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G It Diabetol Metab 2014;34:88-92
La Ricerca in Italia
Elevati livelli di glicemia a un’ora
dal carico orale di glucosio
identificano soggetti
con normale tolleranza ma
con alterata funzione
β-cellulare, insulino-resistenza
e peggior profilo di rischio
cardiovascolare.
Risultati dello studio GENFIEV
Bianchi C1, Miccoli R1, Trombetta M2,
Giorgino F3, Frontoni S4, Faloia E5,
Marchesini G6, Dolci MA7,
Cavalot F8, Cavallo G9, Leonetti F10,
Bonadonna RC2, Del Prato S1 a
nome del Gruppo di Studio GENFIEV
1
Dipartimento di Endocrinologia
e Metabolismo, Sezione di
Diabetologia e Malattie Metaboliche,
Università di Pisa; 2Dipartimento di
Medicina, Divisione di
Endocrinologia e Malattie del
Metabolismo, Università di Verona;
3
Dipartimento dell’Emergenza e dei
Trapianti di Organi, Sezione di
Medicina Interna, Endocrinologia,
Andrologia e Malattie Metaboliche,
Università di Bari; 4Dipartimento di
Medicina Interna, Università di
Roma Tor Vergata; 5Clinica di
Endocrinologia, Università
Politecnica delle Marche; 6Alma
Mater Studiorum Università di
Bologna; 7Ospedale SS. Giacomo e
Cristoforo di Massa, Sezione di
Diabetologia e Malattie Metaboliche;
8
Dipartimento di Scienze Cliniche e
Biologiche, Università di Torino;
9
Dipartimento di Terapia Medica,
Università di Roma “Sapienza”;
10
Dipartimento di Scienze Cliniche,
Università di Roma “Sapienza”
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Lo studio ha valutato in un’ampia coorte di soggetti ad alto rischio di diabete, la capacità della glicemia alla prima ora del carico orale di glucosio (1h-OGTT) di identificare soggetti con alterazioni della regolazione glucidica (IGR) o diabete tipo 2 di
nuova diagnosi (newDM2). Oltre al profilo di rischio cardiovascolare, sono stati inoltre studiati gli indici di sensibilità insulinica e secrezione β-cellulare.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Studi precedenti hanno dimostrato che nei soggetti con normale tolleranza glucidica
(NGT), livelli di glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl sono predittivi di diabete e si associano a segni di aterosclerosi subclinica (aumento dello spessore intima-media carotideo).
Sintesi dei risultati ottenuti
La glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl si dimostra altamente specifica (89%) e relativamente sensibile (69%), con un alto potere predittivo positivo (92%) nell’identificare
soggetti con IGR o newDM2. Fra i soggetti NGT, coloro che avevano una glicemia
1h-OGTT > 155 mg/dl mostravano una sensibilità insulinica e una funzione secretoria insulinica ridotte rispetto a quelli con 1h-OGTT ≤ 155 mg/dl. Inoltre, presentavano un profilo di rischio cardiovascolare più sfavorevole.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
La glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl si conferma utile sia per identificare soggetti con
IGR/newDM2, sia soggetti NGT con minore sensibilità insulinica, ridotta funzione
β-cellulare e peggiore profilo di rischio cardiovascolare.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Valutare prospetticamente le variazioni della funzione β-cellulare e il profilo metabolico dei soggetti con NGT e glicemia 1h-OGTT > 155 mg/dl e l’evoluzione verso il
diabete.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La misurazione della glicemia a 1h-OGTT potrebbe consentire di identificare i soggetti a maggiore rischio di sviluppare diabete e patologie cardiovascolari.
J Clin Endocrinol Metab 2013;98(5):
2100-5
Sviluppo e validazione di un
modello predittivo di mortalità
per tutte le cause nei pazienti
con diabete di tipo 2
De Cosmo S, Copetti M, Lamacchia
O, Fontana A, Massa M, Morini E,
Pacilli A, Fariello S, Palena A, Rauseo
A, Viti R, Di Paola R, Menzaghi C,
Cignarelli M, Pellegrini F, Trischitta V
IRCCS Casa Sollievo della
Sofferenza e Università di Foggia
Diabetes Care 2013;36:2830-5
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Predizione di mortalità nei pazienti con diabete di tipo 2.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Vi erano tre lavori precedenti svolti in altre aree geografiche tutti con validazione
del modello sviluppato interna alla coorte studiata e con approcci statistici tradizionali.
Sintesi dei risultati ottenuti
Abbiamo sviluppato e validato un modello predittivo di mortalità a breve termine
(due anni) per pazienti con diabete di tipo 2 che utilizza delle variabili molto semplici
e facili da ottenere. Il motore di rischio è disponibile sulla rete: http://www.operapadrepio.it/rcalc/rcalc.php
La Ricerca in Italia
89
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
Impiegando nuovi approcci metodologici di recente sviluppo basati sull’uso di misure di riclassificazione.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Innanzitutto la diffusione dell’utilizzo del motore di rischio in altre coorti di paziente
e in diversi setting assistenziali.
Si potrà validare il motore di rischio in coorti di pazienti che vivono in altre aree geografiche o in altre etnie. Inoltre, si cercherà di rendere possibile il mantenimento di
una buona performance del motore di rischio pur a fronte della mancanza di alcune variabili o sostituendole con altre o modificando la sequenza delle variabili
analizzate.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
La facilità della stratificazione del rischio di morte nei pazienti che frequentano gli
ambulatori di diabetologia al fine di instaurare opportune terapie preventive o terapeutiche.
Migliorare in tempo reale
l’accuratezza dei sensori
per il monitoraggio in continuo
del glucosio: il concetto
di “sensore intelligente”
Facchinetti A1, Sparacino G1,
Guerra S1, Luijf YM2, DeVries JH2,
Mader JK3, Ellmerer M3, Benesch
C4, Heinemann L4, Bruttomesso D5,
Avogaro A5, Cobelli C1,
a nome del consorzio AP@home
1
Dipartimento di Ingegneria
dell’Informazione, Università di
Padova, Padova; 2Department of
Internal Medicine, Academic
Medical Centre, Amsterdam, the
Netherlands; 3Department of
Internal Medicine, Medical
University of Graz, Graz, Austria;
4
Profil Institute for Metabolic
Research GmbH, Neuss, Germany;
5
Dipartimento di Medicina Clinica
Sperimentale, Università di Padova,
Padova
Diabetes Care 2013;36:793-800
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Lo studio ha l’obiettivo di dimostrare che l’accuratezza delle misure di concentrazione glicemica fornite dai sensori per il monitoraggio in continuo del glucosio (CGM),
critica sia per l’utilizzo del sensore per la terapia convenzionale sia in ambiente di
pancreas artificiale, può essere notevolmente migliorata se il sensore CGM viene
dotato di una serie di opportuni algoritmi matematici per l’elaborazione del dato, diventando un sensore CGM intelligente.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Negli anni passati il nostro gruppo di ricerca ha sviluppato diversi algoritmi per miglioramento del funzionamento dei sensori CGM, che singolarmente si sono dimostrati più efficaci di quelli adottati all’interno dei sensori stessi o sviluppati in
letteratura, ma la loro contemporanea integrazione all’interno di un sensore CGM
non era ancora stata testata.
Sintesi dei risultati ottenuti
Il sensore CGM intelligente è stato testato su un dataset di 24 pazienti diabetici di
tipo 1 acquisiti in 4 centri clinici partner del progetto AP@home (finanziato dalla Comunità Europea nell’ambito del 7° programma quadro). Dalla contemporanea integrazione, si è dimostrato come l’accuratezza del sensore possa essere migliorata
di più del 30% e come gli eventi critici di ipoglicemia possano essere anticipati al paziente con circa 14 minuti di preavviso.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
Si è dimostrato come l’integrazione di opportuni algoritmi matematici all’interno di
un dispositivo CGM commerciale possano consentire un notevole miglioramento
dell’accuratezza delle letture di glicemia fornite dal sensore CGM.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Il passo successivo di questa ricerca è l’integrazione degli algoritmi all’interno dei
nuovi sensori CGM sviluppati da Dexcom Inc. (San Diego, CA), con la quale l’Università di Padova ha avviato una collaborazione.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Il miglioramento dell’accuratezza, che arriva a essere quasi paragonabile a
quella delle misure di glicemia pungidito, può favorire la diffusione dei sensori
CGM per la terapia quotidiana del diabete e facilitare lo sviluppo di dispositivi
per il pancreas artificiale, nei quali l’accuratezza del sensore svolge un ruolo
centrale.
90
La Ricerca in Italia
Ossimetria transcutanea
come potenziale predittore
di eventi cardiovascolari
nel diabete di tipo 2. Confronto
con l’indice caviglia braccio
Gazzaruso C1,2, Coppola A1,
Falcone C2,3,4, Luppi C1,
Montalcini T5, Baffero E1, Gallotti P1,
Pujia A5, Solerte SB6, Pelissero G2,
Giustina A7
1
Medicina Interna, Diabetologia,
Malattie Vascolari ed EndocrinoMetaboliche e Centri di Ricerca
Clinica Applicata (CeRCA), Istituto
Clinico “Beato Matteo”, Vigevano;
2
IRCCS Policlinico San Donato,
San Donato Milanese; 3Istituto
Clinico “Città di Pavia”, Pavia;
4
Cardiologia, Università di Pavia;
5
Unità di Nutrizione Clinica,
Università di Catanzaro; 6Geriatria,
Università di Pavia; 7Endocrinologia,
Università di Brescia
Diabetes Care 2013;36:1720-5
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Valutare se l’ossimetria transcutanea (TcPO2) possa avere, rispetto all’indice caviglia-braccio (ABI), un potere predittivo maggiore per eventi cardiovascolari in diabetici
di tipo 2 senza apparenti complicanze.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
In diversi diabetici l’ABI può essere scarsamente affidabile nell’identificazione dell’arteriopatia obliterante periferica (AOP) a causa della calcificazione delle arterie. La
TcPO2 rappresenta un parametro oggettivo di perfusione tessutale, anche se non
è noto in letteratura un preciso cut-off per l’identificazione dell’AOP.
Sintesi dei risultati ottenuti
La TcPO2 è risultato un predittore di mortalità e morbilità cardiovascolare più efficiente rispetto all’ABI. Una TcPO2 di 46 mmHg sembra essere il cut-off più affidabile nella diagnosi di AOP asintomatica nei diabetici di tipo 2.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
Stante la relativa affidabilità dell’ABI nella diagnosi di AOP nel diabete, TcPO2 potrebbe
rappresentare un valido strumento non invasivo sia per la diagnosi della stessa AOP
sia per l’identificazione dei soggetti a maggior rischio di eventi cardiovascolari.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Verificare in quali pazienti sia opportuno, dopo lo screening con ABI, eseguire la
TcPO2 oppure se la TcPO2 debba essere usata direttamente per lo screening.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Un uso più capillare della TcPO2 potrebbe essere un addizionale e non invasivo metodo
per identificare l’AOP asintomatica e per stratificare il rischio cardiovascolare individuale.
L’exendin-4 protegge
le beta-cellule pancreatiche
dall’apoptosi indotta
dal palmitato riducendo i livelli
del recettore degli acidi grassi
GPR40 e inibendo il segnale
mediato dalle stress chinasi
MKK4/7
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Natalicchio A1, Labarbuta R1,
Tortosa F1, Biondi G1, Marrano N1,
Peschechera A1, Carchia E2,
Orlando MR1, Leonardini A1,
Cignarelli A1, Marchetti P3,
Perrini S1, Laviola L1, Giorgino F1
L’esposizione cronica della beta-cellula agli acidi grassi saturi riduce la sintesi e la
secrezione di insulina e induce apoptosi. Inoltre, è noto che il GLP-1 e i suoi agonisti esercitano potenti effetti sulla sopravvivenza delle beta-cellule, tuttavia i meccanismi molecolari mediante i quali gli agonisti del GLP-1 proteggono le beta-cellule
dalla morte indotta dagli acidi grassi non erano stati chiariti.
1
Dipartimento dell’Emergenza
e dei Trapianti di Organi, Sezione di
Medicina Interna, Endocrinologia,
Andrologia e Malattie Metaboliche,
Università degli Studi di Bari
“Aldo Moro”, Bari; 2Istituto di
Ricerche Genetiche Gaetano
Salvatore, Biogem scarl, Ariano
Irpino (AV); 3Endocrinologia e
Metabolismo dei Trapianti,
AOU Pisana, Pisa
Diabetologia 2013;56:2456-66
Il problema affrontato riguarda il danno delle beta-cellule pancreatiche indotto dagli
acidi grassi, fenomeno definito “lipotossicità” e implicato nella patogenesi del diabete
mellito di tipo 2. In particolare, la ricerca ha studiato i meccanismi attraverso i quali
i farmaci incretino-mimetici, utilizzati nella terapia del diabete di tipo 2, prevengono
l’apoptosi delle beta-cellule pancreatiche indotta dagli acidi grassi liberi.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Sintesi dei risultati ottenuti
In beta-cellule pancreatiche, l’exendin-4, attraverso l’attivazione della proteina PKA,
previene gli effetti pro-apoptotici del palmitato riducendo l’espressione del GPR40,
un recettore degli acidi grassi, e inibendo l’attivazione delle chinasi MKK-4/-7 e la
successiva attivazione delle stress chinasi JNK e p38MAPK.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
Il nostro studio ha confermato gli effetti protettivi dell’exendin-4 dalla lipotossicità
sia in beta-cellule di ratto sia in isole pancreatiche murine e umane, delucidando i
meccanismi molecolari alla base di tali effetti.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
La validazione dei risultati ottenuti in altri sistemi cellulari, come il miocardio.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
I nostri risultati incoraggiano l’utilizzo dei farmaci incretino-mimetici nella prevenzione del danno beta-cellulare da lipotossicità.
La Ricerca in Italia
Effetto sulla pressione arteriosa
della somministrazione di
daglutril, un inibitore combinato
dell’enzima di conversione
dell’endotelina e
dell’endopeptidasi neutra, in
pazienti albuminurici con
diabete di tipo 2 arruolati in uno
studio randomizzato, in doppio
cieco controllato con placebo in
crossover
Parvanova A1, van der Meer IM1,2,
Iliev I1, Perna A1, Gaspari F1,
Trevisan R3, Bossi A4, Remuzzi G1,5,
Benigni A1, Ruggenenti P1,5
per conto di “Daglutril in Diabetic
Nephropathy Study Group”
91
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
In pazienti con diabete di tipo 2 con i trattamenti convenzionali è molto difficile ottenere una diminuzione di albuminuria e di pressione arteriosa, che rappresentano
i principali fattori di rischio per la progressione della nefropatia diabetica. Noi volevamo verificare se tale risultato poteva essere raggiunto con un approccio innovativo che prevedeva l’utilizzo di daglutril, un inibitore combinato dell’enzima di
conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra.
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Studi effettuati in pazienti in uno stadio avanzato della malattia renale diabetica hanno
mostrato che gli inibitori del sistema renina-angiotensina avevano un effetto protettivo limitato e che annualmente il 7-10% dei soggetti con nefropatia conclamata
progrediva verso l’insufficienza renale cronica. Inoltre, i pazienti potevano morire per
problemi cardiovascolari a causa di un inefficace controllo pressorio e per la persistenza di proteinuria, nonostante l’utilizzo anche intensificato di diversi farmaci ipertensivi in combinazione con inibitori del sistema renina-angiotensina.
IRCCS, Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri,
Centro di Ricerche Cliniche per le
Malattie Rare Aldo & Cele Daccò,
Bergamo; 2Dipartimento di
Medicina Interna, Divisione di
Nefrologia, Ospedale HAGA,
Den Haag; 3Unità di Diabetologia,
Azienda Ospedaliera Papa Giovanni
XXIII, Bergamo; 4Unità di
Diabetologia, Ospedale di Treviglio,
Treviglio; 5Unità di Nefrologia,
Azienda Ospedaliera Papa Giovanni
XXIII, Bergamo
Sintesi dei risultati ottenuti
Lancet Diabetes Endocrinol
2013;1:19-27
È necessario capire se nel lungo termine la riduzione della pressione mediante questo tipo di trattamento consente di avere una protezione efficace a livello renale e cardiaco. Bisogna inoltre verificare se il trattamento con daglutril a dosi più elevate di
quelle utilizzate nello studio riduce la proteinuria mantenendo lo stesso profilo di sicurezza e se l’effetto sulla pressione può essere ottenuto anche in pazienti non affetti da nefropatia diabetica.
1
In 45 pazienti trattati per 8 settimane con daglutril, losartan e altri farmaci ipertensivi si è avuta una diminuzione significativa della pressione arteriosa senza però avere
modifiche sostanziali di albuminuria e dell’emodinamica renale. Il trattamento studiato si è dimostrato essere ben tollerato e privo di effetti collaterali importanti.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
Per la prima volta in uno studio clinico randomizzato è stato dimostrato che è possibile ridurre la pressione arteriosa in modo efficace in pazienti con diabete di tipo 2
micro- o macroalbuminurici grazie all’inibizione combinata dell’enzima di conversione dell’endotelina e dell’endopeptidasi neutra.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Il rapporto rischio-beneficio del daglutril rispetto agli antagonisti recettoriali dell’endotelina suggerisce l’utilizzo di questa tipologia di farmaci per il trattamento dell’ipertensione
in soggetti ad alto rischio quali sono i pazienti con diabete di tipo 2 con albuminuria.
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
La variabilità dell’HbA1c è un
correlato indipendente della
nefropatia, ma non della
retinopatia in pazienti con diabete
di tipo 2: lo studio multicentrico
italiano Renal Insufficiency And
Cardiovascular Events (RIACE)
È stata esaminata l’associazione tra la variabilità dell’HbA1c tra una visita e l’altra e
le complicanze microvascolari nell’ampia coorte di soggetti con diabete di tipo 2
dello studio multicentrico italiano Renal Insufficiency And Cardiovascular Events
(RIACE) Italian Multicenter Study.
Penno G1, Solini A2, Bonora E3,
Fondelli C4, Orsi E5, Zerbini G6,
Morano S7, Cavalot F8, Lamacchia
O9, Laviola L10, Nicolucci A11,
Pugliese G12, per il gruppo di studio
Renal Insufficiency And
Cardiovascular Events (RIACE)
Studi precedenti hanno dimostrato un’influenza della variabilità dell’HbA1c, ma non
della variabilità glicemica (fluttuazioni della glicemia nell’arco della giornata), sulle
complicanze microvascolari del diabete di tipo 1 e, più di recente, di tipo 2. Tuttavia, questi studi hanno preso in considerazione la sola albuminuria quale indice di
nefropatia e, nel caso del diabete di tipo 2, hanno esaminato coorti di soggetti asiatici con ampia variabilità dell’HbA1c.
1
Sintesi dei risultati ottenuti
Dipartimento di Endocrinologia e
Metabolismo e 2 Dipartimento di
Medicina Interna, Università di Pisa,
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
La più alta prevalenza di microalbuminuria, macroalbuminuria, ridotto eGFR, fenotipi albuminurici di malattia renale cronica (CKD) e retinopatia avanzata sono stati
92
La Ricerca in Italia
Pisa; 3Divisione di Endocrinologia e
Malattie Metaboliche, Università di
Verona; 4Unità di Diabetologia,
Università di Siena, Siena; 5Unità di
Endocrinologia e Diabetologia,
Fondazione IRCCS “Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico”,
Milano; 6Unità di Complicanze del
Diabete, Divisione di Scienze
Metaboliche e Cardiovascolari, Istituto
Scientifico San Raffaele, Milano;
7
Dipartimento di Medicina Interna e
Specialità Mediche, Università
“Sapienza”, Roma; 8Unità di Medicina
Interna, Dipartimento di Scienze
Cliniche e Biologiche, Università di
Torino, Orbassano (TO); 9Unità di
Endocrinologia e Malattie
Metaboliche, Università di Foggia,
Foggia; 10Sezione di Medicina Interna,
Endocrinologia, Andrologia e Malattie
Metaboliche, Dipartimento di
Emergenza e Trapianti d’Organo,
Università di Bari, Bari; 11Dipartimento
di Farmacologia ed Epidemiologia
Clinica, Consorzio Mario Negri Sud,
S. Maria Imbaro (CH); 12Dipartimento
di Medicina Clinica e Molecolare,
Università “Sapienza”, Roma
osservati quando sia l’HbA1c media sia la variabilità dell’HbA1c erano sopra la mediana. Tuttavia, l’analisi di regressione logistica multipla ha dimostrato che entrambi
questi parametri sono correlati indipendentemente alla microalbuminuria e CKD di
stadio 1-2, ma solo la variabilità dell’HbA1c mostra un’associazione indipendente
con macroalbuminuria, ridotto eGFR e CKD di stadio 3-5. Al contrario, nessun parametro di HbA1c correlava con la CKD di stadio 3-5 non albuminurico e solo l’HbA1c
media si associava alla retinopatia.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
In pazienti con diabete di tipo 2, la variabilità del l’HbA1c correla con la CKD, soprattutto albuminurica, più che l’HbA1c media, mentre solo quest’ultima influenza la
retinopatia.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
La valutazione dell’impatto della variabilità dell’HbA1c sulla progressione delle complicanze microvascolari nel follow-up dello studio RIACE.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
È importante ridurre non solo l’HbA1c media, ma anche la variabilità dell’HbA1c al
fine di prevenire o ritardare le complicanze renali.
Diabetes Care 2013;36:2301-10
Autoanticorpi HLA-dipendenti
contro il collageno tipo II
soggetto a modifiche
post-traduzionali nel diabete
mellito di tipo 1
1,2
1
3
Strollo R , Rizzo P , Spoletini M ,
Landy R4, Napoli N2, Palermo A2,
Buzzetti R3, Pozzilli P2,5, Nissim A1
1
Bone & Joint Research Unit,
Queen Mary, University of London,
UK; 2Dipartimento di Endocrinologia
e Diabetologia, Università Campus
Bio-Medico di Roma; 3Dipartimento
di Medicina Interna e Specialità
Mediche, Università “Sapienza” di
Roma; 4Centre for Cancer
Prevention, Wolfson Institute of
Preventive Medicine, Queen Mary,
University of London, UK; 5Centre
for Diabetes, Queen Mary,
University of London, UK
Diabetologia 2013;56:563-72
A quale particolare problema si è rivolta la ricerca svolta?
Abbiamo studiato l’ipotesi che lo stress ossidativo indotto dall’iperglicemia possa indurre
modifiche post-traduzionali e formazione di neoantigeni nel diabete di tipo 1 (T1D).
Qual era lo stato delle conoscenze precedentemente al vostro lavoro?
Evidenze da altre malattie autoimmuni suggeriscono che le modifiche posttraduzionali degli antigeni self possono favorire lo sviluppo di autoimmunità. Per
esempio, il collageno tipo II (CII) si comporta da autoantigene nell’artrite reumatoide
(AR) quando sottoposto a modifiche ossidative. Il ruolo di tali modifiche nella genesi
dell’autoimmunità associata al T1D non è chiaro.
Sintesi dei risultati ottenuti
Elevati livelli di anticorpi anti-CII modificato dai radicali dell’ossigeno (ROS-CII ab)
sono frequenti nel T1D. La presenza di tali anticorpi è associata a un gruppo di alleli HLA-DRB1*04 con alta omologia strutturale, HLA shared epitope, conferenti suscettibilità genetica sia al T1D sia all’AR.
In che modo questi risultati hanno permesso di approfondire le conoscenze
riguardo al problema iniziale?
Sotto controllo genetico dell’HLA, iperglicemia e stress ossidativo possono indurre
neo-antigenicità contro antigeni self nel T1D. Questo è il primo studio che mostra la
presenza di anticorpi anti-CII nel T1D.
Quali sono le prospettive di ricerca ulteriore sull’argomento?
Lo studio delle modifiche post-traduzionali degli antigeni self nel T1D è un campo
di ricerca nuovo. Sarà utile valutare il ruolo di antigeni modificati come biomarcatori
per la diagnosi e/o la predizione del T1D.
Vi sono ricadute dei vostri risultati sulla pratica clinica quotidiana?
Anticorpi contro ROS-CII sono frequenti nel T1D, ma ulteriori studi sono necessari
per valutare il potenziale diagnostico o predittivo dei ROS-CII e di altri antigeni ROSmodificati nel T1D.