cinetica di trasformazione dell`austenite

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CINETICA DI TRASFORMAZIONE DELL’AUSTENITE
Influenza della velocità di raffreddamento
Il tempo gioca un ruolo importante nelle trasformazioni
che avvengono allo stato solido ad elevata e/o a bassa temperatura. Infatti la loro cinetica è assai più lenta di quella
delle trasformazioni allo stato gassoso o liquido.
Per esempio la decomposizione dell’austenite in ferrite e
cementite richiede un tempo talvolta sufficientemente lungo
per poterla evitare ad alta temperatura, sfruttando il fenomeno d’isteresi. Così se si raffredda con sufficiente rapidità, si può trasformare a bassa temperatura in strutture metastabili, assai diverse da quelle d’equilibrio ed addirittura
una nuova fase: la martensite. Tutto ciò conferisce agli acciai le più svariate caratteristiche meccaniche.
Velocità di raffreddamento sufficienti per ottenere la
trasformazione dell’austenite a temperature relativamente
basse si realizzano facilmente temprando i vari tipi
d’acciaio in acqua, in olio e talvolta in aria, dopo averli correttamente austenitizzati, cioè dopo avere riscaldato quelli
ipoeutettoidici a temperatura superiore ad Ac3 e quelli eutettoidici ed ipereutettoidica sopra Ac1 (vedi capitolo precedente).
Di seguito tratteremo delle microstrutture ottenibili nelle leghe Fe-C per trasformazione dell’austenite a temperature inferiori a quella d’equilibrio, cioè a 723 °C, limitatamente agli acciai.
Microstrutture ottenibili, secondo la velocità di raffreddamento
Per semplificare la trattazione, consideriamo un acciaio
eutettoidico, cioè contenente lo 0,8 % di carbonio, per il
quale i due punti critici A3 ed A1 coincidono.
Dopo austenitizzazione, a temperatura di 20÷50 °C superiore ad Acl, raffreddando molto lentamente quest’acciaio
(condizioni prossime a quelle d’equilibrio), alla temperatura Ar1 dovrebbero avvenire contemporaneamente i seguenti
fenomeni:
1. la diffusione del carbonio dall’austenite, con formazione di cementite, perché l’austenite deve trasformarsi in
ferrite e quest’ultima non può contenere carbonio che in
quantità trascurabile;
2. la trasformazione del ferro γ (cfc) in ferro α (ccc);
3. la coalescenza della cementite, tendente alla forma sferoidale.
Se il raffreddamento è molto lento, la trasformazione avverrà in condizioni di quasi equilibrio, per la mancanza di significativi fenomeni d’isteresi; Acl non sarà molto diverso
da Arl.
I tre fenomeni citati avverranno senza intoppi e la microstruttura finale dell’acciaio sarà perlitica globulare, cioè
una matrice ferritica con cementite, omogeneamente dispersa in globuli di discrete dimensioni (figura 3.32).
La trasformazione dell’austenite incomincia a temperatura sempre più bassa, con l’aumentare della velocità di raffreddamento, perché s’accentuano i fenomeni d’isteresi. La
differenza di temperatura tra Acl e Arl diventa importante.
Quando Ar1 scende tra 700 e 600 °C circa:
¾ la diffusione del carbonio è ancora elevata, ma diminuisce col diminuire della temperatura;
¾ la nucleazione dei cristalli di fase α è modesta, perchè è
piccolo il sottoraffreddamento da cui dipende. Perciò la
trasformazione γ ⇒ α è controllata dalla nucleazione ed
avviene lentamente;
¾ la coalescenza della cementite praticamente s’arresta,
perché resta significativa fino a temperatura 10÷15 °C
sotto A1. Dunque la cementite non coalesce e resta lamellare (figura 2.28).
Figura 3.32. Perlite globulare.
Verso i 600 °C, la diffusione del carbonio è minore di quella a 700 °C, pertanto le lamelle della perlite (cementite e
ferrite) che si forma a questa temperatura sono più fini, perché il carbonio percorre minor spazio a parità di tempo e
quindi ha minor probabilità di depositarsi ed ingrossare le
lamelle di cementite. Al diminuire della temperatura di trasformazione dell’austenite, ovvero con l’aumentare della
velocità di raffreddamento, la perlite s’affina progressivamente e la durezza dell’acciaio aumenta. Questo dipende
dalla dispersione della fase dura (cementite) nella fase tenera (ferrite), come usuale in tutti i sistemi eterogenei. Pensate, per esempio, ad un metro cubo di gelatina (fase tenera),
che contenga un mattone (fase dura). La resistenza
dell’insieme è ovviamente quella della gelatina, come potrete constatare penetrandola, nel caso assai probabile di
non intercettare il mattone. Se macinate il mattone e lo impastate con la gelatina, l’insieme cresce in durezza e resistenza tanto più fine è la macinatura, cioè la dispersione
della fase dura in quella tenera.
Quando le lamelle della perlite diventano così fini da esser
risolte al microscopio ottico solo con forte ingrandimento
(1000÷1500 volte), la perlite si definisce perlite compatta.
Quando Arl scende tra i 600 e 500 °C circa:
¾ la diffusione del carbonio diminuisce;
¾ la nucleazione cresce sensibilmente per l’incremento
del sottoraffreddamento;
¾ la trasformazione γ ⇒ α avviene rapidamente perché
sono ottimizzati entrambi i fenomeni che la governano:
la diffusione del carbonio e la nucleazione;
¾ ovviamente la coalescenza è nulla.
Le lamelle della perlite sono ormai così fini da non poter
esser risolte al microscopio ottico al massimo dell’ingrandimento possibile con luce bianca (1800 x). Per risolvere tale
struttura è necessario il microscopio elettronico a scansione
(SEM) o a trasmissione (TEM). La microstruttura perlitica,
irrisolvibile al microscopio ottico, assume talvolta l’aspetto
di rosette e si definisce Troostite (figura 3.33), in onore del
metallurgista Troost, contemporaneo di Austed, cui si deve
il primo studio del diagramma Fe-C. Oggi si preferisce definirla perlite irrisolta, perché si tratta comunque di una
struttura lamellare perlitica.
A circa 500 °C, le lamelle di cementite sono estremamente
fini e si dispongono disordinatamente, perdendo il caratteristico orientamento, proprio delle perliti lamellari. A tale
struttura si è dato il nome di perlite da patentamento, che
conferisce all’acciaio un’eccezionale duttilità, sebbene sia
alquanto dura.
In questo stato, un filo d’acciaio eutettoidico del diametro
di 12 mm può essere trafilato per passaggi successivi fino a
diametri dell’ordine di pochi decimi di millimetro, senza
necessità di ricotture intermedie. S’ottengono così i fili armonici d’eccezionale resistenza meccanica a trazione (Rm
≅ 3500 N/mm2).
Dalle prime placche di ferrite si propagano altre placche di
ferrite più fini, che danno un aspetto piumaceo alla microstruttura, tanto più fine quanto più bassa è la temperatura di
trasformazione nell’intervallo citato. L’aspetto piumaceo
della bainite superiore è ben rappresentato in figura 3.33.
Le bainiti superiori sono più dure delle perliti, ma più
fragili, perché possiedono una maggior dispersione della
cementite e grossolane placche di ferrite (fase debole), dove
la frattura può facilmente propagarsi.
Quando Ar1 scende tra i 350 e 220 °C circa:
¾ la diffusione del carbonio è quasi trascurabile, ma ancora esiste;
¾ il sottoraffreddamento è grandissimo e la tendenza alla
nucleazione è straordinariamente elevata;
¾ la trasformazione γ ⇒ α è controllata dalla diffusione
del carbonio e perciò è molto lenta.
Ai fenomeni già descritti per la trasformazione bainitica
superiore s’uniscono la precipitazione di carburi finissimi
nella ferrite e l’innesco contemporaneo della trasformazione γ ⇒ α in numerosissimi punti del grano austenitico (figura 3.35).
Placchetta di ferrite
sovrassatura di carbonio
Diffusione del C nell’austenite
Figura 3.33 Tipiche rosette scure di perlite irrisolta, detta Troostite, e struttura piumacea della bainite superiore.
Quando Ar1 scende tra i 500 e i 350 °C circa:
¾ la diffusione del carbonio è molto piccola;
¾ il sottoraffreddamento è molto grande e la tendenza alla
nucleazione è elevatissima;
¾ la trasformazione γ ⇒ α è controllata dalla diffusione
del carbonio e perciò rallenta di nuovo.
La struttura che s’ottiene è definita bainite superiore.
Il meccanismo di formazione della bainite superiore è assai
complesso. Inizia con la formazione di placche di ferrite
soprassatura di carbonio lungo piani preferenziali
dell’austenite. Poi il carbonio migra dalla ferrite
all’austenite, che subito separa particelle submicroscopiche
di cementite ai bordi delle placche di ferrite (figura 3.34)
Precipitazione di carburi
nella ferrite
Precipitazione di carburi dall’austenite
Bainite inferiore
Figura 3.35. Schema del meccanismo di formazione della Bainite
inferiore.
S’ottiene così una struttura eccezionalmente fine (figura
3.36), giustificata dalla ormai scarsissima mobilità degli
atomi e la quasi nulla diffusione del carbonio. Questa struttura, detta bainite inferiore, possiede la massima dispersione possibile della cementite nella ferrite ed è priva di
placche grossolane di ferrite. Ciò conferisce all’acciaio
un’elevata durezza abbinata ad un’eccezionale tenacità.
Placchetta di ferrite
sovrassatura di carbonio
Diffusione del C
nell’austenite
Precipitazione di carburi dall’austenite
Bainite superiore
Figura 3.34. Schema del meccanismo di formazione della Bainite
superiore.
Intuitivamente si può ipotizzare che non appena il carbonio diffonde e precipita sotto forma di cementite, la trasformazione γ ⇒ α s’inneschi in pochi punti del bordo del
grano austenitico e si propaghi, come una reazione a catena,
con formazione di grosse placche di ferrite, priva di carbonio, che attraversano l’intero grano, lungo piani preferenziali. Talvolta questa trasformazione si propaga anche nei
grani d’austenite adiacenti, dove favorisce la precipitazione
della cementite, momentaneamente bloccata dalla scarsa
diffusione del carbonio.
Figura 3.36. Bainite inferiore (placche scure).
Sotto i 200 °C la diffusione del carbonio s’annulla, perciò i cristalli d’austenite cfc non possono più trasformarsi in
ferrite ccc, separando cementite. Il carbonio resta intrappolato nel reticolo cristallino, che si trasforma in reticolo tetragonale, attraverso una rotazione a scatto di alcuni piani
atomici. Dunque si forma una nuova fase metastabile: la
martensite.
Il meccanismo proposto da Bain per la formazione della
martensite è rappresentato in figura 3.37.
Più recenti teorie suggeriscono che la martensite si formi
tramite l’inclinazione a scatti di un piano comune
dell’austenite e della martensite (figura 3.38).
Due sono i possibili meccanismi: lo scorrimento e la geminazione (figura 3.39).
l’acciaio al rinvenimento di distensione. Purtroppo talvolta si destabilizzano prima del trattamento termico e si
propagano all’intera sezione resistente dell’oggetto provocandone la frattura
La causa delle fratture catastrofiche di pezzi d’acciaio
con medio alto contenuto di carbonio, a piena tempra, dipende dallo stato tensionale e dalla concentrazione degli
sforzi all’apice delle microcricche della martensite tetragonale geminata. Se per qualsiasi ragione, la tensione
s’intensifica quanto basta per destabilizzare il difetto, esso
si propaga rapidissimamente all’intera sezione attraversandola con velocità simile a quella del suono nell’acciaio (circa 5000 m/s).
γ
α’
γ = reticolo cfc; α’ = reticolo tetragonale
Figura 3.37. Meccanismo di trasformazione del reticolo cfc
dell’austenite in reticolo tetragonale della martensite, secondo
Bain.
α’
Superficie
γ
Figura 3.40. Microcricche in placche di martensite tetragonale
geminata.
α’
γ
Piano abituale della martensite
Piano invariante dell’austenite
Figura 3.38. Meccanismo di formazione della martensite tramite
scorrimento a scatti di un piano comune dell’austenite e della
martensite.
Trazione
Trazione
m
ar
te
ns
ite
Austenite
Nella figura 3.41 è schematizzata la distribuzione delle linee di forza in un volume generico di un metallo soggetto a
trazione, in assenza e presenza di un difetto. Si osserva come le linee di forza si concentrino all’apice del difetto. Il
fattore di concentrazione degli sforzi Kt è proporzionale alla
metà della lunghezza del difetto (a/2) ed inversamente proporzionale al raggio r dell’apice del difetto, cioè:
Kt = a/2 r.
r
Difetto
Austenite
Scorrimento
a
Martensite
a bastoncelli
Kt = a / 2 r
Austenite
Geminazione
Martensite
Geminata
Figura 3.39. Meccanismi di formazione della martensite tramite
scorrimento (martensite a bastoncelli) o geminazione (martensite
geminata o aciculare).
Essi generano rispettivamente:
• la martensite a bastoncelli, tipica degli acciai con medio basso contenuto di carbonio, relativamente tenace,
per la modesta durezza e per il basso stato tensionale.
Essa può essere adatta per alcuni impieghi strutturali;
• la martensite geminata o aciculare, tipica degli acciai
con medio alto contenuto di carbonio e/o elementi interstiziali. È molto dura e particolarmente fragile, per le elevatissime tensioni interne, che possono generare scollamenti reticolari, cioè vere e proprie microcricche (figura 3.40), che scompaiono quando si sottopone
Difetto
a = lunghezza difetto
r = raggio dell’apice
Kt = fattore concentrazione di sforzi
Distribuzione linee di forza
in assenza di difetti
Distribuzione linee di forza
in presenza di un difetto
Figura 3.41. Schema delle linee di forza in assenza e presenza di
un difetto in un volume generico di un metallo soggetto a trazione.
Il raggio dell’apice di una cricca da tensione della martensite tetragonale è dell’ordine di una distanza atomica, cioè
straordinariamente piccolo (0,2÷0,5 nm). Se il difetto si
propaga, cresce la lunghezza a e di conseguenza aumenta
Kt. In queste condizioni incrementa la tensione all’apice del
difetto, che accelera la propria propagazione senza alcuna
possibilità d’arresto.
Perciò la martensite tetragonale geminata è assolutamente
inadatta per ogni impiego e deve essere necessariamente
sottoposta al rinvenimento di distensione, che pur mantenendo la durezza, ne modifica la struttura, abbatte le tensioni interne ed elimina tutte le microcricche interne.
Nella trasformazione dell’austenite, la temperatura alla
quale s’annulla la diffusione del carbonio si definisce Ms
(martensite start) e non più Ar1. Nelle strutture martensitiche le dislocazioni sono bloccate e ciò spiega la loro eccezionale durezza, che incrementa col contenuto di carbonio.
Va sottolineato che tutte le trasformazioni
dell’austenite, che avvengono con diffusione del carbonio,
possono progredire fino al completamento anche a temperatura costante (trasformazioni isoterme), mentre la trasformazione martensitica, che avviene a temperatura inferiore a Ms, si completa soltanto se la temperatura continua
a diminuire (trasformazione anisoterma) fino a raggiungere un ben definito valore, caratteristico d’ogni acciaio.
Questa temperatura è detta Mf (martensite finish).
Percentuale di martensite ottenuta
100
50
0
Ms
Temperatura
Mf
Figura 3.42. Andamento quantitativo della trasformazione martensitica nell’intervallo Ms - Mf.
La
trasformazione
dell’austenite
in
martensite
nell’intervallo Ms ⇒ Mf non è quantitativamente lineare,
ma tendenzialmente logaritmica (fig. 3.42).