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10
giugno 2014
ELENA VISCONTI (Università di Salerno)
I luoghi e gli spazi della responsabilità educante
STEFANO SALMERI (Università di Enna “Kore”)
Dalla teoria alla prassi educativa:
la formazione della coscienza storica
SIMONE LOTRIONTE (Università di Torino)
Rappresentazioni teoriche per una vita onesta.
Una proposta d’ordine per l’andare vitale
EDITRICE
LA SCUOLA
NUOVA SECONDARIA RICERCA
I luoghi e gli spazi della responsabilità educante
Elena Visconti
La riflessione pedagogica, in quanto articolazione concettuale di natura teorico-filosofica ed epistemologico-scientifica, investe campi
del sapere e dell’esperienza umana che attraversano luoghi e spazi della responsabilità educante.
I luoghi della responsabilità educante si rintracciano nei sentieri della consapevolezza etico-morale che si fa racconto, si traduce in
azione e si progetta pedagogicamente. Questi luoghi diventano anche approdo del logos che si fa scienza. Scienza/e dell’uomo e del lungo
tragitto antropo-filosofico e psicologico ripiegato epistemologicamente e scientificamente nelle scienze umane, che diventano discorso
intrinseco delle scienze dell’educazione. I luoghi della responsabilità educante coincidono con i luoghi della pedagogia, della pratica
educativa e della relazionalità. La relazione educativa si basa sui principi dell’alterità responsabile, sulla radice etica della comunicazione che costruisce l’habitus della moralità attraverso competenze emotive ed empatiche. La stessa educazione si avvale fortemente
dell’interconnessione che esiste tra empatia ed etica, tra azione morale e modelli comportamentali, tra naturale disposizione bio-neurologica e formazione.
The pedagogic reflection, as conceptual articulation of theoretical-philosophical and epistemological-scientific nature, runs over fields
of the to know and of human experience that cross places and spaces of education responsibility.
The places of the educating responsibility are tracked in the paths of ethical moral awareness that he makes story down, it is translated
in action and it planned in educational theory. These places become also landing of the logos that he make science. Science and long
refolded anthrop-philosophical and psychological journey and epistemologically and scientifically in the human sciences, that become
intrinsic discourse of sciences of the education. The places of educating responsibility coincides with the places of the pedagogy,
educational practice and relational nature. The educational relationship founds on the principles of communication that builds the habitus
of the morality through emotional competences and empathetics. The some education strongly uses some interconnection that exists
among empathy and ethics, between moral action and behavioral models, between natural bio-neurological disposition and formation.
L
a responsabilità educante attraversa i luoghi e gli
spazi della teorizzazione pedagogica nella generale corrispondenza della relazione educativa e si
articola epistemologicamente in modo multidisciplinare,
pluriprospettico ed aperto alle nuove considerazioni elaborate della ricerca scientifica contemporanea. Riflettere
su tematiche interconnesse nella loro struttura conoscitiva e paradigmatica consente di articolare concettualità
ed argomentazioni che si snodano da aspetti macrosistemici a specifiche sfumature di dettaglio interne ai saperi
e alla scienze dell’uomo. Si avverte, pertanto, la necessità
di sviluppare il concetto di responsabilità educante tenendo insieme il grande racconto dell’umanità, nei fondamentali tratti della tradizione occidentale, e i nuovi
paradigmi interpretativi relativi alle scienze umane che,
attualmente, ospitano l’interessante prospettiva delle neuroscienze. Questo accostamento linguistico-concettuale
rimette in gioco l’intera questione dell’educazione/educabilità umana e della connessa responsabilità educante.
Si tratta di analizzare, attraverso l’utilizzo di metafore interpretative, le dinamiche interne alla fenomenologia dell’esperienza umana, rintracciando, nella narrazione
occidentale, i luoghi e gli spazi della coscienza culturale
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che hanno permesso di elaborare e costruire, nell’attraversamento del tempo (della tradizione e dell’innovazione), l’idea di responsabilità.
Nella tradizione greco-classica dell’Occidente l’azioneatto responsabile e la connessa educazione dell’uomo
erano fortemente radicati filosoficamente. L’espressione
del valore dell’uomo e del cittadino era veicolato dalla
ragione etica, volendo far riferimento a Socrate e Platone. Mentre, in Aristotele l’equilibrio virtuoso era sancito dalla scelta consapevole e ragionevole del giusto
mezzo quale atto di alta moralità. I presupposti forti che
evidenziano i nodi teorici cruciali della responsabilità,
intesi quali assiomi valoriali fondativi, si sono fondamentalmente ereditati dalla civiltà antica. Già nella modernità, i tratti assertivi di principi e valori dominanti
nell’idea classica della morale sono andati lentamente
sfilacciandosi e dalla naturale corrispondenza onto-metafisica ed etico-religiosa, si sono profilati come aspetto
più propriamente socio-giuridico e linguistico-ermeneutico, fino alla configurazione epistemologica della ricerca contemporanea nelle radici profonde nella
psicologia, prima, e nelle basi bio-fisiologiche ed organiche, poi.
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È nel passaggio dalla modernità estenuata alla post-modernità, che si registra, a pieno titolo, l’avvento impetuoso della tecnica-tecnologia che, dall’attenta analisi
critica effettuata da Rifkin in cui la scienza-tecnologia e
l’intera impalcatura informatica e dei mercati planetari
cedono il passo a sofisticati congegni bio-tecnologici in
grado di sostituire definitivamente il passato e di ristabilire regole nuove in una nuova era1 (era-epoca), l’uomo
ha assunto altra connotazione rappresentativo-simbolica,
ed anche scientifica, con altri paradigmi di riferimento
che attraversano progressivamente tutti i processi che lo
riguardano e la stessa possibile educazione.
Immaginiamo la trasformazione simbolica prodotta dalla
medialità e tutto quanto di espressivo e rappresentativo
si sia ridescritto, anche in termini di coscienza culturale
collettiva, sia nella comunicazione che nelle relazioni.
L’educazione della tradizione non coincide propriamente
con quella che oggi potremmo definire la nuova narrazione della cultura contemporanea, soprattutto considerando l’attuale curvatura euristica che, come si diceva
pocanzi, è molto ripiegata sulla possibilità di riscrivete
completamente le modalità relazionali, emotive ed empatiche tra individui. Risulterebbe, peraltro, difficile, se
non impossibile, rintracciare la stessa possibilità di ripristinare, non solo i luoghi, ma, anche i veicoli etico-valoriali della tradizione inscritti nella narrazione occidentale
della responsabilità civile. Essa stessa collegata al suggestivo limite-rischio di poter scoprire e riscoprire l’uomo
nelle radici biologiche dei fenomeni che appartengono,
ancora per molti aspetti, alla sua parte sommersa ed implicita. Aspetti non facilmente riconducibili, vista la loro
complessità sistemica, a spiegazioni certe e controllabili,
che assolverebbero ogni azione umana svincolata dalla
natura etica, dalla libera scelta responsabile e dal libero
arbitrio: consapevole, ragionevole ed erto a giudizio, tra
bene e male.
Nasce, a tal proposito e ancora più forte, l’esigenza di riconfigurare i luoghi e gli spazi della responsabilità educativa. Essi sono da intendersi nella corrispondenza di linee
di demarcazione contigue e di confine nell’orizzonte epistemologico delle scienze umane contemporanee e sono
da identificarsi con macro-categorie concettuali aventi matrici comuni. Responsabilità, libertà, libero arbitrio si possono intendere come categorie della moralità, dell’etica e
della razionalità-ragionevolezza, nonché, metaforicamente, come luoghi e spazi di analisi e di intervento. La libertà dell’azione traduce la responsabilità dell’agire e
determina l’atto educativo come scelta autentica del prendersi cura e di fornire risposte (responso-responsabilità)
all’altro. Lévinas fa di questo concetto la chiave interpretativa di un umanesimo predisposto all’alterità2.
2
L’agire responsabilmente traduce l’agire educativo del
prendersi cura e del rispondere autenticamente all’altro
nel racconto dell’umanità, come nuova proposta di un
(neo)umanesimo possibile che è presente nelle relazioni,
nell’etica civile, nella comunicazione eticamente universalizzante e specificamente umana e nella sua componente emotiva ed empatica.
La narrazione, dunque, è luogo che, al suo interno, riconosce come valore imprescindibile la relazione umana,
la relazione con l’altro e la comunicazione tra persone.
Essa, intreccia l’etica con il riconoscimento empatico ed
emotivo dell’altro da sé nella comune e consolidata appartenenza e condivisione di ambienti, contesti, vissuti,
esperienze individuali e collettive della comunità educante che restituiscono senso e significato alle esperienze
umane.
La narrazione è luogo della responsabilità educante in
quanto restituisce significato agli spazi teorico-pratici,
istituzionali ed informali, della comunicazione autentica.
I racconti trovano luce nella capacità di ascolto dell’altro
e degli altri che, nel gioco dei ruoli e delle parti alternate
tra chi racconta e chi ascolta, si prestano implicitamente
alla co-costruzione della storia, delle idee e dei pensieri
del mondo come una grande fabbrica in continua produzione. La fabbrica delle storie, così come la definisce
Bruner, caratterizza la cultura, la rende più o meno fruibile, nel mondo reale, rispetto alle nostre intenzioni, pressoché implicite e desiderative, del viverle proprio in
quanto prodotto della storia3.
Nell’uomo il narrare è istinto intrinseco ed è strumento
di trasmissione e comunicazione significativa che impreziosisce e restituisce valore all’esperienza che, se significativamente tesa, si struttura nella relazione educativa e
si fa essenza come azione trasformatrice che trasversalmente investe l’educazione nell’unicità e nella molteplicità di cui ha il carico imprescindibile.
La pedagogia, quale complessiva strategia mentale di interpretazione del mondo in senso educativo, volta alla
progettazione di interventi e azioni per le giovani generazioni, non può sottrarsi alla costruzione di racconti, eticamente canalizzabili nella comunicazione e nelle
relazioni umane, per le nuove generazioni e non può esimersi dall’accogliere la sfida educativa in forte emergenza, che va certamente affrontata restituendo
all’universo giovanile i valori, i fini e i principi eticamente proiettati all’umanizzazione dei processi.
1. Cfr. J. Rifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano 2000.
2. Cfr. E. Lévinas, Umanesimo dell’altro uomo, Il Melograno, Genova 1985.
3. Cfr. J. Bruner, La fabbrica delle storie, Laterza, Roma-Bari 2002.
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Il contributo della filosofia dell’educazione, nell’intersezione con le scienze umane, accompagna costantemente
l’argomentazione di tali tematiche nel panorama culturale e pedagogico italiano attraverso la lettura e lo studio
di grandi interpreti contemporanei. Lo stesso tentativo di
riposizionamento nell’educazione dell’ontometafisica,
dell’etica e dell’ermeneutica è motivo di importanti riflessioni realizzate in merito alla società-comunità educante e alla paideia contemporanea, basti ricordare
l’analisi condotta da G. Acone su La paideia introvabile4
o la ricostruzione puntuale, storicamente attraversata, del
concetto di bildung in M. Gennari5.
La comunità educante è composta da relazioni educanti
responsabilmente orientate al fine di realizzare società,
contesti, spazi vitali, luoghi che si fanno organici al sistema attraverso il superamento dell’istanza anomica, disgregante e delegittimante che tendenzialmente nega,
nasconde, reinterpreta indebolendo, la norma e causando
la caduta netta di fondamenti normativi, etico-morali e
valoriali6. E. Durkheim, scomodato più volte e a più livelli su questioni inerenti la normatività, l’organizzazione
etico-sociale e l’organicità sistemico-solidale, si fa interprete di una forte esigenza che si pone anche come prospettiva pedagogica della società contemporanea intesa
come società educante paideticamente, nell’intenzionalità e nella programmatica prospettiva formativa, rivolta
alla costruzione significativa di racconti eticamente sostenibili nelle relazioni formali: della famiglia, della
scuola e della chiesa; ed informali: della galassia elettronica e del gruppo dei pari. Si avverte l’esigenza di riattivare eticamente e moralmente le condotte, gli
atteggiamenti e gli stili di chi è responsabilmente preposto all’educazione, costruendo relazioni significative che
riscoprano fondamenti di alta eticità.
L’atto di responsabilità educante estende l’impegno educativo, all’etica collettiva7. Si identifica con il riconoscimento del limite, filosoficamente sintetizzabile nelle
categorie assolute del bene e del male, quale presentazione della sottile linea di demarcazione che indica e distingue il valore dal disvalore, in ogni gesto, parola,
azione che vuol dirsi eticamente responsabile.
La relazione educativa nel modo in cui si è inteso prefigurarla, traduce la relazione elettiva8, intrisa di significati
più o meno impliciti, talvolta, latenti e sommersi, non
immediatamente riconoscibili e svelabili agli occhi di
chi si fa interprete del messaggio e dei messaggi sottesi
nella comunicazione, ma che sono parte integrante dell’altro9.
E, ancora richiamando Lèvinas, quale esponente emblematico dell’etica della responsabilità, riportiamo alcune
sue significative parole: «Il nostro rapporto col mondo,
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prima ancora di essere un rapporto con le cose, è un rapporto con l’Altro»10.
Molte sono le figure identificabili nell’altro. L’altro “genitore”, l’altro “adulto”, l’altro “educatore”, l’altro “insegnante”. Adulto di un’adultità compiuta, che governa
luoghi e spazi di significato, ambiti di responsabilità educante e di discernimento tra i parametri dell’assoluto
(bene/male) e margini di intermittenza simbolico-valoriale, storico-linguistica, psico-sociale ed etnico-culturale, tra simmetria/asimmetria, identità/differenza.
Differenza che restituisce valenza etica e valore autentico all’esistenza e che si determina proprio in funzione
dell’altro da sé.
L’altro, ancora, è il bambino, l’adolescente, il giovane
che si vela e si svela emotivamente e cognitivamente nei
suoi difficili processi di sviluppo e di crescita, che si accompagna e da cui ci si separa, che tormenta e pacifica,
che distrugge e ricostruisce, che muore e ridà vita. Solo
e semplicemente un bambino, più o meno maturo ed
oscillante nelle fasi/stadi di crescita del ciclo vitale, che,
messo al mondo, si dimena per cavarsela nell’estrema
fragilità e nella grande tenacia che appartiene alle forze
opposte dell’intero universo. È questo stesso bambino,
unico e molteplice al tempo stesso, padre e figlio dell’uomo e dell’umanità11, che potrà, smarrito, tendere la
4. Cfr. G. Acone, Paideia e qualità della scuola, La Scuola, Brescia 1992; Id.,
La Paideia introvabile, La Scuola, Brescia 2004.
5. Cfr. M. Gennari, Storia della Bildung, La Scuola, Brescia 1995.
6. E. Durkheim elabora il concetto di anomia in due opere fondamentali: La divisione del lavoro sociale (1893) e Il suicidio (1897), e alla luce di tale idea rivisita i concetti fondamentali della sociologia moderna analizzando attraverso
l’analisi de La divisione del lavoro sociale il passaggio da una società intesa a
solidarietà meccanica ad una invece concepita come società a solidarietà organica. Dalle culture pre-moderne, con scarsa estensione dei processi di divisione
del lavoro sociale, scarsa articolazione di funzioni e di ruoli, uniformità tra i diversi membri, largo consenso automatico attorno alla cultura comune, alle società moderne in cui si andava riscontrando una generalizzata tendenza alla divisione del lavoro, in cui si ravvisavano livelli elevati di ‘densità morale. La
divisione del lavoro, non solo inteso in senso tecnico, crea l’esigenza di cooperazione stretta tra i vari organi, di una solidarietà o integrazione reciproca e diventa il fondamento dell’ordine sociale e del progresso. In tale prospettiva gli individui trovano le condizioni essenziali per la loro realizzazione equilibrata, in
quanto la condotta viene governata da norme che realizzano un sistema organico,
le volontà dei singoli vengono sottoposti al controllo e alle esigenze della coscienza collettiva. L’individuo, così organizzato, partecipa ad una rete di rapporti
umani socialmente significativi.
7. Cfr. E. Scabini - V. Cigoli, Il famigliare. Legami, simboli e transizioni, Cortina Raffaello, Roma 2000.
8. Cfr. E. Visconti, Processi educativi e apprendimento elettivo, Pensa Editore,
Lecce 2011.
9. Cfr. P. Ricoeur, Sé come un altro, Jaca Book, Roma 1993; Cfr. Id., Alterità e
trascendenza, Il Melograno, Genova 2006; P. Manganaro, Verso l’altro, l’esperienza mistica tra interiorità e trascendenza, Città nuova, Roma 2002.
10. E. Lévinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano
1980/2006, p. 87.
11. Cfr. R. Regni, Infanzia e società in Maria Montessori. Il bambino padre dell’uomo, Armando Editore, Roma 2007.
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mano nella speranza di incontrare senso di responsabilità educante.
I racconti, le narrazioni, le storie, seppure intrise di scientificità, anche della più raffinata e figlia della più attuale
delle ultime ricerche, devono fare i conti con l’universalità dell’essere bambino, adolescente, giovane ed adulto
che educativamente si trasforma nelle relazioni, dal più
piccolo e microscopico elemento del cosmo alla sua
stessa complessità.
I luoghi della responsabilità educante si rintracciano nei
sentieri della consapevolezza etico-morale che si fa racconto, si traduce in azione e che si progetta pedagogicamente. Questi luoghi diventano anche approdo del lògos
che si fa scienza. Scienza/e dell’uomo e del lungo tragitto
antropo-filosofico e psicologico ripiegato epistemologicamente e scientificamente nelle scienze umane, che diventano discorso intrinseco delle scienze dell’educazione.
I luoghi della responsabilità educante che coincidono con
i luoghi della pedagogia e della pratica educativa.
Essi si esprimono nelle relazioni tra persone, nella cifra
onto-metafisica universale e nelle strutture ed infrastrutture organiche e psico-fisiche, in ambiti scientifico-disciplinari e giuridico-istituzionali, nel tempo e nella storia,
come globalizzazione e localizzazione degli effetti prodotti
dalla tradizione e dall’innovazione. Si identificano, inoltre, con le esperienze universali di filiazione che trovano
compimento proprio nel principio della responsabilità
educante che appartiene all’uomo e si estende agli uomini,
nelle esperienze condivise, nei gesti che significativamente
rimandano ad azioni ospitanti la dimensione dell’etica12.
Il processo di autorealizzazione dell’uomo prevede come
imprescindibili gli spazi del racconto come spazi di significato etici, regolativi ed auto-regolativi, nella connessione forte che si determina tra sentimenti, affettività
e valori. Quel sentimento che esprime un sentire responsabile verso l’altro che riconosce norme e principi di una
virtus che l’educazione costruisce e stratifica nella competenza etica13.
I luoghi tradizionali della responsabilità educante, nell’attuale temperie culturale, si mettono in gioco, nel tentativo
di ricollocare adeguatamente riflessioni, argomentazioni e
teorie che, compatibilmente con i luoghi dell’innovazione,
possano creare una nuova sinergia nella ricerca e nello studio dei processi educativi.
E, come si vedrà nel nucleo concettuale che segue, si tenterà, infatti, di mediare un’ipotetica intersezione tra i luoghi del racconto della tradizione e i nuovi luoghi narrati
dalla linea di tendenza scientifica, collocabile nella ricerca di ultima generazione e riferibile, come si diceva,
alla scoperta delle basi bio-neurologiche di fattori specificamente umani.
4
Per delineare l’andamento storico-conoscitivo sull’uomo, nel travalicare di un’epoca, rapidamente, in
questa sede, si presenteranno, in successione, solo alcuni dei motivi salienti che hanno caratterizzato il pensiero occidentale: dai luoghi dello spirito di G.
Gentile14, ai luoghi dell’esperienza significativa ripercorrendo J.Dewey15, ai luoghi sistemico-relazionali di
Bateson16 su una comunicazione/relazione che supera i
confini dell’individualità e si caratterizza per l’interazione pluridimensionale di biologico, organico, logico e
contestuale che si esprimono come eco-sistema; e, ancora ai luoghi della psicologia dell’intelligenza emotiva
di D. Goleman e della neuro-biologia individuando la
relazione tra bios e coscienza, tra mente e corpo in A.
Damasio17; fino a quelli delle neuroscienze e dei neuroni specchio che vedono come principali esponenti italiani G. Rizzolatti e V. Gallese18.
La strada della ricerca intorno all’uomo è sicuramente la
più articolata delle strade, soprattutto quando si tratta giustapporre significato a prototipi di ricerca che analizzano
l’elemento biologico isolandolo dalla complessa configurazione sistemica, eco-sistemica e relazionale. Nell’ultimo
ventennio si sono susseguite scoperte, che, a vario titolo,
hanno contribuito ad offrire un’osservazione puntuale sul
come avvengono e si realizzano i nostri fatti interiori e su
ciò che accade nella nostra interiorità considerando i fattori esterni nella collisione con i nostri neuroni.
Vilayanur S. Ramachandran, neurologo indiano tra i più
illustri al mondo, conosciuto per le sue ricerche sulle neuroscienze e sulla psicofisica, dice: «I neuroni specchio
saranno per la psicologia quello che il DNA è stato per la
biologia»19.
12. Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi, Torino 1993.
13. Cfr. C. Xodo Cegolon, L’occhio del cuore, Pedagogia della competenza etica,
La Scuola, Brescia 2001; Id., Capitani di se stessi, La Scuola, Brescia 2003.
14. Cfr. G. Gentile, Scritti pedagogici, Treves, Milano-Roma 1932; Id., Preliminari allo studio del fanciullo, Sansoni, Firenze 1969.
15. Cfr. J. Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia, Firenze 1960; Id., Il mio
credo pedagogico, La Nuova Italia, Firenze 1966; Id., Democrazia e educazione,
La Nuova Italia, Firenze 1963.
16. Cfr. G. Bateson, Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano 1972; L.
Casadio, Tra Bateson e Bion. Alle radici del pensiero relazionale, Antigone, Torino 2010.
17. Cfr. A. Damasio, L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 1995; Id., Emozione
e coscienza, Adelphi, Milano 2000; Id., Alla ricerca di Spinoza, Adelphi, Milano
2007.
18. Cfr. G. Rizzolatti - C. Sinigaglia, So quel che fai, Il cervello che agisce e i
neuroni specchio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2006; V. Gallese - P. Migone
- M.N. Eagle, La simulazione incarnata: i neuroni specchio, le basi neurofisiologiche dell’intersoggettività ed alcune implicazioni per la psicoanalisi, «Psicoterapia e scienze umane», 3 (2006).
19. Cfr. V.S. Ramachandran, Che cosa sappiamo della mente, Mondadori, Milano 2004; Cfr. Id., L’uomo che credeva di essere morto e altri casi clinici sul
mistero della natura umana, Mondadori, Milano 2012.
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È sul finire del secolo scorso che si è verificata la decisiva
svolta scientifica epocale, segnata dalla casuale scoperta
avvenuta nel 1992 dal team di neuroscienziati nei laboratori dell’Università di Parma, diretto da Giacomo Rizzolatti, che vede in Vittorio Gallese un fondamentale un
punto di riferimento20. La scoperta dei cosiddetti neuroni
specchio ha immediatamente condizionato gli studi sul
cognitivismo classico, stabilendo come la triplice articolazione tra azione, percezione e cognizione non possa più
essere considerata tout court. I neuroni specchio dimostrano che la percezione è una modalità dell’azione e che
questa integrazione, tra aspetti dell’azione e della percezione, svolge un ruolo cruciale sui nostri processi cognitivi e sulla complessiva capacità rappresentativa del
mondo e dei sistemi ad esso sottesi.
Nel 1989, restando nello specifico delle competenze empatiche, fondamentale vettore per le esperienze significative, Salovey e Maye hanno definito l’intelligenza
emotiva come «la capacità di osservare le proprie ed altrui emozioni, di differenziarle e di usare tale informazione per guidare il proprio pensiero e le proprie
azioni»21, e, solo poco più tardi, D. Goleman annunciava
che «molto prima che esistesse un cervello razionale, esisteva già quello emozionale»22. Tali posizioni, già prefigurate da Bateson, chiariscono che sopravviviamo perché
ci emozioniamo facendo riferimento ad una emozione
fondamentale come la paura che ci permette di preservare la nostra esistenza.
Lo studio delle emozioni, e della connessa sfera dell’affettività e dei sentimenti, in quanto corrispettivo neurologico, è, nell’ultimo periodo, considerato motivo
d’interesse inaggirabile e frequente fonte di studio anche
per i ricercatori che si occupano di scienze umane, filosofiche, della formazione e dei processi educativi.
Come il nostro cervello reagisca alle emozioni fondamentali e cosa determini emozionarsi, riuscire gestire, ad
elaborare e prendere coscienza della propria emotività, sia
nel comportamento infantile e adolescenziale che in quello
adulto, ci viene spiegato da J. LeDoux, autorevole studioso
di neurobiologia, docente presso il Centro per le Neuroscienze della New York University, che parla del cervello
emotivo e ritiene che le emozioni, come si affermava pocanzi, funzionino come parte di un complesso sistema
neurale che si è evoluto per permetterci di sopravvivere
per poi approdare a sistemi molto più raffinati23.
Come si vede la responsabilità educante è attraversata dai
territori delle emozioni, dove emozionarsi significa
aprire la strada all’alterità, all’empatia, al senso della
cura, come prendersi cura dell’altro. La categoria dell’emotività assume trasversalità sistemica e migliora le
nostre relazioni, ci dispone positivamente al comporta© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2014 - Anno XXXI
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mento pro-sociale, all’altruismo, al benessere proprio,
dell’altro e della comunità. Ancora, si può affermare che
favorisce la capacità di comprensione e condivisione dei
progetti di vita in un approccio solidaristico che dà senso
all’azione educativa e direziona colui che si fa giuda e facilitatore di processi che sono identificabili con la costellazione etico-morale e normativa del soggetto.
La relazione educativa si basa sui principi dell’alterità
responsabile, sulla radice etica della comunicazione che
costruisce l’habitus della moralità attraverso competenze
emotive ed empatiche24. La stessa educazione si avvale
fortemente dell’interconnessione che esiste tra empatia
ed etica, tra azione morale e modelli comportamentali,
tra naturale disposizione bio-neurologica e formazione.
Studiare la struttura nervosa cervello, scoprire le basi biologiche delle emozioni, indagare sulla coscienza umana,
senza escludere la natura fenomenologica dello sviluppo
e l’ermeneutica della persona, diventa l’addensamentoapprofondimento di questioni che appartengono non solo
all’uomo, ma alla sua educabilità. Appare necessario, pertanto, non rinunciando alle prospettive del nuovo orizzonte, riabilitare lo sguardo teorico contemporaneo
eliminando il rischio di sterili riduzionismi.
La ricerca scientifica pone l’obbligo euristico e l’esigenza
etico-morale nonché deontologica, dell’interrogarsi per
conoscere, riflettere e allargare la visione dell’orizzonte
possibile sulle cose del mondo, non solo perché la scienza
può essere considerata la più grande invenzione della storia, ma, soprattutto, perché è fondamentale immaginare
che ci sia applicabilità e spendibilità della ricerca nei processi educativi e formativi.
Ma, in che modo possiamo far coincidere l’elemento particolare su cui indaga la scienza-tecnologia con il racconto dell’umanità e la stessa relazione educativa
innervata nei processi di sviluppo/crescita del soggetto?
E, come far convergere, in spazi comuni, l’educazione
quale categoria filosofica dell’umanizzazione dell’uomo
con la relazionalità empatico-emotiva nei suoi substrati
organici?
20. L’équipe di ricerca stava conducendo degli studi sul cervello dei macachi (una
specie di primati), con l’obiettivo di scoprire l’organizzazione cerebrale legata
al comportamento motorio e osservandoli notarono che i neuroni “premotori” (quelli legati al movimento) si attivavano non solo nel momento in cui il
primate compiva un movimento (come raccogliere una nocciolina), ma anche
quando vedeva gli altri primati compiere lo stesso gesto.
21. P. Salovey - J.D. Mayer, Emotional intelligence. Imagination, Cognition, and
Personality, 9 (3), Prentice-Hall, Upper River, NJ, 1989-1990, pp. 85-211.
22. D. Goleman, Intelligenza emotiva, BUR Saggi, Milano 2001, p. 29.
23. Cfr. J. LeDoux, Il cervello emotivo, Dalai Editore, Roma 2003.
24. Cfr. L. Clarizia, La relazione. Alla radice dell’educativo. All’origine dell’educabilità, Anicia, Roma 2013.
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Internamente ai luoghi della riflessione teorica della pedagogia, nell’analizzare tali pregnanti questioni, si estendono e si perimetrano le misure, gli spazi, i limiti e i
confini della ricerca e si colgono inevitabilmente sia connessioni e legami possibili, sia divaricazioni e scissioni.
Va considerato, intanto, quel nucleo teorico imprescindibile che attiene al generale riferimento relativo alla coscienza umana universale che ha attraversato, dalle
origini ad oggi, la storia dell’uomo come condizione generalissima, super partes, meta-empirica e meta-epistemica, e poi, in successiva analisi, la diramazione in forme
di ripiegamento applicativo-procedurale e l’istanza scientifico-tecnologica rivolta a criteri sperimentali.
Le due configurazioni seppure dislocate su diversi livelli
d’intervento realizzano una vicendevole contaminazione
epistemologica, di conoscenze e di saperi che si interfacciano e che assumono rilevanza in modo intermittente,
tra luci ed ombre, fornendo significato legittimante alla
stessa teoria, intesa come theorein ovvero visione (punto
di vista che individua l’obiettivo e che direziona la ricerca), sguardo puntuale e al tempo stesso estensibile e
teso all’articolazione e all’intersezione tra i paradigmi di
riferimento.
Del resto, gli spazi relativi ai saperi dell’uomo sono rappresentati da ambiti distinti, ma tra loro permeabili e comunicanti, e, la stessa educazione, nella lettura e
nell’interpretazione del fatto educativo non può esimersi
dal penetrare i luoghi dell’azione nella relazione socializzante, istruttiva, e in senso compiuto, della didattica,
oggi reinterpretata anche come neuro didattica25, e lo
stesso dicasi per tutti gli aspetti della formazione dell’uomo.
Così, ritornando all’oggetto specifico del presente lavoro,
si può affermare che alla classica narrazione umana, insieme alle teorie di impianto filosofico, se ne aggiunge
un’altra: quella delle neuroscienze che, presa nella giusta
misura, non annulla il passato, ma anzi, lo fortifica allargando la lente del visibile, della scienza, ponendo condizioni di progressivo avanzamento nella ricerca anche
rispetto all’approccio educativo nella dimensione della
relazionalità, largamente intesa, e nella stessa configurazione didattica ed istruttiva. Del resto la fisica nucleare
non esisterebbe se non ci fosse la fisica teorica, e, così
dicendo, potremmo riferire di molte altre diramazioni che
dalla teoria generale si sono spostate a quella inclinazione
particolare senza troncamenti improduttivi. Ovviamente,
però cogliere l’intersezione e l’utilizzo scientifico della
stessa, non significa ridurre l’uomo e la sua educazione ai
soli meccanismi sperimentali e classificabili a misura di
laboratorio umano.
L’etica, la morale, la coscienza collettiva tutta non sono
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ridimensionabili, e non lo è neppure l’uomo pensato nella
sua struttura originaria e nella sua integrità, soprattutto
se l’oggetto del discorso è l’educazione.
Il rischio dello sterile riduzionismo si può ravvisare solo
in superficiali scivolamenti volti allo scollamento di ciò
che ci è restituito dalla tradizione, rispetto al nuovo approccio, che, come si diceva pocanzi, affrontato accuratamente, nel giusto modo, non ha motivo di essere
considerato ostacolo per l’avanzamento di un sapere che
si accinge, nel rispetto e nella conservazione di assiomi
fondativi, a diramarsi in saperi, in un sistema di saperi
aperti e, contemporaneamente, profondamente problematici nella considerazione critica che riguarda l’educazione dell’uomo in quanto oggetto di un sapere, ma al
tempo stesso soggetto unico ed irripetibile, cifra universale e soprattutto persona che si avvalora nella prospettiva di senso e significato attribuita dall’azione che è
pensata in teoresi e teoria pedagogica e in scienza che si
apre alle scienze, come sapere dei saperi, in grado di interpretate la ricchezza della complessità umana del nostro tempo26.
Per essere chiari: relazione educativa, responsabilità educante, radice delle competenze emotive ed empatiche, capacità di discernimento nella scelta dell’azione giusta,
possono anche essere studiate da un punto di vista neuroscientifico, al fine di acquisire elementi di conoscenza
utili allo sguardo euristico ed epistemologico, ma non si
deve immaginare che può essere l’unico sguardo.
Gli spazi dello sguardo pedagogico raffigurano e contemplano la connessione educazione, ambiti epistemologico-scientifici e la corrispettiva estensione del biologico
e del neurologico, nonostante una difficile convivenza,
che, appunto, traduce la generale ed estensiva condizione
dell’essere umano che è, insieme, persona e determinazione bio-strutturale ed organica, ma non reggono all’ipotesi estrema, ravvisata nelle significative note del
testo di R. Regni, della totale dislocazione della natura
(delle scienze naturali) in naturalità dell’essere umano,
traducendo, i suoi stessi processi, in naturalizzazione27.
Ciò che si è tentato di configurare, nell’ elaborazione di
questo breve lavoro di ricerca, che pure si è spinto in alcune analisi di riferimento nelle neuroscienze, esclude
25. P.C. Rivoltella, Neurodidattica. Insegnare al cervello che apprende, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012.
26. Cfr. M. Gennari - A. Kaiser, Prolegomeni alla pedagogia generale, Bompiani,
Milano 2000; M. Gennari, Trattato di pedagogia generale, Bompiani, Milano
2000.
27. R. Regni, Il sole e la storia: il messaggio educativo di Albert Camus, Armando Editore, Roma 2012, p. 167.
© Nuova Secondaria - n. 10, giugno 2014 - Anno XXXI
tale nuda prospettiva perché è evidente che naturalizzare
la mente significherebbe, d’un tratto, non solo annullare
tutto quanto di educativo esiste, ma addirittura naturalizzarne la stessa rappresentazione scenografica che fotografa l’umanità tutta e che interpreta, forse osservandolo
a fondo, il mondo nella sua panoramica produzione di
simboli e significati.
Ancora, le parole di R. Regni mostrano di avvertire
l’onda d’urto che si riverbera nella nostra realtà sociale e
relazionale quando si esprime dicendo che «L’equivalente
della secolarizzazione sociale e culturale, una vera e propria secolarizzazione psichica è la riduzione della psiche
a cervello con la connessa perdita della coscienza e della
libertà […] E questo è solo un esempio della tendenza
alla naturalizzazione dell’uomo. […] C’è un giusto modo
di naturalizzare la mente riportandola ai substrati organici e c’è un modo aberrante di escludere, con questa operazione, ogni riferimento alla costruzione intersoggettiva
della mente e al carattere normativo, ovvero etico o religioso»28.
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NUOVA SECONDARIA RICERCA
La pedagogica contemporanea, seppure nel ripiegamento
epistemologico volto allo studio dei processi educativi e
alle metodologie di riflesso speculativo di indagine e di
ricerca, si determina quale elemento di difesa e può permettersi di proseguire il suo percorso di abbellimento del
mondo se solo non vengo lesi ed intatti i tratti, seppure ultimi, dell’umana costellazione.
La dimensione intersoggettiva della persona costituisce il
nesso forte che ci mantiene legati alla vita ed al suo stesso
superamento, affinché si realizzino in quel bambino, che
sarà uomo, i sogni di un immaginario soggettivo, collettivo ed universale insieme, che non può essere, da chi si
occupa di educazione, in alcun modo trascurato.
Elena Visconti
Università di Salerno
28. Ibi, p. 168.
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