Espedienti e Tathagata (N.163)

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Transcript Espedienti e Tathagata (N.163)

in prima persona
Finalmente
capisco
adesso
sui capitoli Espedienti e Durata della vita del Tathagata
Conversazione IMMAGINARIA con i nostri MAESTRI
di Alessandra Chirivino
Perché noi che pratichiamo il Buddismo di Nichiren Daishonin leggiamo due volte al giorno due
capitoli del Sutra del Loto e perché proprio i
capitoli Espedienti (giapp. Hoben) e Durata della
vita del Tathagata (giapp. Juryo)? Provo a ripercorrere alcune tappe della mia esperienza di fede
guidata dalle risposte dei miei maestri.
Nichiren Daishonin: «[...] benché nessun capitolo del Sutra del Loto sia trascurabile, fra i
ventotto capitoli, i capitoli Espedienti e Durata
della vita sono particolarmente importanti, tutti
gli altri sono come loro rami e foglie. Ti consiglio
quindi nella tua pratica giornaliera di leggere le
parti in prosa dei capitoli Espedienti e Durata
della vita. Inoltre puoi anche trascriverle. Gli altri
ventisei capitoli sono come l’ombra che segue il
corpo o come il valore contenuto in un gioiello.
Se leggi i capitoli Espedienti e Durata della vita,
tutti gli altri saranno inclusi anche senza leggerli» (La recitazione dei capitoli Espedienti e
Durata della vita, RSND, 1, 63).
Mille sono le domande che mi sono posta sulla
recitazione di Gongyo da quella prima riunione in cui mi spiegarono che la pratica del Buddismo sarebbe passata anche attraverso la
lettura di una preghiera scritta in affascinanti
ideogrammi la cui pronuncia appariva molto
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complicata. Sono una persona diligente e decisi di studiare il Sutra del Loto e approfondirne
il significato. Passai del tempo a ritagliare le
parole della traduzione del sutra e incollarle
sotto ogni ideogramma del libretto, così da
avere ben chiaro quello che dicevo.
Josei Toda: «Ci si potrebbe chiedere quanto
sia efficace recitare il Sutra del Loto senza
comprenderne il significato. […] Anche se la
maggior parte di noi fa Gongyo senza una chiara e precisa comprensione delle parole, la sua
essenza si trova comunque nella profondità
della nostra vita, nel regno dell’inconscio, dove
possiamo afferrare il più profondo significato
del Sutra del Loto» (Il Sutra del Loto. I capitoli
Hoben e Juryo, Esperia 1991, p.18).
Naturalmente non avevo alcuna coscienza che
da quel momento due volte al giorno avrei
dichiarato l’intento di seguire il mio maestro
nella non semplice strada di rendere felice me
stessa e tutti gli altri esseri umani con cui sarei
entrata in relazione durante la mia vita. In
parole povere realizzare kosen-rufu. Forse se
l’avessi capito subito ne sarei stata atterrita e
certamente mi sarei sentita inadeguata. Ma la
verità è che col tempo capiamo e soprattutto
percepiamo sempre di più recitando Daimoku
noi e il Sutra del Loto
Hoben e Juryo per mano a Josei Toda
Il cuore del Sutra del Loto è
racchiuso in questi due capitoli, che si può dire contengano il messaggio centrale del
sutra: l’asserzione che tutte
le persone possono diventare
Budda come Shakyamuni e
l’interpretazione che chiarisce
teoricamente questa possibilità, dando una esemplificazione del principio del mutuo
possesso dei dieci mondi (cfr.
Josei Toda, Il Sutra del Loto. I
capitoli Hoben e Juryo, Esperia 1991, p. 18-19).
È nel secondo capitolo, Espedienti (Hoben), che Shakyamuni comincia a rivelare la
sua Illuminazione ai discepoli
e spiega per la prima volta che
tutte le persone sono in grado di ottenere la Buddità. La
parola hoben (giapp. mezzo,
espediente) si riferisce al fatto
che ciò che è stato insegnato
negli anni che precedono la
spiegazione del Sutra del Loto
ha solo valore preparatorio,
un “espediente” per condurre
le persone al vero insegnamento, e anche che le attività
svolte dai comuni mortali dei
nove mondi non sono che i
“mezzi” (hoben) con i quali
esprimono la Buddità (cfr. op.
cit. p. 19-20).
Nel capitolo sedicesimo, Durata della vita del Tathagata
(Juryo), Shakyamuni dichiara
di aver raggiunto la Buddità
prima di questa vita, in un tempo incredibilmente lontano
(gohyaku jintengo). Con tale
rivelazione mostra l’eternità
della natura di Budda inerente
a tutti gli esseri umani: una
condizione che non si trova in
un tempo o luogo ideale, non
appartiene all’esperienza esistenziale di una persona dalle
qualità eccezionali, ma è inerente alla vita di tutti.
Nessuno aveva mai considerato la possibilità che Shakyamuni potesse essere stato un
Budda prima di allora, e quando ottenne la Buddità tutti pensarono che l’avesse conseguita
perché era una persona fuori
dal comune. Invece, avendo
vissuto in questo mondo alla
ricerca della Via anche se già
aveva ottenuto l’Illuminazione,
Shakyamuni dimostra che non
esiste differenza fra lui e tutti gli
altri esseri umani (cfr. op. cit.,
che questo desiderio risiede in tutti noi, solo
che è sepolto da strati di abitudini, sofferenza
ed egocentrismo. Fino a che non decidiamo di
cambiare questa situazione, fino a che non è
giunto il tempo (niji).
Daisaku Ikeda: «“A quel tempo” (niji) del capitolo Espedienti è il momento in cui il Budda dà
p. 10-11). In altre parole, i nove
mondi sono presenti anche
nella vita di un illuminato. Ciò
fa eco al principio rivelato nel
capitolo Hoben secondo cui i
comuni mortali dei nove mondi possiedono indistintamente
il mondo di Buddità: la Buddità
non può esistere separatamente dai nove mondi e viceversa,
perché tutti e dieci sono sempre inerenti alla vita (cfr. op.
cit. p. 23).
Toda fa riflettere sul fatto che
entrambi i capitoli insegnano
l’inseparabilità della Buddità e
dei nove mondi, anche se la
mostrano secondo differenti
punti di vista. L’Hoben rivela
che i nove mondi possiedono
la Buddità (le persone comuni possono tutte conseguire
la Buddità), mentre il Juryo
dichiara che essi sono contenuti nella Buddità (il Budda
ha tutte le caratteristiche del
comune mortale). Inoltre l’Hoben mostra la Buddità come un
potenziale presente nella vita
delle persone, mentre il Juryo la
descrive come una realtà manifesta nella persona di Shakyamuni (cfr. op. cit. p. 24). (mm)
inizio alla predicazione per salvare tutti gli esseri
e in cui i discepoli sono pronti ad ascoltare il suo
insegnamento. è l’attimo in cui i cuori dei discepoli sono in sintonia con il cuore del maestro,
in cui maestro e discepoli si dedicano insieme
alla felicità del genere umano» (Daisaku Ikeda,
I capitoli Hoben e Juryo, Esperia, 2005, p. 18).
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Ma presto la lettura di Gongyo fu abbreviata,
il che portò in molti, compresa me, un sospiro
di sollievo per quel tempo guadagnato alla vita
quotidiana, e soprattutto significò conoscere
per la prima volta la capacità della Soka Gakkai di cambiare le regole senza intaccare la
sostanza della dottrina buddista, qualità quasi
sconosciuta in molte organizzazioni, e che
rivela una grande attenzione verso ogni singolo componente e le sue esigenze e una salda
convinzione dei principi di base su cui si fonda.
Nichiren Daishonin: «Abbracciare, leggere,
recitare e trarre gioia da tutti gli otto volumi e
ventotto capitoli del Sutra del Loto è la pratica
estesa. Accettare, sostenere e proteggere i
capitoli Espedienti e Durata della vita è la pratica abbreviata. Recitare semplicemente una
strofa di quattro versi o il Daimoku e proteggere chi li recita è la pratica essenziale. Perciò
tra queste tre pratiche – quella estesa, quella
abbreviata e quella essenziale – il Daimoku
rientra nella pratica essenziale» (Il Daimoku
del Sutra del Loto, RSND, 1, 123).
La mia ricerca dura da dodici anni. Caparbiamente recito Gongyo mattina e sera cercando in quelle parole ormai familiari il senso
dell’azione che sto facendo. A volte è faticoso,
a volte sono stanca, sfiduciata, a volte vorrei
risposte chiare nei nostri tempi umani. È lì che
fare Gongyo diventa un precetto, un obbligo di
cui non capisco il senso. Ma continuo a farlo, a
volte per abitudine, senza molta convinzione.
Questo sforzo costante e lo spirito di ricerca,
che in alcuni momenti rasenta la testardaggine, mi porta a leggere il Sutra del Loto, a studiarlo, approfondirlo e recitarlo ad alta voce
per sentirne il suono armonioso.
Scopro così che invece di un vecchio testo
poco chiaro ho davanti la risposta a tutte le
mie domande: ecco, è scritto qui, e Shakyamuni lo ha predicato molto tempo fa ma sembra
dirlo proprio a me adesso, mi racconta gli episodi della mia vita in maniera chiara, leggera,
facile da comprendere e piacevole da leggere.
E mi dà la soluzione. Che scoperta!
Josei Toda: «Nel capitolo Hoben Shakyamuni
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comincia a rivelare la sua Illuminazione ai discepoli. Per la prima volta spiega che tutte le persone sono ugualmente in grado di ottenere la
Buddità. Nel capitolo Juryo dichiara di aver raggiunto effettivamente la Buddità prima di questa
vita nel lontano passato di gohyaku jintengo
(un periodo inconcepibilmente lungo, n.d.r.).
Con tale rivelazione mostra l’eterna natura di
Budda inerente a tutti gli esseri umani. Nichiren
Daishonin insegnò che Nam-myoho-renge-kyo
è la Legge venerata da Shakyamuni per ottenere
l’Illuminazione nel lontano passato di gohyaku
jintengo. Recitando il capitolo Juryo noi lodiamo il grande potere di Nam-myoho-renge-kyo
mentre con l’Hoben esprimiamo la convinzione
che il potere di Nam-myoho-renge-kyo inerente
alla nostra vita si manifesterà e ci condurrà alla
Buddità. Con questa aspettativa in noi lodiamo
la Legge suprema, Nam-myoho-renge-kyo» (Il
Sutra del Loto. I capitoli Hoben e Juryo, Esperia
1991, p. 19).
Quindi deduco che le risposte che cerco sono
contenute proprio nell’affidarsi, nel lasciarsi
andare alla nostra natura di Budda. Allora
il gioco è fatto, in questo modo possiamo
“semplicemente” godere della recitazione di
Gongyo e della vibrazione che fa partire una
gioia intensa e infinita e che ci fa sentire a ritmo
con le parole e con il significato di quello che
pronunciamo.
Josei Toda: «La recitazione del sutra ci consente
di lodare il Gohonzon con tutto il nostro essere.
[…] Con la pratica di Gongyo possiamo sentire
l’inesauribile forza vitale della Buddità che emerge dalla profondità di noi stessi» (Ibidem, p. 18).
Stasera sono seduta comodamente davanti
al Gohonzon, come di fronte a una persona
importante con cui ho un appuntamento che
attendevo da tempo e per questo composta,
concentrata ma soprattutto consapevole che
non è necessaria la conoscenza per godere
della gioia di recitare Gongyo. E così inizia al
galoppo il viaggio interiore con la mia natura
di Budda insieme al mio maestro, e non ho più
bisogno di farmi domande.