Edifici di culto e loro destinazione di Corrado Sforza

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Edifici di culto e loro destinazione
di Corrado Sforza Fogliani*
L’art. 831 del Codice Civile (“Beni degli enti ecclesiastici ed edifici di culto”) stabilisce, al suo secondo
comma, che “Gli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a
privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a
che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano”.
Al proposito, si fa riferimento ai canoni 1212 e 1222 del Codice di diritto canonico. Il primo, stabilisce:
“I luoghi sacri perdono la dedicazione o la benedizione se sono stati distrutti in gran parte oppure destinati permanentemente a usi profani, con decreto del competente Ordinario o di fatto”. Il secondo
canone richiamato, dal canto suo, stabilisce: “Se una chiesa non può in alcun modo essere adibita al
culto divino, nè è possibile restaurarla, il Vescovo diocesano può ridurla a uso profano non indecoroso (primo comma). Quando altre gravi ragioni suggeriscono che una chiesa non sia più adibita al culto divino, il Vescovo diocesano, udito il consiglio presbiteriale, può ridurla a uso profano non indecoroso, con il consenso di quanti rivendicano legittimamente diritti su di essa e purché non ne patisca
alcun danno il bene delle anime” (secondo comma).
La normativa di cui abbiamo fatto cenno serve, se conosciuta, a superare molte perplessità ed imprecisioni. E serve, soprattutto, a tenere comportamenti conformi alla legge, sempre più spesso non
rispettati (mentre corrisponde invece al comune sentire ed ai nostri tradizionali criteri di rispettoso ossequio alla religione).
*presidente Confedilizia
inserito in data 15.9.2014
www.confedilizia.it