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Aberrazione cromatica e numero di Abbe
Denis Bastieri
– Dipartimento di Fisica & Astronomia “G. Galilei” –
Università di Padova
27 Novembre 2014
Piú usato del potere dispersivo il Numero di Abbe1 , solitamente indicato
con la lettera V o la greca ν. Il numero di Abbe misura la dispersione
cromatica di un mezzo trasparente alla luce visibile ed è definito come:
V =
nD − 1
1
=
nF − nC
ω
(1)
Vetri poco dispersivi come il vetro crown hanno indice di Abbe tra 50 e
85; vetri più dispersivi come i vetri flint hanno indice di Abbe inferiori che
arrivano fino a 20.
Convenzionalmente si descrive il materiale di cui una lente è composta attraverso una notazione che ne specifica l’indice di rifrazione alla riga d (nd )2
e, appunto, il numero di Abbe. La notazione piú comune è la MIL-G-174
(e successive) dove un materiale è indicato con una frazione a tre cifre: al
numeratore compaiono le prime tre cifre decimali dopo la virgola di nd e al
denominatore il numero di Abbe moltiplicato 10. Ad esempio, uno dei vetri
piú utilizzati per la costruzione di telescopi rifrattori è un vetro borosilicato
di tipo crown indicato dalla Schott come BK7. Il BK7 ha nd = 1.5168 e
1
da Ernst Abbe (1840-1905), fisico tedesco che assieme a Otto Schott e Carl Zeiss può
essere considerato tra i fondatori dell’ottica moderna.
2
La riga D di Fraunhofer è in realtà un doppietto composto da due righe del Sodio
D1 = 589.592 nm e D2 = 588.995 nm. La maggior precisione delle misure correnti han
fatto scegliere come riga canonica per le misure di ottica la riga d (o D3 ) dell’Elio molto
vicina al doppietto del Sodio e di lunghezza d’onda d = D3 = 587.5618 nm. Molto spesso,
soprattutto se la precisione o la sensibilità della misura non sono cosí elevate, si lascia
indicato comunque la riga D e non la d. Altre righe di Fraunhofer molto utilizzate sono
la C, nel rosso, corrispondente alla transizione 3 → 2 dell’Idrogeno (detta anche Hα a
λ = 656.281 nm) e la F, color aqua, per la transizione 4 → 2 dell’Idrogeno (detta anche
Hβ a λ = 486.134 nm).
1
V = 64.17, ed ha quindi sigla 517/642. Se le cifre sono tre la barra può
essere anche omessa: 517/642 7→ 517642, è necessaria se si vuole specificare
con piú di tre cifre qualche indice: ad esempio, lo stesso vetro di una linea di produzione particolarmente efficiente può anche essere indicato come
5168/6417. Questa notazione permette di potersi riferire immediatamente al
tipo di vetro a prescindere dal produttore. Nell’esempio precedente, infatti,
la sigla BK7 è quella che indica il vetro prodotto dalla Schott, lo stesso tipo
di vetro prodotto dalla Hoya si chiama BSC7.
Tramite il numero di Abbe si può valutare subito la aberrazione cromatica
longitudinale A, definita come la differenza tra le lunghezze focali corrispondenti alla riga C e alla riga F. Dalla formula dei costruttori di lenti per la
distanza focale si trova allora che:
)
(
(1
)
(
)−1 nF − nC
1
1
fD
1 −1
A = fC − fF = r − r ′
−
≈ 1r − r1′
=
2
nC − 1 nF − 1
(nD − 1)
V
(2)
perciò una lente di lunghezza focale f = 70 mm e numero di Abbe V = 50
70
focalizza la luce rossa A = 50
= 1.4 mm oltre la luce blu. L’approssimazione
usata, (nC − 1)(nF − 1) ≈ (nD − 1)2 , con i valori degli indici di rifrazione della
nostra lente3 è contenuta entro lo 0.5%. Equivale ad assumere che nD − 1 sia
una sorta di media geometrica degli altri due valori.
Nella formula 2 compare la distanza focale vera della lente, che sappiamo
essere molto prossima alla distanza del fuoco dei raggi parassiali. A rigore
quindi l’aberrazione cromatica è diversa per raggi parassiali o raggi marginali.
Tuttavia si può dimostrare che, in ottima approssimazione, essa è la stessa
se vale la relazione
cC
1
=1=
(3)
cF
V
dove cC e cF sono i coefficienti di aberrazione sferica relativi alle righe C e F.
Nel caso del vetro delle lenti del banco ottico tale relazione è verificata entro
circa il 10% e quindi si può supporre che l’aberrazione cromatica sia circa la
stessa per raggi parassiali e raggi marginali.
Il doppietto di Dollond
Accoppiando opportunamente due vetri di diverso materiale si possono realizzare lenti convergenti con un’aberrazione cromatica ridotta. Il brevetto
dell’inglese John Dollond accoppia vetro crown e vetro flint in un unico sistema ottico sfruttando il fatto che i due tipi di vetro hanno indice di rifrazione
e numero di Abbe diverso. L’idea è quella di costruire una lente convergente
3
nF = 1.5224, nD = 1.5168 e nC = 1.5143.
2
che abbia la medesima lunghezza focale sia per il rosso (riga C) che per il blu
(riga F).
Figura 1: Il doppietto di Dollond.
Vediamo innanzitutto che cosa succede in un doppietto, un sistema ottico
ottenuto accoppiando due lenti. Per entrambe le lenti valgono le leggi dei
costruttori di lenti:
1
1
1
+
=
lente 1
(4a)
p 1 q1
f1
1
1
1
(4b)
+
=
lente 2
p 2 q2
f2
ma dato che le due lenti sono accoppiate, q1 = −p2 o, sommando le due
equazioni:
1
1
1
1
1
+
=
+
=
p1 q2
f1 f2
f
sistema completo
(4c)
dove f è la lunghezza focale del sistema.
L’aberrazione cromatica del doppietto può essere stimata assumendo che
sia una piccola variazione della distanza focale (ed in effetti lo è: per il flint
1
V ≈ 25 quindi l’aberrazione cromatica è circa 25
della distanza focale). Si
può quindi differenziare la 4c ottenendo:
∆f1 ∆f2
A
1
1
∆f
= 2 + 2 o, ponendo ∆f = A: 2 =
+
(5)
2
f
f1
f2
f
V1 f1 V2 f2
Si vede quindi che scegliendo opportunamente l’indice di Abbe e le lunghezze focali delle due lenti si può fare in modo di annullare l’aberrazione
cromatica.
3
L’equazione 5 ci dice che per azzerare l’aberrazione cromatica dobbiamo
accoppiare una lente convergente con una divergente, mentre se vogliamo che
il sistema sia complessivamente convergente (f > 0), l’equazione 4c ci dice
che la lunghezza focale della lente divergente deve essere maggiore di quella
della lente convergente. Supponiamo quindi, senza perdere di generalità,
che la prima lente sia quella convergente (f1 > 0). Quanto detto sopra si
riassume in:
A=0
f >0
A=0
⇒
⇒
⇒
f1 > 0, f2 < 0
f1 < |f2 |
V1 f1 = V2 |f2 | ⇒ V1 > V2
(6a)
(6b)
(6c)
Supponiamo quindi di voler realizzare un doppietto convergente (sia cioè
f > 0) usando una lente in BK7 (vetro crown 517642) e una in vetro flint
785258. Per contraddistinguere i due materiali si usi la lettera C o F da
mettere all’apice per non confonderla con la riga spettrale: ad esempio nC
D =
F
1.517 è l’indice di rifrazione nella riga D del vetro crown e V = 25.8 è
il numero di Abbe del vetro flint utilizzato. Le 6 ci dicono che la lente
convergente deve essere realizzata in vetro crown, poiché V C = 64.2 > 25.8 =
V F , e la divergente in vetro flint. Abbiamo quindi due equazioni, la 6c e la
4c, e due incognite, le focali, quindi una volta scelti i materiali e la lunghezza
focale del doppietto, sono fissate le focali delle due lenti:
V1 + V2
VC+VF
f=
f
(7a)
V1
VC
V1 + V2
VC+VF
lente 2 in flint: f F = f2 =
f=
f
(7b)
V2
VF
In realtà, esiste ancora un grado di libertà nella nostra scelta delle lenti,
perché, richiamando la formula dei costruttori di lenti, la lunghezza focale
dipende dal materiale (tramite nD ) ma anche dai due raggi di curvatura,
quindi scelto il materiale e la lunghezza focale abbiamo ancora un grado di
libertà. Facendo riferimento alla figura 1 dove il pedice S o D indica il raggio
di curvatura della lente a Sinistra o a Destra, e notando che per accoppiare le
C
= −rSF , rimaniamo con due equazioni e tre parametri
due lenti deve valere rD
liberi per un totale di un grado di libertà:
(
)
1
1
1
−
1)
lente 1 in crown: C = (nC
+
(8a)
C
C
D
rS
rD
f
(
)
1
lente 2 in flint: F = (nFD − 1) − r1C + r1F
(8b)
D
D
f
lente 1 in crown: f C = f1 =
Solitamente si sfrutta il restante grado di libertà per ridurre l’aberrazione
sferica del doppietto.
4