «Fino a quando
piangerai
su
Saul,
mentre io l’ho ripudiato? Andiamo a cercarne un altro. Riempi
d’olio il tuo corno e
parti». Il profeta prova
a fare resistenza temendo la vendetta di
Saul, ma il Signore lo
invita a essere «astuto»
e a simulare un semplice atto di culto, un sacrificio: «prendi una
giovenca e vai».
Da qui inizia, ha
spiegato il Pontefice, il
racconto di quello che
fu «il primo passo della vita del re Davide:
la scelta». Nella Scrittura si legge quindi di
Jesse che «presenta i
suoi figli» e di Samuele che, di fronte al pri-
Santo e peccatore
mo, dice: «Certo, davanti al Signore
sta il suo consacrato». Vedeva davanti a sé, infatti, ha sottolineato
Francesco, «un uomo in gamba».
Ma il Signore replicò a Samuele:
«Non guardare al suo aspetto né alla sua statura, io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo;
infatti, l’uomo vede l’apparenza, ma
il Signore vede il cuore». Ecco allora
la prima lezione: «Noi siamo tante
volte schiavi delle apparenze, schiavi
Marc Chagall
«Re David» (1966)
delle cose che appaiono e ci lasciamo portare avanti da queste cose:
“Ma questo sembra...”. Ma il Signore sa la verità».
La narrazione continua, «passano
i sette figli di Jesse e il Signore non
sceglie alcuno», tanto che Samuele
chiede a Jesse se gli avesse presentato tutti i figli. E Jesse rivela che, in
realtà, «ce n’è uno, il piccolo, che
non conta, che ora sta pascolando il
gregge». Di nuovo il contrasto tra
apparenza e verità: «Agli occhi degli
uomini — ha commentato il Pontefice — questo ragazzino non contava».
Succede quindi che, fatto arrivare il
ragazzo, il Signore disse a Samuele:
«Alzati e ungilo». Eppure era «il
più piccolo, quello che agli occhi del
papà non contava» e «non perché il
papà non lo amasse», ma perché
pensava «Come Dio sceglierà questo
ragazzino?». Non considerava che
«l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore». Così «Samuele
prese il corno dell’olio e lo unse in
mezzo ai suoi fratelli. E lo Spirito
del Signore irruppe su Davide, e da
quel giorno in poi» tutta la sua vita
«è stata la vita di un uomo unto dal
Signore, eletto dal Signore».
Ci si potrebbe chiedere: «Allora il
Signore lo ha fatto santo?». La risposta di Francesco è netta: «No, il
re Davide è il santo re Davide, questo è vero, ma santo dopo una vita
lunga», raggiunse infatti una veneranda età, «ma anche una vita costellata da vari peccati». Davide fu
«santo e peccatore». Era «un uomo
che ha saputo unire il Regno, ha saputo portare avanti il popolo
d’Israele» ma anche un uomo che
«aveva le sue tentazioni» e commise
peccati. Davide, addirittura, «è stato
anche un assassino» che, «per coprire la sua lussuria, il peccato di adulterio» ha comandato di uccidere.
Proprio lui. Tanto che verrebbe da
chiedersi: «Ma il santo Re Davide
ha ucciso?». È vero, ma è anche vero che quando Dio ha inviato il profeta Natan per far «vedere questa
realtà» a Davide che «non si era accorto della violenza che aveva ordinato», lo stesso Davide «ha riconosciuto “Ho peccato” e ha chiesto
perdono». Così la vita del re Davide
«è andata avanti» piena di luci e di
ombre. Ha sofferto «nella sua carne
il tradimento del figlio, ma mai ha
usato Dio per vincere una causa propria». Nel tratteggiare la figura del
santo e peccatore, Francesco ha ricordato come nel «momento tanto
difficile della guerra», quando do-
vette «fuggire da Gerusalemme» Davide ebbe la forza di mandare indietro l’arca: «No, Signore, rimanga là;
non userò il Signore a mia difesa».
E ancora, quando incontrò chi gli
diceva «uomo sanguinario» egli fermò uno dei suoi che voleva uccidere
chi lo insultava dicendogli: «Se questo mi insulta, il Signore gli ha detto
di insultarmi». Difatti, «nel suo cuore Davide sentiva: “Me lo merito”,
perciò ordinò: “Lascialo, forse il Signore avrà compassione della mia
umiliazione e mi perdonerà di
più”». Nella sua vita Davide ha poi
conosciuto «la vittoria», e la grande
«magnanimità» che lo portò a non
uccidere Saul pur potendolo fare.
Insomma, ha concluso il Pontefice,
«ma questo è il santo Re Davide?
Sì, santo, eletto dal Signore, scelto
dal popolo di Dio» fu anche «peccatore grande, ma peccatore pentito». E ha commentato: «A me commuove la vita di quest’uomo e mi fa
pensare alla nostra». Infatti, «tutti
noi siamo stati scelti dal Signore nel
Battesimo, per essere nel suo popolo, per essere santi»; tutti «siamo
stati consacrati dal Signore, in questo cammino della santità», eppure,
ha concluso Francesco, leggendo la
storia di questo uomo — un «percorso che incomincia da un ragazzo e
va avanti fino a un uomo anziano»
— che ha fatto tante cose buone e altre non tanto buone, «mi viene di
pensare che nel cammino cristiano»,
nel cammino che il Signore invita a
fare, «non c’è alcun santo senza passato, e neppure alcun peccatore senza futuro».
Forum ad Abu Dhabi
In dialogo con l’islam
«Il dialogo è una necessità, non una scelta. Per contrastare l’estremismo, dobbiamo impegnarci in un dialogo
sincero: non ci può essere la pace nel mondo senza
dialogo, in particolare tra i credenti, che sono di gran
lunga la maggioranza dell’umanità di oggi». Anche
perché «in tutte le religioni vi è un tesoro di valori che
possono contribuire alla costruzione di un mondo di
giustizia, di pace, di fraternità e prosperità». Lo ha sottolineato il segretario del Pontificio Consiglio per il
dialogo interreligioso, padre Miguel Ángel Ayuso Guixot, partecipando al primo «Arab Thinkers Forum»,
svoltosi ad Abu Dhabi dal 17 al 18 gennaio scorsi, presso l’Emirates center for strategic studies and research
(Ecssr). Il missionario comboniano è stato l’unico relatore non musulmano ed è intervenuto nella prima sessione — dedicata al tema dell’estremismo con l’analisi
delle cause e dei possibili rimedi — in cui ha preso la
parola anche il Gran muftì del Libano, Sheikh Abdul
Latif Daryan. Nelle altre sessioni sono intervenute diverse personalità degli Emirati Arabi, della Repubblica
egiziana e del Regno del Marocco. Padre Ayuso Guixot ha riproposto i recenti appelli di Papa Francesco
per dire no agli estremismi e sì a una cultura dell’incontro, rilanciando il ruolo dei leader religiosi, la necessità di un dialogo sincero e l’importanza della preghiera.
Un cammino di ricerca
A colloquio con l’arcivescovo José Rodríguez Carballo sull’Anno della vita consacrata
di NICOLA GORI
L’Anno della vita consacrata che sta per
concludersi non è stato solo incontri e celebrazioni, ma soprattutto un cammino di ricerca per conoscere sempre meglio le donne
e gli uomini che continuano a testimoniare
la ricchezza del Vangelo in situazioni di difficoltà, povertà, disagio sociale, sofferenza,
persecuzione. Quelle che il Papa definisce le
periferie esistenziali dell’umanità. Perché è
proprio in tali realtà, talvolta estremamente
drammatiche, che si trovano sempre dei consacrati impegnati a vivere la loro fede e la
loro vocazione fino all’eroismo. È il bilancio
tracciato dall’arcivescovo José Rodríguez
Carballo, segretario della Congregazione per
gli istituti di vita consacrata e le società di
vita apostolica, in questa intervista al nostro
giornale.
A febbraio si conclude l’Anno della vita consacrata. Quali sono le prime impressioni?
Altamente positive. Per i consacrati è stato, senza dubbio, kairòs, un momento di grazia. Grazia per ravvivare il proposito, come
direbbe santa Chiara, di seguire Cristo povero, obbediente e casto. Momento di grazia
per riprodurre, in fedeltà creativa, come ci
chiede costantemente la Chiesa, la creatività
e la santità dei propri fondatori. Grazie al
magistero di Papa Francesco questo Anno è
stato anche una nuova opportunità affinché
la vita consacrata continui a uscire dai propri “nidi”, abbandoni l’autoreferenzialità e,
con rinnovato ardore, cammini verso le periferie esistenziali e verso le avanguardie della
missione ai vicini e ai lontani. Inoltre è stato
anche un’occasione per approfondire la teologia della vita consacrata e il posto che essa
occupa nella Chiesa, popolo di Dio. In molti convegni e in tante pubblicazioni si sono
approfonditi i suoi elementi essenziali: consacrazione, vita fraterna in comunità, e missione. Grazie poi agli incontri dei religiosi e
consacrati di diversi carismi, questo anno è
stato un momento bello e importante di reciproca conoscenza e di collaborazione nei
diversi campi di missione tra istituti diversi.
Anche per il resto del popolo di Dio — vescovi, sacerdoti e laici — è stato un tempo di
grazia che ha reso possibile una più profonda conoscenza, una cordiale accoglienza e
una più profonda stima della consacrazione.
Quale risposta c’è stata da parte degli istituti
di vita consacrata e dalle società di vita apostolica?
A giudicare dalla partecipazione alle diverse attività organizzate in vari Paesi e a
Roma, è stata molto entusiasta. Personalmente ricordo soprattutto tre appuntamenti
in Vietnam, dove ho incontrato circa tredicimila dei sedicimila religiosi e consacrati che
vivono in questo Paese asiatico. Mi ha impressionato l’età media, che è molto giovane.
Positivi anche gli incontri nelle Filippine,
Messico, Perú e Terra santa. Mi ha colpito
pure il numero dei partecipanti all’incontro
di giovani consacrati organizzato dalla conferenza dei religiosi di Francia, così come altre iniziative simili in Spagna, Italia, Slovacchia, Romania, Portogallo. È stata molto alta anche la risposta alle proposte del nostro
dicastero organizzate qui a Roma. Vi hanno
partecipato molti consacrati di tutte le età e
di tutti i continenti. Si deve sottolineare,
inoltre, l’accoglienza piena di gratitudine e
di grande desiderio di approfondimento delle Lettere circolari pubblicate dalla Congregazione: Rallegratevi, Scrutate, Contemplate.
Oltre alle cinque lingue da noi curate — italiano, spagnolo, inglese, francese e portoghese — sono molte le traduzioni fatte dalle rispettive conferenze: tedesco, polacco, vietnamita, cinese, slovacco, rumeno, croato.
Quali sono stati i momenti più significativi?
Per il dicastero, in particolare per il prefetto e per me, sono stati gli incontri con i consacrati nei Paesi dove essi vivono e lavorano.
Abbiamo visitato molte Conferenze dei religiosi in tutti i continenti e in molte nazioni.
Ogni volta abbiamo constatato la bellezza e
la ricchezza del mosaico della vita consacrata. Nelle periferie più estreme abbiamo sempre incontrato consacrati che a volte testimoniano la loro fede in Cristo Gesù e la loro
vocazione in situazioni eroiche. Penso a Siria, Libia, Yemen, Terra santa, Iraq, Iran,
Myanmar, Haiti, e in molti Paesi africani. Al
di là delle fragilità proprie di ogni situazione
umana, sono profeti che camminano con il
popolo e che vivono la diaconia del servizio,
tanto in favore dei cristiani come in favore
di uomini e donne di altre religioni.
E a livello centrale, qui a Roma, come è stato
vissuto questo anno?
Ci sono stati diversi appuntamenti: la plenaria del dicastero, con la quale abbiano iniziato, l’incontro ecumenico, al quale hanno
Ufficio delle Celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice
Conversione di san Paolo
Vespri presieduti da Papa Francesco
INDICAZIONI
Lunedì 25 gennaio 2016, alle ore 17.30, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, il
Santo Padre Francesco presiederà la celebrazione dei Secondi Vespri della solennità
della Conversione di San Paolo Apostolo, a conclusione della Settimana di Preghiera
per l’Unità dei Cristiani sul tema: «Chiamati per annunziare a tutti le opere meravigliose di Dio» (cfr. 1 Pt 2, 9).
Prenderanno parte alla celebrazione i Rappresentanti delle altre Chiese e Comunità
ecclesiali presenti a Roma. Sono invitati, in modo particolare, il clero e i fedeli della
diocesi di Roma.
I Cardinali, i Vescovi, i Sacerdoti e i Religiosi, che desiderano partecipare alla celebrazione, indossando l’abito corale loro proprio, sono pregati di trovarsi per le ore 17
presso l’Altare della Confessione per occupare il posto che verrà loro indicato dai cerimonieri pontifici.
Città del Vaticano, 19 gennaio 2015
Mons. Guido Marini
Maestro delle Celebrazioni Liturgiche Pontificie
Per i componenti la Cappella Pontificia sarà a disposizione un servizio pullman, con
partenza dalla piazza antistante l’ingresso dell’Aula Paolo VI, alle ore 16.30. Quanti desiderano usufruire del servizio sono pregati di darne comunicazione all’Ufficio delle
Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice, entro venerdì 22 gennaio.
Pietro e come consacrato». Essa è stata
motivo di riflessione e
studio a livello personale e comunitario, e
in convegni di studio.
Una lettera sulla quale noi consacrati dobbiamo tornare. Tale è
la sua ricchezza!
I frutti scaturiti in
questi mesi continueranno a svilupparsi?
preso parte monaci delle diverse Chiese ortodosse, religiosi e consacrati delle diverse
confessioni evangeliche, e religiosi e religiose
della Comunione anglicana; l’incontro dei
formatori e delle formatrici, al quale hanno
partecipato più di 1.500 persone di circa 500
istituti, il primo incontro mondiale dei giovani consacrati, con oltre seimila partecipanti dai cinque continenti. Tutte queste attività
sono state sempre precedute da veglie di
preghiera. È stata impressionante quella nella basilica di Santa Maria Maggiore, con la
quale abbiamo iniziato l’anno, e quella in
piazza San Pietro, durante l’incontro dei
giovani. In entrambe erano presenti anche
molti consacrati di Roma. Bella è stata anche la serata di testimonianza e musica in
piazza San Pietro, durante l’incontro dei
giovani consacrati. Significative, inoltre, sono state le diverse attività di evangelizzazione, adorazione, confessione e direzione spirituale. Tutte attività che hanno superato le
nostre attese. Adesso stiamo preparando con
molta cura l’ultima settimana, che si svolgerà
dal 28 gennaio al 2 febbraio 2016. Abbiamo
convocato tutte le forme di consacrazione:
ordo virginum, nuove forme di vita, istituti
secolari, contemplative, e religiosi e religiose
di vita apostolica. Il tema è “Vita consacrata
in comunione”. Sarà una grande festa.
In che modo vi ha incoraggiati il Papa?
Anzitutto è stato lui a convocarlo. Non ha
potuto essere presente all’inizio a causa del
viaggio in Turchia, ma lo ha fatto con un
bellissimo messaggio per la veglia a Santa
Maria Maggiore e con un altro messaggio
per la concelebrazione eucaristica nella basilica di San Pietro. Inoltre, il Pontefice si è
fatto presente nelle diverse attività programmate dal dicastero a Roma, accogliendo i
partecipanti in un’udienza privata. Degno di
menzione particolare è stato l’incontro
nell’aula Paolo VI con i giovani consacrati,
durante il quale il Papa ha dialogato con loro. Si deve sottolineare anche la lettera apostolica che ha scritto, «come successore di
Questo è il nostro vivo desiderio. Tra l’altro lo stesso dicastero continuerà a proporre
attività e materiale di riflessione per proseguire il cammino. In tal modo, si risponderà
meglio alle sfide che ci ha presentato il concilio Vaticano II, che per la vita consacrata,
in quanto opera dello Spirito Santo, continua a essere “bussola” per il presente e il futuro, per rispondere a sfide sempre nuove,
leggendo, alla luce della fede, i “segni dei
tempi”.
In che modo l’Anno santo della misericordia interpella i consacrati?
La coincidenza del giubileo straordinario
con la conclusione dell’Anno della vita consacrata è provvidenziale, in quanto mette in
evidenza una dimensione fondamentale della
sequela di Cristo. In questi anni abbiamo insistito nel dire che la consacrazione deve essere samaritana. Una dimensione importante
di questo aspetto è la misericordia. Senza di
essa la nostra vita non potrà essere credibile.
Quali sono le novità del documento appena
pubblicato sui fratelli religiosi nella Chiesa?
Più che di novità parlerei di opportunità.
In quanto esso mette in risalto l’importanza
nella Chiesa e nel mondo della vita e missione dei fratelli religiosi appartenenti agli istituti laicali. In un momento in cui — come ricorda spesso Francesco — la tentazione del
clericalismo nella Chiesa è grande, è importante ricordare che la vita consacrata è nata
come una forma di sequela laicale, o “mista”, come nel caso dei frati minori, tra i
quali c’erano, fin dagli origini, chierici e laici
formanti un’unica fraternità. È proprio il tema della fraternità uno degli elementi fondamentali sui quali insiste il documento Vita e
missione dei fratelli religiosi, che ha come sottotitolo il testo del Vangelo «voi tutti siete
fratelli». Del resto anche se ha come destinatari diretti i fratelli religiosi degli istituti
laicali, quanto di loro viene affermato può illuminare la vita e missione dei fratelli laici
degli istituti clericali e anche delle religiose.