Corte di Cassazione, sez. VI, ordinanza 12/01/2016, n. 324

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00324/16
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE - T
Oggetto
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
•
Dott. MARCELLO IACOBELLIS
- Presidente -
Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO
- Rel. Consigliere -
Dott. MARIO CIGNA
- Consigliere
IRPEF ILOR
RIMBORSO
u104/11/2015-cc
Cuce, . 3 Z4
Consigliere -
Dott. ANTONELLO COSENTINO
R.c.N..los18/2013
- Consigliere -
Dott. ROBERTA CRUCI 1 11
C Vi- C11
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 20518-2013 proposto da:
CAPILUPI ALDO CPLLMR29E20L177B, elettivamente domiciliato
in ROMA, VIA ADELAIDE RISTORI 9, presso lo studio
dell'avvocato ANTONIO TIGANI SAVA, rappresentato e difeso
dall'avvocato GIOVANNI CAPILUPI giusta procura in calce al
ricorso;
- ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI
PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO
STATO, che la rappresenta e difenden ope legis;
controricorrente -
'439,1
.15 ,
(
avverso la sentenza n. 22/2/2013 della COMMISSIONE
TRIBUTARIA REGIONALE di CATANZARO del ,31/01/2013
depositata il 05/02/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/11/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE
CARACCIOLO;
udito l'Avvocato Antonio Tig-ani Sava (delega verbale) difensore del
ricorrente che si riporta ai motivi scritti.
Ric. 2013 n. 20518 sez. MT - ud. 04-11-2015
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La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
.
letti gli atti depositati,
osserva:
La CTR di Catanzaro ha respinto l'appello principale di Capilupi Aldo e quello
incidentale dell'Agenzia -appelli proposti contro la sentenza n.197/02/2011 della
CTP di Catanzaro che aveva parzialmente accolto il ricorso del Capilupi
riconoscendo il rimborso degli interessi legali sulle somme rimborsate in relazione
agli anni dal 2002 al 2005- ed ha così rigettato l'impugnazione del silenzio rifiuto
sull'istanza di rimborso per IRPEF (trattenuta dall'INPS sull'intera pensione
integrativa anzicchè sull'87,5% di quanto corrisposto) relativa agli anni dal 1995 al
2001.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che non vi fossero ragioni per
non applicare alla specie di causa la disciplina dell'art.38 del DPR n.602/19 a
proposito del termine decadenziale di mesi 48 dal momento del versamento
dell'imposta, atteso che la menzionata norma ha portata generale e si applica per tutti
i casi di versamenti diretti. Il termine in questione decorre dalla data del versamento
delle imposte, non essendo possibile altra interpretazione, alla luce del chiaro tenore
letterale della disposizione.
La parte contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
L'Agenzia si è difesa con controricorso.
Il ricorso — ai sensi dell'art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente
della sezione di cui all'art.376 cpc- può essere definito ai sensi dell'art.375 cpc.
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art.2935
cod civ; 38 del DPR n.602/1973; 21 comma 2 del D.Lgs.546/1992) la parte
ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello abbia ignorato il disposto
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dell'art.2935 cod civ (applicabile analogicamente anche all'istituto della decadenza)
che prevede che il termine decorra dal momento in cui il diritto può essere fatto
valere, atteso che nella specie di causa tale momento doveva farsi coincidere con il
momento in cui l'INPS (a mezzo della nota del 31.1.2007) aveva comunicato ad esso
contribuente che —per effetto delle direttive impartite con la Circolare n.25/2006
dell'Agenzia delle Entrate- le imposte di cui trattasi andavano calcolate sulla quota e
non sull'intera pensione. In siffatta situazione sarebbe stato da applicare l'art.21
menzionato, secondo cui l'istanza di rimborso deve essere presentata entro due anni
"dal giorno in cui si è verificato il presupposto per la restituzione"
Il motivo appare infondato e da disattendersi.
Trattandosi di ritenute alla fonte (cioè operate dall'ente erogatore della pensione in
qualità di sostituto di imposta, sia esso privato o pubblico diverso dallo Stato), non
può che applicarsi alla specie di causa la disciplina dettata dall'art.38 dianzi
menzionato, così come chiarito da copiosa giurisprudenza di codesta Suprema Corte
(tra le molte, si vedano Cass. n.9940/2000; Cass. n.12810/2002):" La richiesta di
rimborso delle ritenute di IRPEF effettuate, come sostituto d'imposta ex art. 23 del
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, da datore di lavoro diverso da un'Amministrazione
statale, sulle somme a vario titolo corrisposte al dipendente trova la sua disciplina
nell'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e va quindi presentata dal
dipendente percipiente nel termine in esso fissato rispetto alla data in cui la ritenuta è
stata operata". D'altronde, secondo il constante indirizzo interpretativo di codesta
Suprema Corte, la disciplina del menzionato art.38 si applica in tutte le ipotesi di
inesistenza totale o parziale dell'obbligazione adempiuta, a prescindere dalle ragioni
che sostengono detta inesistenza ed a prescindere dal fatto che l'inesistenza si assuma
originaria o sopravvenuta.
E per altro, ai fini di determinare il dies a quo del decorso del termine decadenziale
non potrebbe darsi rilievo alcuno alla circostanza (secondo parte ricorrente integrante
momento di insorgenza del diritto in epoca posteriore a quella dell'avvenuto
pagamento; ovvero ancora momento del mutamento dell'indirizzo giurisprudenziale
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che in precedenza pregiudicava l'esercizio del diritto al rimborso; ovvero ancora
evento successivo dal quale è possibile desumere incontrovertibilmente il carattere
indebito della somma percepita dall'Amministrazione) invocata dalla parte ricorrente,
perché è pure principio giuridico recepito costantemente quello secondo il quale:"In
, tema di rimborso di imposte dirette che si assumono indebitamente versate, il termine
di decadenza di diciotto mesi previsto dall'art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 602
per la presentazione della domanda di rimborso non può farsi decorrere dalla data
della emanazione di circolari o risoluzioni ministeriali interpretative delle norme
tributarie in senso favorevole al contribuente, non avendo detti atti natura normativa
ed essendo, quindi, inidonei ad incidere sul rapporto tributario" (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 11020 del 08/11/1997, a cui si sono aggiunte molte altre
successivamente).
In defmitiva, dovendosi ritenere che il contrario avviso dell'Ente erogatore della
pensione e dell'Agenzia fiscale altro non costituisce che un semplice ostacolo alla
realizzazione del diritto al rimborso (mai idoneo ad integrare quell'impedimento che
giustifica il mancato decorso del termine decadenziale o prescrizionale), non può che
concludersi nel senso che il motivo di impugnazione —centrato com'è sulla violazione
dell'art.2935 cod civ- non può trovare condivisione.
Con il secondo motivo di impugnazione (centrato sulla violazione degli art.2969 cod
civ e 23 del D.Lgs.546/1992) la parte ricorrente si duole ancora del fatto che —pur
volendosi ritenere maturata la decadenza dal diritto al rimborso- la domanda di
rimborso non avrebbe potuto in nessun caso essere rigettata, siccome la questione
della decadenza non avrebbe potuto essere rilevata d'ufficio, come era stato nell
specie di causa, atteso che la eccezione in proposito era stata solo tardivamente
proposta dalla parte pubblica oltre il termine previsto dall'art.23 menzionato.
Anche detto motivo appare infondato ed inaccoglibile, risultando consolidato
l'orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo il quale:"In tema di
contenzioso tributario, la decadenza del contribuente per il mancato rispetto dei
termini fissati per richiedere il rimborso di un tributo indebitamente versato, in
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quanto materia sottratta alla disponibilità delle parti, è rilevabile di ufficio, ex art.
2969 cod. civ., in ogni stato e grado del giudizio, sicchè è deducibile per la prima
volta anche in appello" (da ultimo si veda Cass. Sez. 6 - 5, Sentenza n. 317 del
13/01/2015).
Non resta che concludere che la pronuncia qui impugnata non merita cassazione e che
il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta infondatezza.
Roma, 30 giugno 2015
ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite
di questo giudizio, liquidate in C 700,00 oltre spese prenotate a debito ed accessori
di legge.
Ai sensi dell'art.13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art.13.
Così deciso in Roma il 4 novembre 2015
Il Pres d nte
DEF'OSITATO IN CANCELLERIA
2 w. 2016
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Iacobellis )