UN CAMMINO NELLA MISSIONE - Solidarietà

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UN CAMMINO NELLA MISSIONE
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INDICE
UN CAMMINO NELLA MISSIONE
-
Grazie
Un passo indietro
Alcune lettere dell’inizio
Con la gente delle baracche
3
3
7
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Acquedotto Felice
Perché ho chiesto di vivere in periferia
In Roma le baracche sono l’ultima periferia
Lettera al Vescovo di Roma
Il popolo continua il suo cammino
-
Goma
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Introduzione
Esperienza personale e collettiva, verso la missione
-
Anni di dolore per la guerra…e poca pace
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Conferenza Nazionale (1991-1992)
Allegato A
Allegato B
Allegato C
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Italia
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1994 Parma
Allegato D
Allegato E
-
La Fraternità Missionaria oggi
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Allegato F
Promessa di impegno nella Fraternità Missionaria
-
Il nostro Grazie
Una speranza
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63
2
3
UN CAMMINO NELLA MISSIONE
Fraternità Missionaria. Goma (Congo-Ex Zaire)-Parma (Italia)
GRAZIE!
Grazie è il senso di questi fogli. Tanti ci hanno accompagnato nel
nostro cammino. Siamo riconoscenti e contenti di condividere
qualcosa della nostra vita e soprattutto le luci che ci hanno
condotto nell’itineranza evangelica prima nella periferia di Roma,
poi nel Congo (ex Zaїre), oggi a Parma, dove continuano i legami
con la missione di Goma dove restano Luisa e Antonina.
Per raccontare la nostra esperienza, una tra le tante, ci siamo
serviti di lettere, appunti, condivisioni con le nostre comunità in
diversi momenti, e pagine del diario.
Vorremmo fosse un grazie a Dio anzitutto, vero centro della
nostra vita, e, in qualche modo, una restituzione a quanti ci
hanno accompagnato.
UN PASSO INDIETRO
Paola, Edda, ed io Silvio, missionario saveriano, che tento di
scrivere queste righe, abbiamo iniziato questo cammino in un
periodo particolare della Chiesa. Eravamo sollecitati dalla nuova
visione che si era aperta con il Concilio Vaticano II, un evento
particolarmente forte per la Chiesa e il suo rapporto con il
mondo.
L’incidente stradale, vissuto insieme nel 1969, in cui sono
rimasto paraplegico, e il periodo vissuto con gli operai del Centro
INAIL di Ostia, mi hanno spinto, con l’aiuto di don Mori, padre
spirituale, a riorientare il modo di vivere la missione. Poco tempo
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prima dell’incidente avevo già cominciato a sognare il Giappone, a
cui ero stato destinato… ma qualcosa era cambiato!
E’ sempre stato presente e vivo il tesoro dell’incontro con Cristo
e il desiderio di condividerlo con tutti. Questo mi spingeva a
cercare altri modi di camminare.
Ho pensato alle periferie delle nostre città, al Kenya, dove c’era
Annalena Tonelli, al Congo, nelle nostre missioni, dove era partito
da poco tempo don Dioli, fidei donum di Ferrara. Ero ancora
fragile, soprattutto fisicamente. Poi mi arrivò l’invito di Paola ed
Edda, dalle baracche di Roma, dove già avevano iniziato a vivere
insieme con una forma laicale di consacrazione. Eravamo stati
impegnati insieme nell’Associazione Mani tese - contro la fame
nel mondo. Ci siamo incontrati a Loreto, abbiamo pregato insieme
e ci è sembrato bello ravvivare il nostro legame nel rispetto
delle nostre scelte precedenti, soprattutto nella condivisione
della vita con i poveri.
Una comunione di intenti che non è nata da un programma
preciso, ma da una tensione interiore, che si allargava e ci univa
particolarmente alla gente con cui avremmo vissuto. Lo spirito
della fraternità ci apriva all’amicizia e ai loro problemi, a
momenti di preghiera e all’azione per condividere le sofferenze,
cercando insieme soluzioni.
Dio, il nostro essere Chiesa tra la gente, e tra i poveri in
particolare, era certamente il nostro punto di riferimento.
Ho riletto il diario del 1970, il tempo in cui mi ero posto
l’approfondimento della modalità della scelta religiosamissionaria. Sono rimasto colpito da quanto tutta la mia umanità
sia stata coinvolta da quella scelta di vita legata alla fede e
all’impegno di comunione con i miei superiori. Esternamente tutto
sembrava così normale, interiormente mi ritrovavo solo davanti a
Dio, che in Gesù aveva mostrato il suo volto e con Lui cercavo la
strada per seguirLo nell’oggi, tra la gente. Così è stato; nel
dialogo più sincero cercavo con i miei superiori una risposta.
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Ripeto: erano i tempi del dopo-Concilio, in cui si sentiva tanto
l’apertura per essere Chiesa tra la gente, con la gente, dentro il
più possibile ai loro problemi, con lo spirito delle beatitudini. In
fondo quel cammino resta una modalità prevista dalle nostre
Costituzioni saveriane (n. 14 e 36).
Oggi vedo quanta comprensione, attesa rispettosa e paziente ci
sia stata da parte dei miei fratelli maggiori e della mia famiglia.
Il padre spirituale mi camminava accanto con il suo amore e la
sua sapienza: un uomo che amava tanto Dio e la Chiesa e cercava
la Sua luce su di me.
Oggi mi è più chiaro di allora il mio nulla.
Dio solo è! Dio solo è pienezza di vita.
Scrivere di Lui, del suo riflesso su di noi è in qualche modo
“adorazione” del suo Essere, della sua infinita misericordia.
Siamo come piccoli segni della sua vita nel deserto del nostro
nulla. Allora raccontare anche le nostre povere esperienze è
contemplare dei segni della Sua Presenza. E nella sua Luce è
sempre più evidente la nostra povertà e il Dono della sua
Misericordia infinita.
Signore, aiutami a ripercorrere il mio passato, perché sappia
chiedere perdono a Te e ai miei fratelli e possa celebrare la tua
misericordia, amore ad oltranza verso i tuoi figli.
Mentre Ti ringrazio perché “il divino e l’umano – come scrive
papa Francesco nell’enciclica Laudato sì n. 9 – si incontrano nel
più piccolo dettaglio della veste senza cuciture della creazione di
Dio, persino nell’ultimo granellino di polvere del nostro pianeta”,
Io non saprei scrivere una frase, senza ripetere mille e mille
volte il nome di Dio.
Sì, come il raggio di luce non può esistere né “raccontarsi” senza
legarsi al suo Centro: il Sole.
Il nostro nulla, orientato al dono di sé, come l’amore vero, viene
legato alla sua Sorgente.
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E’ la pienezza della libertà della persona, che è tale non nel
chiudersi, ma nell’aprirsi al “Sì” a Dio e ai fratelli.
A questa premessa allego alcuni scritti di Paola ed Edda.
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AlCUNE LETTERE DELL’INIZIO
Parma, 15 febbraio 1970
Cara Edda,
il tempo vola davvero, mi sembra di averti parlato ieri,
per telefono, mentre sono già quindici giorni. Eppure non sempre
ci si ricorda che nella vita tutto è provvisorio e ci si attacca, ci
si preoccupa... Preghiamo perché il Signore ci doni la grazia di
saper dare a tutto il suo giusto valore. Mi viene in mente la
nostra Maria (deceduta nell’incidente del 1969) che, pur
ricevendo con gioia tutto ciò che la volontà di Dio metteva sulla
sua strada, era anche disposta a lasciare tutto. Voglio dire che
non pensava alla morte come a qualcosa di lontano o di molto
terribile. E il Signore gliel'ha mandata improvvisa come un
temporale d'estate. Avevamo parlato una sera di questa nostra
provvisorietà e l'avevo sentita matura in questo discorso e sulla
realtà che esso racchiude.
Ho ripensato ancora a ciò di cui avevamo parlato tempo fa, prima
della tua partenza. Se il Signore vorrà che qualcosa si realizzi
insieme, le mie idee sarebbero queste: formare una piccola
fraternità sullo stile di Padre de Foucauld, con una
consacrazione tutta interiore che non risulti né per l'abito né
per il nome particolare; una consacrazione vissuta in un ambiente
povero, e con le seguenti caratteristiche: fedeltà alla preghiera
quotidiana (in silenzio davanti a Gesù e insieme confrontando la
nostra vita col Vangelo), unità fra noi, impegno a condividere le
condizioni dei fratelli che sono nel nostro ambiente, disponibilità
al prossimo. (…)
Credo comunque che la cosa più importante, soprattutto ora, sia
pregare e guardare a Gesù. In effetti, Lui solo può aiutarci a
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fare queste scelte e anche aiutarci a capire se è sua volontà che
le facciamo. In fondo, l'essenziale non è la forma di vita ma la
fedeltà interiore, raggiungibile in qualsiasi situazione.
Paola
Parma, 8 maggio 1970
Carissima Edda,
(…) la ragione principale per cui desideravo scriverti è che ho
ricevuto una lettera da Silvio che sarebbe stato bello leggere e
meditare insieme. Non c’era il tempo di farlo domenica sera, ma
lo faremo in seguito. Per ora ti riporto ciò che costituisce, fra
noi, motivo di unione in modo particolare. Ne abbiamo anche già
parlato insieme e a proposito della carovana.
“Siamo già una carovana in cammino, siamo nella chiesa e siamo
chiesa. Il punto fisso è Gesù… tutta l’umanità, tutti i fratelli che
hanno la gioia della certezza di Gesù ( tutti hanno in Lui origine e
convergenza), sono nostri. E’ giusto però che facciamo catena
con quanti incontriamo… sì, vi sono modi diversi di fare catena, la
libertà è base dell’amore e anche del modo di manifestarlo (la
libertà, l’onestà di ciascuno, il punto di maturazione – anche se
non di merito – sono l’indice necessario).
E’ già la carovana qualcosa di visibile, mi chiedo tuttavia se un
giorno Dio non la voglia anche più segno di quanto sia ora…
avverti che in te e in altri fratelli si sta creando una risposta di
chiesa, della chiesa di oggi. Amo anch’io tantissimo questa
presenza visibile di Dio e per questo voglio tuffarmi in questo
atto di amore e di vita. Sono tanto contento. Vedo una luce
intensa, sento tanta pace e la comunione con tutta la chiesa. La
chiesa non è struttura, ma amo anche la chiesa delle strutture e
la servo facendo questo atto di amore. (…) con Attilio e Renato
posso attuare qualcosa di particolare nel sacerdozio… insieme
viviamo la comunione con voi e con voi la comunione nella
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consacrazione a tutta la chiesa e siamo tesi a edificare con tutti
gli uomini il regno della giustizia, della pace (la causa del Figlio
dell’uomo è anche quella dell’uomo).
Attilio andrà in Spagna. Saremo con lui, lui con noi. Un giorno in
missione… noi con lui, lui con noi. Naturalmente la catena si
allargherà, i cerchi – meglio la spirale – si moltiplicheranno.
W W W !!! Forse un giorno qualche gruppo della carovana si
collocherà insieme con coloro che Dio manda in modo più
ufficiale, e speriamo che presto le ruote del grande carro
tocchino tutte per terra, combaciando armonicamente, anche se
nella diversità dell’ampiezza e della sistemazione (ho visto tante
volte in campagna, carri con ruote grandi e piccole…).
Che la chiesa risplenda anche nelle sue strutture! Ogni passo
deve essere un atto e un segno di pace evangelica, che ha la
forza di spezzare e superare le misure umane nostre e di tutti.
INSIEME, perché Lui con noi, avremo la forza di spostare le
montagne. Nella carne Dio scrive il suo Vangelo per gli uomini,
nella carne comunica il suo messaggio… se vuoi, fai sapere anche
ad Edda quanto ho scritto. “
Cara Edda, sono tanto contenta! Mi chiedo come mai la mia
miseria sia invasa da tanta grazia. Poi, pensando alle ruote del
carro, capisco tutto.
Siamo unitissime perché in questo consiste la salvezza.
Paola
(estratto dal fascicolo realizzato a Parma il 29/06/1996
ALCUNE LETTERE PAOLA MUGETTI)
Felegara, 20 maggio 1976
Caro Silvio,
grazie delle tue lettere. Come vedi sono ancora a Felegara.
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Continuiamo ad assistere Ada giorno e notte: non mi sento di
andare a Roma in questo momento. Inoltre non sappiamo ancora
se Ada vivrà: le sue condizioni sono piuttosto gravi.
Io vado e vengo da Parma, sto abbastanza bene e sono anche
serena. Non prego molto, ma sento che Gesù è presente e cerco
di tenermelo vicino così con semplicità in ogni momento e come
Lui si presenta. Passo parecchio tempo all'ospedale e mi sembra
di vedere con più lucidità di tempo fa, di quanto dolore è pieno il
mondo: ho visto e sentito la morte una cosa reale come toccare
un pezzo di terra, ne ho provato spavento, ma il Signore è
grande, mi sembra che mi abbia dato come una forza nuova, che
non è solo serenità, è dolore vivo e capace di una speranza più
che mai vera, di una speranza che è Dio stesso in eterno. Vorrei
parlarne con mia mamma, ma è così difficile; a volte mi vergogno
di mangiare, bere, dormire quanto esiste gente senza più niente
di tutto ciò: e poi penso che arriverà anche per me il giorno e
l'ora.
In questi giorni ci sono grosse polemiche qui perché R. La
Valle, Pratesi e altri si sono presentati come candidati nelle liste
indipendenti del PCI. (…)
Io mi chiedo se (queste polemiche) sono cose che a Dio
interessano. Io mi chiedo se la fede non va oltre il militare in un
gruppo o in un altro. Io non voglio difendere a tutti i costi una
posizione, ma mi sembra che Cristo abbia annunciato un
messaggio che non si fermava né nel tempo, né nello spazio, né
nelle ideologie, ecc., ma va oltre non solo perché siamo chiamati
alla Resurrezione ultima, ma perché ci chiama ora nel tempo
presente ad essere testimoni oltre i limiti dell'uomo, degli
uomini. Gesù è stato l'uomo dei dolori perché è stato l'uomo
libero per eccellenza: e anche noi la nostra libertà, se vogliamo
seguirlo, passa nella carne-vita del nostro tempo così come si
presenta.
Gesù non ha mai condannato, né difeso delle dottrine, e direi non
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ha mai difeso delle “opere”, Lui camminava e annunciava la “buona
novella”, si faceva presente “oltre” le meschinità degli uomini, le
divisioni, le ingiustizie, le sofferenze.
Io voglio bene al Papa e ai Vescovi, ma mi sembra che loro
vogliano “difendere” sempre qualche cosa, una difesa di paura:
mentre Gesù (nelle tentazioni, davanti a Pilato) ha una difesa di
Amore.
Caro Silvio, vorrei anch'io dare il mio piccolo contributo
d'Amore al mondo, ma mi sento piccola e incapace: vorrei almeno
non tradirlo, poi Lui farà.
….....
Edda
Luvungi, 4 gennaio 1977
Carissime Edda e Paola,
scrivo queste righe con l'intenzione di partecipare al
dialogo che la comunità Saveriana sta vivendo in questi giorni
attraverso la preparazione del Capitolo.
Parlo della mia esperienza religiosa: in altri tempi l'avrei vista
quasi esclusivamente un problema personale; ora per il rispetto e
l'amicizia sperimentata mi sembra un momento di fede e di
fraternità, e il comunicarla aiuta a vivere insieme la ricerca della
volontà di Dio. La lettura del Vangelo nell'ascolto dell'umanità di
oggi; l'esperienza di questi anni a contatto con la sofferenza e
l'ambiente del lavoro mi ha fatto sentire più forte l'impegno di
esprimere la consacrazione religiosa nelle difficoltà che gli
uomini incontrano e vicino il più possibile alla vita di tutti.
Nell'attesa di vivere in missione ho chiesto e ottenuto con
l'accordo della Direzione Generale e del Cardinale Vicario di
Roma di vivere, assieme ad altre persone, tra le famiglie della
periferia.
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Si è cercato di stabilire un rapporto di amicizia e di Fede, di
solidarietà (attraverso un servizio sociale, sanitario, scolastico)
adoperandosi insieme per la soluzione dei problemi del quartiere.
Lo scorso anno sono stato contento di lasciare quell'impegno per
poter vivere direttamente la fraternità tra i popoli nel nome di
Gesù e testimoniare la salvezza e la pace che il Signore opera
ogni giorno anche nella mia debolezza.
Ho chiesto di partecipare alla vita e alla crescita del popolo di
Dio cercando di essere dentro il più possibile alla vita di tutti:
abitazione, lavoro, problemi nello spirito delle Beatitudini,
preparando e appoggiando con la celebrazione dell'Eucarestia la
vita di una comunità vivente, dove maggiormente si sarebbe vista
la necessità.
Ho desiderato continuare il legame di vita (in cammino verso il
Paradiso) nell'opportuna distinzione di abitazione e di momenti
con nuclei di consacrati e sposati concretizzato nell'aiuto
reciproco a vivere l'ideale proposto da Gesù sia per l'individuo
che per la società; nella comunione dei beni; nel vivere insieme i
problemi che la preferenza dei poveri esige. In gruppo si è così
orientati a esprimere un'esperienza di Vangelo che sia un inizio
di Chiesa e un'occasione di crescita dell'uomo.
Ho stima per i confratelli che lavorano in Italia e in
Missione e vedo la necessità per la Chiesa di una rete stabile che
garantisca una presenza e una attività pastorale a tempo pieno
per la Comunità Cristiana; mi sembrerebbe tuttavia di mancare
di fede rinunciando a credere che continuamente e in modi
diversi Dio opera nella Sua Chiesa. Forse anche i piccoli gruppi
dispersi nel popolo di Dio, con tutti i vantaggi e gli svantaggi che
questo comporta, ma profondamente legati alla vita di tutta la
Chiesa, possono essere un piccolo segno della Sua Presenza.
E' una consacrazione, in certa misura diversa, rispetto a quella
tradizionale: una presenza religiosa meno stabile e ufficiale e
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nello stesso tempo più elastica e discreta.
Mi sembra sia presente, oggi, nella vita della Chiesa una
complementarietà di modi di consacrazione legati tra loro da una
rapporto di vita, aventi origine da un unico carisma.
Gli orientamenti, nell'Istituto Saveriano, delle Comunità
Religiose (sacerdoti e fratelli) sono delineati nella vita e nella
storia dell'Istituto con chiarezza: sono e saranno una dono
sicuro per la Chiesa.
Mi chiedo tuttavia se allo stesso Carisma Missionario di cui
l'Istituto ha ricevuto conferma dalla Chiesa non possano essere
collegati altre forme di Consacrazione: nuclei di sacerdoti, laici
consacrati e sposati che si ritrovano nella stessa finalità.
Ciò consentirebbe un fruttuoso collegamento con gruppi che
troverebbero nelle mani dell'Istituto la stabilità e la continuità
necessaria, pur mantenendo quell'agilità e quell'inserimento nel
mondo che ne giustifica e ne richiede la loro presenza.
Il gruppo potrebbe essere collegato, nella sua autonomia
(necessaria perché viva il suo essere nel mondo) all'Istituto
mantenendo con esso un impegno di verifica della propria vita,
dei suoi programmi e della sua finalità.
….
Con stima e affetto,
Silvio
15 settembre 1977
Carissimo Silvio,
(…) Sono molto contento della tua decisione circa la professione
perpetua e soprattutto sono contento di come questa decisione
è stata raggiunta, nel dialogo e nella attesa, senza forzare
niente. Il Signore ci ha aperto a poco a poco la strada. Se
sempre si potesse andare avanti adagio e se avessimo la pazienza
di aspettare. Ma spesso noi vogliamo imporre anche al Signore i
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nostri ritmi occidentali, trasformando il tempo della grazia in
tempo della rapidità. (…)
Padre Gabriele Ferrari
Dall’esortazione apostolica EVANGELII GAUDIUM = LA GIOIA
DEL VANGELO n. 87 di Papa Francesco.
“Oggi, quando le reti e gli strumenti della comunicazione umana
hanno raggiunto sviluppi inauditi, sentiamo la sfida di scoprire e
trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di mescolarci, di
incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di
partecipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi
in una vera esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in
un santo pellegrinaggio (…) In questo modo, le maggiori
possibilità di comunicazione si tradurranno in maggiore
possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti. Se potessimo
seguire questa strada, sarebbe una cosa tanto buona, tanto
risanatrice, tanto liberatrice, tanto generatrice di speranza!(...)”
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CON LA GENTE DELLE BARACCHE
Acquedotto Felice
Sulla “strada” per condividere la speranza del Vangelo. Era
l’aspirazione di quel periodo dopo l’incidente d’auto. La gente
della periferia di Roma, dove si erano collocate Paola ed Edda,
era un luogo possibile. Risposi così al loro invito, in dialogo con la
famiglia saveriana. Sono ricordi lontani, ma non posso
dimenticare gli archi dell’acquedotto, che, chiusi da due pareti di
mattoni, i foratoni, diventavano abitazione per tante famiglie
che venivano soprattutto dalle Marche e dalle Puglie, offrendo il
proprio lavoro di manovalanza. C’erano le suore di madre Teresa,
con l’asilo e la loro cappella, essenziale e densa di silenzio. Era la
parrocchia S. Stefano di Tor fiscale, con il parroco don Carlo, un
sacerdote dal cuore grande.
La vita con i baraccati ci ha impegnato a cercare insieme
risposte ai problemi della scuola (doposcuola), di una fermata
dell’autobus, della luce, dell’acqua, della strada e soprattutto
delle case che furono assegnate a Nuova Ostia, dove siamo stati
spinti ad impegnare, costituendo il Comitato di quartiere,
l’Amministrazione comunale nei servizi più essenziali nel nuovo
quartiere attorno a piazza Gasparri.
Tante visite alle famiglie, incontri, ascolto e proposte. Il legame
tra tutti noi, abitanti dell’acquedotto, era vero e forte.
Celebravo la Santa Messa domenicale nell’asilo delle suore
indiane, dove abbiamo conosciuto madre Teresa e il servizio
orante e silenzioso delle sorelle accanto ai più poveri tra i
poveri.
Avevamo iniziato incontri di Vangelo con gruppi di famiglie. Poi il
trasferimento nella casa popolare a Nuova Ostia, dove abbiamo
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tentato di aiutare l’inserimento delle famiglie nel nuovo
quartiere della città. Insieme ci siamo impegnati per rendere
abitabile e umana la zona del nuovo quartiere (scuola, strade,
ascensori, piazza, servizi). Il rapporto con le famiglie e con la
parrocchia era essenziale.
Perché ho chiesto di vivere in periferia (riflessione di quel
periodo)
Il periodo di Ostia nell’ospedale per i paraplegici, in seguito
all’incidente stradale del 1969, è stato tempo di deserto. Vivevo
con tanti operai infortunati… anche il personale ospedaliero mi
poneva tanti problemi. Mi hanno insegnato molte cose, il valore
delle cose semplici. L’essenziale della vita, con il Vangelo che
Gesù propone, l’ho vissuto con più evidenza. Mi sono sentito più
vicino alla vera umanità, quella che frequenta le fabbriche e lo
stadio, senza titoli, e con tante sofferenze, spesso sfruttata
senza troppe luci e protezioni.
Ho ripensato tante volte al significato e al potenziale di una vita
religiosa.
Ora
specialmente,
inserendomi
nuovamente
nell’ambiente (Istituto) religioso, mi sono chiesto se veramente
così come mi si presenta è per me il modo più adatto per vivere
l’esperienza “religiosa” in mezzo agli uomini. Mi sembra che la
vita religiosa superi le istituzioni e le loro sigle; esse valgono per
i valori che vivono. Nel mio caso particolare mi turba
profondamente il senso di sicurezza. Vorrei essere un gradino
più in giù della sicurezza della povera gente, che è molto
inferiore alla nostra attuale. Mi turba ancora di più, il distacco e
l’isolamento dei fratelli per i quali Dio mi dona la gioia della
chiamata alla vita religiosa - missionaria
Ogni figlio porta per i propri fratelli un dono del Padre. Troppo
spesso – così mi sembra - non comprendiamo i discorsi della
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gente. Deve nascere la giustizia, la verità, e noi che disponiamo
di una sorgente, molte volte siamo assenti.
La certezza e la luce del Regno deve donarci la forza dei
profeti, capaci di affrontare il rischio della proposta di
conversione ad ogni livello di vita.
So che ogni Istituto è chiamato a rinnovarsi, che ogni Istituto
nasce da un carisma e da una validità che ha caratteristiche del
Regno; non credo tuttavia che il rinnovamento sarà fatto a
tavolino; le risposte come i problemi vengono dalla vita e spesso
nella sofferenza.
Questo è quanto chiedo ai miei fratelli maggiori: poter vivere
solo o con altri, che manifestino gli stessi desideri, in una zona
della città particolarmente povera e lontana, con tutte le
difficoltà del caso e nella mia situazione con tutte le
preoccupazioni degli invalidi.
Questa unità sarà collocata in mezzo ai più poveri. Si nutrirà nel
senso più completo del pane dei poveri, per essere con loro più
vita, più Vangelo, più giustizia che è un tutt’uno. (Tavernerio,
marzo 1970)
Dopo la risposta positiva dell’Istituto e del Vicariato di Roma, ho
potuto collocarmi tra i baraccati dove già vivevano Paola Mugetti
ed Edda Colla.
In Roma le baracche sono l’ultima periferia
Roma è suddivisa in molti quartieri. Non sono tutti uguali.
Rispecchiano il potere, il reddito, la cultura, la condizione di vita
della gente. I borghetti, quartiere dei poveri, sono nodi di una
società sbagliata, che cura l’interesse di pochi e ignora il bene
dei più. I borghetti sono il luogo dove si vive la lunga attesa dopo
la fuga da una situazione disperata; una cintura di sofferenza e
di miseria; una riserva di mano d’opera voluta dal Capitale. I
tristi fenomeni che si ritrovano nelle borgate di periferia
(Pratorotondo, Pietra alata, Tuffello, Primavalle, Acquedotto
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felice, Borghetto latino, ecc.) sono già presenti nei borghetti
anche se continuano a restare alcuni aspetti della vita paesana di
provenienza. Questo avviene particolarmente dove si trovano
gruppi di famiglie insediate da molti anni e provenienti dalla
stessa regione.
Lettera al Vescovo di Roma
Siamo la comunità cristiana del vicolo Acquedotto Felice e Tor
fiscale, composta da baraccati e da altre persone che
partecipano alla vita della borgata; il legame che ci unisce è il
segno del cristiano: l’amore di Dio che passa attraverso l’amore
al prossimo.
Il motivo che ci ha spinto a scrivere questa lettera ci è stato
offerto dall’invito contenuto nella “Lettera ai cristiani di Roma” 1
che alcuni sacerdoti hanno scritto perché la Chiesa tutta prenda
atto del problema dei baraccati e pronunci la sua parola di
giustizia e di pace che porti alla conversione dei cuori e alla
soluzione del problema.
La lettera è stata per noi un invito alla riflessione e all’azione.
L’accettiamo come un appello valido, i cui limiti sono inevitabili,
legati alla situazione esasperata di chi soffre, devono essere
superati con l’aiuto di tutti i cristiani. Rispettiamo la voce
disinteressata che si leva per richiamarci un problema e la
consideriamo un dono per la Chiesa tutta. (…)
Ci sentiamo tutti in cammino impegnati, ciascuno secondo le
proprie responsabilità, a ricercare in unità una linea di azione
che risolva questo problema. Anche la nostra comunità è
direttamente interessata a dire la sua parola, tanto più perché
vive la situazione dei baraccati.
La scelta di Cristo per gli ultimi deve guidare la vita di tutti i
cristiani. Non mancano segni e proposte su questa linea nella
Chiesa di oggi, né ignoriamo come il Papa stesso abbia sollevato
attraverso alcuni gesti e dichiarazioni il problema dei baraccati.
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“Invece di favorire l’incontro fraterno e l’aiuto vicendevole, la
città sviluppa le discriminazioni e anche l’indifferenza, fomenta
nuove forme di sfruttamento e di dominio, dove certuni,
speculano sulle necessità degli altri, traggono profitti
inammissibili (…) nascono così nuovi proletariati. Essi si installano
nel cuore della città talora abbandonate dai ricchi, si accampano
nelle periferie, cinture di miseria che già assedia in una protesta
ancora silenziosa il lusso troppo sfacciato delle città
consumistiche e sovente scialacquatrici”. (Octagesima Adveniens
n. 10).
L’uscire da questa situazione impegna ad una conversione a tutti
i livelli: dai singoli a quanti occupano posti di responsabilità, alle
istituzioni.
Anche gli istituti religiosi sono chiamati alla conversione della
mentalità e degli atteggiamenti, alla liberazione da ogni impaccio
temporale, all’amore.
“Il grido dei poveri, deve interdirvi, anzitutto, ciò che sarebbe
un compromesso con qualsiasi forma di ingiustizia sociale. Esso vi
obbliga, inoltre, a destare le coscienze di fronte al dramma della
miseria e alle esigenze di giustizia del Vangelo e della Chiesa.
Induce certuni fra voi a raggiungere i poveri nella sociale
condizione, a condividere le loro ansie lancinanti. Invita, d’altra
parte, non pochi vostri istituti a riconvertire in favore dei poveri
certe loro opere (…) bisogna che mostriate nella vita quotidiana
le prove, anche esterne, della autentica povertà”. (Evangelica
Testificatio n. 17).
L’indifferenza, la neutralità, il silenzio di fronte a questo
problema sono una grave lacuna: significano il rifiuto del povero
e delle sue sofferenze. E’ un peccato di cui tutti i cristiani, come
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singoli e come istituzione, devono prendere coscienza. (…) Non è
possibile tacere né aspettare; mentre alcuni discutono, qui si
soffre.
scritta e firmata con don Carlo, parroco
di Santo Stefano a Tor fiscale
Nota: 1 Con dispiacere vidi anche il mio nome sul giornale come uno dei firmatari, mentre ne
avevo appoggiato solo la premessa e avevo detto il mio dissenso dal resto, in cui vedevo
generalizzazioni, che non condividevo. Tuttavia, anche in seguito a questa lettera, seguì il
Convegno indetto dal Vicariato su “I mali di Roma”.
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Roma, Nuova Ostia, 1975
Il popolo continua il suo cammino
Ascoltare la sua voce, le sue aspirazioni è sapienza.
Nel cittadino, figlio di Dio, è la radice della democrazia. La
fiducia nasce dalla Vita stessa.
Il mondo, l’umanità è un cantiere; l’attrito, il contrasto c’è,
superarlo è possibile nella fedeltà alla vita.
L’istituzione è un modo di organizzarsi, ha bisogno
continuamente di essere aggiornata secondo le dinamiche
dell’uomo.
E’ facile uccidere la democrazia debole; il modo migliore di
servirla è quello di potenziarla.
L’amore ha ancora qualcosa di grande da dare. E’ la forza
creativa e originaria che impegna totalmente l’uomo ed estende
l’oggetto del suo orizzonte.
C’è la violenza dei potenti, la violenza di chi non ha mai avuto
niente. E’ debolezza, è povertà, che può essere vinta dalla forza
ostinata dell’amore.
La politica: è l’uomo che si occupa della sua grande famiglia,
sporcarla è tradirla. Il popolo è giudice assieme alla Vita.
Il popolo parla attraverso la vita: nel gemito, nella piazza, nella
lotta. Il popolo vuole vivere.
Il profeta è popolo che ama, che stimola a camminare verso la
luce, è una parola della vita.
Profeta è il povero, è l’uomo che grida amando; è la voce della
terra. Sono i movimenti dei poveri che creano lo spazio alla Vita.
La forza è verità e amore provati dalla croce. Solo in Dio è allo
stato puro. Vi sono figli di Dio che nell’ascolto della vita, colgono
la volontà del Padre. (…)
22
La città è spazio della vita. Amare la città, il quartiere è un modo
di accogliere e di entrare nella famiglia di Dio. I figli sono tanti
e diversi: più vicino all’immagine del Padre è chi più ama.
Il figlio, l’Uomo, è chiamato a vivere la vita del Padre: Dio.
Una parte del popolo di Dio, i cristiani, portano nella miseria e
nel limite un segno della sua presenza: Cristo Gesù, Amore,
Forza, Energia, Speranza.
(Questa pagina è la conclusione della raccolta – chiamata “il
malloppo” - degli scritti e ciclostilati di quel periodo)
23
GOMA (Congo, ex Zaїre)
Introduzione
Gennaio 1977 – Siamo arrivati a Goma Paola, Edda, Adriano ed
io, come migranti del Vangelo. Il primo periodo ’75 lo avevo
trascorso con Adriano a Luvungi (diocesi di Uvira) nella nostra
comunità saveriana. La fraternità, espressione di condivisione e
di amore, nello spirito delle beatitudini è il cuore della nostra
esperienza 2. Cristo, crocifisso e risorto, fonte e motivo del
carisma della missione dei Saveriani, era per tutti noi il centro
della nostra vita. Ci siamo inseriti nel cammino delle comunità di
base e presto, con la gente, ci siamo sentiti chiamare a vivere il
servizio (amore sociale) e le opere di misericordia come
espressione del Vangelo.
Un lungo cammino è stato fatto. In un primo momento abbiamo
cercato, con l’aiuto di un gruppo di studio, di approfondire i
problemi della città (analisi), poi la formazione di animatori per
la promozione integrale dell’uomo. Paola, Edda e i padri Saveriani,
Francesco in particolare, sono stati i veri animatori di questo
aspetto della Pastorale, oltre il servizio liturgico nelle varie
comunità. Francesco con la sua predicazione e in particolare con
la promozione del lavoro comunitario (Salongo) ha migliorato la
vita della città, attraverso la costruzione di strade, la
collocazione di rubinetti pubblici nella città, l’eliminazione del
mattatoio e altre attività era diventato un vero Mito. Gli
animatori delle comunità di base, impegnati nella sanità, per lo
sviluppo, per la giustizia e la pace crearono, insieme alla
Fraternità e alla parrocchia, l’Associazione Muungano Solidaritè che rappresentava la Caritas locale.
Dall’esterno ciò che colpivano di più erano le attività, ma la vera
novità per tanti è stato il modo di essere, di vivere le relazioni,
l’ascolto della gente e la partecipazione alla vita nel quotidiano.
Anche per noi diventava più bello e più chiaro il discorso delle
24
beatitudini, attraverso il magistero della sofferenza dei poveri.
I nostri luoghi di riferimento erano il Centro per disabili, la
parrocchia della Cattedrale, i quartieri della periferia e, in
seguito, la Casa per lo sviluppo, l’Ospedaletto per i bambini
denutriti, l’Atelier-Muungano.
La lettera “Carissimi amici”, che eravamo soliti inviare in Italia,
era il racconto e la condivisione del nostro cammino con gli amici.
Ho pensato di riportare una sintesi del nostro vissuto,
attraverso un intervento in occasione della giornata missionaria
mondiale a Milano. E’ uno scritto con tratti personali, e ne
chiedo scusa, ma l’esperienza di cui parlo è collettiva.
La vita della fraternità missionaria in Zaїre (oggi RdeCongo)
richiede uno scritto a parte per conoscere il contesto, fatti,
avvenimenti e la vita della comunità Cristiana e del Paese.
Nota 2: vedi “Progetto di vita” nato in seguito alla richiesta della Direzione Regionale
Saveriana dello Zaїre.
Nota 3: vedi il dossier “Venticinquesimo anniversario di Solidarietà Muungnao” di
Mario Ghiretti.
25
Milano, ottobre 1995
Esperienza personale e collettiva Verso la missione
La mia sorpresa, pensando al cammino della vita, è la fiducia che
Dio ha messo anche nei miei confronti, e come l’incontro con Lui
sia motivo di libertà e ricchezza: la scoperta di un tesoro che è
gioia e pace.
“Seguimi. Egli, alzatosi, lo seguì” (Mc 2,14)
Così sono entrato in Seminario.Sono sacerdote: qualcosa come
continuare il mestiere di Gesù. Così intuivo da bimbo la verità del
sacramento, fissando il parroco che parlava di Lui con fede
semplice e forte.
“Se non diventerete come bambini, non entrerete nel Regno dei
cieli”
I mie limiti, la mia povertà avevano poca importanza davanti alla
Sua chiamata a stare e lavorare con Lui. Il Seminario mi ha
aperto all’incontro personale con Cristo. La “vita nuova” di
persone legate a varie comunità cristiane (Chiesa) mi hanno
fatto toccare la Presenza del Risorto. Sì, ho visto con i miei
occhi, ho toccato con le mie mani la gioia del Vangelo.
“Amatevi come Io ho amato voi…”
“A chi mi ama, mi manifesterò”.
“Sarò sempre con voi, fino alla fine dei tempi”.
Il Vangelo è bello!
Per questo la voglia della missione: un modo di guardare il mondo
con gli occhi di Dio; camminare con Lui per sanare, unire,
riconciliare…
“Lascia la tua terra e vai…”
Una nuova chiamata: dalla Parrocchia di Bondeno (Ferrara) sono
entrato nell’Istituto Missionario.
“Io lo guardavo (Cristo Crocifisso), Lui mi guardava e sembrava
mi dicesse tante cose”.
26
E’ l’ispirazione iniziale di Mons. Conforti, fondatore dei
Missionari Saveriani. In questo modo il Signore mi legava alla
missione che mi appariva come un prolungamento dello sguardo di
Cristo sofferente sull’umanità.
“ Se qualcuno vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi
segua”
1 maggio 1969. Incidente d’auto: divento handicappato.
Non penso solo alla paraplegia, ma ai limiti e alla fragilità che è
rimasta come evidenza della croce che ognuno di noi è chiamato
ad incontrare nella propria vita.
E’ l’incontro duro con la sofferenza che spezza e libera il nostro
io. E’ forse uno dei motivi che fa accettare al Padre la
sofferenza del figlio; ed è grazia grande incontrare Gesù, Dio,
inchiodato sulla croce, fratello del nostro soffrire. Non avevo
previsto, forse come tanti, la croce nella sua verità. Poi ho
capito che è la strada comune per crescere, proprio come il
chicco di grano che muore nel solco, marcisce e rinasce nuovo
dando molto frutto.
“Non avere paura, perché io sono con te… Ho un popolo numeroso
in questa città (At 18,9)
All’ospedale, il Signore mi ha ripetuto: “sono qui”. Mi ha
insegnato ad ascoltare l’uomo nel suo dolore, ad unirmi di più ai
poveri (inserendomi nella periferia di Roma), a preferire nella
città la periferia, nel mondo i Paesi che portano il peso
dell’egoismo dei potenti.
“Andate in tutto il mondo a predicare il Vangelo”
3 dicembre 1975. Partenza per lo Zaїre. Ricevo il dono di
partecipare al movimento dello Spirito che chiamiamo Missione;
in sedia a rotelle, segno della mia fragilità e segno di salvezza
ma senza sconti.
27
Non è un “episodio” della mia vita, ma un modo di essere, un
camminare con Cristo che propone comportamenti che sono
“buona novella” per tutti i popoli. Penso alla novità del sentirsi
fratello, semplicemente, in un contesto dove la gente è stata
tante volte umiliata da una presunta superiorità razziale.
“Avevano un cuore solo ed un’anima sola”
Penso al legame con tante comunità ecclesiali di base, con gruppi
di preghiera e di impegno sociale, una realtà complessa, viva, in
cui l’impegno del Vangelo e della carità rappresentano il motivo
di una nuova appartenenza. Sento una riconoscenza particolare
nei confronti di Paola ed Edda che si sono prese cura della mia
fragilità. Solo con il loro aiuto ho potuto superare le malattie
legate alla mia situazione e all’ambiente.
Ho vissuto tanti anni nel Centro per handicappati, poi nel piccolo
villaggio della solidarietà Muungano di Goma (ex Zaїre), insieme
ad altri compagni e a laici, costituendo insieme la Fraternità
Missionaria. Ci ha molto unito alla gente del posto la sofferenza,
la lotta comune contro i mali della nostra città, l’ascolto di quel
Vangelo e di quella Presenza che ci donava la gioia di sentirci
fratelli ed imparare insieme la Saggezza che conduce alla vita.
C’è stato il tempo per incontrarci nel profondo. Ci siamo accorti
che la diversità è ricchezza. E’ stato un dono imparare da loro la
spontaneità, la gioia della vita, il legame con il gruppo e con gli
antenati, la religiosità dell’esistenza, una nuova voglia di dignità:
una ricchezza umana di cui tutti abbiamo bisogno. Ci è sembrato
pure che molti di loro avessero apprezzato il timbro personale
della nostra presenza, il desiderio di migliorare la città, l’aver
lasciato la nostra terra per vivere in spirito di fraternità.
“Avevo fame, avevo sete, ero nudo, prigioniero, ammalato,
forestiero… Qualunque cosa avrete fatto al più piccolo dei miei
fratelli l’avrete fatto a me”.
E’ il volto sfigurato di Cristo che ho visto in tanti fratelli e
sorelle che portano il peso dell’egoismo e delle scelte sbagliate
28
dei potenti. L’attenzione alle piaghe dei poveri è stata per me e
per i membri della nostra fraternità una chiamata particolare in
quel contesto, in cui le opere di misericordia sono una risposta
alle sofferenze che si incontrano.
Bambini denutriti, handicappati, carcerati, poveri che vivono da
soli… Una folla di “piccoli” che ci hanno insegnato a leggere la
Parola, ad avvicinarci all’Eucarestia con più verità. Grazie
Signore per quanti i piccoli del Vangelo ci hanno insegnato.
“Beati i poveri di spirito perché di essi è il Regno dei cieli. Beati
quelli che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati;
beati gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio…”
Abbiamo vissuto insieme, in modo particolare, il ministero della
Pace; così abbiamo visto il nostro impegno ecclesiale per la
formazione degli animatori sociali attenti ai cambiamenti che si
stanno effettuando in Africa.
Ci siamo proposti l’ideale della città: una comunità di uomini
diversi ma uniti dalla ricerca del bene comune. Insieme, abbiamo
scoperto i valori della democrazia che portano a riconoscere la
dignità della persona umana, la libertà di opinione, di stampa, di
associazione, come l’impegno al dialogo, al rispetto delle
diversità.
“Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?”
A Pasqua del 1992, dopo la Via Crucis con la nostra gente, in cui
abbiamo percorso la zona del mercato, il piazzale della prigione,
il Centro per handicappati, ho vissuto un tempo di grande
malattia. Cercavo di ripetere il mio “si” al Signore Gesù.
Chiedevo di pregare con me, di aiutarmi a dire “si”… sono stato
trasportato d’urgenza all’Ospedale di Parma. Sono seguiti giorni
difficili. Il Signore mi aiutava a rimettermi a zero, a cogliere
meglio l’essenziale. Lo amavo in quel nulla che mi rendeva tanto
vicino all’esperienza di chi crede d’essere ateo. Sentivo tutta la
riconoscenza per Gesù che ha voluto assumere e vivere tutto il
nostro buio fino a gridare: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
29
abbandonato?”. Non avevo nulla di diverso dagli altri ammalati, la
sua luce mi raggiungeva e mi portava all’abbandono. Ripetevo:
“Padre, nelle tue mani metto la mia vita”. La Parola con cui ho
visto consolati tanti ammalati.
“Non c’è amore più grande che dare la propria vita”
Nel 1994 ho avuto il dono di tornare a Goma. E’ stata
un’esperienza intensa: l’incontro con i fratelli e le sorelle del
Centro Handicappati e con la Comunità “Muungano”; l’arrivo nella
città di più di un milione di profughi; il colera che ha seminato
sessantamila morti. Ripetevo, davanti alle salme, “Oggi sarai con
me in Paradiso…”. Ho visto un dolore immenso e la forza
dell’amore. Ho visto il potere del Male causato dall’odio e dalla
sete del profitto, dalla paura dell’altro perché diverso; ho
conosciuto l’eroismo dei “piccoli” che hanno testimoniato con la
vita la fedeltà alle proposte di Gesù: “Ama il tuo prossimo come
te stesso.. Amate i vostri nemici”.
I Poveri mi hanno insegnato a mettermi con fiducia nelle mani del
Padre della vita, mi hanno ricordato come ciò che conta sia
Amare.
Ricordo con commozione:
Masumbuko, il sindacalista: coraggio e perdono;
Felicitas e Natalia, ausiliarie dell’apostolato: semplicità e forza
dei martiri;
Sarumende, sorella del Centro Handicappati: preghiera e
servizio;
Tommaso, il cieco: l’attesa e la certezza serena del Paradiso;
Françoise, la mamma: il lavoro e l’accoglienza;
Abbé Conrad, il parroco di Bibwe: la fedeltà al popolo e alla
Chiesa provata con il martirio.
“Marana-tha”
La Missione è continuata in Italia attraverso il legame forte con
le comunità di Goma e l’impegno nella fraternità con tutti. Cristo
30
mi è apparso di nuovo come il Missionario dell’unica famiglia
umana. L’urgenza della sua parola e della sua presenza, rese in
qualche modo visibile nella Chiesa, è accresciuta dal momento
storico della nostra epoca in cui i popoli si scoprono
interdipendenti ma poveri dell’amore vero, l’unico necessario per
far crescere l’Umano sulla terra.
“Lo Spirito e la Sposa dicono: vieni.” E mentre con loro ripeto:
Vieni (Marana-tha) nell’attesa dell’incontro con il Risorto, la sua
voce mi ripete: “Alzati e cammina…”, perché con la sofferenza
e l’amicizia resti nel movimento della Missione impegnato a
realizzare, insieme a tanti altri, il programma di Gesù: “Che tutti
siano una cosa sola”, “Che tutti i popoli diventino una sola
famiglia”. Come farò Signore? Mi sembra che risponda:
“Ascoltando la mia voce… seguendo le mie orme”.
“Oggi sarai con me in Paradiso”
Nel giugno 1995 mi sono ritrovato di nuovo vicino alla Croce. In
viaggio verso Loreto, con le sorelle della Fraternità, siamo stati
investiti da un’auto. Davvero la vita non ci appartiene, è un dono
che ci è affidato in gestione.
Paola ci lascia. “…Ti siamo particolarmente vicini. Si è chiusa una
parte del nostro viaggio. Vogliamo dire grazie al Signore per il
dono che ci ha fatto di camminare insieme. Sei arrivata nella
Casa del Padre: è il tuo vero Natale. Continuiamo insieme il
cammino. Aiutiamoci nel servizio che hai sempre preferito: dare
voce ai poveri, far conoscere il dolore di tanti: Rwanda, Burundi,
Zaїre…”
Così l’abbiamo salutata mentre abbiamo ripetuto le parole con
cui Gesù illumina il mistero della morte per i suoi amici. “Oggi
sarai con me in Paradiso”.
Nei giorni scorsi il martirio dei nostri fratelli p. Maule, p.
Marchiol e della missionaria laica Catina. Siamo ancora in
preghiera davanti al Crocifisso steso in terra, a quelle foto che
lo circondano, come un’unica immagine che ci unisce alla folla di
31
coloro che oggi stanno percorrendo la strada del Golgota. Chiedo
al Signore di imparare da loro cosa significa sapere Ascoltare,
Condividere, Amare.
Oggi siamo invitati dalle sofferenze di tanta gente e dal sangue
dei nostri fratelli ad una comunione intensa con i popoli
dell’Africa Centrale. La loro sofferenza ci interpella. Chiedono il
contributo della nostra preghiera, della mediazione delle
Autorità del nostro Paese. Abbiamo con loro un debito di
fraternità. Non possiamo dimenticare le responsabilità del
nostro Paese, nel traffico delle armi, nel commercio ingiusto tra
il Nord e il Sud. Forse un tempo forte di preghiera-digiuno, a
catena, nella varie comunità potrebbe aiutarci a vivere la
Beatitudine, “Beati i costruttori di pace”, coinvolgendo politici e
mass-media, nell’impegno per la pace in Africa. Una tenda “Per la
pace nell’Africa dei grandi laghi” potrebbe essere il simbolo, in
ogni città, di questo impegno.
32
ANNI DI DOLORE PER LA GUERRA E POCA PACE
Mi è difficile ripercorrere tanti anni di dolore delle popolazioni
del Congo (ex Zaїre) e degli altri paesi della Regione dei Grandi
Laghi (Burundi, Rwanda). Scrivo alcuni cenni.
Conferenza Nazionale (1991-1992)
La Conferenza Nazionale (1991-1992) fu un avvenimento
importante per la nazione, come per vari Paesi dell’Africa
occidentale. Purtroppo l’Occidente non ha prestato attenzione a
questa rinascita positiva popolare, troppo impegnato a
perseguire i propri interessi economici. La conferenza aveva
suscitato speranze di libertà, di partecipazione e di maggiore
giustizia, ma presto fu stroncata dal Regime di Mobutu, che
perse la sua popolarità soprattutto per le violenze contro gli
studenti, la svalutazione della moneta nazionale, e gli
“aggiustamenti strutturali” imposti dalla Banca Mondiale che
tagliavano quasi interamente i salari ai dipendenti della Pubblica
Amministrazione.
La guerra è iniziata nel Kivu nel 1993. Ho vissuto l’inizio. In
seguito ho visto l’arrivo dell’ondata dei profughi ruandesi (1994).
La tragedia di un popolo!
Le visite periodiche alle nostre comunità hanno permesso un
collegamento diretto e permanente. Non era possibile
dimenticare e non trasmettere in tutti i modi le notizie che ci
venivano comunicate.
Sentivamo il bisogno di tentare di fare pressione sulle nostre
Autorità per un impegno di pacificazione. Le iniziative sono state
varie: contatti diretti con il Presidente della Repubblica Italiana,
con il Ministro degli esteri; raccolta di firme, digiuni,
collegamenti con i gruppi in Italia impegnati nella regione dei
33
Grandi Laghi, produzione di documentazione audio-visivi per
sensibilizzare gruppi e comunità ecclesiali.
Ho scritto queste poche righe come introduzione e allego alcuni
testi che mi sembrano significativi, per avvicinarci a questi anni
di guerra.
- Lettera agli amici di Goma
- Messaggio delle donne
- Stralcio dal rapporto ONU del 1 ottobre 2010
Allegato A - Lettera agli amici di Goma
Parma, 8 febbraio 1995
Cari amici di “Muungano”,
abbiamo vissuto insieme tanti anni nel Centro per handicappati,
poi nel piccolo villaggio della solidarietà “Muungano” di Goma
(Zaїre). Ci ha molto unito la sofferenza; la lotta comune contro
la fame, la disoccupazione, l’analfabetismo, la corruzione e i mali
della nostra città; l’ascolto di quel Vangelo e di quella Presenza
che ci donava la gioia di sentirci fratelli e di imparare insieme
quella Saggezza che conduce alla vita.
C’è stato il tempo per incontrarci nel profondo: ci siamo accorti
che la diversità è ricchezza. E’ stato un dono imparare da voi la
spontaneità, la gioia, il legame con il gruppo e con gli antenati, la
religiosità dell’essere, la voglia di dignità nella vita sociale e
politica: una ricchezza umana di cui tanti hanno bisogno.
Ci è sembrato pure che molti di voi abbiano apprezzato il timbro
personale della nostra presenza, il desiderio di migliorare la
città, l’aver lasciato la nostra terra per vivere in spirito di
fraternità.
Negli ultimi anni ci siamo impegnati insieme con le forze vive
della città: mamme, intellettuali, sindacato libero, studenti,
confessioni religiose; abbiamo visto nascere la speranza di un
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nuovo progetto di società basato sulla partecipazione alla vita
politica, la collaborazione tra le diverse etnie e il superamento
dei conflitti con la forza della Verità e dell’amore. Siamo rimasti
uniti durante il periodo degli scontri tribali nella regione del
Kivu, provocati dal regime e da gruppi di potere legati a interessi
particolari.
La città ha retto alle molte provocazioni, un aiuto è venuto dalle
comunità di base e dai gruppi che si ritrovavano attorno al
Vangelo, come da coloro che avevano seguito i lavori della
Conferenza nazionale. Molti hanno avuto la forza di continuare a
credere che l’unica strada possibile per risolvere i conflitti è
quella della “baraza”, ossia dell’incontro e del dialogo.
Nel ’93 la guerra si è estesa nei Paesi dei grandi laghi: la nube
della morte si è fermata sulle nostre città, nei nostri villaggi,
lungo il corso dei fiumi. Con l’uccisione di Ndadaye, Habyarimana
e Ntaryamira il terrore ha condotto alla follia… Abbiamo visto
folle sterminate di profughi riempire le strade come un’immensa
croce. La città di Goma ha accolto centinaia di migliaia di
rifugiati: non c’è famiglia che non abbia aperto la porta e
offerto il poco che aveva.
Per la nostra comunità è stato un tempo di prova, una sfida.
Abbiamo pregato insieme per riconoscerci fratelli: hutu, tutsi,
nande,
rega:
frutti
diversi
dell’unico
albero
della
vita.
Decidemmo di aprire tutte le porte per curare gli ammalati di
colera e raccogliere i bambini dispersi. “Non c’è amore più
grande che dare la vita”. Era la parola che ci guidava. L’abbiamo
vista scritta dal sangue di uomini e donne uccisi per aver messo
in salvo quelli dall’altra parte.
Tornata un po’ di calma è cominciato l’esodo in direzioni diverse;
amarezza, paura, speranza erano confuse. Le ferite non si
saneranno facilmente.
35
L’esperienza vissuta resta nel cuore di ciascuno. Judith ci ha
detto: “Vado in Rwanda per unirmi ala mia famiglia e aiutar ei
figli dei miei fratelli morti in guerra. Chiedo perdono se ho
offeso qualcuno; sappiate che la mia porta sarà sempre aperta
per tutti voi”.
Resta soprattutto la memoria, il sogno di ritrovarci accanto al
fuoco, intorno alla stessa “pentola” del cortile di Muungano.
Intanto il piccolo villaggio della solidarietà riprende la propria
vita con il nuovo carico di bambini non accompagnati, di poveri
abbandonati che bussano alla porta, con le attività che collegano
comunità e gruppi nell’impegno per la sopravvivenza, la sanità, la
giustizia.
Chi, fra noi della fraternità, è tornato in Italia non può
dimenticare l’esperienza vissuta e soprattutto l’ultima tappa: la
guerra, i profughi, i bambini, le ferite del cuore. Scriviamo
queste righe rinnovando l’alleanza che vorremmo fosse accolta
dai nostri Governi, dalle Istituzioni internazionali.
Un anno terribile è passato e ancora non c’è pare vera sulle
vostre colline; non c’è speranza nelle tendopoli di Katale,
Mugunga, Kibumba: i responsabili del genocidio e dei massacri
non sono stati isolati, l’aiuto internazionale sta per essere
sospeso, non c’è sicurezza per chi rientra.
Dopo le immagini sconvolgenti dei massacri, il silenzio che separa
la vita dei nostri popoli torna a regnare. Oggi “le luci si sono di
nuovo spente sul Rwanda e sui Paesi dei grandi laghi” ha scritto
Mons. Pasini; altri focolai di guerra si sono aperti sul nostro
pianeta.
Alcuni amici di ritorno in questi giorni da Kigali, Goma,
Bujumbura ci hanno detto di aver visto carceri gremite, folle in
36
attesa di un po’ di cibo, ragazzi armati in divisa militare, campi
incolti, paura e miseria.
I mass-media sono ancora strumenti di un mondo diverso. Da
lontano non è stato facile capire. Compassione e condanna si sono
mescolate nel cuore di tanti, dimenticando come in ogni guerra è
la gente semplice che subisce le conseguenze di quanti governano
per il proprio interesse anziché per il bene di tutti. L’esperienza
vissuta ci rende critici sulle organizzazioni nazionali ed
internazionali. Non siamo ancora “la comunità” internazionale.
Anche noi siamo corresponsabili del dramma che ha toccato il
vostro popolo. Vi chiediamo perdono. Vi abbiamo spesso giudicati
senza capire il vostro dolore. Non ci siamo accorti che mentre si
parlava di sviluppo la vostra povertà era ridotta a miseria. Non
abbiamo sentito il lamento di tanti vostri fratelli spegnersi nelle
carceri più simili a sepolcri che a luoghi di detenzione, colpevoli
di aver chiesto dignità ai piccoli vassalli delle grandi potenze.
Perdonate noi e la gente della nostra terra perché molte armi
che hanno ucciso e mutilato tante persone sono made in Italy. Il
nostro governo, come tanti altri, non ha fatto nulla per fermare
la pazzia dei massacri, per far applicare l’embargo totale delle
armi e per favorire reali condizioni di pace.
Coraggio!
La guerra ha diviso e umiliato il vostro popolo ma non ha spento
la sua sete di pace. I martiri, le vittime innocenti di tutte le
etnie sono entrati nell’unica terra degli antenati e la loro parola
è Saggezza.
Chiediamo al Signore di stare insieme, là dove siamo, in un
progetto di società basato sul rispetto di ogni persona e di ogni
gruppo, aperto a una forma di democrazia frutto di negoziati,
secondo lo spirito della migliore tradizione africana da offrire
alle nuove generazioni. Un saggio di oggi ci ricorda: “La pace non
si scrive con il sangue ma con l’intelligenza e con il cuore”.
37
Quanti tra i membri della nostra comunità Muungano sono in
Rwanda: Ndekwe, Mukankusi, Sebageni, Uwimana, Ubuhoro…
abbiano la forza di non abitare case che non hanno costruito e di
preparare un rientro umano ai fratelli profughi rwandesi,
impegnandosi perché i rappresentanti di tutti i gruppi della
società possano partecipare alla vita del Paese.
Quanti vivono a Goma lavorando nella società civile, nei campi
profughi, nell’animazione delle comunità di base: Gahima,
Atumisi, Yuma, Tabu, Nkunzumwami, mama Anastasie… abbiano il
coraggio di seminare speranza e di dare voce alle proposte di
pace.
Per cambiare le machete in zappe, i mortai in strumenti di pace,
abbiamo bisogno di fare insieme scelte di fraternità. Non
possiamo dimenticare che il comandamento dell’amore e i diritti
umani sono strettamente uniti. È la giustizia, non la sicurezza
delle armi, che crea la pace. Ma una giustizia nuova, aperta al
perdono.
Il mondo messianico propone al mondo una pace duratura
fondata sull’amore creatore. Cristo propone l’amore per i nemici.
Non significa sottomissione al nemico e conferma della sua
inimicizia. Al contrario, esso è il superamento creativo ed
intelligente della sua ostilità. Amandolo lo inseriamo nella
cerchia della nostra responsabilità.
Vi salutiamo! Restiamo uniti tra noi. Non siamo soli, i popoli sono
più uniti di quanto non esprimano i loro governanti. C’è tanta
gente che crede che il mondo costruito insieme sarà più giusto e
più bello.
Paola e padre Silvio
Allegato B - Messaggio delle mamme di Goma
Molti in Occidente sembrano poco informati del clima di terrore
che si è abbattuto come una cappa sulle popolazioni di Goma,
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Rutschuru, Jomba, Masisi e tutta la regione, villaggi e
parrocchie del Kivu.
L’angoscia ci attanaglia davanti ai tradimenti, alle aggressioni,
alle sparizioni, davanti alla morte ed agli orribili massacri.
La morte è nostra compagna ogni notte, quando ci chiediamo:
domani ci rivedremo ancora?
Le “liberazioni” si succedono. Liberazioni imposte con armi di
ogni tipo: bombe a mano, proiettili, bombe, carri armati…
Ma da dove vengono queste armi?
E ci sono pure le armi tradizionali: coltelli, macete, ascie, mazze.
Quando finirò questo fiume infernale di lettighe insanguinate?
Quando l’apocalisse che stiamo vivendo si cambierà in pacifica e
fraterna convivenza?
Quando finirà la sete del potere e di possedere?
Quando la sete di sangue finirà per lasciare il posto al rispetto
nell’altro?
Non si ha l’impressione che questo cambiamento sarà per
domani…
Tuttavia c’è tanta gente a Goma che lo crede possibile,
soprattutto le mamme.
E’ radicata nel loro cuore una speranza incrollabile e la certezza
che l’ultima parola appartiene a Dio. Pregano molto, digiunano.
Esse credono con fermezza che Maria condurrà alla pace i loro
fratelli e le loro sorelle, la loro preghiera è fiduciosa: “Maria,
nostra Madre, di’ a Gesù che non c’è più vino, non c’è più riposo,
non c’è pace, non c’è gioia”.
Fa’ di noi costruttori di pace. Regina della pace, prega per noi e
prega con noi. Siamo pronti a fare ciò che ci chiederà il tuo figlio
Gesù. Vogliamo convertirci. Converti anche i nostri fratelli e
tutto il nostro popolo. Vogliamo amarci reciprocamente, anche se
è difficile.
Gesù è il solo che può portare la vera liberazione. Anche Lui ci
insegna a pregare: “Padre, perdona loro…”4
39
Amici della missione, siate solidali e vicini a questi fratelli
cristiani che pregano e che lottano. Pregate con loro. Chiedete
preghiere intorno a voi: ai bambini, agli anziani, agli ammalati.
La preghiera è potente, è sorgente di gioia e di pace. Dio ama
ogni uomo, Egli può cambiare i cuori e seminarvi la bontà;
l’apertura alla riconciliazione e al perdono è il vero amore
fraterno. Allora le armi saranno deposte, perché inutili. Non ci
sarà più spazio per l’odio e la vendetta. Questa liberazione sarà
definitiva, reale e farà nascere un mondo nuovo dove ci sarà
posto per Dio. Perché Dio è amore.
Cari amici, non ritardate questa preghiera, fatela sgorgare dal
vostro cuore. E’ preziosa per noi.
Grazie.
4
E’ questo uno dei tanti messaggi arrivati da Goma (Nord Kivu)
durante i venti anni ininterrotti di guerra e guerriglia nella
Regione.
Allegato C - Stralcio dal rapporto ONU del 1 ottobre
2010
“Rapporto del Progetto Mapping relativo alle violazioni più gravi
dei diritti dell’uomo e del diritto internazionale umanitario
commesse tra marzo 1993 e giugno 2003 sul territorio della
Repubblica democratica del Congo
redatto dall’AltoCommissariato per i diritti dell’uomo dell’ONU”.
(…)
Dietro il titolo, si nasconde un decennio di violenze, omicidi,
stupri, saccheggi, ai quali presero parte vari Paesi della Regione.
La Commissione ha recensito 617 casi di violenze, classificati per
provincie, in ordine cronologico e per tipi di crimini. Frutto di un
anno di lavoro, il repertorio, di un’esaustività e di una precisione
40
molto rare, va dalla persecuzione della popolazione del Kasai nel
Katan (1993-1994) al conflitto in Ituri (1993), passando per i
massacri per i rifugiati hutu ruandesi e di civili hutu congolesi
(1996-1997) all’indomani del genocidio rwandese.
Ben 8 Stati africani sono messi in causa da questo rapporto
circostanziato e rigoroso che dettaglia i massacri, stupri e
saccheggi commessi dai loro militari e milizie satelliti. Tutti sono
implicati: il Rwanda, per il suo appoggio all’Alleanza delle Forze
Democratiche di Liberazione (AFDL) di Laurent-Désiré Kabila
(padre dell’attuale Presidente Congolese) e al raggruppamento
congolese per la democrazia (RSD); l’Uganda, con la sua
strumentalizzazione del Movimento di Liberazione del Congo
(MLS) di Jean-Pierre Bemba; il Burundi, ma anche l’Angola, lo
Zimbabwe, il Ciad.
Il rapporto, di 600 pagine, descrive quattro periodi: gli ultimi
anni di potere del Maresciallo-Presidente Mobutu, da marzo
1993 al giugno 1996; la prima guerra condotta dal luglio 1996 al
luglio 1998 da Laurent-Désiré Kabila e i suoi alleati ruandesi,
ugandesi e burundesi; la seconda guerra, da agosto 1998 fino
all’assassinio del Presidente Laurent-Désiré Kabila nel gennaio
2001, corrispondente all’intervento di almeno otto eserciti
stranieri e 21 gruppi armati irregolari e, infine, la progressiva
attuazione del cessate il fuoco fino al giugno 2003. (…)
Secondo l’ONG International Rescue Committee, 3,8 milioni di
persone sarebbero perite, in RDCongo, tra agosto 1998 e aprile
2004, a causa della guerra. La maggior parte dei crimini sono,
salvo alcune poche eccezioni, rimasti impuniti. Se si prende in
considerazione il periodo che va dal 1990 al 2010, gli esperti
stimano il numero di vittime, in Rwanda e in RDCongo, dai 6 agli 8
milioni di persone. 5”
A breve distanza di tempo (11/11/2010) è seguito il secondo
rapporto (S/2010/596) del Gruppo degli Esperti ONU sullo
sfruttamento illegale delle risorse minerarie, vera causa della
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guerra, e motivo di sostegno in denaro e in armi ai vari gruppi
armati e gruppi criminali, che sfruttano le risorse e opprimono la
gente.
Nel rapporto sono indicati i nomi delle ditte che acquistano
minerali: coltan, legname, ecc.
Si nota un rapporto diretto tra uscita di minerali, oro in
particolare, ed entrata di armi.
Il documento si conclude con un invito alla diligenza richiesta
agli imprenditori…
E’ evidente la necessità di rivedere il ruolo delle Istituzioni,
ONU in particolare, della Casa comune del pianeta terra.
Alcuni momenti particolarmente forti di quel periodo
Zaїre, 1992
Il ’92 è per il paese un anno decisivo. I martiri di Kinsasha (
l’eccidio è avvenuto nel mese di marzo all’uscita della liturgia
domenicale), hanno ottenuto di fatto la riapertura della
Conferenza Nazionale in cui i dibattiti e i lavori svolti
rappresentarono la base per un nuovo assetto del paese. Il
timore della guerra civile non er scomparso anche se sembrava
ancora prevalere la ricerca della mediazione. Nel Kivu avevamo
cercato di partecipare agli avvenimenti con gli animatori delle
comunità di base, con la riflessione sui documenti che venivano
pubblicati, con veglie di preghiera e interventi a favore della
pace.
Sono partito da Goma il Giovedì Santo in modo disastroso… e mi
sono ritrovato all’ospedale di Parma. Paola e la famiglia di Paolo e
Giovanna, i miei fratelli Saveriani e la mia famiglia mi hanno
seguito nei momenti più difficili della setticemia. Mi è difficile
parlarne. Trascrivo alcune pagine del diario di quei giorni.
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“A Pasqua, dopo la Via Crucis con la nostra gente in cui abbiamo
percorso con la croce di Gesù la nostra Via Crucis fermandoci al
mercato (i prezzi erano stati moltiplicati alle stelle, a causa
della svalutazione della moneta), nel piazzale della prigione,
davanti alla Casa dei bambini ammalati, al centro per disabili, ho
vissuto un tempo di grave malattia.
Cercavo di ripetere il mio “si” al Signore Gesù. Essere suoi
discepoli – mi dicevo - non significa evitare la sofferenza che è
comune a tutti, ma si ritrova la pace nel portarla con Lui. Sono
seguiti giorni difficili. Il Signore mi aiutava a rimettermi a zero,
ad accogliere meglio l’essenziale. Lo amavo in quel nulla che mi
rendeva tanto vicino all’esperienza dell’ateo. Sentivo tutta la
riconoscenza per Gesù che ha voluto assumere e vivere tutto il
nostro buio fino a dire: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai
abbandonato”. Ripetevo la mia fiducia in Lui; era un dono che
veniva da Lui. Non avevo nulla di diverso dagli altri ammalati; era
la sua luce che mi raggiungeva e mi portava all’abbandono.
Dicevo: “Padre, nelle tue mani metto la mia vita”. E’ la Parola di
dio con cui ho potuto consolare tanti ammalati. La famiglia e la
fraternità, i miei compagni missionari, mi hanno aiutato tanto, ma
capisco che Dio vuole da noi un “si” personale, unico.
Poi , come dopo una camminata verso la vetta, mi è sembrato più
chiaro che ciò che conta è stare nelle sue mani. Mi dicevo: se
avrò un’ora al giorno per poter lavorare, cosa che mi piace, dirò
“grazie, Signore”; se avrò tante ore di sofferenza, dirò: “grazie,
Signore, perché anche questo è stato il tuo modo di lavorare per
la vita del mondo”. Ho accolto in modo nuovo il dono della
missione: un mondo unito nella fraternità tra i popoli. Cade
dentro di me il qui e il là. Vedo necessario e urgente lavorare
dappertutto perché tutta l’umanità accolga il progetto di Dio:
che tutti siano una cosa sola, nella ricchezza delle diversità
vissuta nella reciprocità.”
43
Dopo alcuni mesi di convalescenza rientrai a Goma
(settembre’92), consapevole dei nuovi limiti. Sono convinto che
l’esperienza delle nostre missioni sia un dono per tutti i popoli,
siano un segno particolare della Chiesa nel mondo. Le missioni
nostre offrono le proposte e l’esperienza della forza nuova del
Vangelo e sono testimoni delle piaghe dell’umanità. E’ il motivo
che mi spinge a ritornare nonostante la mia debolezza. Il paese
vive in questi anni un tempo difficile. Tutti ne portiamo il peso
insieme alla gente e alla Chiesa locale. E’ il momento del crollo
della dittatura e della nascita di grandi ideali, e in particolare
dei valori della democrazia: partecipazione, informazione,
maggiore condivisione dei beni… valori che non possono
affermarsi che attraverso la verità, la fraternità, il perdono tra
gli individui e le varie tribù. E’ il tesoro nascosto del Vangelo, nel
segno della croce, che si sta rivelando per tanti nel dono di sé
per gli altri fino al martirio.
Goma, 1993
Rileggo ancora alcune righe del diario.
“Insieme viviamo l’inizio di “fatti di guerra”, l’inizio della
ribellione nel Masisi (gruppo Magrivi-filo rwandese) e
l’accoglienza a Goma di migliaia di profughi. La gente ci aiuta
spontaneamente. Sentiamo il bisogno di incontri con i
responsabili delle varie etnie e dopo un convegno nasce la
Società Civile organizzata. Si cerca l’adesione di tutti
nell’impegno per la pace. La fraternità missionaria con tutti i
padri saveriani presenti per la formazione degli studenti e in
appoggio alla parrocchia ci sentiamo impegnati per aiutare i
poveri, sfollati in particolare, e cercare di costruire la pace”.
Ricordo in particolare la manifestazione per le vie della città,
non senza rischi, “tuache silaha-tujenge amani/lasciamo le
armi-edifichiamo la pace”. Non ci fu la guerra civile in città, e
fu un vero miracolo per chi conosce la situazione, ma piuttosto
44
nacque l’impegno di mandare delegazioni sulle montagne per
invitare tutti i gruppi alla pace. Ma le cause non erano solo
interne… la guerra o la pace si decideva “altrove”.
Purtroppo le condizioni di vita erano sempre più difficili. I
militari non ricevevano lo stipendio e si moltiplicavano i
saccheggi. Un’esperienza dura e triste per tutti. Spari e furti
notte e giorno. Nessuna sicurezza. In Burundi e soprattutto in
Rwanda le cose non andavano meglio; la guerra è iniziata a
partire dagli anni novanta con il fronte patriottico rwandese,
(FPR). Ascoltammo le testimonianze di chi ha attraversato quelle
zone.
Molta gente si recava in pellegrinaggio a Kibeho, dove le
“veggenti” parlavano di prossimi sconvolgimenti. Era chiaro che si
stava aprendo un tempo difficile per la Regione dei Grandi Laghi.
Non scrivo la storia di quegli anni, ma semplicemente alcune note
che possono aiutare a comprendere come la missione tenta di
seguire la via di Gesù con la sua incarnazione. In particolare la
Missione chiede comunione di vita e di destino con i fratelli ai
quali siamo inviati fino alla condivisione dei loro problemi e il loro
cammino di liberazione.
45
ITALIA
1994 - Parma
Dopo un mese di soggiorno in Italia per i controlli mi preparavo a
rientrare a Goma, consapevole dei pesi che la gente portava,
legata agli errori del mondo dell’economia, della politica delle
grandi potenze. Le condizioni della mia salute erano cambiate e
capivo di non essere l’unico responsabile della gestione della mia
vita. I fratelli maggiori dell’Istituto mi hanno chiesto di restare
in Italia. Ho sofferto, ma non potevo dire che sì, non per
obbedienza astratta, ma per il legame che ci univa come famiglia
nella scelta di Dio e nell’ideale della missione. Capivo che mi
volevano bene più di quanto me ne volessi io stesso. Mi fu
concesso tuttavia di potermi recare annualmente per una visita
alla nostra missione.
Ho cominciato ad abitare con Paola, già in Italia, la famiglia Volta
e alcuni studenti africani accanto alla Casa Madre (ex Csam) e mi
fu chiesto di partecipare alla formazione degli studenti di
teologia. Intanto continuava il legame con la missione di Goma
dove c’erano Edda, Luisa, Antonina e la Comunità saveriana.
Abbiamo tentato di far conoscere le nuove realtà e gli sviluppi
legati alla Conferenza Nazionale Zaїrese. Lanciammo un testo sui
valori che si stavano affermando per una democrazia aperta e
impegnata a concretizzare le libertà e i diritti delle persone e
dei vari gruppi che costituiscono il popolo Zaїrese.
“Uwe barua yetu / sii la nostra lettera”. Così mi disse la gente
prima di partire. Ci affidavano un impegno che non potevamo
dimenticare!
A Parma tentammo di vivere il collegamento con la realtà
cittadina attraverso Forum Solidarietà; a giugno organizzammo
una tavola rotonda al Teatro Pezzani per far conoscere la realtà
della Regione dei Grandi Laghi con la partecipazione di un coro
spirituals.
46
Mentre era in atto il genocidio in Rwanda, Paola ed io
ritornammo a Goma, dove qualche settimana dopo si riversava
l’onda dei profughi rwandesi. Fu un tempo durissimo. La gente
silenziosa, accalcata, allo stremo delle proprie forze, si adagiava
come un tappeto sulla città e verso le colline formando
un’immensa croce umana. A pochi giorni di distanza seguì
l’epidemia del colera dove una folla senza numero lasciò la vita.
Le cifre ufficiali parlavano di 60 mila morti e undici camion
erano impegnati al trasporto dei corpi esangui. Chiese, scuole,
cortili, strade venivano occupati silenziosamente. Il nostro diario
di quei giorni fu pubblicato sulla rivista “Missione Oggi”. Ci siamo
sentiti uniti, laici e sacerdoti, alla gente, facendo quanto si
poteva per salvare vite umane. La frase che ripetevo davanti ai
fratelli e sorelle che ci lasciavano era: “Leo utakuwa nami
mbinguni / oggi sarai con me in paradiso”. Era la vera
consolazione che ci dava la forza di vivere con la nostra gente la
tragedia assistendo con tutti i modi possibili gli ammalati. Poi le
bombe e il rischio imminente della guerra in città. Assistemmo in
seguito all’avvio dei profughi nei Campi immensi di accoglienza
dove purtroppo c’era anche chi tentava di riorganizzare una
resistenza armata. Chi forniva le armi? Alla dogana di Goma ai
soldati era chiesto di deporre tutte le armi. Vidi cumuli di fucili
e di mitra.
Tornando in Italia tentammo il collegamento con gruppi
impegnati con l’Africa e in particolare dei Grandi Laghi. Nacque
così il “Gruppo Africa” e organizzammo una spedizione di
giornalisti in Zaїre, perché la tv e i giornali avessero una
documentazione diretta degli eventi in corso. Presentammo al
Presidente Scalfaro le firme raccolte, oltre 100.000: egli ci
collegò al Ministro degli Esteri Susanna Agnelli. Ottenemmo
audizioni parlamentari. Avremmo voluto fermare il controgenocidio che arrivava sulle strade dello Zaїre verso Kisangani.
(Abbiamo la documentazione di almeno undici fosse comuni nella
47
Diocesi di Goma). Ma i responsabili dell’economia e della politica
internazionale avevano altri piani… l’efficacia del nostro impegno
era sempre molto relativa.
Pregavamo, facevamo veglie di preghiera, digiuni che
coinvolgevano migliaia e migliaia di persone. In un incontro con il
Padre generale Benzoni abbiamo constatato, con i nostri
compagni missionari e laici, che la realtà più cruda era quella di
restare come Maria sotto la croce accanto ai fratelli e alle
sorelle a cui il Signore ci aveva mandato. La nostra gente aveva
capito e ci aveva sentito come membra vive e sofferenti del
proprio popolo.
Con il “Gruppo Africa” abbiamo chiesto la collaborazione di
Eugenio Melandri, preparando il convegno “Africa” invitando
giornalisti, parlamentari e rappresentanti di vari gruppi
impegnati con l’Africa (nord-sud). Nacque “Chiama l’Africa”.
Una realtà che per la validità delle sue proposte e il
coinvolgimento di esponenti autorevoli africani e italiani, come
Ki-Zerbo, Bernardo Bernardi e molti altri, è stata una causa
importante nel cambiamento di mentalità nei confronti dei popoli
africani. Oltre tutte le ingiustizie subite nei secoli passati ha
preso luce la loro vera dignità, il valore di una cultura capace di
danzare la vita, che rappresenta una vera risorsa per l’umanità.
“L’Africa in piedi” è lo slogan che risuonava nei tanti convegni di
Ancona e poi di Parma. E’ nota la storia di Chiama l’Africa che
resterà ancora come riferimento nell’incontro tra le nostre
culture, nel rispetto delle diversità. Perché scrivo queste cose?
Forse perché siamo nel cuore di questo cammino che
rappresenta un passo verso la concretizzazione della fraternità
tra i popoli secondo il piano di Dio. Come missionario vedo, anche
nei nostri tentativi di verità nei rapporti tra i popoli, il fiume di
vita che nasce dal Crocifisso Risorto e si riversa su tutta
l’umanità.
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Non posso dimenticare l’impegno e il legame con il nascente
gruppo del Laicato Missionario Saveriano. Incontri regolari ci
muovevano nel respiro della Missione; si stavano delineando
orientamenti per il futuro; una vera ricchezza per la Chiesa e la
Missione. Il Battesimo e la Missione del mondo laico con la
propria specificità (famiglia, professione, e dono di sé, aperti
all’umanità) sono e saranno elementi costitutivi e nuovi nella vita
della missione.
Fine giugno 1995
A fine giugno avvenne un fatto sconvolgente per la nostra piccola
Fraternità Missionaria. Solo la fede ha potuto dare la forza per
superarlo.
Con Paola ed Edda, dopo l’incontro mensile di Spiritualità,
decidemmo di andare a Loreto. Sull’autostrada all’uscita di
Bologna vivemmo un drammatico incidente. Paola ci lasciò il 29
giugno; Edda ed io ne uscimmo con non poca sofferenza, ma con
la certezza che Paola sarebbe rimasta sempre, come una sorella
del cielo, accanto a noi. Ci lasciammo recitando insieme il Padre
Nostro, dicendo: “Sì Signore, diamo tutto”. Ci avevano stesi, le
mani strette, sull’autostrada, poi ci portarono all’ospedale.
Allegato D – Messaggio letto nella messa delle esequie di
Paola
A Paola
Oggi ti siamo particolarmente vicini. Si è chiusa una parte del
nostro viaggio.
Vogliamo dire grazie al Signore per il dono che ci ha fatto di
camminare insieme. Sei arrivata nella casa del Padre: è il tuo
vero Natale.
Grazie per il Segno che il Signore ci ha fatto con la parola dei
piccoli: i fiori raccolti a Stellata; sono 58 calle – come gli anni
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della tua vita – i fiori che Armando spesso ci portava e che ha
trovato fuori stagione per te. Come una firma che sei arrivata.
Continuiamo insieme il cammino. Aiutiamoci nel servizio che hai
sempre preferito: dare voce ai poveri, far conoscere il dolore di
tanti: Rwanda, Burundi, Zaire...
Ora tu vedi le cose in modo più vero. Edda ed io ti sentiamo con
noi.
Rinnoviamo il nostro impegno ed il nostro “si” al dono difficile
della vita. Non è facile continuare senza di te. Lo faremo con
tutte le nostre forze e con tutto il nostro amore. Anche a nome
tuo.
Saremo ancora più uniti nella famiglia religiosa Saveriana di cui
siamo, insieme, membri.
Ringraziamo quelli che ci hanno aiutati, il personale medico e
quanti ci hanno manifestato la loro solidarietà per la causa a cui
ci siamo dedicati con le nostre povere forze.
Vogliamo ricordare mamma Iolanda e tua sorella Ornella,
assicurando loro tutto il nostro affetto per il tempo che ci
resta.
La strada nella quale abbiamo subito questo incidente
domandiamo al Signore che sia sempre più luogo dove impariamo
a vivere la carità verso gli altri fratelli.
Edda e p. Silvio
Parma, 3 luglio 1995
Paolo Volta e Paolo Stefanini ci aiutarono particolarmente.
Gianna, con la mia famiglia, non mi ha mai lasciato, e così la
famiglia Saveriana a cui sento la gioia di appartenere. La
vicinanza della Direzione Generale è stato un motivo di vera
consolazione. Poi, a un mese di distanza, i fatti dello Zaїre ci
50
“risvegliarono”… l’uccisione degli amici di Goma collegati a Mondo
Giusto
(onlus),
i
bombardamenti
dei
campi
profughi,
ci
stimolarono a sentire che anche noi, poveri stracci umani,
eravamo convocati ad essere in qualche modo ancora presenti.
Paolo Volta in particolare era impegnato nella costruzione della
nuova casa a Vicomero, sul terreno di mamma Carla Stefanini.
Nell’abitazione accanto alla Casa Madre (ex-CSAM) era stata
prevista la collocazione del Museo cinese-etnografico. Era
necessario uscire per la ristrutturazione dei locali.
Alcuni scritti di quel periodo aiuteranno a collocare meglio i vari
passaggi. Ci orientammo così a prendere dimora nella casa di
Vicomero, con l’impegno di collaborare con la Parrocchia, pure
nella continuità del legame con la gente di Goma.
Vicomero, 24 settembre 1996
Allegato E – Prima lettera agli amici scritta dalla
Fraternità Missionaria da Vicomero
Carissimi amici,
con l'invito all'”apertura” della casa della Fraternità e
dell'Associazione Solidarietà / Muungano desideriamo unire un
saluto cordiale.
Inizia un nuovo anno sociale; è bello cominciarlo insieme,
raccontarci le novità. Ciascuno di noi ha riferimenti ideali,
iniziative in cantiere, difficoltà da affrontare. Anche noi
tentiamo di condividere qualcosa.
Da via S. Martino (Parma), all'ombra dell'Istituto Saveriano, ci
siamo trasferiti a Vicomero di Torrile, a circa 7 km da Parma.
Ricordiamo il consenso della Direzione Regionale dell'Italia:
<< Carissimi, la vostra lettera del 17 ottobre ultimo scorso è
stata motivo di gioia per tutti noi del consiglio regionale
51
dell'Italia. Siamo contenti della vostra richiesta di poter vivere
la spiritualità saveriana. Siamo disponibili a studiare con voi i
rapporti di collaborazione e di comunione e arrivare ad un
riconoscimento anche formale. (…) padre Natalio Fornasier
(Superiore Regionale Saveriani)>>
E' l'occasione per ritrovare le radici del nostro camminare
insieme, dei nostri progetti di “fraternità missionaria”.
La casa ci è d'aiuto ad ordinare la vita dei nuclei, l'accoglienza, il
lavoro strutturato nell'Associazione Solidarietà / Muungano.
Potrà essere un riferimento, e ci è già stato chiesto, per laici
missionari che rientrano dalla missione o per partenti.
Ci sembra importante continuare i legami con le comunità della
missione che abbiamo incontrato, ma nello stesso tempo aprire
cuore e testa alla famiglia di Dio che incontriamo nel territorio,
con particolare attenzione a chi è in necessità. C'è chi ha
bisogno del necessario, chi è alla ricerca del senso della vita, chi
vive la solitudine. In fondo, siamo noi, unica famiglia degli uomini
in ricerca continua del vero Bene. “Paola, aiutaci ad essere
fedeli”. Ci è spontaneo pregare così soprattutto dopo la lettura
di alcune sue lettere diffuse il 29 giugno, anniversario della sua
partenza alla Casa del Padre.
La vita della Fraternità è strutturata attorno ad alcuni momenti
di preghiera, condivisione, lavoro. Siamo contenti se qualcuno
desidera passare con noi qualche giorno. Il primo fine settimana
del mese è il più indicato. Possiamo vivere insieme la domenica
della fraternità.
La situazione a Goma, già difficile, si è aggravata per la
pressione che si sta facendo sui rifugiati e alcuni gruppi etnici,
che le autorità zaїresi hanno deciso di allontanare. E' il motivo
che ha costretto la famiglia Ballerini ad interrompere la loro
permanenza a Goma ed a restare in Italia, dopo un'esperienza
forte di servizio e di fraternità, che la Comunità Muungano non
può dimenticare.
52
Attualmente vivono a Goma i padri saveriani Veniero, Francesco,
Sartorio e le missionarie Antonina e Lucia.
Siamo riconoscenti al Signore per la loro presenza e il servizio
che stanno svolgendo.
Sono un vero seme di fraternità!
Con loro ci sentiamo impegnati a continuare la nostra solidarietà
con la gente di Goma: bambini non accompagnati, artigianato,
centri di promozione della donna, prigionieri, alfabetizzazione, il
rinnovato impegno per la giustizia e per l'accoglienza dei
profughi.
Un'altra novità, per cui ci siamo impegnati direttamente, è la
campagna “Chiama l'Africa”, che sarà lanciata prossimamente. E'
frutto del collegamento tra varie Associazioni che operano in
Africa.
L'obiettivo è la risposta globale ai popoli, ai problemi del
continente africano, attraverso un rapporto umano più profondo,
che impegni l'informazione, la politica, la società civile dei nostri
Paesi.
La vita continua.
Ci auguriamo che il nostro legame possa crescere ed essere
motivo di fraternità tra noi e con tanta gente.
Fraternità Missionaria
Contemporaneamente iniziammo a lavorare per la campagna
“Chiama l’Africa”, che coinvolse centinaia di gruppi. L’occasione
era data dalla celebrazione dei 500 anni (1498-1998) della
circumnavigazione dell’Africa, un accerchiamento che ha portato
allo sfruttamento, alla schiavitù, alle Colonie. Un incontro di
popoli che nella reciprocità poteva essere motivo di fraternità e
scambio di civiltà, che si è trasformato in furto di beni e di
persone. Un vero dramma oscuro dell’umanità.
53
Tre camion “Arriva l’Africa” allestiti da Mario Ghiretti, esperto
di comunicazione, con una scenografia davvero bella ed artistica,
attraversarono oltre 50 città italiane. Vari fascicoli sulla cultura
africana (arte, musica, letteratura) aiutarono a scoprire la
ricchezza umana e culturale del continente che ama e danza la
vita. Iniziò in quel periodo la pubblicazione di “Congo attualità”,
su internet, che Loris Cattani, in particolare, curerà e
migliorerà, dando notizie e lettura con vera competenza e
serietà sui fatti del Congo.
Nel 2001 si realizzò una missione di pace a Butembo (Zaїre)
con un simposio internazionale per la pace. Un’esperienza
particolare per il contesto di guerra in cui viveva il Paese e
soprattutto la regione del Kivu. L’avvenimento sarà motivo di
coraggio e di fiducia per centinaia di migliaia di persone e per la
società civile organizzata. Don Albino Bizzotto e Lisa Clark
saranno i leader dell’organizzazione, a cui parteciparono “Chiama
l’Africa” e il Progetto Colomba dell’Associazione Giovanni XXIII.
La proposta della “missione di pace” della nostra Fraternità era
nata dall’invito di Giovanni Paolo II a celebrare il Giubileo anche
nei luoghi di maggiore sofferenza.
La loro presenza sarà poi un aiuto importante e significativo
ancora in Congo (ex Zaїre), dopo il dialogo intercongolese in
occasione delle prime elezioni democratiche del Paese (2006).
Ripeto: non è la storia dettagliata del Congo (ex Zaїre), ma
alcune note che possono aiutare ad entrare nel cammino
complesso, non solo del Paese, ma della vita del continente
africano, in balia per tanti aspetti della politica e dell’economia
internazionale. Ciò che cerco di sottolineare è il nostro percorso,
interno alla gente e alla Missione, che ci impegna a condividere la
vita di tutti, offrendo motivi di forza e di speranza, che vanno
oltre i singoli fatti politici e si colloca sulla croce del quotidiano,
nella disponibilità al dono totale della propria vita.
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L’esperienza della Missione è forte, e spesso drammatica, ma
non priva di luci. Ricordo in particolare alcuni episodi per noi
significativi, legati all’impegno della fraternità con le comunità di
base.
- Un papà col bimbo in braccio, morto alle porte della città,
dopo aver camminato tanti chilometri, mi chiama, dicendo:
“Sono della chiesa protestante, ma so che tu sei un uomo di
Dio, per questo lo metto nelle tue mani, perché tu lo metta
nelle Sue mani.”
- Avevamo accolto i detenuti della prigione gravemente
ammalati. L’amico Francois, cieco per il diabete, li aiutava
con la preghiera e insegnando il catechismo. Celebrammo la
messa nella saletta e alla comunione mi chiese: “Posso
cantare?”; risposi: “si, canta!” e intonò il canto “Vieni
Signore Gesù”. Morì il giorno dopo e fu portato nella sua
stuoia alla sepoltura…
- Penso ai tanti episodi vissuti con le comunità di base, nelle
prigioni, all’ospedale, durante le epidemie di colera.
- Quando chiesi agli amici disabili del Centro per
Handicappati di Goma se fosse stato più opportuno
continuare a visitarli periodicamente o mandare loro la
somma corrispondente del viaggio, uno del gruppo in
carrozzella, mi venne incontro e disse: “Kuwaona ni Kushiba”
/ Vedervi è saziarci.
Nel 2002 vivemmo un avvenimento importante, che sconvolse la
città di Goma: ebbe luogo l’eruzione del vulcano Nyiragongo e la
città fu in gran parte invasa dal fuoco della lava… Scomparve
anche il nostro ospedaletto e la casa saveriana. Seguirono giorni
difficili, ma poco tempo dopo la gente attraversava con le
55
lamiere il fiume di lava ancora caldo, pur di restare nella propria
terra e non essere profughi nel Paese vicino.
La disgrazia si trasformava presto – per tanti - in un evento di
condivisione e di solidarietà. La ricostruzione della città
ricominciò subito e purtroppo nella stessa valle, ai piedi del
vulcano sempre attivo, perché è l’incrocio di varie vallate, per
questo la gente restava lì e la vita riprese.
Dopo le elezioni del 2006 era forte la speranza della pace,
ma la gente fu presto delusa dalle nuove campagne di guerra
legate al gruppo militare filo-rwandese (sostenuto da Rwanda e
Uganda), con il pretesto della presenza nel Kivu del gruppo
armato sempre più ridotto degli ex soldati e miliziani rwandesi.
Il velo delle ambiguità sarà presto tolto con la pubblicazione del
Rapporto degli esperti dell’ONU sul traffico di ricchezze (oro,
cassiterite, coltano…) prelevate dalla regione del Kivu e
trasportate a Kigali e a Campala per varie destinazioni. Ma
quanti massacri, violazione dei diritti umani fondamentali, stupri,
e soprattutto folle di sfollati, costretti a lasciare la loro terra.
Ma purtroppo, nel Kivu in particolare, le cose non cambiarono. I
ribelli filo-rwandesi e vari gruppi armati occuparono una parte
importante del nord-Kivu.
Nel 2013 la stessa città di Goma sarà occupata alla presenza
delle forze militari dell’ONU. Ci fu una reazione internazionale e
la decisione di autorizzare un gruppo militare ONU abilitato ad
intervenire. Ma sarà l’azione coraggiosa del Colonnello Mahomedi
dell’esercito nazionale congolese, appoggiato dalla gente e
logisticamente dal gruppo di intervento ONU, a liberare quasi
interamente la regione. Il colonnello fu ucciso quasi al termine
della missione di liberazione del Kivu!
Congo Attualità ha descritto i fatti con la documentazione e la
competenza di chi ha vissuto nella regione. Una storia che
continua tuttora…
56
Forse le nostre visite annuali nella regione sono state motivo di
fraternità e di ascolto della gente che ci hanno permesso di
cogliere la presa di coscienza e di responsabilità da parte della
popolazione. La visita dello scorso anno (2014), alla luce del
martire Mons. Munzihirwa, Vescovo di Bukavu, è stato un vero
pellegrinaggio, non solo sulla sua tomba, ma nei luoghi del
martirio di tanta gente del sud e nord Kivu. E’ stato per noi un
invito forte a riflettere sulle responsabilità della nostra società
occidentale, che trae profitto da queste guerre, attraverso il
traffico illegale delle ricchezze e offrendo il sostegno a poteri
dittatoriali, lontani dalla gente. (Vedi il fascicolo “Viaggiopellegrinaggio nel Kivu 2014” curato da Maria Piccone e Tomaso
Boticchio).
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LA FRATERNITA’ MISSIONARIA OGGI
Continua a Goma attraverso l’azione preziosa di Luisa Flisi e
Antonina Lo Schiavo, con la loro vita e il loro amore per la
comunità cristiana a poca distanza dalla Parrocchia dei
Missionari Saveriani (Francois Xavier). Il loro impegno è
soprattutto rivolto ai più deboli, ammalati di HIV, ai detenuti
nella prigione, alle ragazze povere della periferia.
Con loro, in particolare, sentiamo l’impegno di continuare a vivere
il nostro essere per Dio, nella Chiesa, per il mondo.
Allegato F – Comunione laicale della Fraternità
Alcuni riferimenti: scrittura-catechismo
“Per mezzo del Battesimo siamo dunque stati sepolti insieme a
Lui nella morte, perché come Cristo fu resuscitato dai morti per
mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare
in una vita nuova.” (Atti 2,4)
“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e
nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere.”
(Atti 2,42)
“Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e
digiunando, lo Spirito Santo disse “Riservate per me Barnaba e
Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati.” (Atti 13,2)
“I laici, come tutti i fedeli, in virtù del battesimo e della
Confermazione, ricevono da Dio l’incarico dell’apostolato;
pertanto hanno l’obbligo e godono del diritto, individualmente o
riuniti in associazioni, di impegnarsi affinchè il messaggio divino
della salvezza sia conosciuto e accolto da tutti gli uomini sulla
terra; tale obbligo è ancora più pressante nei casi in cui solo per
mezzo di loro gli uomini possono ascoltare il Vangelo e conoscere
Cristo.”
(Catechismo della Chies cattolica – paragrafo 6 n. 900)
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Siamo associati per vivere con la Chiesa il dono di essere fedeli
laici in cammino con il crocifisso-Risorto Gesù di Nazareth, per
accogliere e costruire il regno di Dio.
Ci aiutiamo ad accogliere la Parola di Dio a nutrirci di doni che
Cristo offre ai suoi discepoli attraverso la Chiesa nella comunità
locale, l’Eucarestia in particolare.
Sentiamo il bisogno di tempi di preghiera personale, comunitaria
e nella parrocchia in cui viviamo.
Desideriamo aiutarci a:
-vivere momenti di comunicazione di fede sulla Parola di Dio; nel
nucleo della Fraternità aiutarsi con la Lectio settimanale.
Quando è possibile, (almeno una volta al mese) durante la
celebrazione dell’Eucarestia con i membri e gli amici della
Fraternità.
-comunicarci il modo in cui viviamo il servizio ai poveri nella
Chiesa locale;
-prendere decisioni importanti dopo esserci ascoltati;
-comunicare sul piano economico e a vivere l’aiuto reciproco nel
bisogno anche materiale (nella disponibilità gli uni verso gli altri).
Una persona tra noi fa da riferimento della Fraternità
Missionaria.
Ci impegnamo a verificare, nell’ascolto reciproco, gli impegni
assunti.
Ci riconosciamo nel carisma della Chiesa missionaria e sentiamo
un legame di particolare comunione e collaborazione con la
famiglia missionaria nata dal Beato Guido Maria Conforti.
Promessa di impegno nella Fraternità Missionaria:
“Signore Gesù, grazie per avermi chiamato (a chiamata) a
seguirti. Rinnovo la mia promessa a vivere, fratello tra fratelli,
in mezzo alla gente:
-la buona novella del Regno nello spirito delle Beatitudini;
-nel fare di Gesù il centro della mia vita;
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-nell’impegno di fare dell’umanità una sola famiglia;
-nel fare mia, in virtù del Battesimo, la parola di Gesù “Andate e
predicate il mio Vangelo a tutte le genti”.
Mi impegno a vivere nella comunione, tra i membri della
Fraternità Missionaria, nella solidarietà con il Popolo di Dio, a
partire dai più poveri, in comunione con la Chiesa universale e la
Famiglia Saveriana.
Maria, aiutami a dire con te “ecco sono la serva del Signore”, si
faccia di me secondo la tua parola.
Festa dell’Immacolata
L’azione, avviata inizialmente come Caritas Muungano a Goma
continua attravesro l’associazione Muungnao il servizio-missione
nei confronti dei poveri, con l’Atelier-Muungano, per la
formazione dei ragazzi/e non scolarizzati/e, collegata con
l’apprendistato di falegnameria e di cucito. Un altro impegno è il
Centro di salute Muungano, ospedaletto, in collaborazione con il
Centre de Santè e la Diocesi, come sostegno all’azione sanitaria
del quartiere e con particolare attenzione ai disabili, ai
prigionieri ed ai bambini bisognosi di cure. L’Associazione
Muungano oggi A.S.B.L. Associazione senza scopo di lucro, è
responsabile e cura le attività dell’associazione e nel servizio di
formazione e apprendistato nei vari quartieri. Continua pure
appoggio del nuovo ospedaletto nato dopo l’eruzione del vulcano
nel quartiere di Ngangi, dove opera la parrocchia dei missionari
saveriani, affidato alle suore della Risurrezione.
A Parma Solidarietà Muungano è impegnata oggi nei confronti
della gente di Goma con: il mercatino dell’usato Millecose per il
recupero e la valorizzazione di oggetti di seconda mano, le
adozioni a distanza, la sensibilizzazione nei confronti dell’Africa
attraverso la collaborazione con Chiama l’Africa e Rete Pace per
il Congo. La sensibilizzazione nelle scuole in particolare, il Banco
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Alimentare per l’aiuto per i più poveri e gli immigrati, i laboratori
di attività creative. Vari gruppi in varie città italiane (Bondeno,
Como, Piombino, Firenze, Ferrara) ci accompagnano per
sostenere le attività di Goma. Ciò che maggiormente
caratterizza la casa Solidarietà Muungano è l’accoglienza di un
gruppo di studenti universitari e operai provenienti da paesi
africani. Rappresenta un motivo importante di dialogo tra
culture e religioni diverse e un segno di convivialità nel rispetto
reciproco e nel servizio con i nuovi arrivati.
……..
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IL NOSTRO GRAZIE
Vicomero, 12 settembre 2014
Il tramonto è bello, nell’attesa di un’alba nuova. Ci aiuta a
ricordare che siamo nel fiume della vita che ci precede e
continua verso il mare dell’Infinito.
Ripensando al cammino percorso insieme in questi anni sentiamo
il bisogno di dire Grazie a Dio, agli amici, a quanti abbiamo avuto
il dono di incontrare.
Dio, in Gesù, si è fatto anche fratello nostro. Il suo Vangelo
continua ad essere la luce di ogni giorno. Egli ci ha accompagnato
con doni diversi e ci ha accolto nella sua Chiesa, grembo di Dio
per il mondo, aprendoci all’amore verso tutti.
Sentiamo riconoscenza nei confronti di quanti, persone e gruppi,
ci hanno accompagnato partecipando al “progetto di vita”
assunto nella missione in Congo ex-Zaїre, in particolare con Paola
e condiviso con la famiglia dei missionari saveriani (di cui
io,Silvio, sono membro) punto di riferimento per tutti noi.
E’ stato un progetto nato sull’ispirazione della Chiesa del nostro
tempo (Concilio Vaticano II), che pure nella sua fragilità si è
collocato tra la gente-popolo di Dio- oggetto del suo amore
misericordioso, chiamati ad accogliere la pienezza della sua vita
nella gioia della fraternità.
Quanto siamo stati fedeli?
La Luce di Dio raggiunge il tappeto dell’umano che finché ha le
radici in terra ne porta anche tutti i limiti.
I nostri limiti dicono anche la Sua grandezza, ma portano tutto il
peso della nostra fragilità: incomprensioni, lontananze, chiusure
di fatto anche se rispettose. Le nostre scelte hanno motivazioni
dalla ricerca della verità e del bene reciproco; ma resta
l’interrogativo: si poteva fare di più per realizzare l’unità?
Sentiamo il bisogno di chiedere perdono degli errori, dei
compromessi tra gli ideali e le scelte quotidiane.
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Siamo contenti di vedere come altri gruppi, impegnati sulla
stessa strada, hanno vissuto e fatto meglio di noi. E’ un cammino
di chiesa nella povertà, nella Parola di Dio e di condivisione, che
tutti possono vivere.
Oggi le nostre forze sono più ridotte.
Ci siamo chiesti se chiudere o meno l’esperienza iniziata. Vari
amici ci hanno chiesto non solo di continuare, ma di “aprire la
porta”…il meglio deve continuare, certo lasciando a Dio e ai
fratelli le novità del futuro.
Edda e p.Silvio
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UNA SPERANZA
La nostra speranza è che continui il cammino iniziato attraverso
altre persone che condividono lo stesso ideale di fraternità.
L’aspetto più importante di questi ultimi tempi si è manifestato
l’impegno di accoglienza e di condivisione con fratelli e sorelle
presenti nel territorio, di provenienza dal continente africano.
Stiamo vivendo un tempo culturale che spinge l’umanità a
ritrovarsi come unica famiglia, pur nella diversità delle proprie
tradizioni. Anche la nostra piccola realtà “Fraternità-Muungano”
può essere un segno della possibilità di vivere questo ideale che
ci sembra legato al progetto di Dio: “che tutti i popoli siano una
sola famiglia”, come affermava il nostro Santo Guido Maria
Conforti. Certo ci sentiamo stimolati dal Magistero degli ultimi
Papi, oggi in particolare da Papa Francesco che ci invita ad aprire
le porte a tutti, perché la gioia del Vangelo sia motivo di fiducia
e di coraggio, sulla via del perdono, del dialogo aperto ai segni
della presenza di Dio nelle varie culture, religioni e tra i vari
popoli. L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, a
un solo progetto per la casa comune, a vedere “il pianeta con
patria, l’umanità come popolo”.
Prima stesura 6 dicembre 2015
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