I licenziamenti per motivi soggettivi Massimiliano

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I licenziamenti per motivi soggettivi
Massimiliano Panci
Sommario: 3. I licenziamenti per motivi soggettivi. 3.1. Premessa. 3.2.La nozione di giusta
causa.; 3.2.1. segue: la rilevanza dei comportamenti estranei all’esecuzione della prestazione
lavorativa; 3.3. Il giustificato motivo soggettivo. 3.4. Casistica; 3.5. Il licenziamento disciplinare
nella legge n.92/2012. 4. La tutela obbligatoria della legge n. 604/1966. 4.1. La tutela
obbligatoria della legge n. 604/1966; 4.2 Il doppio regime di tutela del nuovo art. 18 per il
licenziamento per motivi soggettivi illegittimo; 4.2.1. Segue: i problemi interpretativi posti dalle
ipotesi dell’insussistenza del fatto contestato e della sua punibilità con una sanzione
conservativa; 4.3. La violazione del procedimento disciplinare nell’intimazione del
licenziamento: rinvio.
3. I licenziamenti per motivi soggettivi.
3.1. Premessa.
La legge 28 giugno 2012, n. 92, di riforma del mercato del lavoro, modifica profondamente il sistema
delle tutele in caso di licenziamento illegittimo nelle imprese di dimensioni medie e grandi. Il nuovo art.
18 Sta. Lav., muovendosi nella prospettiva che considera la tutela reale come un freno eccessivo
dell’economia e degli investimenti stranieri1, alleggerisce significativamente la tutela del lavoratore in
caso di licenziamento ingiustificato a vantaggio di una maggiore flessibilità in uscita. Lo scopo sembra
essere quello di rendere il recesso dal rapporto di lavoro, anche nelle imprese di medie e grandi
dimensioni, più agevole ed a costi, se non contenuti, quantomeno facilmente predeterminabili2.
La legge di riforma giunge a tale risultato attraverso una complessa (e, invero, farraginosa3) rivisitazione
del sistema di tutela in caso di licenziamento ingiustificato. Si passa da un sistema di tutela unitario,
incentrato sulla reintegrazione nel posto di lavoro, ad un sistema articolato su quattro regimi di tutela
differenti; regimi che, come si vedrà, vengono selezionati in ragione delle causali che sorreggono il
1 Per questa impostazione, V. per tutti, Ichino, La riforma dei licenziamenti e i diritti fondamentali dei lavoratori, Relazione
al Convegno del Centro Nazionale Studi di Diritto del Lavoro “Domenico Napoletano”, Pescara, 11 e 12 maggio 2012.
2 Marazza, L’art. 18 nuovo testo dello statuto dei lavoratori, ADL, 2012, 613.
3 Magrini, Quer pasticciaccio brutto (dell’ art. 18), ADL, 2012, 535 e ss.
licenziamento, secondo una prospettiva tesa ad applicare la tutela reale soltanto in ipotesi limitate.
In particolare, la tutela reale, oggi declinata secondo due distinti modelli, quello accompagnato da un
risarcimento dei danni pieno (art. 18 co. 1) e quello accompagnato da un risarcimento limitato (art. 18
co. 4), viene confinata alle ipotesi di ingiustificatezza più grave, quelle cioè dove lo spessore
dell’illegittimità del licenziamento risulta più consistente4. Si tratta, in estrema sintesi, delle ipotesi di
licenziamento nullo regolato dal co. 1 dell'art. 18 e delle ipotesi di ingiustificatezza, cosiddetta
qualificata5, regolate dai co. 4 e 7.
In tutti gli altri casi di illegittimità del licenziamento, la tutela reale arretra rispetto alla tutela meramente
indennitaria, anch'essa declinata dal legislatore della riforma secondo due distinti modelli: quello della
tutela indennitaria nella misura piena, regolata dall'art. 18 co. 5, che si applica alle ipotesi di
ingiustificatezza “non grave” del licenziamento, e quello della tutela indennitaria in misura ridotta,
regolata dal co. 6, relativa, invece, ai vizi formali e procedurali.
Per quanto riguarda, invece, le imprese di piccole dimensioni il regime della tutela obbligatoria rimane
completamente invariato. Peraltro, le imprese di piccole dimensioni sono sottratte al campo di
applicazione sia del nuovo rito accelerato per l'impugnazione del licenziamento6 sia della procedura,
fortemente criticata7, per l'intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo; procedura
che, pur non applicandosi a queste imprese, viene regolata dall'art. 7 della legge n. 604/1966.
La legge di riforma non ha mutato la regola della giustificazione necessaria del licenziamento, introdotta
dalla legge 15 luglio 1966 n. 604 ed estesa ad ambiti sempre più ampi dall’evoluzione normativa
successiva. Pertanto, anche dopo la riforma del 2012, il licenziamento, a prescindere dalle dimensioni
dell’impresa e salvo i limitati casi di libera recedibilità8, continua ad essere legittimo solo se intimato per
giusta causa o per giustificato motivo, soggettivo o oggettivo9 (cfr. art. 1 l. n. 604 del 1966). Nozioni,
quelle appena richiamate, che escono anch’esse intatte dalla riforma, con la conseguenza, importante,
che l'accertamento della sussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo di licenziamento,
anche dopo la riforma, deve avvenire sulla base dei principi sin qui elaborati dalla dottrina e dalla
giurisprudenza10 e sui quali giova soffermarsi brevemente prima di procedere all’analisi delle novità
legate al regime sanzionatorio.
4
Cester, I licenziamenti: la metamorfosi della tutela reale, DPL, 2012, 30; Marazza, op.cit, 612; Maresca, Il nuovo regime
sanzionatorio del licenziamento illegittimo: le modifiche dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori, RIDL, 2012, 415; Vallebona, La riforma del
lavoro 2012, Torino, 2012.
5 Vallebona, op. cit., p. 56.
6 Salvo che il licenziamento non sia nullo ai sensi dell’art. 18 co. 1. In tale ipotesi, infatti, il nuovo rito accellerato
troverà applicazione anche nelle imprese con meno di 16 dipendenti.
7 Magrini, op. cit., 537.
8 Vedi supra § 2.
9 Sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo vedi infra § 5.
10 Maresca, op. cit., 438-439.
3.2. La nozione di giusta causa.
Come è stato accennato, la legge di riforma, almeno sul piano formale, non altera la nozione di giusta
causa, la quale, come noto, preesiste alla legge del 1966 e viene delineata direttamente dall’art. 2119 c.c.,
che si limita a descriverne gli effetti11, affermando che ciascuno dei contraenti può recedere, senza
obbligo di preavviso, dal contratto a tempo indeterminato e da quello a tempo determinato qualora si
verifichi una “causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
Giova ricordare che, nonostante l’ampia formulazione della norma, la giurisprudenza ha
perentoriamente escluso che la giusta causa possa essere integrata da eventi oggettivi che rientrano nella
sfera dell’impresa12. Viceversa, si è ritenuto che la
giusta causa può essere integrata soltanto da
comportamenti del lavoratore e, in special modo, da gravi inadempimenti, imputabili e colpevoli, che
determinano una rilevante negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro e che incidono
irrimediabilmente sul vincolo fiduciario13, rendendo inevitabile l’immediata e tempestiva risoluzione del
rapporto.
Giova altresì ricordare che il fondamento della giusta causa (che l’opinione prevalente rinviene
nell’eccezionale gravità dei fatti che la integrano e nella loro idoneità a recidere il vincolo fiduciario, con
conseguente compromissione del legittimo affidamento del datore di lavoro nell’esattezza dei futuri
adempimenti14), ha indotto la giurisprudenza a elaborare il principio della immediatezza come elemento
costitutivo del recesso per giusta causa del datore di lavoro15. Il principio dell’immediatezza, peraltro, è
stato costruito in senso relativo, riconoscendo al datore di lavoro l’intervallo di tempo necessario per
l’accertamento e la valutazione dei fatti da contestare16, nonché la possibilità di disporre, nelle more di
tale accertamento, la sospensione cautelare del rapporto17.
11
G. Santoro-Passarelli, Diritto dei lavori. Diritto sindacale e rapporti di lavoro, Torino, 2013, 364.
Cass., 21 giugno 1979, n. 3493, OGL, 1979, p. 1594; Cass., 12 agosto 1994, n. 7417, NGL, 1994, 766; Cass., 3
ottobre 1996, n. 8670, NGL, 1997, 91; Cass., 30 giugno 2009, n. 15336, FI Rep., 2009, Voce Lavoro, n. 1485. Secondo la
giurisprudenza, infatti, tali eventi, anche quando non consentano la prosecuzione del rapporto di lavoro non possono
integrare giusta causa ma, al più, un’ipotesi di giustificato motivo oggettivo di licenziamento.
13 Ex multis: Cass., 10 aprile 2012, n. 5671, FI Rep., 2012, Voce Lavoro, n. 838; Cass., 19 settembre 2011, n. 19074,
OGL, 2011, 713; Cass., 19 settembre 2011, n. 19079, NGL, 2012, 65; Cass., 18 febbraio 2011, n. 4060, FI Rep., 2011,
Voce Lavoro, n. 1241; Cass., 17 gennaio 2011, n. 924, NGL, 2011, 357.
14 Ghera, Diritto del lavoro, Bari, 2011, 203.
15 Cass., 1 luglio 2010, n. 15649, FI Rep., 2010, Voce Lavoro, n. 1471; Cass., 2 febbraio 2009, 2580, ADL, 2009,
1161; Cass., 6 ottobre 2005, n. 19424, OGL, 2005, 903; Cass., 28 settembre 2002, n. 14074, RDL, 2003, 394. Secondo la
giurisprudenza il requisito dell’immediatezza della reazione è elemento costitutivo del recesso per giusta causa, con la
conseguenza che lo stesso deve essere verificato dal giudice anche di ufficio e che la sua rilevazione di parte non integra
una eccezione in senso stretto ma una mera difesa: Cass., 27 gennaio 2009, n. 1890, FI Rep., 2010, n. 1135; Cass., 23
ottobre 2006, n. 22708, RIDL, 2007, 464; Cass., 6 settembre 2006, n. 19159, FI Rep., 2006, Voce Lavoro, n. 1531; Cass.,
12 novembre 2003, n. 17058, FI Rep., 2003, Voce Lavoro, n. 1657.
16 Cass., 31 gennaio 2011, n. 2136, NGL, 2011, 495; Cass., 1 luglio 2010, n. 15649, FI Rep., 2010, Voce Lavoro, n. 1471;
Cass., 8 marzo 2010, n. 5546, NGL, 2010, 310; Cass., 10 gennaio 2008, n. 282, FI Rep., 2008, Voce Lavoro, n. 1560; Cass., 22
ottobre 2007, n. 22066, NGL, 2007, 660; Cass., 23 ottobre 2006, n. 22708, RIDL, 2007, 464; Cass., 20 giugno 2006, n.
14113, FI Rep., 2006, Voce Lavoro, n. 1097, che sottolineano che il requisito della immediatezza può in concreto essere
compatibile con un intervallo di tempo, più o meno lungo, qualora ciò sia reso necessario dall’esigenza di procedere
all’accertamento e alla valutazione dei fatti imputabili al lavoratore.
17 G. Santoro-Passarelli, op. cit., 264; Di Cerbo, Commento sub. art. 1 Legge 15 luglio 1966 n. 604, in Amoroso – Di
Cerbo – Maresca (a cura di), Diritto del lavoro, Vol. II, Lo statuto dei lavoratori e la disciplina dei licenziamenti, Milano,
12
Al principio dell’immediatezza del licenziamento è collegato quello dell’immutabilità dei suoi motivi,
che risulta oggi rafforzato dall’obbligo della necessaria e contestuale comunicazione scritta dei motivi
del licenziamento introdotto con la modifica dell’art. 2, co. 2, della l. n. 604/1966.
Un discorso a parte, infine, va fatto rispetto alle tipizzazioni collettive dei comportamenti integranti
giusta causa (o giustificato motivo soggettivo) ovvero rispetto alle esemplificazioni collettive dei
comportamenti punibili con una sanzione conservativa, atteso che, questa seconda ipotesi, rappresenta
uno dei due unici casi in cui, a mente del nuovo art. 18 co. 4, il giudice può disporre la tutela reale in
caso di licenziamento disciplinare ingiustificato.
Va preliminarmente ricordato che, anche dopo l’art. 30, co. 3, della l. n. 183/2010, secondo il quale il
giudice deve “tenere conto” delle tipizzazioni collettive di giustificatezza del licenziamento, è prevalsa
l’opinione che ritiene il giudice di merito non vincolato a tali tipizzazioni se non, eventualmente, sotto
un profilo di adeguata motivazione dello scostamento dalla norma collettiva18. La libertà del giudice di
discostarsi dalle tipizzazioni collettive viene fortemente ridimensionata dalla riforma sul piano delle
conseguenze pratiche, poiché se la tipizzazione del contratto collettivo, da una parte, continua a non
vincolare il giudice nella valutazione della legittimità del licenziamento, dall’altra parte, ora gli impone,
automaticamente, di applicare la tutela meramente indennitaria di cui al co. 519.
Per quanto riguarda, invece, le tipizzazioni e le esemplificazioni collettive dei comportamenti punibili
con una sanzione conservativa, già prima della riforma queste erano state ritenute vincolanti per il
giudice di merito poiché costituiscono, rispetto alla nozione legale di giusta causa (o di giustificato
motivo soggettivo), delle condizioni di miglior favore per il prestatore. La riforma non altera questo
principio e, forse, lo rafforza, dal momento che, come già accennato (ma sul punto si tornerà fra breve),
tali previsioni rappresentano nel nuovo art.18 co. 4 una delle chiavi che apre le porte della tutela reale di
cui al co. 4.
3.2.1. segue: la rilevanza dei comportamenti estranei all’esecuzione della prestazione lavorativa.
Anche dopo la riforma sembra possibile far rientrare nella nozione di giusta causa i comportamenti del
lavoratore che, pur estranei alla sfera del contratto e, pertanto, non integranti inadempimento, abbiano
definitivamente alterato il vincolo fiduciario ed il legittimo affidatamento del datore di lavoro
nell’esattezza degli adempimenti successivi20.
In senso difforme è stato tuttavia osservato21 che la legge di riforma del mercato del lavoro, pur non
2009, 1361.
18 Ghera, op. cit., 199.
19 Marazza, op. cit., 622.
20 Cass., 2 agosto 2010, n. 17969, MGL, 2011, 158; Cass., 14 luglio 2001, n. 9590, in Arch. civ., 2001, 1235; Cass., 19
dicembre 2000, n. 15919, OGL, 2000, 1055; Cass., 7 novembre 2000, n. 14457, LP oggi, 2000, 2295; Cass., 19 dicembre
2000, n. 15919, FI Rep., 2000, Voce Lavoro, n. 1628; Cass., 4 settembre 1999, n. 9354, RIDL, 2000, 346.
21 Tremolada, Il licenziamento disciplinare nell’art. 18 dello Stat. Lav., DPL, 2012, 49. Contra Cester, Il progetto di riforma
della disciplina dei licenziamenti: prime riflessioni, ADL, 2012, 569.
modificando le fattispecie di licenziamento, postulerebbe una coincidenza fra i licenziamenti per motivi
soggettivi e il licenziamento disciplinare; coincidenza che, secondo questa impostazione, potrebbe
rimettere in discussione la riconducibilità alla nozione di giusta causa delle condotte del lavoratore non
qualificabili come inadempimento in senso tecnico e, dunque, non rilevanti sotto il profilo disciplinare.
Questa opinione non sembra pienamente condivisibile. Invero, la rilevanza come giusta causa di recesso
dei comportamenti del lavoratore estranei alla sfera del contratto è stata riconosciuta sulla base di due
presupposti: da una parte, muovendo dalla sostituzione nell’art. 2119 c.c. del termine “mancanza”22 con
quello, più ampio, di giusta causa, e, dall’altra parte, muovendo dalla circostanza che il vincolo fiduciario,
fondamento e giustificazione del licenziamento per giusta causa, può essere reciso anche da un
comportamento estraneo all’esecuzione della prestazione lavorativa ma comunque idoneo ad incidere,
negativamente, sul futuro svolgimento del rapporto.
Poiché la riforma non muta né l’art. 2119 né questi due presupposti, sembra più corretto ritenere che la
giusta causa continui a consistere tanto in un gravissimo inadempimento in senso tecnico ai doveri di
diligenza, osservanza e fedeltà posti dagli artt. 2104 e 2105 c.c., quanto in un comportamento che, pur
non configurando un inadempimento contrattuale, altera definitivamente il vincolo fiduciario ed il
legittimo affidatamento del datore di lavoro nell’esattezza degli adempimenti successivi.
Ad ogni modo, quand’anche prevalesse la tesi qui non condivisa, i comportamenti estranei
all’esecuzione della prestazione lavorativa idonei ad incidere sul vincolo fiduciario potrebbero
comunque essere ricondotti al licenziamento per giustificato motivo oggettivo23, valorizzando
l’impostazione che ravvisa nella giusta causa non costituente inadempimento un “oggettivo venir meno
dell’idoneità del lavoratore all’esecuzione della prestazione dedotta in contratto”24. Ne conseguirebbe,
dunque, un rafforzamento della tutela del lavoratore che avrebbe in tal modo diritto al preavviso o
all’indennità sostitutiva.
3.3. Il giustificato motivo soggettivo.
La legge di riforma non modifica neanche la nozione di giustificato motivo soggettivo, configurato dalla
legge n. 604/1966 come un "notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore", che consente il
licenziamento del lavoratore ma non esonera il datore di lavoro dall’obbligo del preavviso (cfr art. 3).
Come è noto, la tipizzazione del giustificato motivo soggettivo come inadempimento del prestatore di
lavoro non consente, in analogia con quanto fatto per la nozione di giusta causa, di attribuire rilevanza a
comportamenti del lavoratore estranei alla sfera del contratto. La fattispecie del giustificato motivo
22 Cfr. art. 9 r.d.l. 13 novembre 1924, n. 1825, che prevede l’ipotesi della risoluzione immediata per giusta causa in
relazione ad una “mancanza così grave da non consentire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”.
23 Tremolada, op. cit., p. 50.
24 Vallebona, Istituzioni di diritto del lavoro, Padova, 2011, p. 456.
soggettivo è dunque in grado di ospitare unicamente gli inadempimenti contrattuali derivanti dalle
violazioni dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali i doveri di diligenza, osservanza
e fedeltà posti dagli artt. 2104 e 2105 c.c.
Per questa ragione è prevalsa, tanto in dottrina25 quanto in giurisprudenza26, l’opinione che fonda la
distinzione fra giusta causa e giustificato motivo soggettivo solo sulla diversa intensità
dell'inadempimento, gravissimo nel primo caso e notevole nel secondo, ai medesimi doveri incombenti
sul lavoratore subordinato.
La diversa rilevanza, solo quantitativa, delle due nozioni consente di ammettere la convertibilità del
licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. La conversione può
essere disposta sia su istanza di parte27 sia d’ufficio dal giudice di merito28, trattandosi non già di una
fattispecie di conversione sostanziale di un negozio nullo ex art. 1424 c.c., quanto piuttosto di esercizio
del potere del giudice di qualificazione dei fatti.
Per quanto riguarda la rilevanza delle tipizzazioni collettive del giustificato motivo soggettivo valgono
considerazioni non dissimili da quelle della giusta causa, alle quali si rinvia.
3.4. Casistica.
Appare a questo punto opportuno soffermarsi brevemente sulla casistica giurisprudenziale, poiché,
come è stato sottolineato, la riforma del mercato del lavoro lascia sostanzialmente immutate le
fattispecie di licenziamento ed i criteri giudiziali di accertamento della sua legittimità.
Rimane dunque fermo l’insegnamento della consolidata giurisprudenza della Cassazione, secondo il
quale l’accertamento della legittimità del licenziamento per motivi soggettivi (giusta causa e giustificato
motivo soggettivo) si risolve in un giudizio di fatto riservato al giudice di merito che, nel rispetto del
principio della proporzionalità della sanzione (cfr. art. 2106 c.c.), deve valutare, con riferimento al caso
concreto, la gravità dell’inadempimento del lavoratore avendo riguardo alla natura e alla qualità del
rapporto, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni del dipendente e alle complessive circostanze
oggettive e soggettive che lo connotano29. Particolare rilievo assume l’idoneità del comportamento a
produrre un pregiudizio potenziale per se stesso valutabile nell’ambito della natura fiduciaria del
rapporto, indipendentemente dal danno economico effettivo, la cui entità ha un rilievo secondario e
accessorio nella valutazione complessiva delle circostanze di cui si sostanzia l’azione commessa30.
25
Ghera, op. cit., 203; Santoro-Passarelli, G., op. cit., 365;
Cass., 21 giugno 2011, n. 13575; Cass., 22 marzo 2010, n. 6848; Cass. 27 luglio 2009, n. 17431; Cass. 10 dicembre
2007 n. 25743; Cass., 19 dicembre 2006 n. 27104.
27 Cass., 26 maggio 2001, n. 7185; Cass., 14 giugno 2005, n. 12781; Cass., 10 luglio 1984 n. 4025.
28 Cass., 10 agosto 2007, n. 17604; Cass., 14 giugno 2005, n. 12781; Cass., 20 giugno 2002, n. 9006; Cass., 6 giugno
2000, n. 7617; Cass., 27 febbraio 1998, n. 2204.
29 Ex plurimis: Cass., 7 gennaio 2003, n. 28, FI Rep., 2003, Voce Lavoro, n. 1612; Cass., 1 settembre 2003, n. 12747,
D&L, 2004, 155; Cass., 25 febbraio 2005, n. 3994, FI Rep., 2005, Voce Lavoro, n. 1373.
30 Cass., 16 settembre 2002, n. 13536, NGL, 2003, 218.
26
In ogni caso la valutazione di gravità del giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se
sorretta da una motivazione logicamente congrua e giuridicamente immune da vizi31.
Per quanto riguarda la casistica, si possono ricordare, a titolo meramente esemplificativo, come ipotesi
di giusta causa per violazione degli obblighi di cui all’art. 2104 c.c.: la grave insubordinazione32;
l’abbandono da parte del prestatore del posto di lavoro33; il rifiuto ingiustificato da parte del lavoratore
di eseguire la prestazione legittimamente assegnatagli34. Peraltro, la giurisprudenza ha recentemente
ritenuto illegittimo il rifiuto del lavoratore ai sensi dell’art. 1460 c.c. anche in caso di dequalificazione
ove il datore di lavoro adempia a tutti gli altri obblighi derivantigli dal contratto, tra cui, a titolo
esemplificativo, il pagamento della retribuzione, la copertura previdenziale ed assicurativa; il rifiuto in
questione integra un’ipotesi di violazione dell’obbligo di obbedienza, come tale sanzionabile con il
licenziamento per giusta causa35.
Per quanto riguarda la violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., si possono ricordare,
sempre a titolo meramente esemplificativo, il contemporaneo svolgimento da parte del lavoratore di
altra attività lavorativa presso un’impresa concorrente del datore di lavoro36; la sottrazione di documenti
aziendali anche non riservati37; l’appropriazione di beni aziendali38; l’illegittima critica nei confronti del
datore di lavoro39.
Per quanto riguarda, infine, i comportamenti estranei al contratto e all’esecuzione della prestazione
lavorativa, ma comunque lesivi del vincolo fiduciario, seguendo una classificazione già proposta40, si
possono ricordare le ipotesi dei comportamenti che coinvolgono i rapporti, anche personali, fra il
datore ed il lavoratore fuori dell’azienda; i comportamenti che non sono direttamente lesivi della sfera
giuridica del datore, ma che possono avere un riflesso sulle mansioni affidate e sulla considerazione
della persona del lavoratore; ed, infine, i comportamenti del lavorare che contribuiscono a ingenerare
nel datore un particolare giudizio sulla persona nel suo complesso, che induce, pertanto, ad atttuare la
misura sanzionatoria del licenziamento.
31 Ex multis: Cass., 29 settembre 2011, n. 19912, FI Rep., 2011, Voce Lavoro, n. 1211; Cass., 13 dicembre 2010, n.
25144, OGL, 2010, 1003; Cass., 30 marzo 2010, n. 7645, ADL, 2010, 1277; Cass., 7 luglio 2004, n. 12508, FI Rep., 2004,
Voce Lavoro, n. 1620.
32 Cass., 16 febbraio 2000, n. 1752; Cass., 8 gennaio 2000, n. 143, che si sono pronunciate su ipotesi di aperta
contestazione dei poteri direttivi del datore di lavoro.
33 Cass., 6 luglio 2002 n. 9840, relativa ad un lavoratore adibito a mansioni di custodia e sorveglianza.
34 Cass., 12 maggio 2005 n. 9954.
35 Cass., 5 dicembre 2007, n. 25313; Cass., 19 dicembre 2008, n. 29832.
36 Cass., 26 ottobre 2001, n. 13329, secondo la quale si ha violazione dell’obbligo di fedeltà in caso di mansioni di
carattere intellettuale con elevata autonomia e discrezionalità.
37 Cass., 15 maggio 2005, n. 12837. La giurisprudenza di legittimità, superando un precedente orientamento, ha
escluso la legittimità del recesso nel caso di produzione in giudizio sia di documenti solo fotocopiati e non riservati
(Cass., 2 febbraio 2000, n. 1144, che fa riferimento a documenti che si trovano nella disponibilità del lavoratore) sia di
documenti riservati (Cass., 4 maggio 2002, n. 6420).
38 Cass., 29 settembre 2003, n. 14507, che nega rilievo esimente al modesto valore del bene sottratto.
39 Cass. 10 dicembre 2008 n. 29008, secondo la quale è illegittima la critica che, superando i limiti della verità
oggettiva, leda il decoro e l’immagine dell’impresa.
40 Pisani, I licenziamenti individuali, in F. Carinci (a cura di), Il lavoro subordinato, Tomo III, Il rapporto individuale di
lavoro: estinzione e garanzie dei diritti, Torino, 2007, 124.
Sul versante del giustificato motivo soggettivo, sempre a titolo meramente esemplificativo, si possono
ricordare, come ipotesi di notevole inadempimento agli obblighi di diligenza ed osservanza di cui all'art.
2104 c.c., la disattenzione e l'inaccortezza del prestatore di lavoro41; la continuata inosservanza, dolosa o
colposa, delle disposizioni per l'esecuzione o la disciplina del rapporto42; l’aperta contestazione delle
direttive aziendali43; le assenze del prestatore di lavoro ingiustificate o tardivamente o insufficientemente
giustificate44.
Un accento maggiore va posto rispetto allo scarso rendimento del lavoratore che, in un rapporto di
lavoro caratterizzato da un'obbligazione di facere come è quello subordinato, può assumere rilievo solo
ove sia conseguenza di una notevole violazione degli obblighi di diligenza e osservanza di cui all'art.
2104 c.c.45. In altri termini, il rendimento lavorativo inferiore al minimo d'uso o, eventualmente, al
minimo contrattuale non rileva come inadempimento ex art. 1218 c.c., con onere della prova della non
imputabilità sul lavoratore, bensì come negligenza e inosservanza dei canoni di cui all'art. 2104 c.c., con
conseguente onere del datore di lavoro di provare, oltre allo scarso rendimento e alla esigibilità di un
rendimento maggiore, anche il nesso di consequenzialità con la notevole violazione degli obblighi di
diligenza e osservanza46.
La mancanza del lavoratore può integrare, oltre alla violazione dell’art. 2104 c.c., anche una notevole
violazione dell’obbligo di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c. Si pensi, ad esempio: al dipendente dotato di
particolari responsabilità nella scala gerarchica che non allerti il datore di lavoro delle gravi irregolarità
commesse dal suo immediato superiore gerarchico47; allo svolgimento di una prestazione lavorativa da
parte del lavoratore assente per malattia48.
3.5. Il licenziamento disciplinare nella legge n.92/2012.
La natura disciplinare del licenziamento determinato da un gravissimo (giusta causa) o da un notevole
41 Cass., 11 novembre 1998, n. 11392, OGL, 1998, I, 985, secondo la quale ove il datore di lavoro abbia adempiuto
all’onere della contestazione, le singole infrazioni disciplinari, che in sé considerate comporterebbero l’adozione di
sanzioni minori, possono nella ricorrenza di ulteriori mancanze giustificare - alla stregua di una valutazione globale l’applicazione di una sanzione più grave e anche di quella della risoluzione del rapporto, se tale valutazione evidenzi gli
estremi di un notevole inadempimento.
42 Cass., 1 aprile 1992, n. 3945.
43 Cass., 16 febbraio 2000, n. 1752, FI Rep.¸ 2000, Voce Lavoro, n. 1672.
44 T. Roma, 30 luglio 1994, FI Rep., 1995, Voce Lavoro, n. 1464.
45 Cass. 20 agosto 1991, n. 8973, RGL, 1992, II, 185; Cass., 30 luglio 1987, n. 6616, FI Rep., 1987, Voce Lavoro, n.
2300.
46 Cass., 23 febbraio 1996, n. 1421, NGL, 1996, 405; Cass., 10 novembre 2000, n. 14605, NGL, 2001, 207; Cass., 22
gennaio 2009, n. 1632, RIDL, 2009, II, 862, secondo la quale il datore può assolvere l'onere della prova anche mediante il
ricorso a presunzioni.
47 Cass., 8 giugno 2001, n. 7819, NGL, 2001, 600, secondo la quale l’inosservanza di tale obbligo può costituire di
per sé, secondo la gravità del caso, sia giustificato motivo soggettivo che giusta causa di licenziamento.
48 Cass., 1 luglio 2005, n. 14046, NGL, 2006, 66, secondo la quale in tali casi si può avere violazione dei doveri
generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, oltre che nell’ipotesi in cui
tale attività esterna sia per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la medesima
attività, valutata con giudizio ex ante, in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o
ritardare la guarigione e il rientro in servizio.
(giustificato motivo soggettivo) inadempimento degli obblighi contrattuali, inizialmente esclusa a causa
del divieto di sanzioni che comportino un mutamento definitivo del rapporto (cfr. art. 7 Stat. Lav.), e
riconosciuta49 soltanto a seguito della nota sentenza della Corte Cost. n. 204/198250, trova ora conferma
in una serie di disposizioni contenute nella legge n. 92/2012.
In particolare, trova conferma nell’art 7, co. 1, legge n. 604 del 1966 (come modificato dal comma 40
dell’art. 1 legge n. 92/2012), che estende il procedimento disciplinare di cui all’art. 7 Stat. Lav. “al
licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo”; nell’art. 18, co. 6, Stat. Lav. (come
modificato dal comma 42 dell’art. 1 legge n. 92/2012) che richiama le violazioni nella procedura di
intimazione del licenziamento per giusta causa e giustificato motivo soggettivo usando l’espressione
“violazione della procedura di cui all’art. 7 della presente legge”; ed ancora, nell’art. 18, co. 7, Stat. Lav.
(come modificato dal comma 42 dell’art. 1 legge n. 92/2012) che fa riferimento al licenziamento per
giusta causa e giustificato motivo soggettivo definendoli come licenziamenti determinati da “ragioni
disciplinari”.
Va peraltro segnalato che nell’art. 7 della l. n. 604/1966 il legislatore della riforma sembra andare al di là
di un mero riconoscimento legislativo delle precedenti acquisizioni giurisprudenziali, poiché estende
l’intero art. 7 Stat. Lav al licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo.
Questa estensione, in primo luogo, sembra più ampia di quella in precedenza riconosciuta dalla
giurisprudenza. La natura (c.d. ontologicamente) disciplinare del licenziamento determinato da
inadempimento del lavoratore, infatti, ha consentito di estendere al licenziamento disciplinare, ivi
compreso quello del dirigente51, soltanto le garanzie procedimentali previste dai primi tre commi dal
medesimo art. 7, ossia: la preventiva e specifica contestazione dell’addebito (cfr. art. 7, co. 2); l’effettiva
possibilità del lavoratore di difendersi anche attraverso l’assistenza di un rappresentante sindacale (cfr.
art. 7, co. 2 e 3); il principio della pubblicità tramite affissione del codice disciplinare (cfr. art. 7, co. 1,
principio che, peraltro, ha avuto una scarsa utilità pratica poiché giusta causa e giustificato motivo
soggettivo sono clausole generali tipizzate dalle legge che vincolano le parti a prescindere dalle
previsioni del codice disciplinare, specie ove i comportamenti imputabili al lavoratore integrino fatti
contrari all’etica comune o alle elementari regole del vivere civile).
In secondo luogo, questa estensione sembra riguardare genericamente i licenziamenti per motivi
soggettivi, ivi compreso, dunque, il licenziamento per giusta causa derivante da comportamenti estranei
all’esecuzione della prestazione. L’art. 7, co. 1, l. n. 604/1966, infatti, non usa l’espressione
“licenziamenti disciplinari” (utilizzata invece nell’art. 18, co. 7, Stat. Lav.), ma si riferisce, letteralmente,
al “licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo”.
49
Cass., SS.UU., 1 giugno 1987, n. 4823, OGL, 1987, 710.
Corte Cost., 30 novembre 1982, n. 204, OGL, 1983, 277.
51 Vedi Infra § 7.
50
4. La tutela obbligatoria della legge n. 604/1966.
4.1. La tutela obbligatoria della legge n. 604/1966.
Anche dopo la legge n. 92/2012, nelle aziende che occupano fino a 15 dipendenti nell’unità produttiva
continua ad applicarsi il regime sanzionatorio previsto dall’art. 8 della legge n. 604/1966, ossia la
cosiddetta tutela obbligatoria.
Come è noto, in forza di questo regime, in assenza della giusta causa o del giustificato motivo
soggettivo, il datore di lavoro viene condannato a riassumere il lavoratore o, in alternativa, a risarcirgli i
danni corrispondendogli un’indennità di importo compreso fra le 2,5 e le 6 mensilità.
Ne consegue che questo licenziamento, sebbene intimato in violazione della regola della necessaria
giustificazione e, dunque, in violazione della norma imperativa posta dall’art. 1 della legge n. 604, è
valido52 e produce l’effetto di risolvere il rapporto di lavoro, salvo l’obbligo di ricostituirlo o di risarcire
il danno secondo quanto stabilito dall’art. 8.
4.2. Il doppio regime di tutela del nuovo art. 18 per il licenziamento per motivi soggettivi
illegittimo.
Nelle aziende che occupano più di quindici dipendenti nell’unità produttiva ove è stato intimato il
licenziamento53, il regime sanzionatorio per i licenziamenti illegittimi è stato completamente
trasformato dalla legge n. 92 del 2012, che ha riscritto integralmente l’art. 18 dando vita in dottrina ad
accessi contrasti interpretativi, destinati, con ogni probabilità, a riverberarsi sul futuro contenzioso
giudiziale, i cui esiti, allo stato, sono tutt’altro che prevedibili.
Per quanto riguarda, in particolare, il licenziamento per motivi soggettivi privo di giustificazione, la
legge di riforma sostituisce il regime della tutela reale in caso di licenziamento illegittimo con un doppio
livello di tutela.
Il primo livello di tutela continua ad essere rappresentato dalla reintegrazione nel posto di lavoro,
accompagnata da una forma di risarcimento dei danni in misura, come si vedrà fra breve, più contenuta
rispetto al vecchio art. 18. Questo ha indotto parte della dottrina a riferirsi a questo regime di tutela con
52
G. Santoro-Passarelli, op. cit., 367.
Ovvero più di quindici dipendenti nell’ambito dello stesso comune e in ogni caso per le imprese con più di
sessanta dipendenti (cfr. art. 18, comma 8, nuovo testo, che ha lasciato sostanzialmente immutato il campo di
applicazione della disposizione).
53
l’espressione di tutela reale “depotenziata”54 o “attenuata”55. Si tratta, però, di un’espressione fuorviante
ed è forse più corretto parlare di tutela reale con effetti risarcitori limitati. Ciò che viene affievolito o
attenuato nel co. 4 del nuovo art. 18, infatti, non è la reintegrazione, che è identica a quella del co. 1 e a
quella del vecchio art. 18, bensì la misura del risarcimento dei danni. In altri termini, anche nell’ipotesi
di reintegrazione prevista dal nuovo co. 4 dell’art. 18, il licenziamento privo di giustificazione continua
ad essere invalido e, conseguentemente, inidoneo a risolvere il rapporto di lavoro. Tant’è che il giudice
“annulla il licenziamento” (cfr. art. 18, co. 4).
La tutela reale con effetti risarcitori limitati trova applicazione nelle ipotesi di illegittimità del
licenziamento più gravi, ossia nei casi in cui lo spessore dell’illegittimità del licenziamento è maggiore e,
comunque, più evidente. Queste ipotesi vengono tipizzate direttamente dal co. 4 dell’art. 18 che, con
elencazione tassativa56, fa riferimento al caso in cui: 1. il fatto in base al quale è stato intimato il
licenziamento non sussiste; 2. il fatto, pur sussistendo, è punibile soltanto con una sanzione
conservativa in base alle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili all’impresa.
Quando ricorre una di
queste ipotesi il giudice annulla il licenziamento, ordina la reintegrazione
nel posto di lavoro e condanna il datore di lavoro al risarcimento dei danni attraverso il pagamento di
una indennità commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a
quello della effettiva reintegrazione nel posto di lavoro, con integrale versamento dei contributi
previdenziali e assistenziali.
Come già accennato, nella tutela reale con effetti risarcitori limitati la misura del risarcimento dei danni
è più contenuta sia rispetto al vecchio art. 18 che al co. 1 del nuovo art. 18. La misura del risarcimento
dei danni, infatti, è soggetta, nell’art. 18 co. 4, ad un doppio limite.
Anzitutto, viene espressamente prevista la detraibilità di quanto il lavoratore abbia percepito, durante il
periodo di illegittima estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative (aliunde perceptum)
ovvero di quanto avrebbe potuto percepire se si fosse dedicato con diligenza alla ricerca di una
occupazione (aliunde percipiendum), con onere della prova, in entrambi i casi, gravante sul datore di
lavoro57.
In secondo luogo, viene stabilito che “la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici
mensilità della retribuzione globale di fatto”. Peraltro, questo limite, letteralmente riferito al periodo che va dal
licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, deve intendersi riferito, in realtà, soltanto al
periodo che va dal licenziamento sino a quello della pronuncia del giudice58. In altri termini, dopo la
pronuncia della sentenza che, annullando il licenziamento, ha dichiarato la persistenza del rapporto di
54
Così Maresca, op. cit., 429.
Tremolada, op. cit., 52.
56 Maresca, op. cit., 437.
57 G. Santoro-Passarelli, op. cit., 368.
58 Vallebona, La riforma…, op. cit., 60; Maresca, op. cit., 430.
55
lavoro, il lavoratore avrà diritto, anche nel caso in cui non venga nei fatti riammesso in servizio59, a
percepire la retribuzione.
Viene confermata, anche nella tutela reale con effetti risarcitori limitati, la possibilità di rinunciare alla
reintegrazione ed optare per il pagamento di un’indennità sostitutiva, non assoggetta a contribuzione
previdenziale, pari a quindici mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. Tale indennità si
aggiunge a quella risarcitoria e la sua richiesta – da effettuarsi entro trenta giorni dalla comunicazione
del deposito della sentenza ovvero entro trenta giorni dall’invito del datore di lavoro a riprendere
servizio, se antecedente – determina automaticamente la risoluzione del rapporto di lavoro60.
Viene invece eliminata la misura minima del risarcimento dei danni che, vigente il vecchio art. 18,
corrispondeva a 5 mensilità.
Il secondo livello di tutela, regolato dal co. 5 dell’art. 18, è invece rappresentato da una tutela meramente
indennitaria ed omnicomprensiva. Mentre la tutela reale con effetti risarcitori limitati trova applicazione
nelle sole ipotesi tassative indicate dal co. 4, la tutela meramente indennitaria prevista dal co. 5 trova
automaticamente applicazione in tutte le “altre ipotesi in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi della
giusta causa o del giustificato motivo soggettivo”.
Questo significa che la tutela reale per i licenziamenti soggettivi costituisce oggi l’eccezione che trova
applicazione in casi tassativi e la tutela meramente indennitaria, viceversa, costituisce la regola61 che
trova applicazione in tutti gli altri casi in cui il licenziamento si rivela privo di una giusta causa o di un
giustificato motivo soggettivo.
Quanto al contenuto, la tutela indennitaria prevista dal co. 5 dell’art. 18 è accompagnata – ed è questa,
con ogni evidenza, la principale innovazione – dalla risoluzione del rapporto di lavoro. In questa ipotesi,
infatti, il licenziamento, sebbene privo della necessaria giustificazione richiesta dagli artt. 1 della legge n.
604 del 1966 e 2106 c.c., è valido e produce l’effetto di estinguere il rapporto di lavoro con decorrenza
dalla data del licenziamento (cfr. art. 18, co. 5, secondo il quale il giudice dichiara risolto il rapporto).
Il licenziamento privo di una giustificazione sufficiente, ancorché valido, continua ad essere illegittimo62
e per questo motivo il datore di lavoro viene condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria
omnicomprensiva determinata fra un minimo di dodici ed un massimo di ventiquattro mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, con esclusione di qualsiasi versamento contributivo.
I parametri per la quantificazione di questa indennità vengono indicati direttamente dall’art. 18 co. 5 e
sono l’anzianità del lavoratore, il numero di dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, il
comportamento e le condizioni delle parti. Questi parametri non operano sullo stesso livello. A ben
59
Ipotesi astrattamente possibile perché, come noto, la reintegrazione non è suscettibile di esecuzione in forma
specifica.
60 Con ciò risolvendo il problema interpretativo posto dal vecchio art. 18 che consentiva di ritenere che il rapporto
di lavoro proseguisse fino al pagamento dell’indennità con diritto del lavoratore a vedersi corrispondere la retribuzione.
61 Maresca, op. cit., 437; Marazza, op. cit., 622; Vallebona, La riforma…, op. cit., 56.
62 G. Santoro-Passarelli, op. cit., 368.
vedere, nella determinazione della misura dell’indennità il legislatore attribuisce al parametro
dell’anzianità del lavoratore un valore preminente e preponderante rispetto agli altri63. La norma
prevede, infatti, che l’indennità deve essere determinata in ragione dell’anzianità del lavoratore e
tenendo conto (anche) degli altri parametri.
Peraltro, sebbene la norma si riferisca, letteralmente, alla semplice “anzianità”, senza specificare se si
tratti di quella di servizio o di quella anagrafica, è presumibile che sia la prima quella a cui si debba fare
riferimento.
Infine, in tema di onere della prova si può ritenere che il lavoratore che voglia ottenere una indennità
superiore al minimo previsto dalla norma sia gravato dell’onere di provare l’anzianità di servizio. In base
al principio della vicinanza della prova64, invece, si potrebbe ipotizzare che il datore di lavoro interessato
a contenere la quantificazione dell’indennità sia gravato dell’onere della prova, quantomeno, dei
parametri del numero dei dipendenti occupati e delle dimensioni dell’attività economica65.
4.2.1. Segue: i problemi interpretativi posti dalle ipotesi dell’insussistenza del fatto contestato e
della sua punibilità con una sanzione conservativa.
Le due ipotesi tassative in cui trova applicazione la tutela reale con effetti risarcitori limitati, ossia
l’insussistenza del fatto ovvero la sua punibilità con una sanzione meramente conservativa sulla base dei
contratti collettivi e dei codici disciplinari applicabili, sollevano notevoli dubbi interpretativi.
Per quanto riguarda la prima ipotesi, quella dell’insussistenza del fatto contestato, secondo un primo
orientamento, aderente al dato letterale e, allo stato, prevalente, il fatto dovrebbe essere inteso in senso
rigidamente fenomenico o materiale66, senza rilevanza alcuna del momento valutativo della condotta
medesima. In altri termini, per insussistenza del fatto si dovrebbe unicamente intendere che il fatto
materiale non è mai accaduto o non è stato il lavoratore a commetterlo.
L’impostazione meramente materialistica, seppure aderente al dato letterale, produce dei problemi in
termini di giustizia sostanziale, poiché l’esclusione di qualsiasi valutazione in termini giuridici della
condotta contestata impone, a stretto rigore di logica, di ritenere che qualunque fatto sussistente posto
a fondamento del licenziamento possa escludere l’applicabilità della tutela reale e imporre il ricorso a
quella meramente indennitaria.
Secondo questo approccio sarebbero dunque escluse dalla tuteala reale non solo le ipotesi, di per sé già
63
Maresca, op. cit., 431.
Cass, 25 luglio 2008, n. 20484, secondo la quale, nella distribuzione dell’onere della prova, si deve tenere conto
anche della riferibilità o vicinanza della prova, poiché la garanzia costituzionale di cui gode il diritto di agire in giudizio a
difesa delle proprie posizioni soggettive impone di interpretare la legge in modo da non renderne impossibile o
eccessivamente oneroso l’esercizio.
65 Contra Vallebona, La riforma…, op. cit., 56, secondo il quale il lavoratore è soggetto all’onere di allegazione e
prova di tutti i parametri indicati dal co. 5.
66 Maresca, op. cit., 436; Tremolada, op. cit., 54; Marazza, op. cit., 622-623; Vallebona, La riforma…, op. cit., 57,
secondo il quale si dovrebbe avere riguardo unicamente al fatto contestato considerato nel suo nucleo essenziale e senza
considerazione delle circostanze marginali, confermative o di contorno.
64
eclatanti, di lievissimo inadempimento imputabile (ad esempio, il lavoratore giunto in ritardo di pochi
minuti), bensì anche ipotesi in cui manchi un inadempimento imputabile o, addirittura, vi sia
adempimento. Si pensi, ad esempio, a queste ipotesi: il lavoratore che sotto la minaccia di una pistola
puntata alla sua tempia abbia deviato il percorso dell’autobus di linea; il lavoratore che non abbia sorriso
al proprio superiore gerarchico al momento dell’ingresso in azienda; il lavoratore che, perfettamente
adempiente, sia arrivato in anticipo sul posto di lavoro.
Tutte queste ipotesi, che i sostenitori dell’impostazione meramente materialistica riconducono alla
categoria del “torto marcio”67 o della totale “pretestuosità”68 del licenziamento, sembrano difficilmente
inquadrabili attraverso gli schemi del contratto in frode alla legge ovvero dell’abuso del diritto. Come è
stato osservato, infatti, il datore di lavoro che intima un licenziamento per un fatto materialmente
esistente ma palesemente inidoneo a configurare un inadempimento imputabile non aggira alcun divieto
di legge, ma viola direttamente la legge che quel divieto pone69. Allo stesso modo, quel datore di lavoro
non abusa di un diritto, ma esercita un diritto inesistente70.
Questi problemi di giustizia sostanziale potrebbero indurre a ritenere che l’insussistenza del fatto non
debba essere intesa in senso meramente materiale71, bensì come inesistenza di un inadempimento
giuridicamente rilevante, che, in estrema sintesi, è quanto è stato affermato dal Trib. Bologna, in
un’ordinanza nella quale, pur avendo accertato la sussistenza del fatto materiale, il giudice ha annullato il
licenziamento ritenendo che la formula insussistenza del fatto faccia “necessariamente riferimento al c.d. fatto
giuridico, inteso come il fatto globalmente accertato, nell’unicum della sua componente oggettiva e nella sua componente
inerente l’elemento soggettivo”72.
In altri termini, senza alcuna alterazione del rapporto di regola-eccezione fra i due nuovi regimi di
tutela, si potrebbe ritenere, quantomeno, che il co. 4 dell’art. 18 trovi applicazione ove il giudice accerti
che non sussiste un inadempimento giuridicamente rilevante, ossia: nell’ipotesi in cui il fatto materiale
non sussiste (perché il fatto non si è mai verificato o perché il lavoratore non lo ha commesso);
nell’ipotesi in cui il fatto materiale sussiste ma non integra un inadempimento (come nell’esempio del
lavoratore che non abbia sorriso al superiore o che sia arrivato in anticipo sul posto di lavoro);
67
Vallebona, La riforma…, op. cit., 57.
Maresca, op. cit., 58.
69 A. Cautadella, Intervento in Colloqui giuridici sul lavoro, Vallebona (a cura di), MGL, suppl. 1/ 2012, 18.
70 A. Cautadella, op. cit., 19.
71 M.T. Carinci, Il rapporto di lavoro al tempo della crisi, Relazione al Convegno AIDALASS 5-7 giugno 2012,
dattiloscritto, 30; Cester, Il progetto…., op. cit., 569; Ghera, Intervento in Colloqui giuridici sul lavoro, op. cit., 41; Perulli,
Intervento in Colloqui giuridici sul lavoro, op. cit., 68; Liso, Intervento in Colloqui giuridici sul lavoro, op. cit., 46, secondo il
quale l’insussistenza del fatto ricorre anche quando il fatto, pur materialmente esistente, non configura un
comportamento disciplinarmente rilevante o per l’assenza di colpa o per la mancanza di un minimo di gravità del
comportamento.
72 Trib. Bologna, ord. 15 ottobre 2012, in www.lavoroediritto.it, secondo il quale se si ritenesse che la formula
insussistenza del fatto facesse riferimento al solo fatto materiale, vi sarebbe una “violazione dei principi generali
dell’ordinamento civilistico, relativi alla diligenza ed alla buona fede nell’esecuzione del rapporto lavorativo, posto che potrebbe giungersi a
ritenere che applicabile la sanzione del licenziamento indennizzato anche a comportamenti esistenti sotto l’aspetto materiale ed oggettivo ma
privi dell’elemento psicologico o, addirittura, privi della coscienza o volontà dell’azione”.
68
nell’ipotesi in cui il fatto materiale sussiste ma integra un inadempimento non imputabile ai sensi
dell’art. 1218 c.c. (come nel precedente esempio del conducente dell’autobus di linea).
Per quanto riguarda la seconda ipotesi, ossia che la condotta contestata rientra fra quelle punibili con
sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi o dei codici disciplinari
applicabili, giova anzitutto precisare che il richiamo alle previsioni collettive deve essere necessariamente
riferito ai contratti collettivi vincolanti per il datore di lavoro73.
Una delle questioni interpretative più delicate posta dall’ipotesi in discorso concerne la possibilità di far
rientrare nella locuzione “sulla base delle previsioni” solo le puntuali tipizzazioni collettive delle
sanzioni, secondo la tesi sostenuta dall’interpretazione più rigorosa e restrittiva della norma74.
Sennonchè, l’art. 18 co. 4 non parla affatto di tipizzazioni, bensì di previsioni dei contratti collettivi;
espressione, quest’ultima, che sembra agevolmente riferibile a tutte le previsioni disciplinari contenute
nel contratto collettivo applicabile, ivi comprese, dunque, le esemplificazioni generiche ovvero le
previsioni disciplinari che contengono (come peraltro spesso accade nei contratti collettivi) elenchi
separati di condotte e sanzioni stabilendo che il collegamento fra le condotte e le relative sanzioni sia
effettuato in base al criterio della proporzionalità.
È peraltro evidente che qualora si accedesse a questa interpretazione le previsioni dei contratti collettivi
consentirebbero di far rientrare dalla finestra quello che il legislatore aveva tentato di mettere fuori dalla
porta, ossia il giudizio di gravità svolto sulla base del criterio di proporzionalità sotteso all’art. 2106 c.c.
Un discorso a parte, infine, va fatto sull’onere della prova. Come noto, l’art. 5 della l. n. 604 del 1966
grava il datore di lavoro dell’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato
motivo, ma è dubbio che questa disposizione possa essere applicata per far gravare sul datore di lavoro
anche l’onere della prova rispetto alle fattispecie tassative che, ai sensi del nuovo art. 18 co. 4,
consentono l’applicazione della tutela reale con effetti risarcitori limitati.
È stato infatti osservato che l’insussistenza del fatto ovvero la sua inclusione fra le sanzioni conservative
tipizzate dai contratti collettivi rappresentano fatti costituitivi del diritto alla reintegrazione, con la
conseguenza che l’onere della prova, ai sensi dell’art. 2697 c.c., graverebbe sul lavoratore75.
Le conseguenze pratiche di questa impostazione sono notevoli e tutte a svantaggio del lavoratore.
Quest’ultimo, infatti, verrebbe in tal modo gravato non solo dell’onere della prova di un fatto positivo,
l’inclusione del fatto fra le sanzioni conservative, ma anche dell’onere della prova di un fatto negativo,
ossia l’insussistenza del fatto contestato.
A sommesso avviso di chi scrive il problema dell’onere della prova dovrebbe essere risolto tenendo
distinta l’ipotesi dell’insussistenza del fatto da quella della sua inclusione fra le sanzioni conservative.
73
Cester, Il progetto…, op. cit., 572.
Tremolada, op. cit., 55; Vallebona, La riforma…, op. cit., 57.
75 Pisani, L’ingiustificatezza qualificata del licenziamento: convincimento del giudice ed onere della prova, in MGL, 2012, p. 742743; Vallebona, La riforma…, op. cit., p. 59. Contra Marazza, op. cit., 622; Maresca, op. cit., 441.
74
Non sembra infatti condivisibile la tesi che fa gravare sul lavoratore l’onere di provare l’insussistenza del
fatto, poiché l’accertamento di tale insussistenza, a ben vedere, non può essere separato
dall’accertamento della giustificazione del recesso e deve conseguentemente ritenersi assorbito
dall’onere della prova gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 5 della l. n. 604 del 196676. In forza
di questa disposizione, infatti, il datore di lavoro deve provare la giusta causa o il giustificato motivo
soggettivo, deve cioè provare la “sussistenza di un fatto materiale” che integra la giusta causa o il
giustificato motivo soggettivo. Qualora il datore di lavoro non assolva a tale onere e non riesca,
addirittura, a provare l’esistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, risulterà
integrata la fattispecie dell’insussistenza del fatto prevista dall’art. 18 co. 4 e dovrà trovare applicazione
la tutela reale con effetti risarcitori limitati.
Sembra invece corretto ritenere che gravi sul lavoratore l’onere di provare l’inclusione del fatto
contestato fra le sanzioni conservative. Tale onere deve essere assolto deducendo che il fatto posto a
fondamento del licenziamento rientra, in realtà, fra le condotte punibili con sanzione conservativa sulla
base delle previsioni dei contratti collettivi o codici disciplinari applicabili che il lavoratore avrà l’onere
di produrre in giudizio, salva la possibilità del giudice di esercitare il potere-dovere di disporne
l’acquisizione d’ufficio ai sensi dell’art. 421 c.p.c.77.
4.3. La violazione del procedimento disciplinare nell’intimazione del licenziamento: rinvio.
Ai sensi dell’art. 18 co. 6 i vizi formali e procedurali nell’intimazione del licenziamento disciplinare sono
soggetti ad una tutela indennitaria in misura ridotta rispetto a quella prevista dall’art. 18 co. 5. Per tutti
gli aspetti connessi ai vizi procedurali del licenziamento disciplinare vedi infra § 8.
76
Maresca, op. cit., 441 secondo il quale poiché l’onere della prova gravante sul datore di lavoro ai sensi dell’art. 5
della l. n. 604 del 1966 riguarda il fatto materiale e le sue caratteristiche tutti gli elementi utili per individuare la sanzione
da applicare nel caso concreto verrano acquisiti dal giudice scrutinando la legittimità del licenziamento.
77 Cass., 16 gennaio 2004, n. 639, NGL, 2004, 385, secondo la quale la contestazione circa l’esistenza del contratto
preclude l’esercizio del potere officioso del giudice di merito.