GdP 2014-07-05 - Dhukarr, p. 14

Download Report

Transcript GdP 2014-07-05 - Dhukarr, p. 14

14 Cultura
museo delle culture
GIORNALEdelPOPOLO
SABATO 5 LUGLIO 2014
arte A
La collezione Knoblauch in mostra fino a gennaio
Sulle vie
della cultura
aborigena
Mostra
innovativa
per Klimt
di claudia mandelli
Due svizzeri emigrati in Australia hanno realizzato
un’ampia raccolta di pezzi contemporanei
(dall’85 ad oggi) creati dagli indigeni. Una proposta
soprendente per l’alta qualità artigianale e artistica.
di dalmazio ambrosioni
Si potrà dire tutto, ma non che il
Museo delle Culture a Lugano sia
noioso. Il primo elemento che ti accoglie, così anche questa volta, è la
sorpresa. Per solito nelle esposizioni
d’arte ci si muove secondo schemi
prestabiliti: autore, opere, periodo,
appartenenza ecc. Al Museo delle
Culture è sempre un salto nel vuoto, occorre il paracadute della curiosità, del desiderio di conoscenza,
di sguardo sul mondo, nel tempo e
nello spazio. Succede anche adesso
con l’esposizione Dhukarr. Arte aborigena contemporanea. La Collezione
Knoblauch. Intanto Dhukarr significa percorso, gli aborigeni sono gli indigeni dell’Australia, Beat e Andreas
Knoblauch sono svizzeri emigrati in
Australia dove hanno riunito un’ampia collezione di arte aborigena contemporanea (dall’85 ad oggi), che
riportano parzialmente in Svizzera
con il centinaio abbondante di pezzi
esposti a Villa Heleneum. Volete subito un giudizio? Alta qualità sia artigianale che artistica, legame diretto
con la tradizione, le ritualità, la cultura aborigena. Una proposta davvero sorprendente, dove il rischio è di
trovarsi spiazzati di fronte ad opere
contemporanee ma riferite ad una
cultura millenaria per lo più tramandata oralmente. Per cui non è fuori
luogo un consiglio: prima o dopo la
visita leggete Le vie dei canti di Bruce
Chatwin (Adelphi Edizioni), grandissimo scrittore, un libro dedicato al
popolo nomade per eccellenza, ossia
Mic Aruni
Illortaminni,
“Dugong Spirit
figure”,
© Mic Aruni
Illortaminni
A sinistra:
Jack Britten,
“Nyingul” (Bungle
Bungles), 1998.
© Jack Britten
Judith Donaldson, “Tjawarr”, 2005, Polimeri su tela. proprio gli aborigeni australiani. In
copertina, guarda caso, riporta un’opera di Clifford Possum Tjapaltjarri
(Possum Spirit Dreaming, 1980), uno
degli artisti di questa esposizione.
«La domanda cui cercherò di rispondere - scrisse Chatwin è la seguente:
perché gli uomini invece di stare fermi se ne vanno da un posto all’altro?».
Non credete sia una domanda quantomai attuale?
Percorsi integrati - Questa mostra, giustamente intitolata Percorsi,
dà una risposta per quanto parziale. Percorsi (o Spostamenti) perché
la mostra di questi artisti si muove
lungo le tracce lasciate sulla terra
dagli Antenati totemici. Percorsi di
collegamenti tra culture attraverso i
quali questo movimento artistico è
cresciuto. Percorso di vita degli artisti
stessi. Percorsi delle anime dei defunti, celebrate in rituali da cui alcune
opere prendono ispirazione. Percorsi mitologici che, intrecciandosi sul
territorio del continente australiano,
uniscono le comunità aborigene e
le distinguono dalle altre. Percorsi
seguiti dalle opere stesse dalle “botteghe” dove sono nate fino a gallerie
d’arte, musei o collezionisti come appunto i Knoblauch. L’esposizione si
compone di sculture in legno, fibra o
creta dipinte, di dipinti su tela anche
di grande formato e di opere grafiche: stampe, incisioni, serigrafie, disegni su carta. Sono rappresentative
delle principali aree di produzione
dell’arte aborigena contemporanea e
di diversi stili, per cui invitano ad un
percorso inusuale, ben ritmato dalle
opere presentate.
La mostra si colloca all’interno della collezione permanente del Museo,
in un’area ben delimitata, seguendo
una serie di itinerari tematici indicati
e spiegati secondo le aree di provenienza: opere della Terra di Arnheim,
un vasto territorio nel nord tropicale dell’Australia; opere del deserto
© Judith Donaldson
australiano; del Kimberly, nel nord
ovest del continente; delle isole Tiwi,
situate al largo dell’Australia settentrionale. Di zona in zona è possibile
cogliere stili distintivi, comunque
accumunati dal rapporto diretto
tra la tradizione millenaria e la sua
interpretazione attraverso letture
contemporanee, con un’attenzione
particolare ai racconti della tradizione orale, come ben si capisce consultando l’ampio catalogo e di nuovo
leggendo Chatwin.
Sinergia pubblico-privato - La
presentazione della mostra è servita
alla municipale Giovanna Masoni
per dire o ribadire alcune cose riguardo all’attualità e alle prospettive
espositive. Intanto, rifacendosi al titolo della mostra, ha indicato anche
la città di Lugano, anche ma non solo
per la situazione finanziaria, si trova
nel mezzo di un percorso di trasformazione, che tien conto di contingenze, difficoltà, opportunità. In particolare si va verso la formulazione di
entità miste, pubblico e privato (nel
caso di questa mostra, decisivo è il sostegno di Fidinam), senza le quali sarebbe impossibile mantenere quantità e qualità come esempio ha indicato
il settore musicale, dove Lugano
Festival è sostenuto già per tre quarti dai privati. Per quanto riguarda il
Museo delle Culture ha evidenziato il
lavoro di contatti con istituzioni analoghe, di ricerca, studio e approfondimento posto in atto, formando anche
una serie di esperti che oggi operano
e dialogano a livello internazionale.
Lugano, Museo delle Culture, Villa
Heleneum (via Cortivo 26): “Dhukarr.
Arte aborigena contemporanea. La
Collezione Knoblauch”. Inaugurazione oggi, sabato, ore 16. Fino al 6
gennaio 2015, ma-do 10-18. Ogni
prima domenica del mese entrata
libera.
«Mostra innovativa», sottolinea il curatore
Alfred Weidinger, vicedirettore del Museo
prestatore il Belvedere di Vienna - catalogo
Sole 24Ore Cultura - che consente un
percorso attraverso tutte le fasi di una vita
impegnata dall’arte. Momento nodale,
all’aprirsi del Novecento, Il fregio di Beethoven,
1902, l’opera più complessa di Klimt (18621918), all’interno del Palazzo della Secessione
di Olbrich, ricostruito in mostra, viaggio
ideale dove allegoricamente si afferma
la vittoria del Bene sul Male, delle forze
benefiche della poesia, della musica, dell’arte
sulla guerra, il vizio, la decadenza fisica
e morale. Dalle pareti candide emergono
figure di sogno o di incubo racchiuse entro
linee fluide o spigolose, impreziosite dall’uso
dell’oro, di gemme, di tasselli di colori puri di
forma geometrica che nel particolare rivelano
quella ricchezza decorativa già presente nei
mosaici di S.Marco a Venezia e di Ravenna.
La natura inquieta e il talento di Klimt fotografia di anonimo,1887 - emergono
sin dalle prime opere di grande sensibilità
per gli effetti luministici e della forma,
Testa d’uomo, 1879, Ritratto di bambina,
1880, Pauline Floege, 1885. All’ interno del
dominante storicismo di fine secolo opera
la Compagnia delle Arti da lui fondata nel
1881, insieme a F. Matsch e al fratello Ernst,
con l’obiettivo di decorare i palazzi pubblici
affacciati sulla Ringstrasse. Realizzazioni
precedute da studi e bozzetti - interessante
lo studio di Spettatore con gorgiera, 1887 dove confluiscono suggestioni di vario tipo,
accademiche, rinascimentali, barocche,
antiche, mediate dall’attività paterna di orafo
incisore e dalla frequentazione della scuola di
Arti e Mestieri (1876–1881). All’interrompersi
del sodalizio in seguito alla morte del padre e
del fratello Ernst, Klimt attraversa un periodo
di crisi e di scarsa produzione, impegnato
nella ricerca di un nuovo rigore compositivo:
Ritratto femminile, 1894. Ottenuta la
commissione dei dipinti, oggi perduti, per
il soffitto dell’Aula Magna dell’Università,
Filosofia, Medicina e Giurisprudenza, e
sollecitato dall’attualità dei temi, consapevole
dei segnali di crisi di fine ‘800, ricorrenti nelle
opere di Freud, Nietsche, Rodin, Toorop,
F.Khnopff, Klimt approfondisce lo studio dei
corpi fluttuanti e variamente aggregantisi
suscitando scandalo e infine il ritiro delle
opere (1905). In questa pittura fluida e
atmosferica - Acqua in movimento, 1898,
Fuochi fatui, 1903 - e nei ritratti, la luce fissa
le parti significative, facendole emergere
dall’ombra. Le figure femminili interpretate
con molteplici significati simbolici, Giuditta
II, 1909, assumono valore iconico (periodo
aureo 1902-1909), fino alla violenta cesura
qui rappresentata da Madre con due bambini,
1909-10, dove i volti illuminati spiccano
sulla massa nera, con effetto riconducibile
all’espressionismo di Schiele e Kokoschka.
«Qualcosa di mistico… si potrebbe dire di
cosmico…» osservava il critico L.Hevesi, nel
fitto mosaico di foglie che diventa struttura
autonoma, Il girasole, 1909, come nei
paesaggi, colti dal vero, «elevati al proprio
vertice romantico» (P.Altenberg).
Milano, Palazzo Reale, fino al 13 luglio.
grandeschermo
di marco zucchi
legenda
ESALTANTE E FUMETTISTICA,
LA FANTASCIENZA SPAZZA VIA
UNA COMICITÀ “DA FORMAT”
Snowpiercer
★★★★
Regia di Bon Joon-ho, con Chris
Evans, Hang-ho Song, Ed Harris,
John Hurt, Tilda Swinton, Jemie Bell
(Corea del sud, USA, Francia 2013)
Il regista è un campione di quel cinema asiatico che riesce ad unire accuratezza autoriale ed intrattenimento
di massa: il suo “The Host”, la storia
di un mostro marino presentata tra
lo scetticismo a Cannes nel 2006,
rappresenta tuttora il maggiore incasso nella storia del cinema coreano. E, in quanto a cromosomi “cult”,
“Snowpiercer” non è da meno. Una
nuova glaciazione ha reso invivibi-
Milano
le il pianeta. Gli unici sopravvissuti
lo percorrono incessantemente in
un continuo loop a bordo di un treno rompighiaccio ipertecnologico.
L’ha creato una sorta di magnate illuminato che si dà arie semidivine
(l’interpretazione di Ed Harris rende
gustosamente citazionistico il riferimento a “The Truman Show”). Sul
treno la separazione tra classi sociali
viene esasperata.
Più si va verso la testa del convoglio,
più i vagoni diventano culle del sapere e arche di conservazione della
specie. Verso la coda invece stanno
i diseredati, i derelitti, crudelmente
emarginati e vessati dai detentori del
potere. Il tutto vissuto a velocità e
ritmi cinematografici folli, perché il
★
è meglio lasciar perdere
★★
si può vedere
★★★
ci siamo
★★★★ da non perdere
★★★★★ capolavoro
treno è in perpetuo movimento. Violento, fumettistico, metaforico come
la migliore fantascienza distopica,
questo film dimostra che se gli sceneggiatori hollywoodiani evidenziano stanchezza di idee, a portare linfa
creativa fresca può arrivare gente da
fuori, come è accaduto fin dagli albori del cinema con i vari Hitchcock,
Lubitsch, Fritz Lang, ecc.
Un fidanzato per mia moglie
★★
Regia di Davide Marengo, con Paolo
Kessisoglu, Luca Bizzarri, Geppi Cucciari, Dino Abbrescia (Italia 2014)
Remake della commedia argentina di
successo “Un novio para mi mujer”
(2008), mette in scena dinamiche de-
Sul treno,
la separazione
tra classi sociali
viene
esasperata.
Verso la coda
stanno
i diseredati,
i derelitti,
crudelmente
emarginati
e vessati
dai detentori
del potere.
“Snowpiercer”
si presenta così:
fumettistico
e metaforico,
come la migliore
fantascienza
distopica.
gne di una versione 2.0 di “Divorzio
all’italiana” (1962), ma è totalmente
privo della forza icastica e di critica
sociale del film di Germi. La deejay cagliaritana Camilla (Geppi Cucciari, comica un po’ soppravvalutata) arriva a
Milano per amore, ma si ritrova sradicata e vittima delle sue frustrazioni.
Il marito ben presto non la sopporta
più. Il movente per separarsi, senza
arrivare al vertice melodrammatico
del delitto d’onore di Mastroianni, è
rappresentato da una specie di Don
Giovanni ingaggiato da lui per sedurre
lei. Con equivoci carpiati al seguito.
Luca e Paolo avevano spiccato il volo
con i ritmi rapidi e taglienti del televisivo “Camera Café”. Ora hanno assunto un allure da Gigi e Andrea del
terzo millennio. Fanno sorridere, ma
non compensano la sensazione di prodotto preconfezionato che aleggia sul
film, figlio di una mentalità “da format” che lo indebolisce.