c-bo - 14 - Campionato di Giornalismo il Resto del Carlino

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14 CAMPIONATO DI GIORNALISMO
Scuola media GALILEO GALILEI, SASSO MARCONI
MARTEDÌ 25 FEBBRAIO 2014
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Foibe: non dimenticare, ma ricordare e tramandare
Paura, diffidenza e campi profughi: grazie al diario di Maria Lucich rivive la tragedia istriana
L’AFRICA FERITA
Genocidi
e guerre
ignorati
QUANDO emergeranno le
tante distruzioni dell’uomo
nel mondo, ignorate, non potremo più essere indifferenti,
continuare a vivere come se
nulla fosse accaduto.
Per anni, con la complicità
dei mass-media, noi europei
non siamo riusciti a «vedere» ciò che invece stava accadendo non lontano da noi:
bastava guardare oltre il Mediterraneo per scoprire le
stragi e i genocidi che hanno
insanguinato e continuano a
ferire l’Africa: Corno d’Africa, Ruanda, Congo, Sud Sudan…
Dietro queste guerre, che
hanno origini diverse (etniche, economiche, personali)
ci sono tanti morti, anche civili, donne e bambini. Dietro a ogni morto dimenticato c’è un nome, una casa,
una storia.
E I PROFUGHI? Sono disperati che affrontano un pericoloso viaggio attraverso le
terre africane, approdano
nei campi, in zone di confine, o al mare per scampare alla morte e sperare. L’Occidente si nasconde: il Nord,
ricco, non sente le richieste
d’aiuto.
Dimentichiamo troppo presto questo inferno, né cerchiamo di capirne le cause;
dimenticare è colpevole perché abbiamo riempito di armi le mani che combattono
e uccidono per interessi
estranei a quelle popolazioni. Dietro i conflitti stanno i
forti interessi economici dei
paesi ricchi e delle multinazionali. Per dare pace ai morti delle guerre dimenticate,
bisognerebbe conoscerne la
storia e i nomi e ricordarci
sempre dei popoli che «la
mattina non sanno come cominciare a vivere».
«…UN MOTO di odio e di furia
sanguinaria e un disegno annessionistico slavo, che prevalse innanzitutto nel trattato di pace del
1947 e che assunse i sinistri contorni di una ‘pulizia etnica’».
(Giorgio Napolitano, Presidente
della Repubblica italiana, Roma,
10 febbraio 2007). Queste le parole del Presidente della Repubblica in occasione della commemorazione delle vittime dei massacri
delle foibe. Dopo la ‘Giornata della Memoria’ per le vittime della
Shoah, il 10 febbraio si celebra il
‘Giorno del Ricordo’ istituito con
la legge 30 marzo 2004. Tale giornata ha l’intento di conservare e
rinnovare la memoria dei cinquemila italiani uccisi in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia tra il 1943
e il 1945 dai partigiani di Tito.
Questa commemorazione non è
solo dedicata alle vittime delle foibe, ma anche alla tragedia dei profughi giuliani costretti a lasciare
le loro case e i loro beni per fuggire in Italia dove, però, furono malamente accolti.
E’ QUESTA, un’altra pagina dolorosa della nostra recente storia
scritta dallo spirito di vendetta
che ha seminato morte e costretto
migliaia di persone all’esilio.
«…nessuno di noi parlava, per
non attirare l’attenzione… Il nostro sguardo era fisso sul lato bello della vita…». Chi scrive è Maria Lucich, una ragazzina come
noi e come tanti altri giovani della nostra età. Così si apre quel suo
IN REDAZIONE
Le classi coinvolte nel progetto sono: IA, IB, IC, ID,
IIA, IIB, IIC.
Coordinate dalle professoresse Tiziana Agus, Amabile Bellucci, Stefania Ruggeri e Maurizia Sabbioni.
COLORI
Tre disegni
realizzati dai
ragazzi delle
medie Galilei
sul delicato tema
della Shoah
e delle Fiobe
diario che lei definisce ‘Diario di
un ricordo’ in cui dolori e speranze si alternano e si susseguono
con ritmo incessante. Maria è una
nostra coetanea, ma è nata nel
1933 a Fiume, la sua adorata Fiume, come la definiva lei. Per tutti
la guerra è male, ma per i bambini
di più. Per una bambina di dieci
anni sentire gli adulti che urlavano: «È la fine del mondo, non si
salva più nessuno» era qualcosa di
orrendo. E la guerra finì, ma non
con essa i dolori. «Frequentavo la
scuola media e ogni giorno dai
banchi veniva a mancare qualche
alunno... Eravamo nel 1948 e Fiume era appena stata occupata dai
comunisti con in testa il loro maresciallo Tito… Erano anni di paura, di diffidenza, di controlli continui da parte delle autorità. Diventammo profughi, insieme a
350.000 italiani… Le speranze di
molti giovani si sparpagliarono
per il mondo intero».
CAMPO profughi di Gaeta. Mancava l’acqua e la luce era «razionata» e l’unico calore che poteva confortare era quello del triste inno
«Profughi siamo figli del dolor,
senza casa e focolar…», ma Maria
affronterà con forza e coraggio il
suo difficile percorso di vita. Maria ci ha insegnato come, nonostante le sofferenze, sia possibile
mantenere saldi e forti i grandi valori di un vivere civile, quali
l’amore, il rispetto, la fraternità;
valori di cui ancora oggi abbiamo
bisogno e, proprio noi giovani,
dobbiamo imparare, coltivare e radicare in noi per poi trasmetterli
alle generazioni future.
I RACCONTI L’AMORE PER LA VITA E LA GENEROSITÀ HANNO SALVATO DALL’ORRORE TANTI ESSERI UMANI
I gerani di Rita Montalcini e le luci della Shoah
NOBEL La famiglia Montalcini
fu aiutata dai fiorentini
DURANTE la seconda guerra mondiale, l’antisemitismo ha ispirato le leggi razziali e il progetto di eliminare milioni di ebrei, compiere cioè un vero e proprio genocidio in nome di una presunta superiorità razziale.
Di fronte a eventi come la Shoah, l’umanità si interroga su ciò che è accaduto affinché non avvenga mai più
e scopre che, a dispetto di tutto e tutti, molte persone
hanno rischiato la vita per salvare il prossimo con generosità e altruismo,illuminando la bufera intorno a loro
e donando momenti indimenticabili. Un esempio è costituito dal protagonista del film di Spielberg, l’industriale nazista Schindler, che con la sua lista ha salvato
tanti ebrei. Anche alcune missive inedite scritte, nel
dopoguerra dal futuro premio Nobel per la medicina
Rita levi Montalcini, recentemente scomparsa, indirizzate a una delle famiglie fiorentine che ha offerto rifugio a lei, alla sorella e alla madre, salvandole, testimo-
niano la gentilezza e l’ospitalità di alcuni. Da queste
lettere traspare affetto, riconoscenza, gioia di vivere e
il ricordo di momenti di serenità; nonostante tutto, la
Montalcini parla di un terrazzo rallegrato da vasi di gerani rossi, nel quale passava ore serene, in contemplazione, sdraiata al sole come una lucertola.
COSÌ i bambini di Terezin, in Cecoslovacchia, grazie
ad un’insegnante, che costituì una classe d’arte, mentre attendevano di essere deportati ad Auschwitz, continuarono a vivere con una parvenza di normalità, dedicandosi a poesie e disegni. In queste opere, talvolta
spensierate, si mescola tanta tristezza, ma grazie all’immaginazione, alla speranza e alla voglia di vivere questi bambini hanno potuto, in alcuni momenti, superare le barriere che li opprimevano, ritrovare la libertà e
la loro infanzia attraverso il sogno e la fantasia.