IL LABORATORIO - Collegio dei Maestri Venerabili della Toscana

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IL LABORATORIO
RIVISTA DI STUDI MASSONICI ED ESOTERICI
Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Toscana
2014 n. 1-2
1
Grande Oriente d’Italia
Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili della Toscana
Borgo degli Albizi 18 — 50122 Firenze — Tel. 055 2340543 — 055 2340544 — Fax 055 2341233
IL LABORATORIO
Direttore:
Francesco Borgognoni,
Presidente del Collegio dei Maestri Venerabili della Toscana
[email protected]
Direttore Responsabile: Leopoldo Gori
Direttore Scientifico:
Mariano L. Bianca
[email protected]
Organizzazione:
Enzo Heffler, Maurizia Trapuzzano
Redazione:
Commissione Cultura Collegio Toscano
IL LABORATORIO è consultabile on line sul Sito e sulle News del Collegio Toscano
ISSN 1128-3599
Rivista fondata da Blasco Mucci
Registrazione del Tribunale di Firenze n. 4229 dell’8 giugno 1992.
Realizzazione editoriale e stampa: Copisteria Turri, Via dei Turri 68H, 50018 Scandicci (FI),
tel.-fax 055 2577654, e-mail: [email protected]
La Direzione si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per le immagini e/o parti di testo coperti da
copyright di cui non sia stato possibile reperire la fonte, mentre per le opinioni espresse negli articoli firmati declina
ogni responsabilità che è solo dei singoli autori.
2
INDICE
Editoriale - Francesco Borgognoni
p.
5
Il Laboratorio della libera-muratoria toscana - Stefano Bisi
p.
6
I Poteri delle Chiavi - Mariano Bianca
p.
7
I Misteri Eleusini - Giovanni Corbo
p.
22
La Stella Fiammeggiante - Luca Scarpelli
p.
32
Il Laboratorio dell’Alchimista - Patrizio Comparini
p.
36
Palazzo Pazzi sede massonica nella Firenze capitale (1865-1871) Guglielmo Adilardi
p.
47
Storia delle Logge Toscane - La Loggia Albero Mario di San Sepolcro Francesco Polverini
p.
55
Massoni toscani - Antonio Meucci- Luciano Rossi
p.
60
Galateo Massonico - Paolo Nardi
p.
63
Documenti e testi antichi - Cristiano Bartolena
p.
67
Elettrometria Animale e Massoneria - Daniele Talozzi
p.
69
Recensioni e segnalazioni bibliografiche
p.
75
3
4
Editoriale
Un punto di equilibrio
Francesco Borgognoni
Presidente del Collegio Circoscrizionale dei MM. VV. della Toscana
Tremila fratelli e più, centosedici Logge e la prospettiva di poterne contare centoventi entro l’anno. Ecco i numeri della Massoneria del Grande
Oriente d’Italia in Toscana. Numeri che si devono
articolare nella attività di trentasei Orienti distribuiti, nella vastità della nostra Regione, su un
posizionamento altissimo di Case Massoniche per
i due terzi di proprietà.
Una realtà associativa imponente, fortemente radicata sul territorio e ramificata dentro un sistema
di relazioni umane caratterizzate da comportamenti
affatto speciali e improntati al rispetto dei principi
che sostanziano quel liberalismo laico, libertario e
antidogmatico che costituisce il tessuto connettivo
della nostra Comunità.
Un mondo complesso e articolato, erede della grande tradizione dell’associativismo toscano che ha
fatto la storia della evoluzione economica e civile
della società toscana. Un mondo che è sempre
progredito lungo un binario dove si fronteggiavano,
alla giusta distanza e senza alcuna possibilità di
separarsi, due tendenze complementari. Esse erano caratterizzate dalla giusta presenza e rappresentazione dei fratelli nella società civile, che si
determinava come logica conseguenza di un percorso di affinamento e miglioramento del sé dell
‘individuo. Un cammino di impegno, di lavoro e di
confronto con la diversità che costituisce il centro
di equilibrio dei lavori nelle Logge. ‘E proprio in
questa congiuntura economica , segnata da una
crisi devastante .- certamente la più grave per l’Italia dalla fine della seconda guerra mondiale- e che
aggredisce il corpo sociale della massoneria toscana, che occorre non perdere la lucidità e ritrovare un punto di equilibrio tra operatività e speculazione. Un punto di equilibrio “alto”, o meglio “ più
alto” di quello da cui siamo partiti, perché più aspre
sono le sfide che la vita ci propone.
In questo quadro una fase di valorizzazione ulte-
riore delle nostre tradizioni appare auspicabile.
Abbiamo necessità di trarre linfa dalle nostre radici per meglio protenderci verso il cielo. E per fare
questo abbiamo necessità di ripartire dalla Loggia
e dal lavoro dei maestri, nella cui specificità risiede tanta di quella qualità, nei comportamenti e negli approcci, di cui abbiamo bisogno. Non c’è niente
da inventare. Si tratta di far atterrare nella
contemporaneità la nostra tradizione, interpretandola anche come uso e costume, finalità e comportamento. Un modello di riferimento che prevede al suo centro la regola di un’arte, che ci dia
tanto la misura dell’operare tra i profani, quanto la
ricerca della qualità tra gli iniziati, senza scimmiottare le accademie dei dotti. Lontani dagli esegeti
del sapere saputo.
In questa dimensione dell’attività del Collegio Circoscrizionale andiamo a ritrovare Il Laboratorio.
La nostra rivista di studi massonici dovrà essere
espressione tangibile di quell’equilibrio di cui abbiamo bisogno. Un equilibrio tra ricerca della qualità e volontà di essere compresi,che vede il suo
punto di caduta nella capacità di rendersi funzionale alla Loggia ed alle sue esigenze di programmazione e di lavoro. Il Laboratorio, quindi, si propone come uno strumento di lavoro; utile per i
Maestri Venerabili, nella progettazione dell’attività e necessario per meglio definire la rappresentazione esterna del nostro operare.
La Toscana dei liberi muratori sarà la protagonista
di questa avventura editoriale. Essa si esprimerà
mediante gli articoli dei fratelli affiliati alle Logge
all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia, che
costituiranno la quasi totalità dei contributi utilizzati nella redazione della rivista. Nessun fratello deve
sentirsi escluso . La redazione de Il Laboratorio
sarà sempre un’area dove si potrà liberamente
parcheggiare le proprie idee e lavorare alla gloria
del Grande Architetto dell’Universo.
5
Il Laboratorio della
libera-muratoria toscana
Una pubblicazione rappresenta sempre una dimensione progettuale. E in questo senso non possiamo che rallegrarci per questa “uscita“ de Il Laboratorio, la storica rivista dei massoni all'obbedienza del Grande Oriente d'Italia in Toscana, fondata dal mai dimenticato fratello Blasco Mucci.
Una pubblicazione, nella quale convergono le sintesi e le elaborazioni di coloro che, dentro le
Logge della nostra regione ed immediatamente intorno a queste, concorrono a segnare quella
strada verso il miglioramento del Sè, che è lo scopo del nostro comune lavoro. Migliorare se
stessi per provare a migliorare gli altri e consegnarsi alla società civile con attitudine partecipativa
e solidale.
Una pubblicazione che ho avuto l'onore di dirigere durante gli anni della mia Presidenza del
Collegio, come altri prima di me hanno fatto, e che ora esce sotto la direzione della nuova
presidenza eletta il 4 ottobre scorso. A Francesco Borgognoni, Presidente del Collegio Circoscrizionale dei MM VV della Toscana, va il mio augurio di buon lavoro. A tutti i fratelli il mio
ringraziamento più sentito per gli anni trascorsi inseme.
Stefano Bisi
Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia
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I Poteri delle Chiavi
Mariano L. Bianca
L’espressione Potere delle Chiavi si trova,
in forme diverse e simboliche, in molti testi
esoterici (ermetici e gnostici, per esempio) e
in testi sacri come Il Nuovo Testamento e Il
Corano. Il Potere delle Chiavi è concepito
come un potere fondamentale per intraprendere un cammino sacro-religioso o iniziatico
e quindi per raggiungere la Gerusalemme
Celeste quale simbolo di ciò che è oltre la
condizione attuale o quella terrena.
La Chiave è lo strumento per accedere a qualcosa che non si conosce, ma che si può raggiungere “cercando e trovando” la giusta Chiave per rischiarare il cammino e per aprire le
innumerevoli Porte che si presentano, da aprire o da chiudere, e che sfidano a superarle.
Nella corrente esoterico-iniziatica che parte
dall’antichità e arriva sino a oggi, in molti suoi
aspetti fondativi inalterata, il Viaggio parte
sempre da una condizione di oscurità, di buio,
di ignoranza che si manifesta in una precipitosa discesa negli Inferi, nel mondo Ctonio e
da qui riprendere la salita verso il Colle, il
Calvario, il plenum della conoscenza con la
perdita della dimensione illusoria. Non si
sa perché si sia caduti né si conoscono i sentieri che si devono intraprendere. In molti casi
è qualcosa di inaspettato che genera l’inizio
(se si vuole è un Avvento), qualcosa che colpisce, ‘stupisce’ che sorprende e trascina lontano dal mondo sensibile verso un mondo ignoto: come è accaduto ad Alice che, dopo una
profonda caduta entro la terra, si trovò nel
Paese delle Meraviglie.
Alice era tranquillamente seduta su un prato
quando “un Coniglio tutto bianco, con due occhietti rosa, la sfiorò quasi, passando di corsa… spinta dalla curiosità [la vista di quel
coniglio con un orologio]…si slanciò dietro di
lui” ed entrò nella tana del Coniglio “che si
prolungava, per un certo tratto, come una galleria, indi si sprofondava repentinamente”.
Alice sprofondò a lungo in questo “pozzo” sin
tanto che si trovò in una specie di “vestibolo,
rischiarato da una fila di lampade sospese al
soffitto. Vi erano parecchie porte all’ingiro,
ma tutte erano chiuse a chiave” ed ella non
sapeva uscire “dal quel labirinto”.
Alice aveva iniziato il cammino e non poteva
far altro che continuare: “A un tratto, scorse
una piccola chiave d’oro, posata sopra un tavolino a tre gambe, fatto tutto di cristallo, e il suo
cuore sussultò di speranza. Ma ahimè! la bella
chiavetta non apriva alcuna di quelle porte. Tuttavia, nel fare una seconda volta il giro del vestibolo, i suoi occhi caddero sopra una piccola
cortina rossa, dietro alla quale si nascondeva
una porticina alta due palmi circa. Provò subito ad introdurre nella toppa la piccola chiave dorata e, con sua grande gioia, la porticina
si aperse. Questa metteva in uno stretto corridoio, non più grande di una topaia. Alice si
curvò e potè scorgere, all’altra estremità, un
bellissimo giardino, il più delizioso giardino che
avesse visto in vita sua!”
La porta era troppo piccola per Alice, ma un’altra ‘chiave simbolica’ venne in suo soccorso,
una piccola bottiglietta, con scritto ‘bevimi’, che
ridusse le sue dimensioni e le permise più tardi
di superare la porta e così raggiungere il giardino e da lì imbattersi in tutte quelle altre sorprese
che trovò nel Paese delle Meraviglie.
Lewis Carroll (reverendo C.L.Dogson, “matematico insigne”) in queste poche parole ha
enucleato non tutto il Potere delle Chiavi, ma
uno dei suoi significati fondamentali all’interno
di un percorso esoterico-iniziatico che prende
l’avvio da un fatto ‘straordinario’ e da una ca7
duta nel basso, entro la Terra, intesa come mondo interiore, come mondo ctonio (sotterraneo) e
in senso più ampio come ciò che è nascosto in
ogni cosa.
Le Chiavi sono lo strumento per aprire e il loro
possesso dona un potere che non è solo quello di
aprire, ma anche di chiudere e di compiere molte altre azioni che senza di esse non sarebbe
possibile eseguire. Quali sono questi poteri che
le chiavi possiedono e come si raggiungono? In
quale modo è possibile trovare le chiavi, come si
fa a sapere come adoperarle e per quale porta
si devono usare? La risposta a queste domande
risiede nella conoscenza dei ‘misteri’, la gnosi, e
l’acquisizione dei ‘rituali’ che sono il fondamento di ogni via iniziatica. Prima di rispondere a
queste domande si deve capire cos’è una chiave e cosa sono le toppe, le serrature e le porte
correlate a essa.
La porta, la toppa/serratura, la chiave
Quando si pensa a una chiave di solito ci si immagina un oggetto, in genere di metallo, che
ha una certa forma e che serve per aprire una
porta che permette di accedere a uno spazio, a
una stanza o a qualche altro luogo che possiede
una parte interna come uno scrigno, un ‘forziere’
o una cassaforte’; un luogo, come una stanza, o
uno spazio che contiene qualcosa che si può
conoscere o non conoscere ma che s’intende
raggiungere o possedere. Si pensa solo allo ‘strumento’, la chiave, senza rendersi conto che esso
sussiste unicamente perché c’è una toppa/serratura nella quale può essere introdotto e ci sono
porte (o coperchi, ecc.) che si possono aprire o
chiudere. La ragione d’essere delle chiavi non
si trova in se stesse, ma nella loro relazione con
le relative toppe/serrature e porte cui esse si
possono applicare. È solo perché ci sono porte
che si possono avere chiavi, ma anche perché
ci sono toppe/serrature nelle porte che si possono avere chiavi e qui risiede il significato delle
chiavi relative a porte e toppe/serrature. Si deve
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iniziare dall’esistenza delle porte per cogliere il
significato della ricerca delle chiavi e del loro
significato e uso. Perciò, contrariamente al modo
di procedere di molti studiosi del simbolismo delle
chiavi, ci soffermiamo innanzi tutto sul significato e sul perché dell’esistenza delle porte. Ci
si chiede: esistono veramente le porte o sono
solo un modo di considerare le cose del mondo
interiore e di ogni altro mondo?
Che cosa è una porta e come si può intendere
in senso filosofico, esistenziale ed esoterico?
Si pensi alla porta degli Inferi, alla porta del
Cielo, alla porta del Mondo dei Morti o dell’Oltretomba (di cui nella cultura egizia era Osiride
il dio e Anubi il Custode), alla Porta di accesso
ai Luoghi Sacri e alla porta dei Templi massonici,
custodita dalle due Colonne Jakin e Boaz; ci si
riferisce, altresì, alla porta delle proprie dimore
materiali o a quella del proprio mondo interiore
inaccessibile allo sguardo degli estranei.
In tutti questi casi la porta racchiude e preserva un luogo o uno spazio fisico o non
fisico che contiene qualcosa di rilevante,
segna un limite, separa e distingue qualcosa
da qualcosa d’altro che non gli appartiene,
è un ostacolo per accedere a qualcosa o a
un luogo e indica un divieto di accesso e al
contempo la possibilità di entrare e di uscire; essa indica anche una condizione di cambiamento.
Nella vita quotidiana le porte di cui ci serviamo
sono quelle materiali che racchiudono i nostri
spazi vitali, come la casa, e in senso non materiale sono, da un lato, tutto ciò che infrapponiamo
tra noi, gli altri e il mondo in modo da preservare
la nostra interiorità da sguardi indiscreti e così
racchiudere ciò che riteniamo essere proprio
della nostra sfera interiore (anche i nostri abiti
servono a questo scopo); e, dall’altro, sono le
prove che poniamo e che intendiamo superare
per raggiungere determinati obiettivi.
In senso esoterico-iniziatico, invece, come si
vedrà, le porte sono quelle che pone l’iniziato o
che ritrova nel suo cammino e indicano lo stato
in cui si è e la possibilità di superare la condizio-
ne attuale e aprendole si può entrare in sempre
nuovi giardini dell’essere in cui tutto è interamente diverso e nuovo: sono queste le porte che
si ricercano e più se ne trovano più ci si allontana da quello che si è hic et nuc per proiettarsi
altrove e in un altrove che non si conosce ancora: anche in questo caso le porte sono prove
che l’iniziato pone e intende superare.
Sia nel senso esistenziale sia in quello esotericoiniziatico le porte veicolano quei significati che
sono stati indicati e sui quali ci si soffermerà
ancora nel seguito. Le porte, innanzitutto, sono
ciò che permette di racchiudere e preservare
un luogo o uno spazio fisico o non fisico
che contiene qualcosa di rilevante. Se non ci
fosse alcunché di rilevante e se ogni cosa avesse lo stesso valore o ruolo, allora non ci sarebbe
alcuna necessità di porte che preservino spazi o
luoghi fisici e non fisici (si pensi, per esempio
alle porte del Tempio Massonico che preservano i valori sacrali della ritualità esoterica). Al
contrario, proprio perché ci sono ‘cose’ rilevanti e altre meno rilevanti o addirittura insignificanti, sono necessarie porte per preservare qualcosa di rilevante che è contenuto in un luogo;
anche in senso strettamente biologico si trovano sbarramenti e porte come, per esempio, il
guscio dell’uovo che mantiene la vita o la scorza degli alberi che preserva la parte interiore
che contiene la ‘linfa vitale’. Ciò accade nella
vita umana individuale e sociale in cui le porte
sono necessarie per preservare in uno spazio
ciò che è rilevante, come la vita di una città e
per questo, materialmente e simbolicamente, le
città nell’antichità possedevano grandi porte che
impedivano l’accesso ma al medesimo tempo
se aperte lo permettevano. Lo stesso vale in
ambito esoterico ed è per tale motivo che le porte
dei Templi massonici devono possedere anche
porte materiali nonché simboliche per tenere
preservata la Massoneria dagli sguardi e dalle
interferenze negative del mondo profano: solo
coloro che possiedono la chiave, segni o parole, possono accedervi e gli altri devono restare al di fuori e sarebbe dannoso se tali por-
te non ci fossero e tutti potessero entrare e
uscire dai Templi.
Come accade in natura, anche gli uomini in modo
analogo edificano porte per racchiudere e preservare ciò che si stima rilevante, o meglio, ciò
che è più rilevante per la propria esistenza e
così permettere l’accesso solo a chi si ritiene
degno di potervi accedere (in particolare, con
riferimento al proprio mondo interiore).
Se ciò vale per il mondo terreno vale ancora di
più per il mondo non terreno o non fisico, per
questo non solo la Gerusalemme Terrena è racchiusa da porte (si ricordino le porte della antica
città di Gerusalemme), ma anche la
Gerusalemme Celeste possiede le porte di accesso le cui chiavi per chiudere o aprire nella
tradizione cristiana sono state consegnate da
Cristo a S. Pietro che in tutte le raffigurazioni
tiene in mano le chiavi della Città celeste: “A te
darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che
legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto
ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”
(Mt. 16,18); come si vedrà, il Potere delle Chiavi non è solo quello di aprire/chiudere ma anche
quello di legare/slegare.
La porta, quindi, segna un limite e, in particolare, il limite tra ciò che sta dentro e ciò che sta
fuori: le porte dei Templi, incluso quello
massonico, separano il mondo sacro da quello
profano; ogni recinto sacro è un limite tra questi due mondi e solo coloro che possiedono la
chiave, o il potere delle chiavi, possono non solo
accedervi, ma anche uscire senza alcuna difficoltà e danno o anche permettere ad altri di accedere; in senso esoterico il significato delle
porte non è solo quello di accedere a qualche
luogo ma anche quello di poterne uscire. Le
Costituzioni di Anderson sono simbolicamente
le porte di accesso alla Massoneria.
Un altro significato della nozione di porta è quello
correlato di separazione e di distinzione. La porta
non è solo ciò che separa, ma distingue ciò che
sta dentro e ciò che sta fuori e tale distinzione è
indicata dalla chiave di accesso e dalla sua forma perché è su di essa che ciò che sta dentro è
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inteso come ‘diverso’ da ciò che sta fuori: se si
sa solo separare si è certamente lontani da ogni
conoscenza e si resta entro ciò che appare,
mentre se si sanno formulare le opportune distinzioni allora ci si accorge delle differenze ed
è così che si acquisisce la conoscenza; ogni profano, per esempio, entrando in un Tempio
Massonico (in un momento in cui non si stanno
svolgendo i riti) potrebbe essere in grado di separare il mondo esterno da questo ‘luogo’, potrebbe anche indicare qualche distinzione tra gli
oggetti che sono presenti, ma non conoscendo misteri e simboli non sarebbe in grado di
distinguere la natura di questo tempio da qualsiasi altro tempio o luogo, anche se potrebbe
riscontrare in esso oggetti conosciuti come
candelabri e altri strumenti come squadra,
cazzuola o compasso.
La porta, inoltre, assume il significato di ostacolo: la porta è un ostacolo per proseguire un
qualsiasi cammino, se è aperta e ancor più se è
chiusa. Quando si pensa alle porte, quindi, si deve
pensare a ostacoli che si frappongono e solo
così ci si colloca nella dimensione del cercare le
chiavi per poterle aprire o chiudere in modo da
passare oltre. Senza questa comprensione sarà
difficile prepararsi a tale ricerca che è la prima
che si deve svolgere; non si possono ricercare
chiavi di porte di cui non si sa nulla della loro
esistenza, né ci si può preparare a superare
un ostacolo se non si conosce di quale ostacolo si tratta: la chiave è la preparazione necessaria per affrontare gli ostacoli, cioè avvicinarsi alle porte e se sono chiuse provare ad
aprirle e se sono aperte sapere quando è opportuno chiuderle.
Quindi, le porte sono anche divieti di accesso e
“lasciapassare” per poter entrare e uscire senza che ciò rechi alcun danno, al contrario procuri vantaggio: è proprio dalla comprensione
della natura delle porte che si possono trarre
indicazioni per entrare in qualche luogo occulto.
Per capire l’ultimo significato, che è legato ai
precedenti, è necessario comprendere dove si
trovano le porte. Se si chiede a qualcuno dove
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sia collocata ogni porta risponderebbe che è posta
all’ingresso di qualche luogo in modo che attraverso di essa si possa accedervi. La porta sta
prima o davanti a qualcosa o a un luogo che non
si intravede. La risposta è corretta, ma non interamente perché se fosse solo così non si capirebbe il significato di trovarsi davanti alla porta
o dopo la porta e come si suole dire ‘stare sull’uscio’. La porta non sta né dentro né fuori, ma
sta tra l’uno e l’altro luogo: non è né di qua né di
là, per cui essa può avere impressi al contempo
su un suo lato i segni dell’al di qua e sull’altro
quelli dell’al di là: come direbbe Dante si starebbe come color che stanno sospesi e in effetti
chi sta sull’uscio non è né una cosa né l’altra o,
se si vuole, è qualcosa ma non ancora un’altra.
Per questo, solo gli indecisi perdono la loro vita
sostando sempre sull’uscio non sapendo se essere di qua o di là. Intesa in questo modo la
porta è il segnale della stasi e del timore di passare; essa, invece, è un segno del cambiamento
se ci si colloca nell’intento di superarla e quindi,
come ha fatto Alice, girare nel luogo in cui ci si
trova per trovare la chiave per aprire la porta.
L’iniziato è sempre alla ricerca di porte e così
‘lavora’ (i lavori esoterici) per trovare le chiavi
per aprirle o chiuderle, per entrare o per uscire:
la porta è il segno del cambiamento, del futuro
cambiamento e dell’intento di cambiare; se si
accede a una porta, allora si intende cambiare
qualcosa di se stessi e ciò significa entrare in
qualche altro luogo o stanza interiore.
Le porte sono spesso considerate di due tipi:
quelle larghe e quelle strette; le prime portano
alla perdizione e le seconde alla conoscenza, alle
stanze segrete in cui sono nascosti i misteri della vita, dell’uomo e del mondo: “entrate per la
porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa
la via che conduce alla perdizione, e molti sono
quelli che entrano per essa. Quanto stretta, invece, è la porta e angusta la via che conduce
alla vita e quanto pochi sono quelli che la trovano” (Mt. 7,13). Da qui il tema primario e iniziale della ricerca delle porte e quindi delle
chiavi per poterle aprire: per avere il Potere
delle Chiavi che è anche il Potere sulle Porte.
Tuttavia, le porte non solo necessitano di chiavi
per agire su di esse, ma sono fatte per ricevere
le chiavi e in tal modo hanno toppe/serrature
che sono il luogo in cui inserire le chiavi per
poterle aprire o chiudere; da qui anche quel significato generativo che ha la coppia chiave e
serratura/toppa: il maschile, la chiave, penetra
nel femminile toppa/serratura; il maschile e il
femminile che si incontrano e incontrandosi generano la vita; chiavi e porte quindi sono anche
identificabili con lo Yin e lo Yang le due forze
cosmiche della tradizione buddista tantrica.
sono materiali ma simboliche, anche se esse
possono in alcuni casi avere un lato materiale
come accade per l’accesso ai luoghi sacri fisici,
incluso il Tempio Massonico inteso in questo
caso come un luogo fisico che sottende quello
simbolico.
Sulla significazione delle Porte (e quindi relativamente anche alle Chiavi) è utile ricordare la
figura di Janus, il dio bifronte, (sul quale ritorneremo in seguito) che è la divinità della transizione e del passaggio e quindi indica il significato
delle porte come segno del cambiamento: nascere e morire, passato e avvenire.
Sulla base di questa significazione esoterica, si
possono esaminare le chiavi e il loro potere e si
rileverà la stretta correlazione tra i significati
delle porte e quelli delle chiavi.
Il simbolismo della Chiave
Per questo, sono necessarie le chiavi adeguate
che devono possedere la forma ‘giusta’ per poterle inserire nella toppa/serratura (si è visto che
Alice ha tentato di aprire con la chiave d’oro
molte porte che non si sono aperte, tranne una
piccola nascosta da un drappo rosso); la preparazione iniziatica ai vari gradi è quella che permette di ‘costruire’ (non solo di ‘trovare’), proprio nel senso dell’Arte, le chiavi per aprire una
determinata porta che permette di accedere a
un livello superiore di perfezionamento e di conoscenza: perciò, la forma e i denti delle chiavi
devono corrispondere alla forma della toppa/
serratura e ciò si apprende con la preparazione
iniziatica e non per via intuitiva: le chiavi si cercano, ma ciò non significa solo trovarle bensì
‘formarle’ con idonei strumenti esoterici.
V’è sempre uno stretto legame tra porta, chiave e toppa/serratura e le porte esoteriche non
Da un punto di vista morfologico la chiave è un
oggetto di forma tale da poter entrare in un altro
(toppa/serratura) e il suo ingresso in quest’ultimo permette di agire su una porta: questo significato morfologico sottende quello simbolico ed
esoterico. Ogni chiave è tale solo in relazione
alla toppa/serratura ed è per questo che per ogni
porta è necessaria una specifica chiave e, come
nella vita, anche nel percorso iniziatico non vi
sono pas par tous e chi lo ritiene, in senso
esoterico o profano, non è in grado di capire
come si sviluppano i processi vitali nonché quelli iniziatici. Non essendoci pas par tous è necessario procurarsi le giuste chiavi per le giuste
porte e ciò significa che la forma delle chiavi
deve essere consona alla forma della toppa/serratura e quindi alla porta che la contiene. La
forma della chiave che conosciamo quando la
stiamo costruendo o formando con strumenti
materiali o esoterici deve adeguarsi alla forma
della toppa/serratura che non conosciamo ed è
qui la difficoltà della ricerca delle giuste chiavi
per le giuste porte.
Vi sono molte forme di chiavi, ma tutte hanno
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una simile struttura costituita da una parte che
serve per reggerla e maneggiarla (posta da un
lato come solitamente accade) e da un’altra, la
più rilevante, collocata dal lato opposto, in cui è
impressa la forma ad hoc per una determinata
toppa/serratura di una porta. Il simbolo della
chiave include queste due parti ed è la seconda
che specifica di quale chiave si tratta: questa
parte in senso simbolico veicola i contenuti (la
forma) idonei per agire sulla porta. Intesa in
questo modo costitutivo una chiave ricorda il noto
simbolo esoterico egizio, il geroglifico della vita,
cioè l’Ankh; in effetti, non solo molti faraoni sono
rappresentati spesso con un Ankh nella mano
destra, bensì anche molti dei partecipanti alle
cerimonie funebri reggono nella mano un Ankh,
Nem Ankh che simbolizza la vita eterna, o meglio la porta per la vita eterna.
In senso esoterico, la chiave è ciò che permette
di aprire una porta per entrare in un qualche
luogo occulto che non si conosce, ma che si intende conoscere o raggiungere. La sua forma
deve corrispondere alla toppa/serratura della
porta per questo, anche se è un singolo oggetto,
è costituita da un insieme di tratti o conoscenze
idonee per accedere a una nuova dimensione,
un nuovo stato emergente etico, psichico o
gnosico.
La chiave, anche se può essere rappresentata
da un oggetto, è un insieme di conoscenze che
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permettono di avere il potere sulle porte: il potere delle chiavi è il potere sulle porte che esse
aprono e queste si possono aprire sulla base di
conoscenze che in senso esoterico-iniziatico e
sacro sono sempre acquisite e mai possedute
ab initio.
La chiave, perciò, non è un simbolo statico ma,
come molti altri, dinamico che indica un’azione,
qualcosa che si deve o si intende fare e così è
segno di cambiamento. Se la porta, di per sé,
pur stando tra il di qua e il di là, è staticamente
posta, la chiave è invece ciò che sottende un
agire, un’azione che si intende compiere: la chiave, in effetti, da sola non ha senso se non è usata per agire sulle porte. Perciò si potrebbero
conoscere anche molte chiavi, quindi possedere
diverse conoscenze, ma se queste non si usano
per agire esotericamente (o se si vuole anche
magicamente o alchemicamente), allora esse
non hanno alcuna funzione e restano inerti nella
loro morfologia che in questo caso non è attiva
e generativa ma solo allusiva.
Le Chiavi, non solo in senso esoterico, sono al
contempo conoscenze e strumenti: conoscenze
perché veicolano determinati contenuti, come
la Chiave per penetrare nell’oscurità (interiora
terrae) e trovare la pietra occulta (occultum
lapidem); strumenti, perché tali conoscenze
permettono di porre in atto azioni o rituali che
sono utili al raggiungimento di un obiettivo che è
simbolizzato dalle porte come nel caso degli strumenti operativi massonici che sono strumenti simbolici per attuare il piano o disegno dell’Arte.
Molti simboli (anche se non tutti) sono al
contempo Chiavi perché permettono di acquisire conoscenze e agire in base a esse: conoscenze
operative sia in riferimento a specifici rituali sia
a modificazioni del mondo interiore psichico, etico e conoscitivo. Le Chiavi, quindi, non sono
solo rappresentate da oggetti o strumenti, da
parole o da segni specifici, bensì anche da conoscenze e da determinati eventi, come quello
dell’Avvento, e da figure speciali (guide) che
svolgono la funzione di Chiave, come Virgilio e
Beatrice nel viaggio nel mondo dei morti di Dante
dall’Inferno al Paradiso, o in quello di Odino in
cui apprende le Chiavi quali l’idromele e il linguaggio magico delle rune.
La Chiave, di solito, è simbolicamente indicata
come ciò che permette di aprire e di chiudere,
ma questo non è il solo significato esotericoiniziatico, perciò è utile soffermarsi sui diversi
significati simbolici delle Chiavi e del relativo
Potere che è fondato su di essi: si osserva, così,
l’analogia significativa tra Chiavi e Porte (si riveda quanto indicato poco sopra).
I diversi significati simbolici delle Chiavi e
del relativo Potere
La Chiave ha assunto diversi significati simbolici che, pur in modi diversi, si rifanno al loro concreto ruolo di poter agire sulle porte per aprirle e
per chiuderle. Questa funzione delle chiavi induce altri significati che attengono al piano
esoterico e sono riferibili a diverse modalità di
attuazione dei rituali e ai diversi gradi del cammino iniziatico. Ognuno di questi significati attiene a diversi aspetti della via iniziatica che, proprio con riferimento alle chiavi, risiede nel trovare e nell’aprire continuamente le porte dell’oscuro e del mistero e chiudere quelle che sono
già state oltrepassate.
Si possono evidenziare i seguenti significati/funzioni che saranno meglio compresi se si
correleranno ai diversi gradi iniziatici: a) aprire e
chiudere, b) legare e slegare o sciogliere, c) decifrare e comprendere, d) oltrepassare la soglia,
d) solve et coagula, e) nascondere e tenere celato un segreto, f) sostenere e sorreggere.
La prima funzione simbolica dell’aprire e del
chiudere è la fondamentale dal quale derivano o sono correlate quelle relative agli altri
significati/funzioni. La funzione dell’aprire e
del chiudere è riferibile alle porte con quei
significati che sono stati indicati nella parte
precedente: l’aprire e il chiudere, però, non è
riferibile solo a un atto fisico bensì a ogni ‘atto
psichico’, etico, gnosico e simbolico che per-
mette di accedere a qualcosa, di passare da
una condizione a un’altra, entrare in un luogo,
superare limiti per guardare ‘più avanti’ e per
addentrarsi in una dimensione sconosciuta.
Questa funzione significativa, non di rado,
sottolinea l’aspetto dell’apertura, ma l’apertura completa il suo significato solo se è associata all’operazione del chiudere: in effetti,
per poter compiere un progetto, per raggiungere un obiettivo, come quelli propri della via
iniziatica, è necessario che a ogni progresso
raggiunto si chiuda con il passato per aprirsi
al futuro: la ri-nascita iniziatica (la continua
rigenerazione del proprio sé) è un’apertura ma
è anche una chiusura di un periodo precedente: per questo Janus, come si vedrà, dio degli
iniziati, possiede due chiavi, una per soprassedere al passato e l’altra all’avvenire, così
come all’uno e all’altro si riferiscono i suoi
due volti.
La seconda funzione significativa è quella del
legare e slegare (o sciogliere). Per capire
questa funzione delle chiavi ci si può riferire
a quei segni e simboli che indicano in primo
luogo i legami che si realizzano entro una comunità iniziatica e questi legami sono i nodi,
come quello rappresentato nella seguente raffigurazione:
I nodi, come è noto, hanno una duplice funzione,
quella di legare e quella di liberare o slegare e le
chiavi nella loro funzione di legare/slegare si ri13
feriscono a quei legami nodali che uniscono o
dividono gli uomini e legano o slegano l’uomo
con il mondo terreno e con quello celeste.
Si pensi, per esempio, ai nodi della Massoneria
che indicano i legami indissolubili tra i massoni
basati sulla comune iniziazione.
o a quelli della tradizione celtica come il seguente,
in cui i nodi presentano un doppio triskel (simbolo del movimento cosmico eterno), quello centrale tra le mani e quello periferico tra le figure
umane:
Se le chiavi permettono di aprire una porta e
quindi di entrare, questa entrata significa lo stabilirsi di un legame, quindi di un nodo; lo stesso
accade nella funzione contraria del slegare e
quindi della recisione di un nodo. In senso
iniziatico, questa funzione significa che ogni
apertura/chiusura deve esser tale da stabilire
14
nuovi legami e da superare o annullare quelli
precedenti.
A questo significato è correlato quello alchemico
del solve et coagula che è relativo ai legami
alchemici, non solo nel senso dell’alchimia pratica bensì di quella speculativa in cui vi sono
nessi e non nessi tra diversi concetti e nozioni.
Per questo, le chiavi possono essere intese in
senso alchemico come ciò che permette il processo della trasmutazione basato sui processi,
diversamente intesi, di soluzione e coagulazione.
La funzione del comprendere e del decifrare
è invece relativa alle forme delle chiavi, o meglio ai loro contenuti, alla natura delle porte e
alle stanze che si potranno trovare al di là di
esse. La chiave della conoscenza, cui si riferiscono anche i Vangeli (Lc.11,52), quindi, include tutto ciò che permette di comprendere/decifrare i segni e i contenuti del sapere, perché è
inutile venire in contatto con esso se non si possiedono gli strumenti (chiavi) per comprendere
ciò che esso contiene: da qui la ricerca della
Parola Perduta e per trovarla è necessario possedere la chiave che apra la porta verso di essa:
la parola perduta è una chiave per rischiarare
altri ‘misteri’.
Questa funzione è fondamentale perché i ‘misteri’ e l’occulto non si svelano, ma è necessario
decifrarli poiché si presentano in forma simbolica i cui simboli per essere compresi è necessario
che siano ‘decifrati’; in altri termini, si deve riuscire a superare il livello superficiale e apparente
e cogliere il loro significato sottostante: ciò è possibile solo se si possiedono le chiavi per svelare
(aprire) il significato nascosto dei simboli.
Il significato/funzione dell’oltrepassare la soglia è derivato direttamente da quello dell’aprire, ma rileva che la chiave, da un lato, permette
di superare una soglia, un punto intermedio o
mediano e, dall’altro, di poter andare oltre un
limite e quindi di riuscire a porsi al di là di esso
nella via dei misteri che come tali sono nascosti.
A questa funzione significativa di nascondimento
dei misteri o dei segreti fa riferimento la funzione propria delle chiavi del nascondere e del
tenere celato un segreto. Nella considerazione
di senso comune la chiave non solo apre e chiude, ma è utile per nascondere qualcosa che è
considerato di grande valore e, al contempo, per
celare un segreto che non può essere diffuso
come, ad esempio, il segreto massonico; da qui,
la possibilità che la chiave sia utile per raggiungere ciò che è stato nascosto e per conoscere il
segreto che è stato celato.
Infine, il significato/funzione del sostenere e
sorreggere che è differente dai significati precedenti, ma è anch’esso fondamentale per la
costruzione del Tempio: si tratta delle chiavi,
come quella di volta, che permettono di sorreggere e sostenere una costruzione; naturalmente, non si tratta di una costruzione fisica, bensì
della costruzione simbolica interiore, gnosica ed
etica, cui si rivolge ogni via iniziatica.
Questi significati esoterici delle chiavi, correlati/
corrispondenti a quelli delle porte, permettono
all’iniziato di percorrere il suo cammino e di aprire le porte dei misteri e di chiudere quelle del
mondo e quelle che permettono di lasciare dietro di sé tutto ciò che è stato superato. Questi
significati, in forme diverse, si trovano nelle chiavi d’oro e d’argento e nelle figure di Janus e dei
due Giovanni.
Le due chiavi esoteriche: quella d’argento e
quella d’oro
Nelle diverse tradizioni esoteriche le chiavi sono
state distinte in due tipi: la chiave d’argento e
la chiave d’oro che sono centrali a ogni percorso iniziatico; queste Chiavi permettono di
accedere a differenti camere segrete o stadi dei
cammini iniziatici.
La Chiave d’argento permette all’iniziato di conoscere se stesso, scendendo al suo interno
(interiora hominis) per liberarsi dai vincoli che
lo legano al mondo, dalle schiavitù e dai dodici
tormenti. Il primo e più insidioso tormento è
l’agnosia o ignoranza. Ermete così dice a Tat:
libera te stesso dagli irrazionali tormenti
della materia (Corpus Hermeticum, XIII,7).
Tat afferma di ignorare di possederli ed è questa l’ignoranza, il primo tormento da cui ci si
deve liberare per intraprendere la via della
rigenerazione. L’ignoranza è il mancato riconoscimento della presenza dei tormenti nel proprio
mondo interiore; senza tale riconoscimento l’iniziato non può neanche operare per liberarsene.
L’iniziato per superare questo stato d’ignoranza
deve riconoscere la sua condizione di essere un
puer mosso da vizi e passioni, di essere sempre
in uno stato di mancanza di conoscenza e quindi
sempre rivolto a esaudire questa sua sete. Riconoscere il proprio stato significa riconoscere i
propri limiti e disporsi a superarli. L’ignoranza è
riferita, in particolare, al piano della conoscenza: essa è la mancata conoscenza di ciò che è in
alto e oltre ogni cosa: il fondamento, l’essenza e
il senso del reale. Oltre all’ignoranza sono indicati altri undici tormenti: il dolore, l’incontinenza, il desiderio, l’ingiustizia, la cupidigia, l’inganno, l’invidia, la frode, l’ira, la
temerarietà, e la malvagità (Corpus
Hermeticum, XIII,7).
La Chiave d’argento, quindi, è quella che “slega” dai vincoli della mondanità e permette di
scendere nell’abisso di se stessi e del mondo
(interiora terrae). Per questo, la Chiave d’argento è quella che permette di entrare nella propria interiorità e anche in quella del mondo e da
qui operare per acquisire conoscenze, strumenti e riti che portano alla condizione di essere ‘liberi’; essa assolve la duplice funzione aprire/
chiudere e legare/slegare, nel senso indicato; in
questo modo la Chiave d’Argento è la chiave
dei piccoli misteri o del Paradiso in terra o ancora la chiave del potere temporale o terrestre.
La seconda chiave, invece, la Chiave d’oro,
allude direttamente all’oro alchemico, all’oro
filosofico e quindi alla relativa conoscenza delle cose segrete e in tal senso essa chiude la via
dell’interiore della terra e di stessi, la discesa, e
apre la Janua coeli che può essere simboleggiata dall’Aquila che è l’emblema di Giovanni
Evangelista. La Chiave d’oro, quindi, è la chia15
ve del potere gnosico (o spirituale), o meglio,
essa apre la porta a tale potere che, dopo essersi allontanati dalla mondanità, può permettere la
conoscenza dell’oltre e delle essenze che sono
invisibili allo sguardo mondano.
Le Chiavi d’Argento e d’Oro permettono di
aprire le porte e così entrare in sempre nuove
stanze in cui si può raggiungere un più alto livello iniziatico: la chiave, non permette solo di aprire o chiudere le porte, ma di saper vedere ciò
che si sta vedendo o che si vedrà quando si è
aperta una porta e si è entrati in una nuova stanza.
Le riflessioni indicate su porte e chiavi sono utili
per esaminare due porte fondamentali legate alla
cosmologia sacra: le porte solstiziali, su cui si
fonda anche la Libera Muratoria, che sono simboleggiate dal dio Janus e dai due Giovanni patroni della Massoneria.
Le Chiavi e le porte solstiziali: Janus e i due
Giovanni
La riflessione sullo svolgimento ciclico delle stagioni e sulla cosmologia sacra permettono di
capire come il mondo naturale offra alla mente
umana esoterica un simbolismo connaturato nelle
cose che si trasforma in un simbolismo che s’innesta a fondo nella mente e diventa parte e guida del cammino iniziatico. Tale simbolismo è
quello degli equinozi e dei solstizi e sono proprio
questi ultimi che sono legati strettamente alle
chiavi e al loro potere sulle porte.
Per comprendere il significato simbolico dei due
solstizi, come Porte e relative chiavi, è utile esaminare la figura del dio Janus (Giano), da una
parte, e dei due Giovanni, dall’altra.
Il solstizio d’estate è la porta zodiacale degli Inferi e il cancro è il segno di questa porta che i
romani chiamavano Janua Inferni: essa è la
porta che permette di discendere in interiora
terrae e in interiora homine per raggiungere il
lato occulto del cosmo e quindi la sacra pietra
nera
eclissi
nero più del nero, nero di corvo (si ricordino i
16
due corvi di Odino con i quali si recava nei
campi di battaglia per estrarre la conoscenza
dai guerrieri morti), e ancora denudamento
perché la discesa, come si è detto, deve slegare dal mondo sensibile e quindi spogliarsi
(spogliarsi dei metalli e denudamento parziale
dell’iniziando nel processo d’iniziazione
massonica che è l’inizio del viaggio sotterraneo che ha preso avvio nel Gabinetto di Riflessione); si tratta, da un lato, del mondo dell’al di là, il mondo dei morti di cui era dio
Osiride, e che fu visitato da tutti i grandi iniziati da Ulisse a Dante, da Pitagora a Odino
che vi restò sette giorni e sette notti perché
solo i morti possono avere la conoscenza perché la hanno incontrata dopo la morte fisica;
dall’altro, è il mondo interiore di ogni uomo e
il mondo sottostante costituito da ciò che è
nascosto in ogni cosa. Il primo è il mondo che
ogni essere umano costruisce nel corso della
sua vita e che, in senso iniziatico, è formato
dalle conoscenze esoteriche che ha acquisito,
dai rituali che ha compiuto e dalle varie porte
che ha aperto e chiuso, cioè dai diversi ‘passaggi di grado’; il secondo, invece, non è il
mondo dell’al di là o degli inferi, bensì il mondo sotterraneo che sottostà al mondo sensibile: esso è definibile come l’occulto o l’invisibile inteso come ciò che sta dietro o sotto a
ogni cosa; in tal senso, esso è il ‘risvolto’ della medaglia, la seconda faccia che insieme
alla prima completa l’essenza di ogni cosa
umana e non umana: il mondo che si raggiunge con la gnosi.
L’eclissi, il nero più nero (anche in senso
alchemico) è ciò che deve essere raggiunto
insieme alla gnosi che è complementare per
cui per salire è necessario discendere e non
una sola volta: la via iniziatica è costituita da
continue discese e salite che sono segnate da
porte e da chiavi: le chiavi per aprire ogni discesa e per chiuderla, e le chiavi per aprire
ogni salita e per chiuderla in una processazione
ciclica che si ritrova anche nell’alto del cosmo: da qui il motto ermetico, indicato dalla
stella di Davide, ‘ciò che sta sotto è eguale a
ciò che sta sopra’; la via iniziatica s’inserisce
nella cosmologia sacra e ne segue il suo andamento che si svolge, in particolare, con i
processi solstiziali ed equinoziali.
La Porta solstiziale dell’estate (Janua Inferni)
è quella che indica e segna l’inizio del viaggio
nell’oscuro per raggiungere il Lapis Niger.
Come si rileverà ancora in seguito, al solstizio
d’Estate, il 24 giugno, è legato Giovanni Battista, la voce che urlava nel deserto l’Avvento di
Dio in terra, che chiude l’Antico Testamento e
annuncia la Nuova Era (si ricordi che la data
della fondazione della Massoneria Speculativa è
stata fissata il 24 giugno del 1717).
Il solstizio d’inverno, invece, cui è correlato
Giovanni Evangelista con la sua Apocalisse
e l’avvento della Gerusalemme Celeste, è la
Janua Coeli, la porta che avendo la giusta
chiave può essere aperta per entrare nel mondo celeste, completando così il corso ciclico della conoscenza dall’oscuro alla luce, dalla luce
all’oscuro e così in continuità superando continuamente i diversi stati di ignoranza o agnosia.
Entrambi i solstizi sono Porte le cui Chiavi
per aprirle sono le conoscenze che si acquisiscono e i riti che si celebrano nel mondo interiore ed entro uno spazio sacro come il Tempo Massonico. Porte e Chiavi sono per essenza la stessa cosa, o sono intrinsecamente
legate le une alle altre, ma sono anche distinte per la loro forma, significato e funzione.
Janus, il dio degli iniziati, aveva il potere di
aprire e chiudere le ere e quindi era anche
correlato a nascita/morte e a passato/futuro
e in tal senso era il dio della trasmutazione,
del cambiamento e dei passaggi ed è per questo che aveva il Potere delle Chiavi e delle
Porte, in particolare il potere su entrambi i
solstizi. Com’è noto, egli era rappresentato
con due volti, a volte come uno maschile e
uno femminile e in tal caso era il binomio
androgino (che ricorda il Rebis ermetico);
Janus/Janua, come si vede nella seguente
raffigurazione:
In questa raffigurazione ci si riferisce in parte a Janus ma più ancora a Cristo (IHS) nelle
sembianze di Janus proprio perché Cristo è
segno del passaggio da un’era all’altra, due
ere chiuse e aperte (od annunciate) dai due
Giovanni; Cristo è anche il perno, meglio la
Chiave (e anche Chiave di Volta come indicano i Vangeli) che apre alla prossima resurrezione e alla discesa in terra della
Gerusalemme Celeste, per questo, come indicano i Vangeli, Egli è l’alfa e l’omega: “Io
sono l’alfa e l’omega…. il principio e la fine”
(Apoc. 1,8; 21,6; 22,13). (Per inciso si osservi che nel più antico alfabeto greco l’ultima
lettera era la Tau la cui forma si può collegare all’Ankh e da qui l’uso della Tau dei primi
cristiani per indicare Cristo e la cazzuola
massonica potrebbe, per la sua forma, essere
riconducibile all’Ankh anche perché è uno
strumento fondamentale della costruzione del
Tempio).
Nella raffigurazione presentata la Chiave è la
chiave dell’eternità (come era l’Ankh nella mano
destra di dei e faraoni) e lo scettro è il potere
sacerdotale di Melchidesech.
In diverse raffigurazioni come quella poco sopra, i due volti di Janus sono di un uomo giovane
e di un uomo vecchio per significare il passaggio epocale che rappresenta il passato e il futuro: Janus vede il passato e il futuro. Janus tiene
in una mano lo scettro del potere e nell’altra la
17
Chiave che apre e chiude le epoche, la Chiave
che apre le porte della trasmutazione, la Chiave
che apre le porte dei segreti e dei misteri.
Spesso Janus è rappresentato con due chiavi
che sono le chiavi delle due porte solstiziali,
Janua Inferni e Janua Coeli, perché egli è il
Signore dei Tempi (come lo è anche Cristo); le
due chiavi erano una d’oro e l’altra d’argento.
In tal modo egli è ‘il Signore delle due vie’, quella ascendente e quella discendente (via arcta e
via lata, via stretta e via larga) e così è anche
‘Signore della Conoscenza’, proprio come lo è
anche Cristo. Guénon rileva che le due vie nel
pitagorismo sono simbolizzate dalla lettera Y la
cui verticale si dirama in due direzioni e la lettera Y era anche rappresentata ancora una volta
con la Tau.
Le due vie, dell’oscuro e della luce o gnosi, rispettivamente dello Yin e dello Yang, sono anche le due vie che deve seguire l’iniziato, discendendo prima e poi salendo, e sono le due
metà dell’Uovo del mondo che sono simbolizzate
nel segno del Cancro:
Il cancro è inteso come l’inizio della discesa,
mentre il capricorno è l’inizio della salita: “il
Cancro è favorevole alla discesa e il Capricorno alla risalita ( Porfirio, Antro delle Ninfe).
Per tale motivo, l’anno massonico a rigore inizia
con la porta del solstizio d’inverno e si chiude
con la porta del solstizio d’estate; per questo,
con il solstizio d’estate inizia il periodo discendente mentre il solstizio d’inverno (27 dicembre) indica l’inizio dell’ascesa, l’apertura dei lavori rituali dell’anno massonico.
Le due porte si inseriscono entro la ciclicità
cosmica che, com’è noto, può essere rappresentata da diversi tipi di spirali (simboli solari),
come la svastica e il triskel
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od ancora da quella che in una mia rappresentazione figurativa indico nel modo seguente
In queste figurazioni simboliche si ritrova la
rappresentazione del movimento non solo delle
strutture cosmiche, ma dei processi della
cosmologia sacra (solo per analogia anche
della cosmologia scientifica, per esempio la
struttura delle galassie a spirale) e che sono
rispecchiati specularmente nei cicli iniziatici,
per cui l’iniziato, che possiede le chiavi delle
porte del cielo e della terra, svolge il suo cammino nell’alternarsi a spirale dell’ombra e della
luce ruotando così nel proprio interiore e
rispecchiando il moto dei processi del cosmo;
ancora una volta, si può ricordare il principio
della corrispondenza della Tavola Smeraldina
raffigurato da due triangoli intrecciati (Stella
di Davide); la relazione tra alto e basso e
l’espansione del cosmo nel molteplice è rappresentata dal seguente simbolo (denominato
SIPAN) che è il segno metafisico della con-
cezione esoterica del cosmo e al contempo
della via iniziatica:
A questo punto si possono esaminare i significati simbolici delle figure dei due Giovanni, su
cui si fonda la Loggia Massonica (come Loggia
di San Giovanni), che sono legati alle porte
solstiziali.
Al solstizio d’estate nella tradizione del Nuovo
Testamento è associato Giovanni Battista (che
secondo tradizione è il giorno della sua nascita)
e di lui Cristo si esprime dicendo che: “tra i nati
di donna non è sorto uno più grande di Giovanni
il Battista” (Mt.11,11, Lc.7,28 ). Il Battista chiude l’Antica Legge (anche se com’è noto Cristo
non è venuto ad abolirla, ma per darle compimento, Mt.4,17) e annuncia la nuova era, l’era
dell’Avvento, o meglio del primo avvento, cioè
quello della venuta in terra del Figlio di Dio; per
tale motivo in Massoneria egli è rappresentato
dal Gallo che canta sia in certi quadri di Loggia
sia nel Gabinetto di Riflessione che è assimilato
alla terra e quindi indica la via della discesa negli Inferi, la Janua Inferni, l’Opera al nero con
cui inizia il lavoro esoterico. Il Gallo che canta
all’alba annuncia l’arrivo del nuovo giorno che
chiude le tenebre e apre verso la luce, luce
gnosica cui aspirano gli iniziati. Il Gallo, nell’antichità romana, è l’uccello di Hermes, il dio con
il caduceo e simbolo della conoscenza segreta,
proprio quella che fu tramandata da Ermete
Trismegisto (identificato con Hermes e Tot) con
il suo Corpus Hermeticum.
Il Battista è l’anello di congiunzione tra l’Antico
e il Nuovo Testamento; si apre così una nuova
era e la predicazione di Battista indica la preparazione a questa nuova era: “Io sono voce di
uno che grida nel deserto: preparate la via del
Signore”(Gv.1,23); una preparazione interiore,
una discesa negli inferi per poi allontanarsi dal
mondo profano e risalire la scala della conoscenza. In tal senso, Giovanni Battista indica la
via dell’inizio e della preparazione che in termini
massonici è rappresentata dal Gabinetto di Riflessione (o Gabinetto di Preparazione, che intende portare il neofita entro la terra e fargli
iniziare il viaggio negli Inferi) e in seguito dal
rito d’iniziazione al primo grado; in effetti, il
Battista non solo annuncia e sprona la via alla
preparazione, bensì è colui che impartisce il
Battesimo nel Giordano che è appunto una
‘iniziazione’ per entrare nella nuova era del primo Avvento: “si presentò Giovanni a battezzare
nel deserto, predicando il battesimo di conversione per il perdono dei peccati” (Mc.1,4); il
perdono dei peccati indica, in senso esoterico,
la remissione o l’abbandono dei metalli e quindi
delle schiavitù e dei relativi dodici tormenti, il
primo dei quali e l’ignoranza.
Giovanni Battista non è coperto da “morbide
vesti” (Mt. 11, 8) bensì è “vestito di pelli di cammello e una cintura di pelle ai fianchi” (Mt. 3,4) e
questo suo abbigliamento indica la sua condizione
che è ripresa in ambito massonico in riferimento
all’iniziato che si copre delle vesti povere di un
“postulante” (la nudità dell’iniziato).
Giovanni Battista è associato alla via orizzontale,
quindi alla livella (Tourniac, Simbolismo massonico
e tradizione cristiana, p.107), infatti il suo compito da Isaia fu profetizzato con queste parole: “Appianate nella steppa la strada per il nostro Dio.
Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano
abbassati” (Is.40,3). L’iniziazione al primo grado è
sul piano orizzontale, riferita al piano dell’uomo e
19
alla conoscenza e alla condizione del sé, e così
sono i passi successivi della via iniziatica massonica
sino al Terzo grado dal quale parte l’ascesa verso uno stadio superiore di gnosi: un’ascesa che
è rappresentabile dalla seconda porta solstiziale
cui è associato Giovanni Evangelista.
La chiave per la seconda porta è il messaggio
del Vangelo di Giovanni e in particolare della
sua Apocalisse. Giovanni Evangelista, allora,
chiude la porta del primo Avvento e annuncia, in
seguito a uno stato di estasi raccontato
nell’Apocalisse, la nuova era della discesa in terra
della Gerusalemme Celeste, il secondo Avvento:
“Vidi poi un nuovo cielo ed una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e
il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la
nuova Gerusalemme, scendere dal cielo…”
(Apoc.21,1-2).
Se l’uccello del Battista è il Gallo perché sveglia gli uomini dal torpore e li spinge a prepararsi per l’attesa, quello dell’Evangelista è
l’Aquila che si libra nell’alto e così simboleggia il viaggio in ascesa dell’iniziato verso le sfere
celesti: l’Evangelista è la Janua Coeli e così
simboleggia la via verticale che in Massoneria è rappresentata dal filo a piombo: il solstizio
d’inverno come inizio dell’ascesa, l’inizio dei
sacri lavori muratori.
Giovanni Evangelista in Dante è denominato
“L’Aquila di Cristo” (Dante, Divina Commedia, Paradiso, Canto XXVI, v.52). Anche per
Dante l’Aquila è il segno di un grande viaggio
in ascesa ed egli racconta che prima di intraprendere questo viaggio aveva sognato
un’Aquila che si librava alta in cielo (Purgatorio, vv.22-24). L’Aquila è, inoltre, da un lato,
simbolo del potere temporale e, dall’altro, un
simbolo presente nello stemma del Rito Simbolico Italiano e fondamentale negli Alti Gradi Scozzesi per il ruolo ‘elevato’ in cui essi si
collocano (oltre il Terzo Grado).
Anche nell’Evangelista, porta e chiave per aprirla, indicano la necessità di una nuova preparazione per affrontare il secondo avvento, una
nuova iniziazione che permette di seguire il volo
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dell’Aquila e quindi librarsi verso l’Alto e l’Oltre che attendono ogni iniziato.
I due Giovanni (denominati ‘Figli del Tuono’ nel
Nuovo Testamento) e Janus simboleggiano le
porte fondamentali della cosmologia sacra e al
contempo simboleggiano la ciclicità della via
iniziatica: la porta dell’Alto e la Porta del Basso
le cui chiavi per aprirle e chiuderle per la via
iniziatica consistono nella preparazione esoterica
e rituale all’interno della dimensione sacrale del
Tempio.
I due Giovanni, quindi, sono segni del cambiamento e delle continue salite e delle continue
discese che deve affrontare l’iniziato che sarà
in grado di farlo solo se ‘conoscerà’ le chiavi
delle porte e così diventerà colui che possiede il
Potere delle Chiavi.
Il Potere delle Chiavi, come si è visto, coinvolge
un ampio spettro di significati che, pur in modi
diversi, attengono ai processi fondamentali delle vie iniziatiche e la loro comprensione può essere approfondita se ciascun Potere delle Chiavi è correlato con determinate modalità
iniziatiche; in tal senso, per esempio, tale Potere
si esplica in specifiche forme all’interno dei rituali dei diversi gradi della Massoneria e dei relativi Riti.
Il Potere delle Chiavi ha una natura simbolica
ma è proprio su questo piano che si snoda ogni
speculazione esoterica che, a sua volta, si
rispecchia nelle specifiche forme rituali per cui
il Potere delle Chiavi acquista un concreto ruolo
‘operativo’ nelle pratiche esoterico-iniziatiche.
Sul Potere delle Chiavi si fonda lo scopo dei
percorsi iniziatici: lo svelamento dei ‘misteri’ e
delle cose segrete e quindi l’appropriazione di
quella conoscenza che, pur in modi diversi, permette di ‘cogliere’ alcune delle ‘essenze’ e dei
fondamenti che reggono l’intera costruzione e
ogni sua singola parte: senza chiavi non si può
aprire alcuna porta e senza aprire le porte si
resta relegati all’illusorio, all’apparente e all’ignoranza che, come ha indicato Ermete Trismegisto,
è il primo dei grandi tormenti da cui ci si deve
liberare.
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(tr.it. a cura di M. Bianca, La via ermetica,
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21
I Misteri Eleusini
Giovanni Corbo
Il luogo
Chi scrive ha un bel ricordo della sua visita a
Eleusi, non tanto per la località stessa, un luogo
profanato da ciminiere e capannoni industriali di
lamiere arrugginite, da vecchie navi e barconi
che coprono la vista del mare azzurro di
Salamina; né tanto meno per le rovine a raso
terra, illeggibili per chi non sia archeologo; quanto
piuttosto per il breve viaggio che si deve compiere per arrivarci, seguendo con l’autobus e a
piedi l’antica Via Sacra che collegava Atene a
quello straordinario centro religioso. Lasciata la
periferia di Atene ci s’inoltra subito tra bassi
monti rocciosi coperti da vegetazione bassa: il
profumo è intenso ovunque, di pino, di timo, di
alloro e rosmarino, (Eleusi odorosa d’incenso,
leggiamo nell’Inno a Demetra) e accompagna il
viandante fino all’abitato di Eleusi che, superato
il piccolo monastero di Dafnì (XI sec.), si raggiunge velocemente scendendo verso la baia di
Salamina. Solo l’orografia e la vegetazione restituiscono intatto l’incanto di un luogo straordinario, perché il sito archeologico è incomprensibile, una sorta di Hiroshima greca.
tue votive… il fiume Cefiso … un santuario”1.
Ma della città sacra tace perché, dice, “un sogno mi ha proibito di descrivere quanto si trova
all’interno del santuario, ed è chiaro che ai non
iniziati non è lecito conoscere neppure indirettamente quelle cose dalla cui vista sono esclusi”.
Il Mito di Fondazione
Il mito di Demetra e Core, l’essenza stessa dei
misteri Eleusini, è estremamente complesso in
quanto vi confluiscono tradizioni culturali di differenti aree del mondo mediterraneo: Grecia,
Sicilia, Anatolia, Vicino Oriente. Il neoplatonico
Giamblico, fine III sec., collega Eleusi a Pitagora,
agli orfici, ai caldei agli egiziani, ai celti. Molte
sono le varianti, sia per la notevole antichità del
mito che per la vasta area della sua diffusione.
Qui sarà presa in considerazione esclusivamente
la versione narrata nell’Inno Omerico a
Demetra, un ampio componimento di quasi cinquecento versi risalente al VII secolo a. E.V., il
più antico riguardante i misteri di Eleusi, nel quale
distinguiamo, con termine teatrale, tre atti:
Fig. 1. Eleusi oggi
Pausania (II sec. E.V.) descrive con ricchezza
di dettagli il percorso : “Chi va da Atene ad Eleusi
per la via che gli Ateniesi chiamano Sacra s’imbatte nel monumento… nella tomba … le sta22
Fig.2. Core-Persefone da Locri
1°atto. Il rapimento di Core
2° atto. Il lutto di Demetra e la sua vicenda terrena
Core, fanciulla nata dall’unione di Zeus con
Demetra (Da/Ga/Gaia Meter, la dea Terra) fa
innamorare di sé il potente dio del mondo ctonio,
Ades, al quale il fratello Zeus concede di sposarla. La giovane, mentre raccoglie fiori (croco, rose,
viole) insieme alle figlie di Oceano, nota un fiore
più profumato degli altri, il narciso “narcotizzante”,
e lo desidera tanto ardentemente che, nel coglierlo, ne strappa la radice (vedremo poi che Core
cade facilmente preda della tentazione).
La seconda parte ha come protagonista la madre di Core, Demetra, la quale ode il grido della
figlia e, informata da Ecate della sua sorte, “si
slanciò sopra la terra e il mare, come un uccello,
alla ricerca”2. Elios, unico tra gli dei, racconta a
Demetra del rapimento compiuto da Ades con
l’assenso del fratello Zeus, sì che Demetra, addolorata e offesa dagli immortali, lascia l’Olimpo,
scende sulla terra e vaga tra gli umani chiedendo loro consolazione e aiuto (Demetra, come
Dionysos, è considerata daimon, cioè divinità
che frequenta i mortali e soffre con essi, ricambiando con doni preziosi, quali il grano e il vino,
gli stessi di Dionysos, i favori ricevuti). Trasformatasi in donna anziana dall’aria nobile e severa, arriva alla corte del re di Eleusi, Cèleo, che
l’accoglie con grande onore insieme alla regina
Metanira. Chiusa nel suo dolore, la dea rifiuta
cibo e compagnia, finché una delle figlie del re,
Iambe, per rinfrancarla, le rivolge motteggi osceni (in una variante del mito, Iambe mostra alla dea
il pube) e le offre del vino, che lei rifiuta mentre
chiede “come bevanda acqua con farina d’orzo
mescolandovi la menta delicata”3, il ciceone che,
come vedremo, è la bevanda sacra dei misteri. La
dea per gratitudine ottiene dal re di poter allevare l’ultimo nato, Demofonte, ne diviene la nutrice e segretamente decide di rendere il fanciullo
immortale: “di notte lo celava nella vampa del
fuoco come un tizzone (… ) egli cresceva precoce e somigliava nell’aspetto agli dei”. 4
Metanira, meravigliata dalla crescita miracolosa del figlio, una notte spia la dea, e quando vede
il figlio nelle fiamme getta un grido e interrompe
l’opera di Demetra. Il rito è stato profanato, il
bambino non diverrà immortale, ma proprio perché resterà mortale, e primo iniziato, renderà
possibile agli uomini l’accesso ai misteri. La dea
misericordiosa perdona i mortali e stabilisce che
ogni anno “ i figli degli Eleusini per sempre eseguiranno un combattimento tra loro, una mischia
violenta … e per me un grande tempio, e in esso
un’ara … io stessa v’insegnerò il rito”. 5
Fig. 3. Ratto di Persefone, bassorilievo greco
Subito la terra si apre e dalla voragine esce, con
immenso boato, un carro d’oro trainato da cavalli nerissimi e guidato dal terribile Ades, il quale
rapisce la fanciulla e la trascina urlante nel suo
regno sotterraneo, il regno dei morti, ma anche
delle ricchezze che la terra nasconde nel suo seno
(Pluto), dove Core trapassa dallo stato di fanciulla a quello di sposa e signora del mondo ctonio.
Fig. 4, Ade e Persefone signori del regno dei
morti, terracotta da
Locri
23
Ingiustamente trattata dagli dei, stoltamente
ripagata dai mortali, si chiude nell’ira e nel dolore, rende sterile la terra perché gli uomini non
abbiano più nutrimento e gli dei siano privati dei
loro sacrifici. Immortali e mortali, il cielo e la
terra, tutti soffrono. Allora Zeus invia presso
Ades il dio Ermes, signore della parola, dio della
mediazione, dei mercanti e messaggero, dio che
sa convincere (proprio perchè protegge il commercio), affinché restituisca la figlia alla madre
e ponga fine alla situazione insostenibile per dei
e uomini. Ades acconsente e concede a Core
di tornare dalla madre, ma prima di lasciarla
partire le fa mangiare il dolce seme rosso del
melograno, la pianta dei morti (ancora una volta
Core cede alla tentazione, si lascia sedurre, è
debole, è agita dagli altri) legandola al ciclico
ritorno sotto la terra. Madre e figlia allora saranno di nuovo riunite, ma non per sempre. Per
decreto di Zeus Core risiederà tra gli uomini e
gli dei per due terzi dell’anno, per l’altro terzo
tornerà regina dei morti. E qui il mito registra
due varianti: nella prima Core risiede negli inferi con Ades durante l’estate, quando i campi sono
aridi, e con la madre (la Terra) dalla semina alla
mietitura (Atene e Sicilia); nell’altra variante
Core è regina degli inferi quando in inverno la
natura riposa e torna dalla madre in primavera
per soggiornarvi fino all’inizio dell’inverno. In
questa variante Core è una dea della vegetazione e non del grano. Il culto di Atene e della Sicilia era, inutile dirlo, il principale e il più diffuso.
3° atto. Il dono di Demetra ai mortali, ovvero
l’istituzione dei misteri.
Demetra acconsentì e, prima di tornare
nell’Olimpo, pose fine alla terribile carestia, facendo tornare l’abbondanza e donando una spiga di grano a uno dei figli del re, Triptolemo:
allora insegnò al re e ai suoi figli “ la norma del
sacro rito, rivelò i misteri solenni, venerandi che
in nessun modo è lecito profanare, indagare o
palesare, poiché la profonda reverenza per le
dee frena la voce” 6.
24
Fig. 5 , Demetra, Trittolemo
e Persefone, stele greca,
Museo Nazionale di Atene
Questo il mito di fondazione.
Nella tarda antichità vi furono del mito due orientamenti d’interpretazione diversi: uno
naturalistico che celebra l’introduzione della
cerealicoltura in Grecia, detto ‘logos physikòs’,
racconto naturalistico, che vede “Demetra come
la terra, Core come le sementi” (Pseudo-Clemente); l’altro, detto ‘logos mytikòs, racconto
mitico, assunse con l’ellenismo orientamenti
escatologici e soteriologici che gli apologeti cristiani combatteranno con ogni mezzo, ritenendoli temibili concorrenti della nuova religione.
I Misteri
I Misteri furono un fenomeno complesso che
percorre la storia della Grecia dal XV secolo a.
E. V. fin quasi al V secolo E. V. La prima celebrazione viene fatta risalire al 1408/9 a. E.V.,
insieme alla prima semina della pianura Raria,
che circonda Eleusi. Di essi si è ricostruita
l’origine e lo sviluppo, da rito agrario a strumento di salvezza nel tardo ellenismo, e la funzione
politica. Eleusi, antico centro religioso già nel II
millennio a.E.V., oggetto di contesa tra Mègara
e Atene, fu conquistata da Atene e annessa
all’Attica agli inizi del VI secolo, sotto Solone:
fu quindi inserita in un ampio progetto politico
ateniese di supremazia, nel quale la religione e
la cultura giocavano un ruolo primario. Il culto
eleusino divenne il culto pubblico anche di Atene, le antiche famiglie sacerdotali eleusine de-
gli Eumolpidi e dei Cerici entrarono a far parte
delle grandi casate ateniesi e per pochi giorni
all’anno, nel mese di marzo, gli oggetti sacri erano
trasferiti ad Atene, nell’Eleusinion, copia
ateniese del più prestigioso e antico complesso
di Eleusi, che rimase la sede principale.
Malgrado la larga diffusione, la fama e l’inserimento nella vita pubblica della città più colta del
mondo antico, il silenzio degli iniziati, il tempo e
la tradizione orale hanno steso sui Misteri un
silenzio impenetrabile, rispettando alla lettera il
significato della parola ‘mistero’, da ‘muo’ (rad.
mu, premere insieme le labbra; cfr. ai. mukas,
muto; lat. mutus). “Non si possono rivelare a
chi non è iniziato. Sono infatti detti misteri perché si stringono le labbra”. Il linguista Giovanni
Semerano però fa derivare “mistero “
dall’accadico “mushu” (notte), da cui Museo, il
cultore dei misteri; e dunque il myste è “colui che
veglia nella notte arcana di attesa” 7.
I trasgressori erano puniti severamente, anche
con la morte. Sono rimasti celebri i casi di Eschilo,
accusato e processato per aver profanato i misteri rivelando in alcune tragedie perdute aspetti
del rito; e di Alcibiade, il quale mise in scena
nella casa di un amico al Pireo una caricatura
del rito misterico: tale oltraggio gli costò caro
perchè, mentre era in Sicilia a capo della spedizione militare, fu condannato in contumacia alla
confisca dei beni e all’esecrazione pubblica civile e religiosa.
Il percorso di un ateniese che avesse chiesto di
essere iniziato ai Misteri cominciava con la partecipazione ai Piccoli Misteri, definiti da una
fonte (Ippolito) ‘misteri inferi’ ( ta kato, le cose
di sotto), una serie di cerimonie soprattutto lustrali che si svolgevano in primavera ad Atene,
dal 25 marzo alla fine del mese, e proseguiva ad
Eleusi, dal 25 settembre al 4 ottobre, con i Grandi
Misteri, ovvero l’iniziazione e la rivelazione: questi erano detti ‘misteri celesti’ perché conducono verso l’alto” (ta anòthen, le cose di sopra),
recita una fonte orfica.
Chi scrive ha pensato che il modo migliore per
rivivere insieme, almeno in parte, quell’esperien-
za fosse seguire, con l’aiuto delle fonti, il percorso di un greco di venticinque secoli fa che
avesse chiesto di diventare myste, iniziato.
I Piccoli Misteri
Subito dopo l’equinozio di primavera, il 25 di
marzo, l’iniziando era condotto ad Agrai, sobborgo di Atene, e alla presenza dello ierofante,
la più alta carica sacerdotale di Eleusi, faceva
un bagno purificatore sulla riva orientale del
fiume Ilisso. Scrive Clemente Alessandrino, storico del II secolo E. V., che “non è fuori luogo
che i misteri dei Greci comincino con le
purificazioni (…) Dopo di queste vi sono i Piccoli Misteri che hanno il proposito di fornire un
insegnamento e una preparazione ai misteri futuri, mentre i Grandi Misteri riguardano il tutto e
in essi non si tralascia più di apprendere, contemplare e pensare la natura delle cose”. 8
Non aveva accesso ai misteri “chi non ha le
mani pure”, cioè chi si fosse macchiato di colpe
gravi; coloro “la cui lingua è incomprensibile”,
cioè chi non parlasse greco (oi barbaroi); chi
non fosse cittadino ateniese, per cui gli stranieri
dovevano essere adottati, come avvenne per
Ercole; chi non potesse ottemperare all’obbligo
di versare una somma di denaro e sacrificare
un porcellino (tre dracme), quindi i più poveri
erano esclusi; chi fosse “atheos “, senza dio.
Analogamente, chi aspira ad essere iniziato alla
Libera Muratoria ha dovuto fornire il certificato
del tribunale, dimostrare la propria residenza,
pagare una certa somma, credere in un essere
supremo …
Dunque “i Piccoli Misteri (ta mikrà) si configurano come purificazione e conseguimento di uno
stato di purezza (kathàrsia), preliminari ai Grandi (ta megàla)”. 9 I primi erano connessi alla
Terra (ta kato), come il nostro Gabinetto di Riflessione, e miravano a ripristinare nell’adepto
lo stato di purità originario, necessario per accedere ai Grandi, che avevano come riferimento il Cielo (ta ànothen). Ai riti collettivi di
25
purificazione si accompagnava una fase di
catechesi per impartire all’iniziando i rudimenti
della prossima iniziazione (gràmmata), metterlo
nella condizione di conoscere la struttura e gli
scopi dell’istituzione, inserirlo, se non ateniese,
nella realtà sociale della città e avvicinarlo gradualmente alla storia sacra con rappresentazioni delle vicende drammatiche di Core, perché “
i Grandi misteri erano in onore di Demetra, i
Piccoli della figlia Persefone/Core”. 10 Guénon,
nell’”Esoterismo di Dante”, ricorre a concetti
dell’esoterismo islamico per descrivere questo
percorso del myste, , e vede nei Piccoli Misteri
il momento dell’ampiezza, nei Grandi il momento
dell’ “elevazione”.
I Grandi Misteri
I Grandi Misteri iniziavano ad Eleusi il 25 settembre, 14 di Boedromion, equinozio d’autunno, quando gli oggetti sacri (ta hierà) del santuario erano rimossi e una processione guidata
da sacerdoti e sacerdotesse si avviava verso
Atene. Dopo aver percorso circa cinque chilometri la processione incontrava il drappello degli
efebi in clamide nera, lancia e scudo inviati da
Atene, i quali scortavano gli oggetti sacri fino
alla porta del Dypilon , dove il popolo ateniese,
con le autorità politiche e religiose, li accoglieva
e li accompagnava fino all’Eleusinion. Successivamente i sacerdoti salivano all’Acropoli per
annunziare alle più alte autorità religiose l’arrivo
della processione. L’inizio delle celebrazioni aveva luogo il giorno successivo, il 26 settembre,
quando l’arconte, radunato tutto il popolo
nell’Agorà, sotto l’Acropoli, in un’atmosfera di
festa invitava i sacerdoti e la città a dare il loro
saluto.
Il giorno seguente, 27 settembre, gli adepti erano
condotti alla baia del Falero o al Pireo, dove facevano un bagno purificatore in mare e compivano il
sacrificio di un porcellino, purificato anch’esso in
mare. Il 28 settembre, terzo giorno, si compivano
altri sacrifici, si versava la somma di denaro obbli26
gatoria, si provvedeva alla registrazione degli adepti
su tavolette di legno; mentre il quarto giorno, 29
settembre, era dedicato, oltre che ai sacrifici e ai
riti, ancora alla catechesi primaria e all’attesa di
eventuali ritardatari. Tale giorno era detto
‘Asclepièia’ in ricordo del fatto che Asclepios
era giunto con un giorno di ritardo da Epidauro e
per ammetterlo all’iniziazione si era ripetuto il sacrificio e il rito del giorno precedente.
Ma in che cosa consisteva la catechesi, cioè
“l’insegnamento e la preparazione ai misteri futuri” che venivano impartiti agli iniziandi? Questi erano istruiti all’osservanza dello speciale
regime alimentare eleusino, che imponeva di
astenersi dai volatili domestici, dai pesci, dalle
fave, dalla melagrana (un tabù primitivo considerava i cibi di colore rosso cibo per i morti,
perché sangue di Adone /Tammuz/Dionysos),
da animali macellati in modo improprio. Erano
vietate le mele, forse il vino. Il contatto con una
puerpera o con una carogna di animale provocava impurità (Porfirio). Ma le tre disposizioni
più importanti e più antiche erano: “onorare i
genitori, venerare gli dei, astenersi dalle carni”
(Senocrate). E, secondo Porfirio’: Onorare i
genitori, glorificare gli dei con i frutti della terra,
non nuocere agli esseri viventi”. 11
Il quinto giorno (30 settembre) era il grande
giorno della processione (pompè) che riportava
da Atene ad Eleusi gli oggetti sacri (hierà) posti
in un canestro (chiste) adornato di nastri color
porpora. “Tutti gli Ateniesi, e soprattutto le donne, (…) vi si recavano villaggio per villaggio,
trasportati su carri o a piedi, secondo le possibilità di ciascuno”. 12 La processione imboccava
poco dopo l’alba la Via Sacra scortata dagli efebi
che avanzavano in formazione “ in armatura
completa , incoronati con una ghirlanda di mirto”. Accompagnava il corteo la statua di
Iacchos, personificazione del grido tipico delle
cerimonie di Dionysos e ricordo benaugurante
della vittoria di Salamina, quando pochi greci
avevano vinto molti persiani con la strategia e
col grido sacro. Non posso non citare i bei versi
dalle Rane di Aristofane. “ Iacco dai molti ono-
ri, insieme a noi vieni dalla dea e mostra come
senza fatica tu compi una lunga strada. Iacco
amante delle danze, accompagnami (Iacche
filocoreuta, sympropempe me). Questi versi
ed altri di autori diversi attestano la presenza di
Dionysos ad Eleusi. 13 E infatti il corteo, nel
suo procedere lungo la Via Sacra verso “i profondi recessi fioriti di Eleusi”, acquista via via
un tono quasi orgiastico. Le fonti parlano di
grida, canti, danze, risa e beffe. Si dicono “molte cose ridicole e altre serie”, si fanno scherzi,
volano le ingiurie, gli insulti, le battute pesanti.
Soprattutto le donne fanno uso del turpiloquio
(aiscrologia). Le gerarchie sociali sono capovolte, tutti sono oggetto di ridicolo, gli uomini per
le donne, i superiori per gli inferiori. Seduta sul
parapetto del fiume Cefiso, una prostituta (porne) lancia frizzi osceni ai passanti, e un’altra
fonte parla di un uomo incappucciato che “indirizza battute grossolane verso i cittadini illustri,
indicandoli per nome”. 14
Dionysos/Iaccos, il dio del riso, della ‘mania’ e
del disordine, danza e ride procedendo verso
Eleusi con tutto il popolo di Atene.
Si cominciava con le lustrazioni, con la catechesi,
con le procedure burocratiche ateniesi e via via,
nei giorni successivi, era un crescendo di eventi
sempre più incalzanti e impegnativi fino , come
vedremo, al vortice finale e al lampo della
teofania.
Il corteo faceva due brevi soste a Dafnì, presso il tempio di Apollo Peana e presso il tempio di
Afrodite, per un riposo e per non lasciare sotto
la tutela di una sola divinità una festa tanto importante dal punto di vista religioso e sociale.
Sul far del tramonto la processione raggiunge
finalmente Eleusi. Migliaia e migliaia di fiaccole
si accendono e illuminano la notte. Le fonti parlano di “notti bianche di luce”, di “santuario risplendente”, di “luce di molte fiaccole”.
Aristofane accenna a veglie notturne, a feste, a
peregrinazioni e giochi nel bosco, a danze che
terminano solo con l’alba.
L’alba del sesto giorno, il primo ottobre, 20
Boemodrion, il gran giorno dell’iniziazione, la
teletè. Gli adepti continuavano con il digiuno, i
sacrifici e le purificazioni nei laghetti non lontani
da Eleusi. Calata la sera, entravano nella grotta
di Eubuleo chiamata “Chasma Ghès” (voragine della Terra), ovvero la porta degli Inferi, una
caverna naturale, a lato del tempio, che si era
aperta al passaggio del carro di Ades durante il
rapimento di Core. Come non pensare al
nostro”Visita interiora terrae …”? Qui gli
iniziandi meditavano sulla condizione umana e
si preparavano “all’iniziazione nella morte al
mondo profano, seguita dalla ‘discesa agli Inferi’ che è la stessa cosa del viaggio nel mondo
sotterraneo cui la caverna dà accesso; e per
quanto riguarda l’iniziazione stessa, lungi dall’essere considerata una morte, essa è al contrario considerata una ‘seconda nascita’, come
pure un passaggio dalle tenebre alla luce”. 15
Fig. 6, I Grandi Propilei di Eleusi, ricostruzione
Infatti la ‘teletè, che in greco è ‘fine’, ‘compimento’, in latino diventa ‘initia’. Poi, dopo
aver bevuto il ciceone, la bevanda rituale (da
kykao=mischiare), gli adepti varcavano i Grandi Propilei, magnifica entrata in stile dorico simile ai Propilei dell’Acropoli: allora penetravano nel recinto del santuario e si fermavano di
fronte all’imponente facciata del Telesterion, il
tempio delle iniziazioni, grande costruzione di
ordine dorico voluto da Pericle e progettato da
Iktinos, l’architetto del Partenone. Era una grande aula quadrata di 52 metri di lato, con sette
file di sedili sui lati e sette file di sei colonne
27
ciascuna, per un totale di 42 colonne. La parte
centrale della copertura aveva un lucernario al
di sotto del quale era l’Anaktoron, il nucleo più
antico e più sacro del complesso. Adornavano il
tempio marmi policromi, dal pentelico bianco
rosato al grigio-blu di Eleusi. Si trattava di uno
dei capolavori dell’architettura greca classica.
Allontanati tutti i profani, cioè la quasi totalità di
coloro che avevano partecipato al corteo, le porte
venivano chiuse e… quello che accadeva da
quel momento è solo congettura.
Fig. 7, Telesterion, ricostruzione
Sappiamo che il rito consisteva di tre momenti
principali: i dròmena, cioè le azioni svolte (dramma sacro, apparizioni); i deiknymena,
l’ostensione degli oggetti sacri (hierà); i
legòmena, le formule liturgiche comunicate agli
adepti, la catechesi ecc. In che cosa consistessero il dramma, le formule e l’ostensione non ci
è dato di conoscere.
Ed è singolare che una cerimonia ripetuta ogni
anno per milletrecento anni, nella città più colta
del mondo antico, con migliaia e migliaia di iniziati, sia rimasta segreta. Ricordo che tra gli
iniziati famosi furono, tra i Romani, Augusto e
la sorella Livia, Marco Antonio, Silla, i grandi
benefattori di Eleusi Adriano e Marco Aurelio,
Cicerone, Tiberio, Commodo , Nerone, Marco
Porcio Catone e, last but not least, Giuliano. E
gran parte degli Ateniesi, a cominciare da Platone e Aristotele. Eppure le bocche sono rimaste chiuse e poco è stato scritto e in modo vago.
È il mistero dei misteri eleusini.
28
Ma torniamo al rito. L’arconte offriva un ultimo sacrificio e un dolce fatto d’orzo e grano
della piana di Eleusi, la pianura Raria, che secondo il mito fu la prima in Grecia ad essere
coltivata a grano. Gli iniziandi, bendati, in gran
tumulto entrano nel Telesterion, dove “luce e
tenebra si manifestano a fasi alterne”.16 Brancolano confusamente tra le colonne spingendosi e gridando. Plutarco paragona questo momento drammatico del rito al trapasso dalla vita alla
morte: “…un’esperienza analoga a quella provata da coloro che si sottopongono ai Grandi
Misteri. Perciò anche il verbo ‘morire’,
(teleutàn) come l’azione che esso esprime sono
simili al verbo essere iniziato’ (telèisthai). Dapprima si erra faticosamente, smarriti, correndo
timorosi attraverso le tenebre senza raggiungere una meta; poi, prima della fine, si è invasi da
ogni tipo di terrore, spavento, tremore, sudore e
angoscia. Finalmente una meravigliosa luce viene incontro … si hanno sante apparizioni…e si
diviene liberi e si procede senza vincoli… si osserva la massa degli uomini che vivono qui sulla
terra, non iniziati e non purificati, calpestarsi e
spingersi insieme nel pantano (en borbòro) e
nella polvere attanagliati dalla paura ...”.17
Infine, sceso il silenzio, seduti al centro del tempio, gli adepti recitavano la formula misterica di
riconoscimento, il synthema: “Ho digiunato, ho
bevuto il ciceone, ho preso dalla cista, ho compiuto/maneggiato (l’atto rituale?), ho deposto nel
canestro e dal canestro nella cista”.
Si ritiene che gli oggetti che passavano dalla cista
al canestro fossero gli oggetti sacri, hierà, (forse a forma di pube femminile), che Clemente
Alessandrino, teologo cristiano del II/III secolo
E.V., enumera a proposito dei misteri dionisiaci
con l’atteggiamento malevolo di chi vuol profanare, rivelandolo. E scrive. “ Bisogna metterne
a nudo il contenuto sacro e divulgarne il segreto”. Eppure non va oltre l’elencazione di una
serie di oggetti, insignificanti se separati dal contesto iniziatico.
Poi gli iniziati anziani scendevano dai loro scranni,
situati ai lati del tempio, e compivano una danza
intorno al gruppo degli adepti. Infine un colpo di
gong, battuto dallo ierofante per ricordare il grido di Core rapita ed evocarla, segnava l’inizio
della sacra rappresentazione.
I veli dell’Anaktoron, il ‘sancta sanctorum’ del
tempio, si aprivano e si celebrava il dramma
misterico di Core “con le fiaccole, il rapimento
e il lutto” e “la tenebrosa discesa agli inferi”. 18
Qui, ad avviso di chi scrive, terminava la rappresentazione dedicata agli iniziati del primo grado, gli apprendisti della nostra istituzione. Essi,
forse, compivano solo questa prima parte del
viaggio iniziatico e dovevano aspettare un anno
negli “inferi”, come Core (per una fonte addirittura cinque anni), prima di accedere al secondo
e ultimo grado, all’epoptèia, alla visione.
Siamo del tutto all’oscuro circa lo svolgimento
dei riti del settimo giorno, 2 ottobre, 21 di
Boedromion. Alcuni autori sostengono che la
parte più significativa del dramma misterico facesse parte della celebrazione per i contemplanti,
“coloro che a Eleusi vengono iniziati al secondo
grado iniziatico” (Filocoro). 19 E’ possibile, per
altro, che il silenzio che circonda i riti del settimo giorno possa essere la spia del fatto che proprio questo fosse quello dell’epoptèia, la visione riservata ai pochissimi mystai più avanzati
nel cammino iniziatico. Infatti le due famiglie
sacre degli Eumolpidi e dei Cerici, che gestivano per diritto ereditario i misteri, avevano il compito di selezionare quanti chiedevano l’accesso
alla visione ultima, probabilmente un numero ristretto di greci che “uscendo fuori dalle ansie e
serietà umane, con impegno tendono a ciò che è
divino” (Platone). 20
Una visione ultima della quale poco si sa. Sembra che lo ierofante, con voce impostata, potente, “alzando lo sguardo al cielo gridasse ‘ye’,
piovi, e abbassandolo a terra ‘kye’, concepisci”.
21
Poi, all’interno dell’Anaktoron, avevano luogo “i solenni convegni dello ierofante con la sacerdotessa, da solo a sola”, e si celebrava simbolicamente (perché lo ierofante si era reso impotente bevendo la cicuta) la ierogamia tra Zeus
e Demetra, o tra Ades e Core secondo altre
fonti. Lo ierofante infine, uscendo dall’Anaktoron risplendente di luce “grida e urla mentre
recita ad alta voce : ‘La potente signora generò il sacro fanciullo. Brimò generò Brimòs. Cioè
la potente generò il potente”. E mostrava agli
astanti una spiga mietuta. 22
Alla fine di tutto questo scompiglio di dei e uomini, di terra cielo e inferi, dopo il lutto le lacrime e il riso, ecco una spiga di grano, simbolo
dell’equilibrio ristabilito, dell’abbondanza che è
segno del favore divino, della pace, della rinascita dopo la morte, e soprattutto simbolo dell’iniziato, il quale, come Brimòs, la spiga, è nato
a nuova vita, pronto per l’ascesa.
È noto che Platone in alcuni dialoghi, principalmente nel Fedro e nel Simposio, descrive con il
linguaggio misterico eleusino la visione suprema,
come nota è la sua condanna della finzione, la
mìmesis, teatrale o letteraria che fosse. Perfino
Omero doveva essere bandito dallo stato ideale.
E’ possibile che una rappresentazione sacra, anche se svolta in un tempio bellissimo, con effetti
luminosi e sonori straordinari, dopo digiuni
purificazioni e processioni, fosse la visione suprema? Perché questo affermano le fonti antiche.
Chi scrive ritiene piuttosto che il dramma sacro
fosse la tappa più suggestiva ed emozionante di
un percorso faticoso e stressante che apriva a
pochissimi la porta dell’epoptèia, che in greco
non significa “visione”, bensì “contemplazione”.
E nella contemplazione, che è excessus mentis,
“uscire fuori da sé”, non si vede, perché è pura
“intuizione dell’intuibile e del non mescolato e
del santo, la quale lampeggia attraverso l’anima
come un fulmine” (Aristotele). 23 Anche Dante
negli ultimi versi del Paradiso parla di “mente
percossa da un fulgore”, dopo il quale entra nel
circolo cosmico mosso da amore. E ancora Platone, magnificamente: “Costui ormai, giunto alla
fine della disciplina amorosa (Eros), scorgerà –
in un istante – un qualcosa di bello (katòpsetai
ti thaumastòn), ammirabile nella sua natura (…)
E il bello neppure si renderà visibile a lui come
un volto (pròsopon) … né apparirà come un
discorso (lògos) o una conoscenza (epistème),
29
si manifesterà –piuttosto- esso stesso, per sé
stesso, con sé stesso … come forma unica che
sempre è” (autò kat’autò met’autou…
monoeidès aèi on). Qui Platone, con tre colpi,
come i nostri sulla pietra, scolpisce l’Essere.24
L’estasi, ci dice Platone, “è conoscenza per nulla
comunicabile in parole, come lo sono le altre, ma
dopo una lunga convivenza, indirizzata appunto all’oggetto e dopo che si è vissuti assieme, istantaneamente –come luce che scaturisca da una fiamma palpitante - una volta sorta nell’anima, ormai è
lei stessa a nutrire se stessa”. 25
Si tratta, per altro, solo di una ipotesi, una suggestione che non tiene nella debita considerazione la capacità dei Greci di provocare nello
spettatore, secondo i canoni dell’arte, uno shock
estetico di potenza inimmaginabile. Ne abbiamo un esempio nello Zeus di Olimpia, una delle
otto meraviglie del mondo antico. Una statua
del dio seduto su un trono dorato, alta tredici
metri, opera di Fidia, occupava quasi tutto lo
spazio del tempio. Era di legno rivestito di lamine d’avorio sulle quali scorreva olio d’oliva. La
luce che scendeva dal lucernario la faceva brillare quasi fino ad accecare l’osservatore. La
bellezza dell’opera era tale da indurre sbigottimento e paura. I sensi erano sopraffatti “da una
forza sovrana e invincibile… e il sublime prorompeva riducendo ogni cosa in briciole, come
una folgore”.26
L’osservatore non vedeva la statua di un dio,
contemplava Dio stesso.
Similmente, il myste forse assisteva ad una rappresentazione sacra che suscitava meraviglia
(thàuma), o ad un rito stupefacente, o ad un
“qualcosa di bello” che “lo sovrastava, lo modellava, lo assimilava alla visione che lui subiva”, dice Giorgio Colli. 27 Un ‘subire’, un ‘modellare’, un “assimilare”che documentano la
natura passiva dell’iniziazione misterica, contrapposta all’apprendimento attivo proprio della filosofia (mathèin), la quale però, scrive Plutarco
in “Iside e Osiride”, al culmine del percorso
sapienziale diventa anch’essa contemplazione,
epoptèia: “Perciò Platone e Aristotele chiama30
no ‘epoptica’, contemplativa, questa parte della filosofia, perché chi…ha davvero toccato la
pura verità (katharàs alethèias) di esso (il principio semplice e immateriale), ritiene di possedere, come in una iniziazione, il fine ultimo della
filosofia”. 28
O forse si può supporre che l’epoptèia fosse
raggiunta anche grazie all’assunzione di sostanze allucinogene, come il Don Juan di Carlos
Castaneda. Lo suggerirebbe il mito stesso quando Core coglie il narciso “narcotizzante/stordente” e letteralmente scatena l’inferno, ovvero le
potenze ctonie. E ancora, è noto che uno degli
attributi di Demetra era, nel simbolismo eleusino,
il papavero, un fiore che rappresenta il momento della catalessi nel passaggio rituale dalla vita
alla morte e alla resurrezione. In molte
raffigurazioni Demetra è rappresentata recante un fascio di spighe e un mazzo di papaveri. E
ancora, lo ierofante assumeva la cicuta per rendersi impotente, e il ciceone era una sorta di
birra. Durante tale stato di sospensione ipnotica, anelato nel mondo dello yoga, forse il myste
vedeva e udiva “cose che ridire/ né sa né può
chi di là sù discende:/perché appressando sé al
suo disire,/ nostro intelletto si profonda tanto,/
che dietro la memoria non può ire”.
L’ultimo giorno dei misteri, l’ottavo, il 3 ottobre,
gli iniziati compivano un ultimo rito. Tenendo in
mano due piccole coppe ricolme d’acqua
(plemochòe), a forma di trottola, uno dei giocattoli del fanciullo divino Dionysos, l’iniziato
versava il contenuto a terra rivolto lungo l’asse
est-ovest, l’asse lungo il quale secondo gli antichi si svolgeva l’umana esistenza. Come le coppe
erano tanto colme da traboccare , così le dee
avrebbero colmato di doni sovrabbondanti gli
iniziati, concedendo loro una vita nella gioia e
nel benessere e, dopo la morte, ed ecco l’
“eschaton”, il destino finale, il “non essere relegati nelle tenebre e nel pantano (en skoto te
kai borbòro) che invece attendono i non iniziati” (Elio Aristide).
Perché il possesso della conoscenza oltrepassa
la morte e la vince.
Il 4 ottobre, nono giorno, gli iniziati tornavano in
processione ad Atene, all’Eleusinion, nel quale, il giorno seguente, il consiglio di stato, la
Boulè, si riuniva per ascoltare un rapporto dettagliato sullo svolgimento delle celebrazioni.
Conclusione
Una breve riflessione su questo lavoro che ha
richiesto pazienza per tentare di ricostruire succintamente un fenomeno tanto vasto e complesso, uno dei vertici dello spirito greco. E’ stato
come cercare di ricomporre un puzzle di cui
mancano molte tessere importanti. Sono state
consultato le opere di studiosi quali Kerenyi,
Dodds, Colli, Guénon, Lippolis, Scarpi, Graves,
Nilsson, per citare solo i moderni, e presi in considerazione i loro suggerimenti, le loro tesi, talvolta contrastanti. Ma soprattutto si è tenuto
conto delle fonti antiche, confuse, frammentarie,
spesso ordinate dagli studiosi moderni in modo
inadeguato.
Alla fine, chi scrive ha detto a se stesso: “Ma
io sono un iniziato. Anch’io, come il myste di
tanti secoli fa, ho brancolato nel rumore e nel
buio, ho udito voci ignote, ho bevuto la bevanda, ho superato prove, ho fatto promessa di
silenzio, ho recitato il mio synthema, la parola
sacra, sto cercando la luce. In forza della mia
esperienza sono libero di seguire il mio percorso, di fare la mia ricostruzione”. E allora
è stato emozionante percorrere in libertà e con
conoscenza il cammino iniziatico di fratelli
antichi che, come noi, hanno varcato la soglia, trepidanti e timorosi davanti all’ignoto.
E’ stato emozionante riallacciarsi a una tradizione che ci lega attraverso i secoli a uomini
che, come noi, hanno cercato la luce, e verificare che la via giusta è tracciata da sempre.
Ma soprattutto costatare ancora una volta
che la conoscenza salva, perché, nel momento
del giudizio, della scelta e dell’azione colui
che conosce giudicherà in modo giusto, sceglierà rettamente e agirà in modo virtuoso.
Bibliografia
G. Colli, La sapienza greca, 3 voll., Adelphi, Milano 1977
E. R. Dodds, I Greci e l’irrazionale, La Nuova Italia,
Firenze 1959
R. Graves, I miti greci, Longanesi, Milano 1977
R. Guénon, Simboli della scienza sacra, Adelphi, Milano 1975
K. Kerényi, Dioniso, Adelphi, Milano 1992
Inni omerici, Mondadori, Milano 1975
E. Lippolis, Mysteria, Paravia Bruno Mondadori, Milano 2006
M. P. Nilsson, A History of Greek Religion, Oxford 1925
Pausania, Guida alla Grecia, 8 voll., Mondadori, Milano 1982
Pseudo-Longino, Del sublime, BUR, Milano 1991
Plutarco, Diatriba isiaca e dialoghi delfici, Sansoni,
Firenze 1962
Le religioni dei misteri, 2 voll., Mondadori, Milano 2002
Note
Pausania, Guida della Greci. L’Attica, Mondadori,
Milano 1982
2
Inni omerici, Mondadori, Milano 1975, p. 43
3
op. cit., p. 55
4
op. cit., p. 57
5
op. cit., p. 59
6
op. cit. p. 75
7
G. Semerano, L’infinito: un equivoco millenario,
Bruno Mondadori, Milano 2005, pag. 128
8
Le religioni dei Misteri, vol. I, a.c.d. P. Scarpi,
Mondadori, Milano 2002, pag. 79
9
ibid.
10
op.cit. pag. 77
11
op. cit., p. 203
12
op. cit., p. 125
13
G. Colli, La sapienza greca, Adelphi, Milano 1977,
pag. 29 sgg.
14
Le religioni cit., p. 135
15
R. Guénon, Simboli della Scienza sacra, Adelphi,
Milano 1975
16
Le religioni dei Misteri cit., p. 179
17
op. cit., p. 177
18
op. cit. p. 141
19
op. cit. p. 165
20
G. Colli, La sapienza cit., p. 103
21
Le religioni cit., p. 151
22
G. Colli, La sapienza cit., p. 115
23
G. Colli, La sapienza cit., p. 107
24
op. cit., p. 99
25
op. cit., p. 105
26
Pseudo-Longino, Del sublime, Rizzoli, Milano 1991
27
G. Colli, La sapienza cit., p. 385
28
Le religioni cit., p. 175
1
31
La Stella Fiammeggiante
Pentalfa, Pentagramma, Pentacolo1
Luca Scarpelli
Le popolazioni più antiche associarono il
Pentagramma al pianeta Venere in quanto esso
traccia, durante un ciclo di otto anni sull’eclittica,
un perfetto pentagramma.
È da notare che inizialmente, data la diversa
luminosità del pianeta in momenti diversi della sua osservazione (molto luminoso al mattino = Stella del mattino o Phosphoros o Lucifero e poco luminosa la sera = Stella della
sera o Hespheros o Afrodite), gli antichi credevano che Venere fosse in realtà due pianeti
distinti e solo successivamente (Pitagora?) fu
riconosciuto che si trattava di un solo astro.
La prima raffigurazione simbolica del
Pentagramma risale agli antichi Egizi che lo
rappresentarono con il segno geroglifico
trilettere SB(A) che s’identificava con Horus.
Il significato di SBA è sia stella, sia porta e
come tale è rappresentato nelle celle funerarie
a significare “l’uomo-stella risorto” in atto di
orans, ma anche a indicare la porta come passaggio fra due ambienti diversi, quello
prettamente materiale e quello spirituale. E’
da notare che l’immagine stilizzata di una stella
a cinque punte si ritrova, sempre nell’antica
civiltà egizia, sulla fronte della Dea Sothis (Fig.
1) – che successivamente diverrà Iside – a
indicare con molta probabilità la stella Sirio e
a simboleggiare la perfezione dell’Uomo e/o
l’Uomo magico e divino. Inoltre il geroglifico
DUAT costituito dal geroglifico SB(A)
inscritto in un cerchio (Fig.2), quindi un vero
pentacolo, è riportato più volte nel famoso
papiro “Il libro dei morti”.
La tradizione (ma non esistono prove) afferma
che il simbolo del Pentalfa fu ideato da Pitagora,
dopo che ebbe risolto il problema del segmento
aureo, cioè la proporzione per la quale la parte
32
minore sta in rapporto alla maggiore come la
maggiore sta al tutto. Il valore numerico della
“proporzione aurea” è 1.618.
Fig. 1
Un rettangolo avente i lati che rispettano la proporzione aurea è detto Rettangolo aureo. Ebbene esso si può generare infinite volte nel
Pentalfa (infinite generazioni del numero cinque). Fatto sta che i Pitagorici usarono il Pentalfa
come simbolo d’armonia e lo usavano come
segno di riconoscimento (Signum Igeae, segno
della salute).
Fig. 2
Il termine Pentalfa sembra sia stato coniato sempre da Pitagora a significare I cinque alfa, cioè
i cinque principi: ai quattro empedoclei (terra,
acqua, aria e fuoco, corrispondenti ai quattro
vertici inferiori della stella) ne aggiunse un quinto (che divenne poi la Quintessenza degli
alchemici), cioè lo Spirito corrispondente al
vertice alto della stella in questione. (Fig.3). Esso
rappresenterebbe quindi il dominio dello spirito
sulla materia.
Fig. 3
Fig. 5
Successivamente il Pentalfa fu adottato da
Plutarco per simboleggiare L’uomo eterico a
cinque rami e cioè l’uomo che, dopo l’iniziazione,
una volta purificato dal fuoco e liberato dalle
scorie, sorge come uomo superiore,
pentagrammatico, con le braccia sollevate in un
gesto di meraviglia di fronte al mondo spirituale
appena rivelato. In questo contesto il Pentalfa
come uomo-pentagrammatico fu ripreso da
Paracelso e da Agrippa che nel suo De Occulta Philosophia (Amberes, 1530) lo raffigura
con un uomo inscritto all’interno con la testa e
l’estremità dei quattro arti corrispondenti alle
cinque estremità della stella. (Fig.4)
Il Pentalfa rovesciato, in questo senso, vuol
simboleggiare per i Satanisti la vittoria della
materia sullo spirito e quindi del Demonio su
Dio. Una stella a cinque punte rovesciata si
trova anche come emblema dell’Ordine delle
Stelle d’Oriente (Ordine Paramassonico misto fondato dal massone Robert Morris nel
XIX secolo) (Fig.6) Ma l’analogia con il
Satanismo finisce qui: nell’Ordine delle Stelle
di Oriente ogni braccio ha un colore diverso e
ognuno di essi s’identifica con un’eroina
biblica: Ester, Rut, Ada, Marta ed Eletta. Inoltre al centro della stella si trova un pentagono
con all’interno rappresentato un altare con la
Bibbia aperta. Insomma, la forte impronta
religiosa pone questo emblema esattamente
agli antipodi del pentacolo rovesciato dei
Satanisti.
Fig. 4
In questa guisa, dal medioevo in poi, il Pentalfa
fu utilizzato dai cultori della Magia bianca come
simbolo benefico e talismano, tanto che, soprattutto nel nord dell’Europa, si ritrova tracciato
sulle porte delle abitazioni per scacciare i malefici e i Troll. E in tale guisa si ritrova, graffito, in
alcune caverne alpine, denominato “Piede della
strega” come segno apotropaico contro il maleficio (e per tale motivo definito anche Pentacolo
di passo). Una volta rovesciato, cioè con la
punta rivolta in basso, e talvolta con la testa di
un caprone inscritta all’interno, si dice che è utilizzato dai cultori della Magia nera come simbolo della Bestia (cioè Satana) e come tale utilizzato durante i riti di Messe nere. (Fig.5).
Fig. 6
Nella Massoneria il Pentalfa è denominato
Stella Fiammeggiante e presenta una G
inscritta al suo interno. Il significato della lettera non è chiaro: per molti rappresenta l’iniziale di G\A\D\U\ o di God (e quindi avrebbe
una valenza religiosa e come tale sarebbe stato
sostituito alla Y (Yod) di origine ebraica),
mentre per altri sarebbe l’iniziale di Gnosi,
Grammatica, Genesi, Generazione,
Gravitazione, e altro ancora. Esso anzi muterebbe significato a seconda che nel Tempio si
33
lavori in Camera di Apprendista, di Compagno o in Camera di mezzo.2 Ma in definitiva
questa diatriba ha per i massoni poca importanza (dato il significato ermeneutico del simbolismo massonico) e quindi ognuno è libero
di interpretarlo nel modo che gli è più
congeniale. (Fig. 7)
Fig. 7
Incontrovertibile è il fatto che tale simbolo è
posto nel Tempio in una posizione preminente
(a Oriente, in alto, in posizione centrale e subito sotto l’acrostico A\G\D\G\A\D\U\) a dimostrazione dell’importanza di tale simbolo
che per molti, insieme al più popolare Squadra e Compasso – che avrebbe un significato più operativo – rappresenterebbe il simbolo più spirituale dell’Istituzione Massonica.
Nel suo complesso la Stella Fiammeggiante
rappresenta dunque il simbolo della scintilla
divina che s’irradia all’uomo e lo eleva dalla
pura materialità a un mondo superiore.
Esso s’identifica quindi col Fuoco filosofico
degli Alchimisti e cioè la scintilla vitale comunicata dal Creatore alla materia, alchemicamente ottenuta non con la comune combustione, ma con l’acciarino o con la lente ustoria. Esso è, infine, il centro da cui s’irradia
la luce che illumina e fa grandi i fratelli nel
tempio.
Polemiche sono sorte anche per i rapporti trovati fra il Pentalfa e la Chiesa Cattolica. Sicuramente la più nota è la presenza di un
Pentalfa inciso sul dorso della mano sinistra
del papa Paolo VI rappresentato su una
formella delle porte di bronzo sul “Battente
del Bene” che rappresenta il Concilio Vaticano II (Fig. 8)
34
Fig. 8
La rappresentazione, fatta dallo scultore
Minguzzi, fu realizzata quando Papa Paolo VI
era ancora vivo e quindi con il suo consenso
ed è stata successivamente cancellata dopo
la sua morte per le proteste di alcuni sacerdoti. La presenza del Pentalfa sembra confermare le indiscrezioni secondo le quali Paolo
VI era molto “vicino” alla Massoneria se non
addirittura iniziato. A questo proposito si può
anche ricordare che molto recentemente, dopo
l’elezione di Papa Francesco nel suo stemma
la presenza di una stella a cinque punte è stata prontamente sostituita con una stella a otto
punte. (Fig. 9)
Fig. 9
Anche per Papa Francesco sono iniziate le
“accuse” da parte di ambienti cattolici
ultraortodossi di essere filomassonico se non
addirittura iniziato alla Massoneria.
A completare questa breve trattazione sul
Pentalfa alcune considerazioni sulla Stella a
cinque punte che, per molti, ne sarebbe una
diretta derivazione.
La Stella a cinque punte è ampiamente rappresentata soprattutto in ambiente militare (le
famose stellette) soprattutto negli eserciti sta-
tunitense, cinese, russo, italiano e cubano (ricordate la stella a cinque punte sul basco del
Che? Fig. 10), in molte bandiere nazionali
(USA, Cina, Russia, Cuba, Nord-Corea, Algeria, Marocco, Somalia), in alcuni stemmi
politici (il vecchio PCI e PDS), nella medaglia della Rivoluzione Bolscevica, ecc.
Fig. 12
Fig. 10
Essa è anche il simbolo della Repubblica Italiana. (Fig. 11)
Fig. 11
Per molti la presenza della stella a cinque
punte come simbolo della Repubblica e dell’Esercito repubblicano avrebbe un’origine
massonica (derivando direttamente da
Pentalfa): sarebbe stato nel 1871 l’allora ministro della Guerra, il massone Cesare RicottiMagnai, a sostituire la Croce dei Savoia con
la Stella Massonica.
Per concludere: anche la famigerata Stella a
cinque punte asimmetrica delle Brigate Rosse avrebbe avuto una simile origine. Essi
l’avrebbero ripresa dai Tupamaros, i guerriglieri sudamericani che a loro volta l’avevano
assunta come simbolo ispirandosi alla Stella
massonica. Bisogna infatti ricordare che in
molte zone del Sudamerica la Massoneria
(Bolivar, Garibaldi, Allende, ecc.) ha una netta connotazione rivoluzionaria. (Fig.12)
Note
1. Con Pentacolo s’intende il simbolo circoscritto
in un cerchio, con Pentalfa non circoscritto e
con Pentagramma il segno grafico privo di significato simbolico.
2. Ulteriori approfondimenti possono essere effettuati solo in Camera di Compagno e in Camera di mezzo dai soli iniziati massonici.
35
Il Laboratorio dell’Alchimista
Interpretazione di un disegno
Patrizio Comparini
La vostra visione diventerà chiara solo
quando guarderete nel vostro cuore.
Chi guarda all’esterno, sogna.
Chi guarda all’interno, apre gli occhi.
Carl Gustav Jung
Doctor. Nella stessa Basilea segue i corsi di
spagirica – nella terminologia del medico svizzero
Paracelso, parte della chimica che si occupa
dell’analisi degli elementi, specialmente dei
metalli, e del modo di eliminarne le impurità –
con il mistico protestante Johannes Arndt.
Heinrich Khunrath (1560-1605) o Dr. Henricus
Khunrath era un medico, filosofo ermetico,
alchimista, forse fratello minore del medico di
Lipsia Conrad Khunrath anche lui seguace di
Paracelso. Nel 1570 si iscrisse all’Università di
Lipsia, con il nome di Henricus Conrad Lips.
Nel maggio del 1588 si iscrive all’Università di
Basilea conseguendo la laurea in Medicinae
Discepolo di Paracelso praticò la medicina a
Dresda, Magburgo e Amburgo e forse divenne
professore all’Università di Lipsia.
Dopo il 1588 viaggiò molto e fu a Praga dove
incontrò il mago John Dee (1527-1608) matematico, storico, mistico, consigliere della Regina Elisabetta I, che divenne il suo mentore. Nel
1591 fu nominato medico di corte presso il Conte Rosemberk in Trebona.
Morì a Dresda o Lipsia in povertà a quarantacinque anni il 9 settembre 1605.
La sua opera maggiore fu l’Amphitheatrum
Sapientiae Aeternae (Atanor di Roma la pubblica nel 1973). Il libro presenta un alchimia di
tipo spirituale simbolico-filosofica, mistica cristiana, tanto che non fu preso in considerazione
da molti alchimisti che lo consideravano lontano
dalla vera pratica operativa alchemica. La stessa critica per gli stessi motivi fu mossa in tempi
moderni anche a René Guenon (1886-1951) e
all’italiano Julius Evola (1898-1974). Proprio per
questa mescolanza di alchimia, mistica cristiana
e magia, il libro fu condannato e messo all’indice dalla Sorbona nel 1625.
La prima copia stampata ad Amburgo nel 1595
conteneva soltanto 4 tavole circolari colorate a
mano con contorni in oro e argento e con una
fascia di testo, e 25 pagine di testo.
Dell’edizione del 1595 oltre a quella consultabile
su internet che faceva parte della collezione di
Denis I. Duveen (1910-1996) ed ora delle collezioni speciali del Memorial Library, University
36
of Wisconsin, ne conosciamo solo altre due copie a Darmstadt e Basilea.
L’edizione più diffusa fu quella pubblicata postuma ad Hanau Assia, e non come riportano
alcuni autori Hannover, nel 1609 dal discepolo
Erasmus Wolfart che pubblica l’opera su legato
dell’autore. La tavola che andremo ad analizzare è una delle più conosciute anche fra i “profani” ed è presente in tutte le edizioni compresa la
prima del 1595. Il disegno della tavola è del pit-
tore Hans Vredman de Vries (1527-1604) e l’incisione delle lastre è di Paullus Van Der Doort.
Prima di passare all’esame di questa tavola vorrei
spendere alcune parole per il Frontespizio del
libro che nell’edizione del 1609 è sostituito da
un disegno.
Questo disegno riporta alcune frasi e concetti
che troveremo anche nel laboratorio dell’alchimista.
Interessanti i due obelischi che esotericamente
37
rappresentano il collegamento con il Divino.
Il mondano che cerca di ascendere verso l’alto
per ricongiungersi all’Uno al Tutto. L’obelisco
era un componente importante nell’architettura Egizia. Due obelischi veniva posti all’entrate dei Templi. La posizione dei due obelischi
è invertita rispetto a colui che guarda perché
la lettura è araldica, per cui la destra diventa
la nostra sinistra e la sinistra la nostra destra.
I due obelischi richiamano fortemente le due
38
colonne del Tempio di Salomone la colonna di
destra Jackin (Egli stabilirà) simboleggia la forza
maschile attiva e la colonna di sinistra Boaz (in Lui
la forza) simboleggia la bellezza femminile. Da
notare come l’Obelisco-Colonna Jackin sia collocato su di un piedistallo che poggia sulla terra, un
richiamo alla simbologia maschile con la scritta
Sole; mentre l’Obelisco-Colonna Boaz poggi su
un piedistallo che origina dall’acqua, un richiamo alla femminilità con la scritta Luna.
Ultima osservazione, sulla roccia in fondo al
disegno la scritta “mercurio”, è il simbolo della Monas Hieroglyphica inventato da John
Dee (il simbolo appare nelle pagine del manifesto rosacrociano delle Nozze Chimiche di
Rosenkreutz pubblicate nel 1616 da Johannes
Valentinus Andreae, che insieme al motto “Id
quod inferius sicut quod superior” riportate
all’inizio della tavola di Smeralda “quod est
inferius, est sicut quod est superius, et quod
est superius, est sicut quod est inferius” (Ciò
che è in basso è come ciò che è in alto e ciò
che è in alto è come ciò che è in basso) hanno
fatto considerare Heinrich Khunrath come ad
uno degli ispiratori del movimento
Rosacruciano.
Parte Sinistra
“AGENTIBUS NOBIS, ADERIT IPSE
DEUS” (Quando ci dedichiamo con dedizione
al lavoro, Dio stesso ci aiuterà). Come dire aiutati che Dio ti aiuta.
“NE LOQUARIS DE DEO ABSQUE
LUMINE” ( Non parlare di Dio senza la luce).
Paracelso diceva che “l’alchimia serve a separare il vero dal falso”. Non si può quindi sperare
di conoscere la verità stando nella penombra,
senza possedere un po’ di Luce simboleggiata
qui dalla lampada ad olio. Per portare avanti
l’opera di purificazione bisogna saper sacrificare la parte più materiale di se stessi, (noi diremmo abbandonare i metalli). In questo senso spirituale va inteso il detto alchemico “Per fare l’oro
dobbiamo avere dell’oro”.
“TIMENTIUM”“YHWH” “VOLUNTATE”
“P. 145”. Salmo 145 –V 19" Voluntatem timentium se faciet..” (Egli adempie il desiderio di
quelli che lo temono). Stesso concetto lo troviamo espresso sempre nella Bibbia nel libro dei
Proverbi (di Salomone) Cap. 1- Elogio della sapienza V. 7 “Il timore dell’Eterno è il principio
della scienza”
“I DUE PENTACOLI” - Il Pentacolo è costituito da un Pentagramma racchiuso dentro un
cerchio. Rappresentazione dell’unione del microcosmo con il Macrocosmo. Le punte simboleggiano i cinque elementi metafisici:
lo spirito (la punta in alto), l’acqua, l’aria, la terra, il fuoco. Il cerchio che circonda e delimita il
Pentagramma essendo una linea senza soluzione di continuità rappresenta l’infinito, l’eternità,
la totalità.
“DISCE BENE MORI” (Impara a morire
bene). Sotto la scritta vediamo un Teschio e una
Clessidra. Il primo significato che possiamo cogliere dall’insieme e che ci riguarda da vicino è
il riferimento alla morte iniziatica la rigenerazione
di noi stessi. Nel fare questo (la clessidra) non
dobbiamo sprecare inutilmente la nostra vita.
Leggendo la frase mi sono ricordato di un
aforisma di Marcello Marchesi, (1912 - 1978)
“L’importante è che la morte ci trovi vivi” (Il
Malloppo ed. Bompiani 1971).
Parte Destra
“MERCURIO, ZOLFO, SALE (armoniaco)”
sono gli elementi originari. Il Mercurio poteva
essere trasformato in qualsiasi altro metallo,
anche in oro. Lo Zolfo rappresenta il principio
originario maschile che agisce fecondando il
39
40
passivo e femminile Mercurio. Il Sale rappresenta nell’immaginario alchemico il terzo principio, quello che determina l’equilibrio, la stabilizzazione, la combinazione armonica tra anima
e spirito, tra zolfo e mercurio.
“ROS CELI” Rosa del Cielo. La rosa è il simbolo dell’Arte Ermetica.
“HYLE’” - Materia prima, detta anche “materia al nero” da cui gli Alchimisti partivano per
estrarre il Mercurio. Hyle è la Materia caotica,
che deve essere scomposta nei suoi principali
elementi, affinché ciascuno di essi possa essere
successivamente purificato separatamente.
“ORO POTABILE” - In Alchimia vi era un’altra medicina molto conosciuta oltre la Pietra Filosofale: l’Oro Potabile. Esso era in grado come
la pietra di curare malattie, di ringiovanire, di
tramutare l’argento in purissimo oro a 24 carati.
Gli Alchimisti, affermavano che in questo Aurum Celesta o Oro Potabile vi fosse dell’oro
monoatomico con un potere di superconduzione, che era necessaria sempre a detta degli alchimisti, per portare tutti i processi biologici, fisiologici e psicologici al livello più alto. L’oro
potabile rappresentava per l’alchimia, il principio di fertilità, di moltiplicazione e prosperità di
tutte le cose.
“DUE TETRACTYS FORMATE DA PESI” Dieci è il numero della Tetractys pitagorica, dato
dalla somma dei primi quattro numeri. Questa decade era considerata dai pitagorici il più sacro
dei numeri. Simbolo della creazione universale.
to rimaneva della combustione non doveva essere buttato via, perché il processo è infinito e
quel che rimane di corporeo diventa la base
per un nuovo processo di trasmutazione.
“NEC TEMERE NEC TIMIDE” (né temerariamente, né timidamente). La stessa frase
la troviamo scritta sopra le due cornucopie
del frontespizio dell’Amphiteatrum Sapientiae Aeternae. La frase è il motto dell’Università di Edimburgo e, sorretta da due leoni, sovrasta lo stemma comunale della Città di Danzica. Il compimento della purificazione era anche descritto come Resurrezione o Opera al
Bianco (l’Albedo) e raffigurato spesso con
un gallo, l’animale che annuncia l’Alba del
nuovo giorno.
“ATHENA DEA DELLA SAPIENZA E DEI
CONFLITTI” aveva come suoi attributi il
gallo, oltre agli emblemi della lancia, dell’ulivo, della civetta. La figura sotto ci mostra la
dea Minerva con tutti i suoi attributi. La civetta rappresenta il fuoco alchemico, che nella
prima fase dell’Opera, consente di “vedere al
buio” (cioè nella propria Interiorità) Il gallo
incarna invece la fase successiva, in cui il
fuoco consente di vedere all’esterno. Secondo gli alchimisti, infatti, chi guarda il mondo
esterno unicamente alla luce del sole è come
fosse cieco. Per “vedere” realmente il mondo esterno bisogna aver prima di tutto guardato dentro se stessi.
“NE PUDEAT CARBONUM” (non vergognarti dei resti della combustione). Gli alchimisti
ammonivano di non gettare via le ceneri. Quan41
Caso curioso anche la città di Hanau dove viene pubblicato il nostro libro ha come stemma
una figura simile a quella che troviamo nel laboratorio cambia solo l’animale un cigno anche
esso animale simbolico per l’alchimia.
42
Parte Centrale
“SINE AFFLATU DIVINO NEMO UNQUAM VIR MAGNUS” (Senza ispirazione
divina nessun uomo fu mai grande).
Ho trovato una frase dello stesso significato detta
da Cicerone: “Nemo igitur vir magnus sine aliquo afflatu divino unquam fuit” - Non è mai esistito uomo grande senza qualche ispirazione divina (Cicerone, De natura deorum, Libro II).
“LAMPADARIO A STELLA A 7 RAGGI”
Simbolo delle 7 operazioni alchemiche. La
Opus alchemicum o Grande Opera cioè la creazione della pietra filosofale avveniva attraverso sette procedimenti divisi in 4 Operazioni: Putrefazione - calcinazione - distillazione sublimazione. La “materia prima” così ottenuta da queste quattro operazioni messa nell’Atanor insieme con zolfo e mercurio si trasforma attraversando “3 stadi”: Nigredo (opera al nero la materia si dissolve putrefacendosi); Albedo (opera al bianco durante la quale la sostanza si purifica sublimandosi), Rubedo (opera al rosso lo stadio in cui la materia si ricompone fissandosi).
Per la simbologia Pitagorica il numero 7 rappresenta la vita. Formato di 3 + 4, il ternario più
il quaternario, rappresenta la perfezione dello
spirito, la perfezione dell’invisibile e la comunione dell’uomo con la divinità.
Anche nella simbologia religiosa con il numero
7 viene ripetuto lo stesso concetto. Il numero 7
è dato dall’unione del numero 3 rappresentante
la trinità divina e il 4 la materia, rappresentante
i quattro punti cardinali. La rivelazione di Dio su
tutto il mondo.
“MUSICA SANCTA TRISTITIAE SPIRITUUMQUE MALIGNORUM FUGA: QUIA SPIRITUS
( YHWH) LIBENTER PSALLIT IN CORDE GAUDIO PIO PERFUSO” (La musica sacra è tristezza ed esilio per gli
spiriti maligni perché lo spirito di Dio volentieri
suona nel cuore pieno di gaudio virtuoso). Un
lungo tavolo pieno di oggetti simboleggia il mondo contingente. Vi troviamo una bilancia con i
pesi, un campanello, un coltello, recipienti vari,
due libri uno dei quali di musica ed infine quattro
strumenti musicali che rappresentano i quattro
elementi: l’Arpa posta sotto i tre strumenti a sinistra corrisponde al Fuoco, il Liuto sopra a destra corrisponde all’Acqua, la Viola alla Terra e
il Sistro all’Aria. Qui ci troviamo di fronte ad
una simbologia quaternaria: Fuoco, Acqua, Aria
e Terra.
Il quattro, il quaternario, per i Pitagorici era il
numero perfetto. Esso rappresentava la prima
potenza matematica, era composto da 1 + 3 cioè
la monade (l’uno) ed il triangolo (il tre). Simboleggiava l’uomo che portava in sé il principio
divino. Il quattro o Tetrade era il numero necessario di punti per formare la prima figura solida la piramide (il Tetraedo uno dei 5 solidi di
Platone, formato da tre triangoli equilateri).
La prima sensazione provata guardando questo
disegno è quella di una grande prospettiva che
lo differenzia nettamente dagli altri disegni o dipinti che raffigurano laboratori alchemici. Quello di Giovanni Stradaro, ad esempio che ritrae
l’alchimista intento a preparare un infuso circondato da numerosi apprendisti; o quello di De
la Roche che ritrae l’Alchimista seduto davanti
al suo Atanor intento a prendere appunti su di
un quaderno, oppure quello molto semplice di
un affresco del XV secolo che ritrae un alchimista seduto davanti a un grande alambicco.
Questo disegno non vuole essere un “istantanea”, non vuole “documentare”, non vuole rappresentare il “reale”; non vuole essere testimone fedele di quell’immaginario collettivo che
vede il laboratorio dell’alchimista come un luo43
go sporco, angusto e disordinato, illuminato dalle flebili luci.
L’ambiente qui è completamente diverso la rappresentazione ha intenti esclusivamente simbolici, per questo tutto è ordinato e collocato in
un’enorme spazio copiosamente illuminato da
ampi finestroni. Il disegnatore posiziona ogni
oggetto e ogni scritta al posto giusto, al posto
che gli compete, perché ogni oggetto ed ogni
scritta ha un suo preciso messaggio simbolico.
Sappiamo che ogni simbolo per sua natura pur
possedendo un unico significante ha la capacità
di rimandarci ad un numero infinito di significati,
esso parla a ciascuno di noi in maniera totalmente diversa. Di tutto questo ho tenuto necessariamente conto durante il mio lavoro come pure
ho dovuto tener conto delle sagge e sibilline parole inserite dall’autore nell’ultima pagina dell’edizione del 1609.
“Al candido lettore Salute. Nel seguito dell’esposizione di tutti i gradi, candido lettore,
le parole vi sono scivolate per errore: qui
deve essere inserite le figure del primo 2°3°-4°-5°-6° e settimo grado. Ora nessun grado ha delle figure particolari. Ma è l’Anfiteatro stesso che si accorda con le figure e che
possiede le sue introduzioni, per questo ho
voluto avvertirti per paura che pensassi che
ciò potesse significare qualche cosa, Addio”.
Il disegno è “studiato a tavolino” per cui soggiace a delle ben precise regole di composizione. A
livello strutturale il nostro de Vries adotta una
regola conosciuta già dai disegnatori e pittori
antichi, utilizzata ancor oggi nella fotografia, la
famosa regola dei terzi. Tale regola consiste
nel sovrapporre idealmente all’immagine un reticolo con due linee verticali e due linee orizzontali equidistanti fra di loro.
44
I punti a-b-c-d- sono detti “punti di forza”, e la
parte centrale racchiusa fra questi punti è chiamata “sezione aurea”. Lo sguardo istintivamente
attratto dalla parte centrale dell’immagine, successivamente è portato a soffermarsi sui punti di
forza in cui vengono collocate le informazioni che
avranno il compito di rafforzare ed aggiungere
significato alla “Sezione Aurea”. Tutti gli elementi importanti sono infatti collocati in prossimità dei
punti di forza, secondo un altro principio importante nella composizione di un immagine.
Gli elementi più importanti più “pesanti” in termini non solo di grandezza ma anche di colore
(ad esempio a parità di grandezza il nero vale
più del bianco), vengono di regola collocati nella
parte più bassa dell’immagine.
È facile notare che tutte le linee di fuga, seguono
questo principio e sembrano quasi attratte da quelle che partono dalla zona inferiore del tavolo; per
convergere infine tutte verso l’unico “punto di fuga”
la sezione aurea dove si trova il dormitorio.
Da quanto detto nasce la seconda sensazione
provata analizzando il disegno, quella di un grande e totale equilibrio formale e sostanziale, in
altre parole la sensazione di una grande “armonia”. Un gioco di equilibrio in cui sono determinanti il peso e la struttura di ognuno dei due grandi
insiemi del disegno quello di sinistra e quello di
destra, ciascuno formato di scritte e rimandi simbolici diversi come abbiamo potuto osservare
leggendo le pagine precedenti.
Sarebbe a mio parere un errore infrangere questa “armonia” risolvendo tutta l’interpretazione
del disegno, dando la preminenza al messaggio
di un singolo insieme rispetto all’altro. Sarebbe
un errore porre l’accento sul messaggio spirituale di sinistra raffigurante il sacro “Ora” rispetto a quello di destra “Labora”. È come trovarsi di fronte il simbolo del Yin e Yang .
Due blocchi opposti ma al contempo complementari fra loro. All’interno del disegno di sinistra abbiamo notato che non mancano richiami
alla profanità dell’essere al “Labora”, e viceversa nel disegno di destra vi sono continui rimandi alla sacralità allo “Ora”.
Per chiarire meglio il concetto possiamo raffigurarci un archipendolo perfettamente a livella,
poggiato su questi due grandi insiemi.
Facendo risaltare un insieme rispetto all’altro otterremmo soltanto uno spostamento del filo a
piombo che prima centrava perfettamente il terzo insieme quello rappresentato dal tavolo.
Come abbiamo precedentemente detto il tavolo rappresenta l’immanenza, la quotidianità,
il nostro essere spirituale e materiale, in definitiva il nostro essere esistenziale. Il tavolo è
il luogo dove si operano le scelte, dove si può
risolvere il grave conflitto di ogni esistenza,
quello fra sacro e profano. Quel tavolo è il
luogo dove noi operiamo le nostre scelte, è la
nostra “camera di mezzo”. È attraverso questo tavolo che noi possiamo accedere verso il
punto più luminoso del disegno, la “sezione
aurea” rappresentata dalla porta centrale lontana attraverso la quale si accede al dormitorio. Ecco la meta che ci viene indicata. È solo
attraverso una maggiore conoscenza di noi
stessi che possiamo rendere
sempre più luminosa e bianca la nostra esistenza. Notate come la sezione aurea, la meta
che viene indicata, il dormitorio, sia stranamente per un luogo al momento disabitato, la
parte più luminosa di tutto il disegno. Il disegno non ci invita alla ricerca del trascendentale. L’infinita distanza che separa il Creatore dalla creatura è’ simboleggiata dall’altezza
della trave a cui è appeso il lampadario ma lo
stesso trave con la sua scritta, rappresenta
un monito per colui che volesse poggiare la
propria ricerca solo sulla “ragione” e sulla
“esperienza” dimenticando quel quid di divino
che è in ogni essere umano: “Senza ispirazione divina nessun uomo fu mai grande”.
È solo attraverso la piena conoscenza di noi stessi che possiamo sperare di raggiungere lo scopo
della nostra esistenza; “Dormiens Vigila” (mentre dormi sii vigile) ecco il paradosso1 a cui ci
richiamano anche le parole di Jung messe in
epigrafe.
A capo del tavolo una sedia, e sopra il tavolo
semplici arnesi di lavoro. È su quel tavolo che
l’alchimista dopo aver pregato butta giù il progetto del lavoro futuro, è sullo stesso tavolo che
l’alchimista, quasi sempre dopo aver fatto un
po’ di musica, tira le somme di una giornata di
intenso lavoro, e annota i progressi della sua ricerca. In evidenza gli strumenti musicali e la
scritta sulla tovaglia in bella mostra. Sembra quasi che il disegnatore voglia farci riflettere sul
fatto che per raggiungere la verità, per raggiungere la parte estrema del cerchio, di quell’ideale pentacolo che è la nostra esistenza, dobbiamo passare attraverso le prove dell’acqua, dell’aria, della terra del fuoco; cioè dei cinque elementi metafisici rappresentati da altrettanti strumenti musicali. Il disegno sembra dirci che nel
compimento della nostra “grande opera” dobbiamo fidarci soprattutto del nostro intuito, rappresentato dall’arte musicale (la più grande di
tutte). L’arte è l’unica che può parlarci in qualche misura dell’ineffabile, l’unica che può farci
raggiungere la parte estrema di quel nostro immaginario pentagramma, fino a farci quasi toccare il cerchio che delimita i confini della nostra
vita umana.
Mi piace concludere questa tavola con il disegno detto dell’Ossifraga o Frisone che viene
generalmente posto in fondo all’Amphitheatrum
Sapientiae Aeternae, ponendo l’attenzione alle
significative parole che lo accompagnano: “A
che servono fiaccole, torce e occhiali, a chi
chiude gli occhi per non vedere?”
P.S. Noterete accanto alla zampa destra del
volatile piccola ma ben visibile, una fogliolina di
Acacia2.
45
Note
1. Il paradosso, (parà “contro” e dòxa “opinione”, è un affermazione che è in contrasto con
l’opinione dei più) è inserito proprio per essere
di grande stimolo alla riflessione, perché urtando contro ogni ragionamento logico ci costringe
a riflettere nuovamente su ciò che abbiamo appena affermato. Il paradosso è spesso usato in
filosofia come pure in teologia.
2. Per la precisione “Robinia pseudoacacia”. La
46
durezza e la resistenza del suo legno, segno di
forza e perennità simboleggiano la vittoria della
vita sulla morte. Il suo colore verde è simbolo
della esistenza e della vita. L’acacia rappresenta anche la saggezza e la rinascita e veniva considerata nell’antichità legame fra il visibile e l’invisibile. Per la cultura egizia era l’albero iniziatico,
simbolo del passaggio dall’ignoranza alla conoscenza. Alcuni testi egizi fanno nascere gli dei
sotto una acacia.
Storia della Massoneria
Palazzo Pazzi sede massonica
nella Firenze capitale (1865-1871)
1
Guglielmo Adilardi
Giuseppe Mazzoni 2 uomo politico di grande
rilevanza nel Risorgimento più segreto, fu fino
da giovanissimo sotto la lente della repressione
poliziesca come emerge dalla nostra ricerca
archivistica. Negli Archivi giacciono sepolti ed
inesplorate parti di verità sottaciute o addirittura
negate, talché si potrebbe parlare ancora adesso di un Risorgimento “segretato”, dopo aver
ascoltato vari Risorgimenti “incompiuti”,
“esoterici” per non parlare del “Risorgimento
dei vinti” e quant’altro la ricerca storiografica
va a scoprire; così leggemmo di un Risorgimento popolare, quasi giacobino, poi fu la volta, tesi
ancora tanto seguita, di un Risorgimento borghese, ove le masse furono strumenti docili e
manipolate dagli abili tessitori d’affari, o dai
massoni. Ma in definitiva dobbiamo amaramente concludere che il Risorgimento è ancora materia viva, non ancora completamente rielaborata
soprattutto nelle coscienze degli Italiani; talché
sembra sia ancora attuale la famosa frase di
Ferdinando Martini o, secondo altri più propriamente di Massimo d’Azeglio “che una volta
fatta l’Italia occorreva fare gli Italiani, questa mi sembra sia la verità ultima cui dovranno
le generazioni future por mano.
Per ciò che riguarda la revisione storica del personaggio Mazzoni abbiamo rinvenuto nell’Archivio di Stato di Firenze la vicenda dell’espulsione “per moti di liberalismo” dal Collegio
Ferdinando nel 1825 quando il Nostro aveva 17
anni. E a quell’età si era uomini maturi come
insegnano le tante adesioni ai moti delle guerre
di Indipendenza italiane di tanti giovani. Per rendersi conto che l’”affaire” di Mazzoni non fu
una ragazzata ricordiamo che fu oggetto di un
processo di quasi un anno di durata in cui furono coinvolti molti giovani ribelli fuori e dentro il
Collegio, quindi con partecipazioni dei
“sapientini”, con co-interessamento del Vicario di Pisa e del Presidente del Buon Governo
(Sarebbe oggi il presidente del Consiglio dell’epoca). Ancora, vi erano nella rivolta alcuni
sacerdoti, uno dei quali fu Francesco Biagioni
di Pisa. Mazzoni, quindi, si connota da subito
quale settario ed emerge la sua giovanile
affiliazione agli “Intrepidi di Dante” e alla
setta degli “Illuminati”.
Nel 1847, quando il Granduca liberalizzerà la
stampa fonderà con il sacerdote Atto Vannucci
il quotidiano l’Alba, più volte sequestrato che
chiuderanno essi stessi ai primi di marzo 1848.
Il 22 marzo Mazzoni fu a capo di una colonna di
volontari pratesi e pisani per condurli verso i campi
lombardi, ma in realtà si fermarono a Modena per
esultare della cacciata di Francesco V.
Qui occorre aprire due parentesi, la prima è per
sconfessare quegli storici che vanno sostenendo che la prima fase risorgimentale non fu compiuta dai Massoni, in quanto ancora non si era
costituita organicamente alcuna società iniziatica,
pertanto i massoni intervennero a Unità conseguita per sfruttarne le opportunità. Come se le
società segrete, compresa la Massoneria avessero necessità, in alcuni periodi storici, di libri
matricolari o agenzie di marketing. Sappiamo
dagli studi di Gildo Valeggia3 e dal saggio più
recente ed esaustivo di Sergio Goretti4 sulla
Massoneria fiorentina che esisteva una Loggia
Concordia attiva a Firenze dopo il 1815. Ricordiamo per inciso che i Circoli popolari si trasformarono agli inizi del 1849 in adunanze frater47
ne e i soci non si chiamavano fra loro “cittadini”
ma Fratelli; ciò è quanto emerge dalle memorie di archivio dai delegati di polizia fiorentina al
tempo della Restaurazione5.
La seconda parentesi che occorre aprire è quella
sull’adesione dei numerosi sacerdoti al Risorgimento italiano, una pagina ancora tutta da scrivere6. Grande è stato il tentativo di ignorare da
parte degli storici il peso che essi ebbero nel
partecipare all’Unità d’Italia. Ricordiamo per
inciso che l’idea di Italia unita era già presente
da secoli nella cultura latina, appannaggio principale del clero.
Chi meglio dei sacerdoti, uomini colti e maggiormente repressi anche nel loro stesso ambito
chiesastico potevano ambire ad una maggiore
libertà? Chi meglio di loro poteva aver presa sul
popolo ed in particolare sulle giovani generazioni che educavano?
La famiglia del Mazzoni, ancorché pratese, da
tempo si era trasferita in Firenze, in via San
Jacopo tra Fossi, dove il Nostro esercitava ufficialmente la professione dell’avvocatura, ma in
pratica facendo a tempo pieno il cospiratore.
Anche al rientro in patria dall’esilio (1859), durato due lustri in Parigi7, fu costretto dagli avvenimenti locali a riprendere la strada della cospirazione essendoci al Governo provvisorio quei
moderati alla Ricasoli e Bartolomei che avevano contrastato il primo governo provvisorio del
Triumvirato considerato rivoluzionario. Ripartì
pertanto da ciò che scrisse in un opuscoletto del
1848, nel quale proponeva l’abolizione della pena
di morte, il suffragio universale, il principio
dell’elettività dei magistrati, abolizione dei titoli
nobiliari, un’unica imposta diretta e proporzionale sopra qualunque rendita, garanzia dell’istruzione gratuita per tutti, assistenza pubblica e giusta distribuzione del lavoro, preparazione effettiva degli iniziandi al sacerdozio di età non inferiore a 18 anni. Pose lo studio di legale ancora
una volta a Firenze, presso “Le Colonnine”, ma
in luogo di esercitare la professione si impegnò
ancor più nella cospirazione divenendo uomo di
punta della massoneria italiana.
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È certo che Mazzoni fu iniziato a Marsiglia nel
giugno-luglio del 18498 e che fu risvegliato nella Loggia Concordia di Firenze e vi permarrà
fino al 1872, epoca del trasferimento del Grande Oriente d’Italia in Roma, lui officiante, ma
già nel 1864 all’interno della Massoneria occupava una posizione rilevante. Politicamente egli
scelse di divenire uno dei principali promotori di
quel partito democratico nel quale confluivano
le diverse anime della sinistra italiana dell’epoca e nel quale potevano riconoscersi sia i repubblicani, sia i protosocialisti sia i liberali
progressisti.
La Loggia Concordia9 manifestò subito al suo
risorgere un carattere nettamente politico, come
attesta la missione di Giuseppe Giacomo Alvisi
nel 1861 all’Assemblea Costituente di Torino
presso la Loggia Ausonia, dove il delegato fiorentino statuì l’indipendenza della Loggia nel:
“… principio generale della massoneria di
tutto il mondo che nessun problema sia estraneo al tanto ed assiduo lavoro della filosofia massonica”.
Quindi anche la tematica politica è ammessa
nella Concordia da poco ritornata alla luce.
Principio come sappiamo tutt’altro che vero in
quanto la Massoneria tradizionale non si occupa né di politica né di religione.
Ma questo carattere politico-sociale invece sarà
sviluppato dalla Loggia Concordia, a dispetto
delle Costituzioni di Anderson, attraverso i suoi
uomini più capaci 10 quale fu il Mazzoni,
apportatore di un programma assai nutrito non
solo dalla forte intenzione di completare
territorialmente l’Unità d’Italia e la
riunificazione delle sparse membra massoniche,
ma pure da progetti concreti per migliorare lo
stato sociale delle classi più povere11.
Non mancò alla Loggia Concordia di interessarsi della diffusione di libri per l’educazione del popolo e la creazione di un giornale,
“Il Tesoretto”, al cui interno erano dispense
di diritto, di economia, scienze, tutte tendenti
all’emancipazione del popolo soggiogato dal
pretismo ottuso. Giornale che fu il padre di
tutti i fascicoli a dispense di seguito imitati da
altre testate.
Nel 1864 la Concordia creò un altro quotidiano, “Il Temporale”, che in seguito divenne
“Giù il Temporale” con connotazione più radicale del primigenio “Il Tesoretto”.
Dal 1861 la Concordia, per far fronte alla
congiuntura che aveva colpito la Toscana istituì le prime cooperative di consumo alimentare (da cui la Coop) e creò la prima banca
popolare per agevolare il credito agli artigiani, per ammodernare i laboratori e per educare gli operai al risparmio. Nel 1864, considerato il successo della Banca Popolare, Alvisi
studiò con i Fratelli della Concordia l’istituzione di una Società Concordia–Banca del
Popolo, nel cui preambolo mise in risalto la
matrice massonica. La banca doveva essere
sorretta da piccoli azionisti, artigiani, commercianti, operai, tutta gente lontana da speculazioni commerciali e finanziarie, ma legata all’economia reale. La Banca del Popolo si diffuse nel tempo in tutta Italia perdendo la caratteristica cooperativa popolare. Ricordiamo
ancora, per dovere di cronaca, che alcuni
esponenti della Loggia ebbero a cuore la promozione dell’uguaglianza della donna nel civile vivere.
Nello stesso tempo Giuseppe Dolfi con Giuseppe Montanelli, Giuseppe Mazzoni, Piero
Cironi, Andrea Giannelli e Enrico Civinini, altro Fratello della Concordia, furono i fondatori
della Fratellanza Artigiana, quest’ultimo
creò anche la Lega economica alimentaria
per venire incontro alle necessità del popolo
minuto.
Tenendo fede al nome della Loggia grande
impulso verrà dato da Mazzoni, come abbiamo già detto, sia per l’unificazione delle sparse membra della Massoneria italiana sia per
l’unificazione della Sinistra nell’ assumere la
carica di vicario del Gran Maestro Frapolli
(1869-1870), nel 1870.
Proprio nel settembre 1870 con l’abbandono
del maglietto di G.M. di Ludovico Frapolli per
combattere a fianco della Francia contro la
Prussia, Mazzoni ne assunse il comando ad
interim e contro le accuse che la Gran Loggia Royal York di Alemagna in Berlino lanciava per tale adesione azzardata rispose con una
“chiara lettera”12 :
“Che la Massoneria debba per suo istituto
astenersi dalle questioni politiche e di religione è principio incontrastabile ed incontrastato. Ma quali sono le conseguenze pratiche di questo principio?
Si vorrà egli dire che chiunque è insignito
del carattere massonico non debba mai
mescolarsi in cose che abbiano rapporto
colla politica e colla religione? Ciò non
può essere, perché condurrebbe al più
mostruoso assurdo sociale, condurrebbe
alla negazione della libertà umana nei
Massoni e farebbe dell’Ordine una specie
di Società monastica indegna di esistere.
Un massone non potrebbe essere deputato, non prefetto, non Ministro, non potrebbe appartenere all’amministrazione pubblica, né alla gerarchia militare; lo stesso si
dirà di altri uffici. Ma voi sapete del pari
di noi, che in fatto non è così, e ciò conferma che quella interpretazione non deve
ammettersi.
Ora, come conciliare la libertà individuale dei Massoni col precetto, per la Massoneria, di astenersi dalla politica e dalle
controversie religiose?
La conciliazione è facile distinguendo gli
atti che si compiono sia collettivamente, sia
individualmente dai Massoni come Massoni, che è quanto dire nell’esercizio delle
loro qualità, dagli atti che da essi si compiono in modo del tutto profano. Gli atti
della prima specie, se rivolti alla politica
o alle lotte religiose, sono per noi
dannabili: quelli della seconda non possono cadere sotto la censura massonica,
meno il caso che si trattasse di atti immorali o delittuosi”.
49
Mazzoni non volle mai essere marchiato da
un’ etichetta politica, la sua vera vocazione
fu sempre per la libertà del cittadino. E ovunque egli la vedesse risplendere per essa combatteva. Egli fu un cospiratore instancabile del
Risorgimento. Fu così sempre un anticlericale
convinto, ma questo non gli impedì di assistere a Parigi fino agli ultimi istanti di vita l’amico Lamennais13. O a legarsi di amicizia altrettanto fraterna con Proudhon. Così come
fu con Mazzini sodale fino al 1859, pur mettendone in rilievo gli errori, soprattutto quando si andava delineando per il genovese la
necessità della formula unità e libertà a detrimento dell’idea repubblicana. Scontento ed
arrabbiato per la linea rinunciataria presa da
Mazzini ripiegò sui temi della libertà e delle
autonomie locali come già aveva avanzato nel
1848 e successivamente nel 1862 nel costituire a Firenze la Società Democratica, la quale
non a caso aveva alcuni punti di riferimento
col programma Libertà e Giustizia di
Bakounin creata da questi alla fine del 1866.
Piuttosto favorevole all’autonomia dei municipi e delle provincie che non ad un
federalismo alla Cattaneo, secondo alcuni fu
un socialista internazionalista o come si espresse il suo collega parlamentare Antonio Maffi:
“Un socialista nel senso vero e pratico”.
Vien da pensare all’analogia con Garibaldi,
altro sodale di Mazzoni, il quale anch’egli rifiutò sempre d’essere etichettato in
qualsivoglia modo. Garibaldi tenne il Mazzoni
sempre in grande considerazione e nel 1862
lo invitò ad andare in Grecia per stringere la
mano a quel popolo che aveva “Spazzato la
casa sua”. E quando il generale fondò il Partito d’Azione, dopo aver abbandonato la via
diplomatica e la Società Nazionale, Mazzoni
fu pronto a riprendere lo slancio rivoluzionario accanto all’Eroe e si fece partecipe di ciò
con un manifesto firmato assieme a Martinati
e Giraldi “Appello al popolo” per un milione
di fucili.
Certo Mazzoni fu di carattere rigido, un vero
50
Catone come sin da giovanetto fu apostrofato,
che si trovò politicamente vicino a tutti gli
eterodossi del Risorgimento, quali Alberto Mario, Montanelli, Guerrazzi, Agostino Bertani, che
in seguito si raggrupperanno, quali scontenti del
Risorgimento, sotto il segno distintivo del quotidiano da essi gestito nel 1861, La Nuova Europa. E ancora ravvisiamo che la sua adesione
alla Fratellanza Internazionale e all’Alleanza Internazionale della democrazia socialista nel cui Consiglio Generale fu chiamato a
farne parte dello stesso Fratello Bakounin, fu
momentanea, infatti il legame politico fra loro si
interruppe quando le idee dell’anarchico volsero verso lidi antidemocratici che Mazzoni non
poteva condividere.
La scissione fra i due settari si può far risalire al
1870 quando già Mazzoni da un anno aveva assunto l’interim di Gran Maestro al posto di
Ludovico Frapolli e non intendeva compromettere l’Istituzione massonica nel trasformarla in
una centrale anarchica bakouniana.
Mazzoni fu il Gran Maestro che condusse quasi
in porto l’unificazione delle sparse membra
massoniche italiane, poi continuato da Adriano
Lemmi, ma fu anche l’artefice principale o uno
dei principali artefici dell’unificazione della Sinistra in Italia con il conseguente rovesciamento
della Destra (1876, rivoluzione parlamentare).
Questo ribaltamento fu preparato proprio nella
Firenze capitale nel Palazzo Pazzi come vedremo14. Per la prima volta andava al potere la Sinistra che prenderà il nome di “Storica” sia perché durò una decina d’anni circa, sia perché
approntò riforme di modernizzazione del paese
tali da migliorarne lo stato sociale. Fu primo ministro il Fratello Agostino Depretis, che toglierà
l’iniqua tassa sul macinato pensata da Quintino
Sella che determinerà la parità del bilancio dello
Stato.
Ricordiamo, per inciso, che Agostino Depretis
fu affiliato nel 1868 alla Loggia Universo di Firenze, gestita da Giuseppe Mazzoni all’indomani
di Firenze capitale, ove erano assisi uomini
politici di varie tendenze politiche, ma princi-
palmente della sinistra, sempre divisi su tutto.
Ricordiamo come la Sinistra storica impresse
un carattere fortemente laico alla scuola con
la riforma Coppino del 187715. Un governo16
del regno che fu fortemente caratterizzato
dalla presenza massonica coagulata dal Gran
Maestro Mazzoni17, il quale prima della Loggia Propaganda Massonica n.2 da lui creata
nel 1877 sul modello avanzato della Loggia
Universo, riuscì a creare unità d’intenti nei
vari partiti della sinistra sempre in permanente litigio fra loro. Il Mazzoni collaborò con
Ludovico Frapolli, Gran Maestro nell’erezione della Loggia Universo di Firenze, costituita il 17 luglio 1867, in cui gravitarono da subito elementi politici di spicco quali Agostino
Depretis18, il sacerdote Giorgio Asproni19, Giovanni Nicotera20, Luigi Pianciani21, Riccardo
Sineo22, Giuseppe Mussi23, il conte Maurizio
de Sonnaz 24, aiutante di campo del Re, F.
Stigniani, il cav. Luigi Claire, Fabio Cannella,
Mauro Macchi….
La Loggia Universo, cofondata da Mazzoni
doveva raggruppare i Fratelli deputati provenienti
da ogni parte d’Italia in Firenze capitale e pertanto, anche per ragioni di maggior riservatezza,
gli associati a tale Loggia – alcuni dei quali ,quindi,
con doppia appartenenza - non si riunivano nella
vecchia sede di Via della Vigna Nuova al numero civico 19, né nel Palazzo Salviati-Quartaresi
numero 102 di via Ghibellina – divenuta nuova
sede della Massoneria25 -, ma riservatamente
nella nuova e prestigiosa sede del “Palazzo dei
Pazzi” con ingresso principale in via del
Proconsolo e un’uscita secondaria in Borgo
degli Albizi, dopo essere passati dalla sala o
“corridoio dei passi perduti” entravano nella
sala ove sul “tavolo verde” concertavano le
mosse politiche. Ambedue le parole passi
perduti e tavolo verde divennero archetipi,
l’uno del Transatlantico in Montecitorio, l’altro di Palazzo Chigi, ove fino a poco tempo fa
il Primo ministro ed i suoi ministri si riunivano
intorno ad un “tavolo verde” per concertare
l’azione di Governo26.
Costoro si riunivano senza formalità di riti,
come si evince dal Libro del Massone di
Ulisse Bacci, in quanto provenendo dai vari
Orienti italiani non ancora unificati e ognuno
di loro nelle proprie Logge seguiva rituali
difformi, talché il Gran maestro Frapolli ne
aveva decretato “la dispensa dalle regole”.
Questo stato di cose fece gridare allo scandalo Enrico Chambion , fondatore della Loggia Concordia e successivamente anche della
Progresso Sociale a Firenze ; costui, in quanto consigliere comunale di Sesto Fiorentino,
quindi uomo politico di rilievo, fu ammesso a
partecipare ai lavori della Loggia Universo
con gli altri aggregati (su 19 componenti, nel
1867, 12 erano deputati), ma se ne allontanò
subito apostrofando i Fratelli riuniti: “ Voi siete uomini politici e non massoni!”27
Note
I Marchi sul Palazzo Pazzi. La sede massonica
nella Firenze capitale con un saggio introduttivo
di Giovanni Cherubini. Pontecorboli. Ed. Firenze
2014.
1
Giuseppe Mazzoni (Prato, 1808- ivi,1880),Ministro
sotto Leopoldo II, Deputato del Regno , fu dimenticato non solo dagli storici ma anche dai suoi cittadini; egli scomparve nell’oblio dei più. Tant’è che l’unica biografia dell’Adami nel 1979 non fu sufficiente
allo statista Spadolini a ricordare nel suo saggio “
Gli uomini che fecero l’Italia” il Nostro. Quindi per
Spadolini il Triunvirato era composto soltanto da
Guerrazzi e Montanelli, come dire che una seduta
spiritica si possa fare con un tavolino a due gambe.
Giacomo Adami. Giuseppe Mazzoni, un Maestro di
libertà. Azienda Autonoma di Turismo di Prato. Tipografia Giuntina. Firenze,1979.Giovanni Spadolini.
Gli uomini che fecero l’Italia. ED. Tea, Firenze, 1999.
Più aggiornato e completo con ricerche d’archivio:
Adilardi G. Memorie di Giuseppe Mazzoni, l’Uomo,
il Politico, il Massone ( 1808-1861). Prefazione di
Aldo A. Mola. Vol. I. Pacini Ed. Pisa, 2008.
2
Valeggia G. Storia della Loggia massonica fiorentina Concordia (1861-1911). Bertieri e Vanzetti,
Milano 1911 (anastatica Forni 1982).
3
51
Goretti S. Logge e massoni nella Firenze
postunitaria(1861-1866), in R.Toscana,a,XLI
(1995),n.1,pp.65-83. Si veda anche Olinto Dini, Loggia Concordia (1861-2000) I Massoni a Firenze.Ed.
Polistampa.Firenze, 2009.
4
Questa Loggia segreta, narra Valeggia, il quale
ebbe modo di consultare gli archivi massonici prima degli scempi fascisti, lavorava sotto gli auspici del Grande Oriente di Parigi. Quindi era una Loggia di rito francese (tre Gradi) che può essere sopravvissuta segretamente fino al 1859 ed essere
stata l’embrione della rinascita della Loggia Concordia. Soltanto il 23 gennaio 1865 la Loggia all’unanimità votava di professare il Rito scozzese
riformato (XXXIII Gradi) anche per non isolarsi
dalle altre logge Fiorentine che professarono da
subito il Rito Scozzese. Tuttavia da copie di documenti in nostro possesso appartenenti agli eredi
della famiglia Mazzoni di Prato, viene smentita se
non altro l’epoca in cui Mazzoni si riscrisse alla
Massoneria fiorentina. Emerge, infatti, un diploma del Supremo Capitolo di Firenze di Giuseppe
Mazzoni del 2 febbraio 1863 ( registrato il 19.4.1873
dal Supremo Capitolo di Livorno) in cui viene insignito del Grado Scozzese dei Rosa Croce, a firma del Potentissimo Giuseppe Dolfi. Quindi l’entrata nella Concordia, di cui il libro matricolare della medesima Loggia, oggi conservato nella sede del Collegio dei MM
VV. di Firenze, non contiene traccia se non per il trasferimento in Roma di Mazzoni nel 1872.
5
Si veda in proposito “Il clero liberale” in Atti del
Convegno:I protagonisti del Risorgimento:Trono,
Altare – Esercito e Popolo (Ed. Pontecorboli, Firenze, 2012) di Guglielmo Adilardi e anche Aldo A. Mola.
Giosuè Carducci, scrittore, politico, massone. Tascabili Bompiani. Bergamo 2006. Non a caso ho citato il
Mola in quanto in un suo recente saggio “Storia
della Monarchia in Italia” (Bompiani, 2002) ha scoperto come l’Inno di Mameli fu a lui erroneamente
attribuito, mentre più giustamente è da riferirsi al
padre scolopio Atanasio Canata, già precettore di
Pietro Sbarbato, Anton Giulio Barrili, Giuseppe Cesare Abba e Giovan Battista Mameli, fratello un tantino più studioso del più svogliato e celebre Goffredo,
e la dimostrazione che ne da Mola è oltremodo convincente.
6
Adilardi G. Op. cit. Ove ebbe un processo economico per fatti politici conclusosi positivamente.
7
52
8
Adilardi G. Idem.
Della quale il Mazzoni risulta essere nel piedilista
fino al 1872 epoca del trasferimento a Roma del GOI.
9
Tra i fondatori della Concordia ricordiamo il
livornese Leone Provenzal, il francese, naturalizzato
fiorentino, Enrico Chambion, il primo Maestro Venerabile della Loggia Neri Fortini, Vincenzo Zugni, fondatore della Loggia Ferruccio di Pistoia, Leopoldo
Mazzei, Giuseppe Giacomo Alvisi…e per gli altri rimandiamo al saggio di Sergio Goretti, op.cit.; ora
anche Olinto Dini , op. cit. e Fulvio. Conti , La Loggia Concordia. Ed. Polistampa,Firenze 2012.
10
S. Goretti. Logge e Massoni nella Firenze
Postunitaria (1861-1866) in Rassegna Storica Toscana (Organo della Società Toscana per la Storia
del Risorgimento). Anno XLI – n° 1 gennaio-giugno
1995. Leo Olschki Editore MCMXCV. In questo senso le iniziative verso una maggiore libertà associativa, verso la beneficenza con il sostegno delle “Società libere Operaie di beneficenza” e l’organizzazione di “sale di lavoro” per donne indigenti o malate, le visite alle inferme, la costituzione di doti…in
forte concorrenza con i paolotti, furono di fondamentale importanza. E ancora i sussidi in natura di
“una o due libbre di carne ai convalescenti dimessi
dall’Ospedale Civico di Firenze, una sorta di assistenza domiciliare ante litteram. Vedi anche Olinto
Dini, “Loggia Concordia (1861-2000). Ed.
Polistampa, Firenze 2009.
11
12
U. Bacci: op.cit. pp.237 ss.
Adilardi G. Op. cit. “Avrai saputo che il povero
Lamennais morì, e morì bene: fu grande insegnamento quello di vedere un prete andare al sepolcro
senza alcune cerimonie della bottega e di un uomo
grande confondersi nella fossa col povero. Fecero
il diavolo per poter solamente penetrare in camera
sua: andò il padre Ventura dicendo agli astanti
essere molto male lasciar morire l’infermo nel peccato; poi curati, Sante donnicciole, e frati di tutti i
generi che l’Arcivescovo scavava da tutte le
sacrestie, ma tutto invano”.
13
Il barone Malaret ministro di Francia ed il conte
Usedom , ministro di Prussia, erano spesso a palazzo
Vecchio a conferire col Visconti-Venosta ministro
degli esteri; ed a casa del conte Usedom, in via del
Proconsolo, facevano capo vari uomini politici del14
l’opposizione di sinistra(pag. 106- La campagna del
1866: Ugo Pesci, Firenze Capitale(1865-1870)
Giunti .da R. Bemporat & Figlio, Firenze 1904).
Nel 1877 Michele Coppino, Ministro della Pubblica Istruzione nel primo Governo Depretis, vara la
prima riforma alla legge Casati, nella quale impone
l’obbligo di frequenza della scuola elementare comunale per tre anni: dai 6 ai 9 anni d’età del bambino.
Cinque anni dopo nel 1882 sarà riformata dalla Sinistra storica anche la legge elettorale che porterà i
votanti da seicentomila a due milioni circa purché
possedessero la licenza elementare indipendentemente dal reddito.
15
Depretis, Cairoli, Crispi, Mancini, Zanardelli , sono
solo alcuni dei ministri che daranno vita alla nuova
stagione politica caratterizzata, oltre che dal
trasformismo anche da importanti provvedimenti di
modernizzazione del paese. Non è un caso che furono tutti massoni.
16
17
Adilardi G. Op. cit.
Agostino Depretis (1813-1887) Fin da adolescente
discepolo di Mazzini e affiliato alla Giovine Italia,
prese parte attiva ai moti mazziniani, tanto da rischiare la cattura da parte degli Austriaci in occasione di
un tentativo di far pervenire armi agli insorti di Milano. Eletto deputato nel 1848, aderì al gruppo della
Sinistra Storica e fondò il giornale Il Diritto, ma non
rivestì cariche ufficiali fino a quando fu nominato
governatore di Brescia nel 1859. Nel 1860 si recò in
missione in Sicilia per cercare di mediare fra le posizioni di Cavour, che spingeva per l’immediata annessione dell’isola al Regno d’Italia, e quella di Garibaldi,
che invece voleva rimandare il plebiscito di ratifica
fino a dopo la progettata liberazione di Napoli e Roma.
Pur riuscendo a farsi nominare da Garibaldi dittatore
pro-tempore della Sicilia, non riuscì tuttavia a concludere l’accordo. Dopo aver accettato il dicastero
dei Lavori Pubblici nel Governo Rattazzi I del 1862,
fece ancora da intermediario con Garibaldi nell’organizzazione della disastrosa spedizione di
Aspromonte. Quattro anni più tardi, allo scoppio delle
ostilità con l’Austria, entrò nel Governo Ricasoli I
come Ministro della Marina. Nel 1873, alla morte di
Rattazzi, Depretis, ormai capo della Sinistra, preparò
l’avvento al potere del suo partito, che avvenne nel
1876 quando fu chiamato a formare il primo governo
di sinistra del nuovo Regno d’Italia. Durante questo
18
governo fu varata la Legge Coppino (1877), che rendeva gratuita e obbligatoria la scuola elementare.
Giorgio Asproni (1809-1876). Nacque a Gorofai ora rione di Bitti ma fino al 1881 paese a sé stante nel 1808, figlio di Giorgio e di Rosalia Demurtas. Rimasto orfano di padre, fu mantenuto agli studi dal
canonico Melchiorre Dore, suo zio. Laureatosi in giurisprudenza pur avendo da giovanissimo abbracciato la vita ecclesiastica per volontà dello zio. Divenne
canonico penitenziere di Nuoro, dove insegnò appunto teologia morale. La vivacità dell’ingegno lo
spinse a condurre una vita piena e movimentata,
mentre emergevano le sue tendenze democratiche e
repubblicane. Si presentò candidato alla I legislatura, ma la sua elezione fu annullata per incompatibilità
con la carica di canonico. Svestito l’abito talare nel
1849 per seguire questa sua passione politica, divenne uomo di punta della rappresentanza sarda del
parlamento subalpino e della Camera del Regno d’Italia per ben 27 anni, schierato nelle file della sinistra.
Iscritto alla Loggia Universo di Firenze.
19
Giovanni Nicotera (1828-1894). Aderì alla Giovine
Italia, combatté a Napoli nel maggio 1848 e quindi
insieme a Garibaldi durante la Repubblica Romana
nel 1849. Dopo la caduta di Roma si rifugiò in Piemonte, dove organizzò la fallita spedizione di Sapri
con Carlo Pisacane nel 1857. Nicotera, gravemente
ferito e arrestato, fu portato in catene a Salerno, dove
venne processato e condannato a morte. La pena fu
tramutata in ergastolo solo per l’intervento del governo inglese che guardava con crescente preoccupazione la furia repressiva di Ferdinando II. Prigioniero a Favignana, fu liberato nel 1860 per l’intervento di Garibaldi. Inviato per conto di questi in Toscana, formò un corpo di volontari per tentare di
invadere lo Stato Pontificio, tuttavia esso fu costretto al disarmo e allo scioglimento da Ricasoli e Cavour.
Nel 1862 fu al fianco di Garibaldi sull’Aspromonte e
quindi, nel 1866, a capo di un corpo di volontari contro l’Austria, il 6° reggimento volontari. L’anno seguente entrò in territorio pontificio da sud ma la sconfitta di Garibaldi a Mentana pose fine all’operazione.
Fin dal 1860 aveva anche intrapreso un’attività politica, nei primi dieci anni della quale fu su posizioni di
estrema opposizione; dal 1870 iniziò tuttavia ad appoggiare le riforme militari di Ricotti-Magnani.Con
l’arrivo al governo della Sinistra Storica, nel 1876,
divenne ministro dell’Interno nel primo governo
20
53
Depretis, incarico che esercitò con particolare fermezza. Fu costretto alle dimissioni nel dicembre 1877;
formò quindi la “pentarchia”, con Crispi, Cairoli,
Zanardelli, e Baccarini, in opposizione a Depretis.
Pianigiani Luigi, conte, (Roma,1810- ivi,1890).
Confaloniere di Spoleto nel 1847 chiese a Pio IX la
concessione della Costituzione. Partecipò alla prima
guerra d’Indipendenza nel 1848, nell’anno successivo fu membro della Costituente Romana , votò la
decadenza del papato e la costituzione della Repubblica. Caduta questa esulò in Francia. Fu amico del
Mazzini, di Garibaldi e del Mazzoni di Prato condividendone l’esilio in Parigi.Iniziato nel 1867 alla Loggia Universo con Roma liberata(1870) ne fu il primo
sindaco. Eletto deputato nel 1865 fece sempre parte
della Sinistra storica.
21
Riccardo Sineo ( 1805-1876).Prese parte attiva ai
moti del 1821 , poi si laureò in giurisprudenza
all’ateneo torinese e fu eletto membro del consiglio
comunale di Torino. Nel 1848 ebbe l’incarico con
altri, fra cui Balbo e Cavour, di redigere una nuova
legge elettorale. Eletto deputato a Saluzzo portò alla
Camera le nuove istanze liberali. Fece parte di vari
ministeri e si oppose a Cavour per la spedizione in
Crimea. Infine fu senatore nel 1873.
22
Giuseppe Mussi (1836-1904). Nato da una famiglia borghese di Milano, si laureò in giurisprudenza all’Università di Pavia, come alunno del Collegio Ghisleri, entrando a far parte dell’universo politico appena terminati gli studi, aderendo alla corrente di pensiero della sinistra storica. Appena
ventottenne, fu eletto sindaco dalla cittadinanza
di Corbetta ove il Mussi aveva preso residenza
stabile con la propria famiglia (nella stessa villa
che poi, attraverso sua nipote Carlotta Borsani,
passerà allo scrittore Carlo Dossi), rimanendo in
carica dal 1864 al 1868 e venendo nuovamente
rieletto a tale carica dal 1879 sino al 1886. Dopo
essere entrato in stretti rapporti con Francesco
Crispi e Giuseppe Zanardelli, venne nominato deputato nel partito radicale e nel 1892 fu nominato
Vice-Presidente della Camera dei Deputati del Regno d’Italia, rimanendo in carica sino al 1894, sotto la presidenza di camera dello stesso Zanardelli,
nella XVIII Legislatura. Il 18 dicembre 1899 venne
eletto Sindaco di Milano, rimanendo in carica sino
al 16 dicembre 1903. Il 21 novembre 1901 venne
nominato senatore del Regno d’Italia. Divenne pri23
54
mo Presidente, a Milano, dell’A.N.C.I. (Associazione Nazionale Comuni Italiani).
Ettore de Sonnaz (1787- 1867) generale sabaudo
La prima espressione della sua attitudine militare
si ebbe - dopo le Cinque giornate di Milano e la
fuga del maresciallo Josef Radetzky in direzione
del Quadrilatero - già all’inizio della prima guerra
d’indipendenza, allorché si dice avesse suggerito
un audace piano d’azione in occasione del Consiglio di Guerra del 4 aprile 1848, in totale contrasto
con la prudenza che ispirava invece le mosse dello Stato Maggiore piemontese. La sua idea era cioè
di «avanzare lungo il PO, aggirare la fortezza di
Mantova, penetrare nel Veneto, collegandosi coi
pontifici e facendo di Venezia la propria base di
operazioni». Militare di carriera, fu nominato luogotenente nel 1813 e capitano nel 1814 (nell’esercito napoleonico). Nell’esercito sabaudo fu creato maggiore (1821), luogotenente colonnello
(1828), colonnello (1831), maggiore generale (1834)
e luogotenente generale dal 1842 al 1848. Nella
prima guerra d ‘indipendenza fu Governatore e
comandante generale della Divisione militare di
Novara dal 9 febbraio 1848 al 19 agosto 1848. Fu
Ministro della guerra e della marina dal 16 dicembre 1848 al 2 febbraio 1849 e fece parte sia della
deputazione per recare al sovrano la risposta al
discorso della Corona nel 1849 sia di quella per
ricevere a Genova la salma del re Carlo Alberto,
sempre nel 1849. Nominato Commissario straordinario per la Savoia dal 24 febbraio 1849, fu poi
membro di svariate commissioni (per l’esame della
legge sul reclutamento militare dal 29 dicembre
1853, per l’esame del progetto di legge sul Codice
penale militare dal 21 gennaio 1856, per l’esame del
progetto di legge per il trasferimento della marina militare da Genova alla Spezia dal 26 maggio 1857, per
l’esame del progetto di legge sulle servitù militari dal
7 aprile 1858). Fu anche Inviato straordinario presso
l’imperatore di Russia il 24 luglio 1862.
24
25
In effetti era lo studio legale di Giuseppe Mazzoni.
Rivista Massonica, 1898, p. 282. Vedi anche, Il
libro del Massone italiano di Ulisse Bacci (Anastatica, 1966. Forni).
26
Enrico Chambion . Vicende storiche di un personaggio dell’Ottocento e del suo lascito al Comune di Sesto
Fiorentino. Saggio collettaneo: Sergio Goretti, Sara Pollastri, Piero Paoletti. Aska Edizioni. Firenze, 2014.
27
Storia delle Logge della Toscana
La Loggia “Alberto Mario”
n. 121 all’Oriente di San Sepolcro
Francesco Polverini
La prima segnalazione della presenza a
Sansepolcro di una loggia massonica risale ai
primi anni del 1800, dopo l’invasione
Napoleonica, quando il Convento di Santa Marta
subì un mutamento tale da influenzare la vita
sociale della città. Infatti, uscite le suore dal
Convento, il Ricevitore, capo della Dogana della
città, prospettò al Governo francese, presente
in Sansepolcro con le proprie truppe, di
trasformare il monastero in posto di dogana;
essendo questo un luogo molto più ampio del
vecchio e quindi più adatto allo scopo. Inoltre
l’ex monastero, situato a ridosso della Porta San
Niccolò, oggi Porta Romana, era situato in un
punto strategico nella cinta muraria, sulla via di
confine con lo Stato Pontificio.
Il Governo francese accettò la proposta e furono
iniziate le trasformazioni necessarie allo scopo,
dopo aver venduto tutti i mobili che le religiose
furono costrette a lasciare sul posto.
Terminati i lavori, gli impiegati della nuova
Dogana si trasferirono con le loro famiglie nei
locali di quel Convento, destinando un locale alla
Società dei “Framassoni” che vi fondarono una
Loggia di Liberi Muratori.
Tutto questo durò ben poco tempo: dal 1810 al
1814. Infatti, la sera del 23 gennaio di quell’anno,
prima di mezzanotte e sotto un furioso temporale,
gli impiegati della Dogana e gli ufficiali
governativi della città, insieme alle truppe
francesi, dovettero abbandonare il monastero e
ritirarsi a Firenze.
Settanta anni dopo, in una lettera datata 9 agosto
1884 a firma del Venerabile Giuseppe Alberto
Ferrati, della loggia Alberto Mario, e indirizzata
al Fr:. Luigi Castellazzo ( affiliato alla Loggia
Concordia di Firenze), per fargli le
congratulazioni per la sua elezione a deputato
nel Parlamento Italiano, si ha il primo riscontro
della presenza nella Valtiberina toscana, ed
esattamente ad Anghiari, della Loggia. In questa
lettera si parla di una terza riunione preparatoria
per la costituzione di una officina che, inizierà
ufficialmente, i propri lavori nel gennaio del 1885
con il primo Venerabile Francesco Tuti.
L’intitolazione della Loggia ad Alberto Mario
costituì per i fratelli fondatori un omaggio alla
figura del “garibaldino”, conosciuto
probabilmente, durante le campagne di
liberazione ed anche per la sua rigorosa posizione
di esclusione dalle ingerenze clericali nella vita
pubblica nazionale.
Questa di Sansepolcro è l’unica Loggia del
G:.O:.I:. intitolata al patriota, politico e
giornalista originario di Lendinara in provincia
di Rovigo e non appartenente all’Istituzione; nato
il 4 giugno 1825, si iscrisse all’Università di
Padova per frequentare gli studi in matematica
prima e in giurisprudenza poi.
Allo scoppio della prima guerra di indipendenza
partecipò alla campagna del Veneto
combattendo contro gli Austriaci a Bassano del
Grappa, Treviso e Vicenza. Instaurò stretti
legami di amicizia sia con Giuseppe Mazzini che
con Giuseppe Garibaldi.
Dal 1849 al 1857 soggiornò a Genova, assieme
agli altri patrioti in esilio, qui conobbe Jessie
White, giornalista del London Daily News,
successivamente i due si sposarono, e partirono
per gli Stati Uniti d’America; al ritorno in Italia
divenne direttore di “Pensiero ed Azione”,
organo di stampa mazziniano.
55
Nel 1860, assieme alla moglie, s’imbarcò per la
Sicilia dopo l’avvenuto sbarco a Marsala, dove
raggiunse Garibaldi, per congiungersi alla
spedizione dei Mille partecipando a tutte le
successive campagne per la liberazione
dell’Italia.
Il suo memoriale sulla spedizione è contenuto
nel libro “La camicia rossa” inizialmente
pubblicato in lingua inglese.
Eletto deputato dopo l’unità d’Italia, da
mazziniano convinto, rifiutò l’incarico per non
giurare fedeltà al Re. Morì il 2 giugno 1883.
Tre anni dopo lo scioglimento della Loggia di
Anghiari, avvenuta nel 1893, il 23 luglio 1896,
56
con Decreto n. 27 del Gran Maestro del
G:.O:.I:., Ernesto Nathan, l’officina venne
ricostituita all’Oriente di Sansepolcro con i
seguenti fratelli:
Roberto Giusti, Giuseppe Alberto Ferrati, Adolfo
Antolidei, Giuseppe Cignoli, Filippo Palombini,
Ugolino Corsi, Francesco Tuti, Giusto Vagnetti,
Francesco Galardi, Francesco Testerini,
Alessandro Cignoli.
La Loggia fu subito attiva e presente in ogni
manifestazione pubblica e nella vita politica della
città: le cronache di quell’anno riportano che per
i festeggiamenti del XX Settembre, celebrati in
Arezzo, l’Alberto Mario era presente insieme
al Sindaco, alla Giunta di Sansepolcro e alle
associazioni di Anghiari. Sempre nello stesso
anno, la via Maestra di Sansepolcro fu
denominata XX Settembre dall’Amministrazione
comunale.
L’anno successivo, il 9 maggio 1897, le logge
Alberto Mario e Benedetto Cairoli furono
presenti a Prato per l’inaugurazione del
monumento a Giuseppe Mazzini, Gran Maestro
del G:.O:.I:. e senatore del Regno, già triunviro
nel 1849 del Governo Provvisorio di Toscana
insieme a Montanelli e Guerrazzi.
Nel 1899, la Loggia commemorò il XX
Settembre a Sansepolcro con un manifesto.
Sempre nello stesso anno un suo rappresentante
fu nominato nella commissione per lo scrutinio
della Terna per l’elezione del Gran Maestro del
G:.O:.I:..
Nei primi anni del 1900, l’attività dei fratelli della
Loggia si distinse per le numerose partecipazioni
alla vita sociale e politica nella provincia di
Arezzo ed anche in altre provincie d’Italia.
Il 10 marzo 1901 i fratelli di Sansepolcro
pubblicarono un manifesto per il 29° anniversario
della morte di Giuseppe Mazzini e lo affissero a
Staglieno, cimitero monumentale di Genova,
dove giacciono le sue spoglie.
Russia: si ricorda che le truppe zariste spararono
sulla folla davanti al Palazzo d’Inverno. Inoltre
promosse una sottoscrizione per i cittadini della
Calabria colpiti dal terremoto del 1905.
Il Venerabile Francesco Galardi, nel 1907,
organizzò un incontro pubblico al Teatro Dante
di Sansepolcro per festeggiare il centenario della
nascita di Giuseppe Garibaldi, in questa occasione
il Fr:. Ulisse Bacci, quale Segretario Generale
del G:.O:.I:., pronunciò una orazione.
Il Venerabile Luigi Massa, avvocato e notaio,
deputato e sindaco di Sansepolcro, nel 1910
spostò la sede della Loggia in un fabbricato,
costruito appositamente per farne la sede di
un Tempio massonico: probabilmente è l’unica
costruzione in Italia progettata e nata a questo
scopo.
All’interno dell’edificio il locale adibito a Tempio,
fu decorato con affreschi raffiguranti allegorie
massoniche, con un bellissimo mosaico nel
pavimento raffigurante l’Italia Unita, una
bellissima porta con due sculture di Giuseppe
Garibaldi e Giuseppe Mazzini e con le pareti
decorate con motivi a triangolo e tre punti.
Ancora oggi, grazie all’opera di restauro
dell’attuale proprietario, ne possiamo ammirare
la bellezza dei fregi, delle scritte e degli affreschi.
L’edificio è oggi adibito ad abitazione privata.
Nel 1903 la Loggia, con una sottoscrizione,
devolse £. 85 per le vedove e gli orfani dei
Boeri, il XX settembre una delegazione fu
presente in Bologna, all’inaugurazione del
monumento ai caduti dei moti rivoluzionari che
cacciarono gli austriaci dalla città l’8 agosto
del 1848.
Nel 1904 mentre era Venerabile il Fr:. Guglielmo
Niccolai, un gruppo di fratelli a piè di lista, che
risiedevano a Città di Castello, fondarono in
quell’Oriente, una Loggia di Rito Scozzese Antico
ed Accettato sotto il titolo distintivo di “XI
Settembre” per ricordare la liberazione, nel 1860,
della città umbra e l’ingresso nello Stato Italiano.
Nel 1906 il Venerabile Polidori partecipò alla
protesta contro le atrocità delle repressioni in
57
Nel 1912 il Venerabile Giovanni Cestelli raccolse
con l’aiuto dei fratelli, la somma di £. 20 per le
famiglie dei caduti della guerra d’Africa.
L’attività della Loggia non si interruppe durante
il primo conflitto mondiale, anche se le
informazioni a riguardo sono scarse.
Come tutte le Logge d’Italia, l’officina di
Sansepolcro chiuse ufficialmente la propria
attività nel 1925, sotto la persecuzione fascista,
anche se dai racconti dei Fratelli più anziani i
lavori proseguirono, ininterrottamente, in varie
abitazioni private.
Il 30 marzo 1946, la Loggia Alberto Mario, senza
una sede fissa, riprese i lavori col Venerabile
Santino Meocci, I° Sorv:. Pio Inghirami, II°
Sorv:. Rosvindo Guidobaldi, Orat:. Giovanni
Ugolini, Tesor:. Luigi Bertuzzi, Segr:. Sante
Salvi, Fr:. Terr:. Alfiero Innocenti, Fr:. Esp:.
Tullio Dini.
L’anno successivo il G:.O:.I:. rilasciò all’Officina
di Sansepolcro il numero distintivo “121”.
mobile di proprietà del Fr:. Brando Duranti.
Il 12 dicembre 1975, la Loggia si trasferì in via
Giovanni Buitoni 56, nei locali dello storico
Palazzo Collacchioni.
L’anno successivo, i fratelli che risiedevano a
Cortona ed erano a piè di lista dell’Alberto Mario
alzarono le colonne della loggia “Elia Coppi”
all’Oriente di quella città.
Dal 1996, anno in cui fu festeggiato il centenario
della rifondazione, i Fratelli hanno, annualmente,
promosso dei convegni pubblici su vari argomenti
con relatori di grande spessore e con argomenti
che hanno sempre appassionato e coinvolto il
numeroso pubblico presente; tali convegni si
sono svolti quasi tutti nella sala del Consiglio
Comunale, con il patrocinio delle varie
amministrazioni e la partecipazione dei Sindaci,
che sono sempre intervenuti per dare il loro
benvenuto e per rimarcare l’importanza che ha
sempre avuto la Loggia nel contesto culturale e
sociale della Città.
La Loggia Alberto Mario, sabato 11 ottobre 2008
ha inaugurato sulla facciata del palazzo Pretorio
della città, sotto la lapide a ricordo dei partecipanti
alle campagne garibaldine, un busto in bronzo
del Fr:. Giuseppe Garibaldi, ideato dall’artista e
Fr:. Franco Alessandrini ed eseguito dal Fr:.
Paolo Mercati donandolo alla città di Sansepolcro.
Alla base del monumento sono chiaramente
visibili il compasso, la squadra, posizionate sopra
il Libro Sacro ed il nome della loggia.
Il 22 settembre 1957 fu inaugurato un nuovo
Tempio Massonico in via dei Servi 10, nell’im58
Dal 1976, in questo luogo, in occasione del XX
Settembre, i Fratelli depongono una corona
triangolare di alloro in onore dei patrioti garibaldini.
Nel 2009, alcuni fratelli della Loggia che risiedevano
in altri comuni della provincia di Arezzo, hanno
innalzato le colonne della Loggia “Giulio Mazzon”
all’Oriente di Civitella in Val di Chiana.
Il 16 marzo 2011, nel 150° anniversario
dell’Unità d’Italia, i fratelli delle tre Logge Alberto Mario n.121 all’Oriente di Sansepolcro,
I Liberi n.1093 all’Oriente di Città di Castello e
Giulio Mazzon n. 1358 all’Oriente di Civitella in
Val di Chiana, che lavoravano nel Tempio di via
Giovanni Buitoni, - hanno inaugurato la nuova
casa massonica in via Cherubino Alberti n° 36,
nel centro storico di Sansepolcro, nei locali dell’ex
refettorio della cinquecentesca chiesa degli
Agostiniani alla presenza dell’ Illustrissimo e
Venerabilissimo Gran Maestro Gustavo Raffi,
del Presidente del Collegio Circoscrizionale della
Toscana Fr:. Stefano Bisi e di più di 250 fratelli
convenuti da varie parti d’Italia.
I locali, acquistati dalla società URBS del
G:.O:.I:., sono stati restaurati grazie al
contributo dei fratelli e con particolare cura nel
recupero delle strutture architettoniche. Il
Tempio è stato progettato e costruito facendo
attenzione anche ai minimi dettagli, seguendo
nelle misure le proporzioni della sezione aurea
che conferiscono la giusta e particolare armonia
per lo svolgimento rituale dei lavori.
La particolarità del Tempio è caratterizzata dagli
arredi originali della fine dell’800 che sono stati
integrati con i nuovi arredi creati appositamente
Dal 1946 ad oggi, la Loggia Alberto Mario è
stata condotta da 20 Maestri Venerabili
(allegato 1) e ad oggi, ha un piè di lista di 43
iscritti.
Molti Fratelli, fin dalla costituzione
dell’officina, hanno attivamente partecipato
alla vita cittadina ricoprendo importanti
cariche istituzionali e sociali e dando così
visibilità pubblica e lustro alla Loggia con il
loro operato.
La Loggia Alberto Mario è una delle officina
più antiche della Toscana e nei suoi 130 anni
di storia ha sempre conservato vivo lo spirito
di indipendenza intellettuale, nel rispetto della
ritualità e della tradizione ha sempre lavorato
per il miglioramento dell’individuo e
dell’Umana Società.
I fratelli si riuniscono nel punto geografico noto
ai soli Figli della Vedova il secondo ed ultimo
venerdì del mese alle ore 20,30; osservando il
più rigoroso rispetto del rituale. A:. G:. D:.
G:. A:. D:. U:..
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Massoni Toscani
Antonio Meucci
Firenze 1808 - Long Island (New York) 1889
Luciano Rossi
Antonio Meucci nacque il 13 aprile 1808 a Firenze da Amatis, impiegato del governo toscano, e da Maria Domenica Papi.
A Firenze frequentò per sei anni l’Accademia
di Belle Arti studiando, oltre alle materie artistiche, la chimica, la meccanica, la fisica, incluso
l’acustica e l’elettrologia, materie introdotte nell’Accademia dai francesi durante la loro dominazione nel 1799, e mantenute poi dagli AsburgoLorena che favorirono così un insegnamento
tecnico tra i migliori d’Europa. Meucci mostrò
un grande interesse per la chimica e nel maggio
1825, in occasione dei festeggiamenti con fuochi d’artificio per la nascita del figlio del granduca Leopoldo II, elaborò una nuova miscela
propellente per razzi i quali però, al momento
del loro utilizzo, causarono danni e qualche ferito in Piazza della Signoria; Meucci, nel dubbio
di una intenzionalità in quanto accaduto e sospettato di cospirazione contro il Granducato, fu
arrestato per alcuni giorni.
Questi sospetti erano giustificati dal fatto che
Meucci era già stato segnalato come simpatizzante, se non già affiliato alla Carboneria dal
60
1823. Fu poi assunto come impiegato doganale
del governo toscano dove lavorò fino al 1830, e
nel 1831 prese parte ai moti rivoluzionari che
interessarono molte città emiliane e romagnole,
in conseguenza dei quali fu arrestato, imprigionato per circa tre mesi ed ebbe come compagno di cella Francesco Domenico Guerrazzi.
Dopo la scarcerazione lavorò come aiuto
attrezzista nel prestigioso Teatro della Pergola
di Firenze, e qui costruì un telefono acustico,
tuttora esistente, per comunicare dal piano del
palcoscenico a quello dei “soffittisti”, a circa
venti metri d’altezza, per ordinare il cambio delle scene senza disturbare lo spettacolo Nel 1834
si unì in matrimonio con Maria Ester Mochi,
costumista che lavorava nello stesso teatro, e
nel 1835, per sfuggire alle attenzioni sempre più
pressanti della polizia, decisero di accettare il
contratto che aveva loro proposto l’impresario
catalano Francisco Martí y Torrens del teatro
Tacòn dell’Avana, e di lasciare l’Italia per trasferirsi nell’isola caraibica con altri 81 elementi
dell’Opera italiana provenienti dal teatro della
Pergola.
I quindici anni che i coniugi Meucci passarono
all’Avana furono i più felici e redditizi della loro
vita. Oltre ad essere ben pagati, ricevevano dall’impresario lauti premi, mentre Ester riceveva
regali dagli artisti ai quali preparava i costumi;
inoltre fu loro assegnato un appartamento con
adiacente una grande officina per la preparazione degli attrezzi e strumenti teatrali, mentre a
Ester fu assegnato un grande laboratorio di sartoria. Poiché la stagione teatrale durava da ottobre a maggio, Meucci aveva molti mesi liberi
da dedicare ad altre attività, e si guadagnò subi-
to la stima dei cubani per aver progettato e realizzato un sistema per la depurazione delle acque che rifornivano la città; successivamente
progettò la ricostruzione del teatro,
semidistrutto da un uragano, con modifiche
che lo resero più resistente alle calamità naturali. Nell’officina del teatro impiantò la prima fabbrica americana di elettrodeposizione
e stipulò un contratto con il governatore
dell’Avana per l’argentatura e la doratura
galvaniche di equipaggiamenti militari. Nel
tempo libero approfondì le sue conoscenze
sull’elettricità compiendo esperimenti di
elettroterapia su pazienti che gli erano inviati
dai medici locali; durante uno di questi esperimenti, nell’autunno del 1849, ottenne la trasmissione della parola per via elettrica, divenendo così, in assoluto, il pioniere del telefono1. Terminata l’esperienza teatrale Meucci
fu costretto a lasciare l’Avana anche per il
deteriorarsi dei rapporti con il governatore,
non avendo nascosto le sue simpatie politiche
repubblicane e per Giuseppe Garibaldi, ormai
noto anche nelle americhe per la partecipazione alle lotte indipendentiste. Si trasferì a
New York, a Clifton, Staten Island, dove acquistò un cottage (oggi trasformato nel
Garibaldi-Meucci Museum) e qui con Giuseppe Garibaldi, emigrato anch’egli subito dopo
la caduta della Repubblica Romana, organizzò una fabbrica di candele di cera con l’intenzione di dare occupazione ai numerosi esuli
italiani.
La fabbrica non ebbe successo, soprattutto
per lo spregiudicato ambiente newyorchese
degli affari, ancora più difficile per un immigrato italiano, e Meucci tentò allora altre strade, tra le quali la costruzione di pianoforti ed
anche una più convenzionale fabbrica di birra; ma commise l’errore di affidare la direzione amministrativa e commerciale a un certo
John Mason il quale si rivelò un vero e proprio imbroglione; in breve tempo privò i
Meucci di tutti i loro averi, compresa la casa
che fu venduta in asta pubblica. In prepara-
zione della terza guerra d’indipendenza fu
nominato, dagli italiani di New York, presidente del Comitato Centrale Permanente che
aveva lo scopo di formare un corpo di volontari da inviare in Italia. Purtroppo rimase gravemente ferito nell’esplosione della caldaia di
un traghetto dove aveva trovato lavoro, rimase tre mesi tra la vita e la morte, ed in quell’occasione la moglie, per pagare le spese
mediche e procurarsi un po’ di denaro, vendette tutti i modelli di telefono costruiti da
Meucci, e da quel momento vissero dell’elemosina dei loro amici. Il supervisore dei poveri di State Island gli assegnò un piccolo sussidio in denaro, con il quale vivrà fino alla
morte, avvenuta all’età di 81 anni2.
Questa breve cronistoria della vita di Meucci
non rende giustizia della sua genialità e del
suo impegno come patriota. Oltre alla già citata invenzione della miscela per razzi d’artificio ed al telefono acustico ancora in funzione al Teatro della Pergola di Firenze, sempre
nel periodo fiorentino acquistò notorietà e stima risolvendo il problema della depurazione
chimica delle acque, realizzando filtri di
depurazione più efficienti rispetto agli esistenti.
Successivamente in America realizzò un’apparecchiatura per elettroterapia; proprio durante i suoi esperimenti di elettroterapia, scoprì la trasmissione della voce per via elettrica, e ripeté l’esperimento installando un collegamento telefonico tra i suoi laboratori e la
stanza della moglie Ester che, colpita da una
grave forma di artrite reumatoide, era praticamente immobilizzata. Questi esperimenti furono il presupposto per la realizzazione di un telefono elettromagnetico di ottima qualità, con un
nucleo magnetizzato permanentemente, che gli
consentirà così di eliminare la batteria, invenzione che per problemi di tempistica di brevettazione
gli fu poi sottratta dall’ingegnere Alexander
Graham Bell; solo l’undici giugno 2002 il Congresso degli Stati Uniti, con la risoluzione 269,
ha riconosciuto che se Meucci avesse avuto i
soldi per pagare il caveat del 1874, Alexander
61
Graham Bell non avrebbe potuto acquistare il
brevetto, e quindi che il lavoro di Antonio Meucci
nell’invenzione del telefono deve essere riconosciuto3.
Nel 1852, primo al mondo, introdusse l’uso
della paraffina nella fabbricazione delle candele, oggi universalmente adottato, con costi
minori rispetto alle tradizionali candele
steariche. Vale sicuramente la pena di ricordare anche altre sue invenzioni, quali ad esempio il procedimento per decolorare il corallo
rosso rendendolo di colore rosa; inventò uno
speciale bruciatore per lampade a cherosene
che rendeva la fiamma più chiara e senza
fumo, inventò un procedimento per ottenere,
a partire dal petrolio e dal cherosene, oli
essiccativi utilizzati per pitture e vernici.
Durante la guerra di secessione americana,
ed in vista della terza guerra d’indipendenza
d’Italia, propose all’esercito americano, e poi
a Garibaldi, un nuovo tipo di munizioni per fucili
e per cannoni da campagna che provocavano
una maggiore distruzione del bersaglio, caratteristiche che descrisse in una lettera a
Garibaldi oggi conservata a Roma nel Museo
del Risorgimento.
Molto importante fu anche la realizzazione di
un procedimento per ottenere la pasta chimica dal legno per la produzione della carta,
metodo poi applicato al trattamento della paglia, del fieno, del mais, di erbe selvatiche,
vecchie funi ed altre sostanze vegetali. Nel
1860 iniziò studi per ottenere materiale plasti62
co dalla raffinazione degli oli minerali, brevettò tecniche per il controllo della qualità degli
alimenti, anticipando le moderne tecnologie
alimentari; brevettò anche un lattometro per
il controllo chimico della genuinità del latte,
sostituendo così il densimetro.
Produsse un nuovo tipo di igrometro che aveva il pregio di essere uno strumento di minore
ingombro rispetto ai precedenti, avendo creato un avvolgimento ad elica, libero di contrarsi o di svolgersi perfettamente in conseguenza delle variazioni di umidità dell’aria; questa
striscia, avvolta ad elica su un perno che consentiva il movimento elicoidale senza attrito,
aveva la superficie superiore verniciata con
sostanza impermeabili all’umidità, mentre quella inferiore restava igroscopica; quest’ultima,
aumentando di volume determinava l’allungamento per tensione della spirale stessa. Ma
la sua invenzione più significativa fu la realizzazione definitiva del telefono, che egli definì
“il miglior strumento della mia vita”.
***
Antonio Meucci raggiunse il 33º grado del
Rito Scozzese Antico e Accettato; l’otto agosto 1888 presiedette a New York, per delega
del Gran Maestro del G.O.I., Adriano Lemmi,
l’iniziazione di un diplomatico italiano.
Oggi a Firenze i Fratelli Massoni sono soliti
aprire i loro lavori in una Loggia a lui dedicata, all’obbedienza del G.O.I.
Note
1. M. Giampietro, A. M. l’inventore del telefono, Brescia 1953
2. www.treccani.it Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 74
3. Il governo degli Stati Uniti contro
Alexander Graham Bell: un importante riconoscimento per A. M., in AEI
Galateo Massonico
Del modo di ben comportarsi in Loggia
Paolo Nardi
..... “dèi sapere che a te convien temperare
et ordinare i tuoi modi non secondo il tuo arbitrio, ma secondo il piacer di coloro co’ quali
tu usi, et a quello indirizzargli; e ciò si vuol
fare mezzamente, perciò chi si diletta di troppo secondare il piacere altrui nella conversazione e nella usanza, pare piuttosto buffone o
giucolare, o per aventura lusinghiero, che
costumato gentiluomo. Sì come, per contrario, chi di piacere o di dispiacere altrui non si
dà alcun pensiero è zotico e scostumato e
disavenente.”1 ...... Ho riportato questo brano perché mi sembra che abbia colto lo spirito massonico ancor prima che la Massoneria,
intesa come Istituzione, movesse i suoi primi
passi; disegna un uomo libero fra liberi che è
cosciente di sé, del suo stato e che rispetta i
suoi simili: È stato scritto intorno al 1530 da un
nostro conterraneo, Giovanni della Casa, nato in
una delle Terre Nuove, Borgo San Lorenzo, volute dai Medici intorno a Firenze per controllare
le vie di acceso alla città.
Ho festeggiato qualche anno fa le nozze d’argento con la nostra Istituzione e, nelle mie frequenti visite in molte Officine di vari Orienti
e, senza voler fare il laudator temporis acti,
devo constatare che i miei carissimi Fratelli
hanno perduto, piano piano e in maniera quasi
indolore, una parte della giusta misura del
modo di comportarsi in Loggia. L’atteggiamento che vi si dovrebbe tenere segue, in
molte occasioni, regole non scritte ma ugualmente cogenti; tali regole trovano la loro
ragion d’essere sia nella Tradizione che nel
rispetto reciproco e consentirebbero, se applicate, un più sereno svolgimento dei nostri
Lavori. Divengono nel contempo non solo for-
ma, ma soprattutto sostanza come cercherò
di dimostrare nelle successive poche righe.
Quale sia la causa di questo perdersi di alcune sagge norme è di difficile definizione; molto probabilmente vi hanno concorso una molteplicità di fattori che non è sempre facile individuare. Ricordo, ad esempio, che i Maestri
più vecchi, al termine della Tornata prendevano da una parte il giovane Apprendista, ma
anche i Compagni d’Arte e i Maestri più giovani, e facevano loro affettuosamente notare
che quel particolare comportamento o gesto
od espressione verbale non rispondeva ad un
corretto rapportarsi e suggerivano quello più
consono alla sacralità del Tempio ed al rispetto
che ognuno deve agli altri Fratelli. In questo
modo, dolcemente, ciascun Massone veniva
preso per mano ed accompagnato nella sua
crescita, non solo spirituale, all’interno dell’Officina. Un’altra causa può essere individuata, forse, in una “democratizzazione” che
ha coinvolto la nostra Istituzione in qualsiasi
sede. E’ inutile sottolineare che tale atteggiamento è in aperto contrasto con i valori
ineludibili di ogni Società Iniziatica che, per
definizione, presenta una struttura rigidamente gerarchica ed è per questo che, a nessun
livello, può esistere un “primus inter pares”.
Se noi crediamo, com’è vero, che la Massoneria sia un’Istituzione di questo tipo dovremmo, senza indugio o rimpianto, abbandonare
un tale modo di pensare e di agire. A suffragare queste affermazioni ci sono le opere dei
massimi autori, che si sono interessati seriamente all’esoterismo, che attestano e riconoscono la indubbia qualità iniziatica della Massoneria. Un ultimo aspetto di difficile inter63
pretazione ed inquadramento è, a mio parere,
l’ingresso nei nostri Templi di un certo spirito
profano: non è semplice capire se questo è
causa od effetto di quanto sopra esplicitato;
da ciò deriva una non semplice
schematizzazione e una proposta altrettanto
difficile per la messa in opera di eventuali
anticorpi che possano riportare a comportamenti più consoni alla sacralità dei nostri
Templi. Quando esprimo queste idee vengo
accusato di legami troppo stretti con un tempo ormai passato; mi si dice: “la Massoneria
deve modernizzarsi, deve essere al passo con
l’evoluzione della società e dei costumi!”. La
risposta è semplice e, a mio modo di pensare,
non negoziabile. Immancabilmente rispondo:
“È l’Uomo Massone che deve vivere nella
modernità portandovi i propri valori resi più
forti dalla sua appartenenza all’Istituzione; la
Massoneria, essendo un’Istituzione Iniziatica
e Tradizionale, è nata perfetta e non può né
deve cambiare”. Un esempio che chiarisce in
modo definitivo questo concetto ci viene dalla nostra Loggia Madre che, volenti o nolenti,
è la Gran Loggia Unita d’Inghilterra la quale,
dall’inizio del ‘800, mantiene immodificati gli
stessi rituali e statuti.3
Per una miglior comprensione e schematizzazione delle regole di quello che chiamo il “Galateo Massonico”, seguirò il percorso fisico
che ciascuno di noi compie fino dall’ingresso
nelle sedi degli Orienti. Buona parte di quello
che sto per descrivere è probabilmente peculiare delle sedi più popolose come la mia Firenze quando nella stessa serata si riuniscono
5/6 Logge. Nella Sala dei Passi Perduti incontriamo numerosi Fratelli di altre Officine
che rivediamo sempre con immutato piacere
e con i quali ci tratteniamo affettuosamente
prima di entrare nella sala che è assegnata
per i Lavori della nostra Loggia dove si incontra una prima violazione al nostro peculiare Galateo.
Non è, ad esempio, edificante vedere, come
succede da qualche tempo, soprabiti, giacche
64
a vento, zaini o borse buttati a casaccio sulle
sedie inutilizzate; esistono in tutti gli Orienti
spazi creati alla bisogna, al di fuori dei Templi,
per lasciare i capi di vestiario e gli accessori
mentre le uniche borse tollerate dovrebbero
essere quelle del Maestro Venerabile e del
Segretario; nessuno si comporterebbe in modo
analogo in altri Luoghi Sacri come Sinagoghe,
Chiese o Moschee, ma anche più semplicemente in luoghi profani come la propria casa
o quella di amici; si tratterebbe, nel primo caso,
di una sorta di profanazione che non dovrebbe essere tollerata. Sembra quasi che non ci
si possa fidare fino in fondo dei Fratelli lasciando incustoditi i nostri abiti. A mia memoria ricordo solo un caso di scambio far due
soprabiti identici risolto in tempi brevi perché
il Fratello che era uscito per primo non trovava, nelle tasche del capo non suo, le chiavi
della propria auto.
I Fratelli sono entrati ritualmente squadrando
nel Tempio rendendo lo spazio sacro e sono
in piedi ed in silenzio prima di indossare le
insegne delle proprie cariche; entrano le bandiere accompagnate dagli inni ed alcuni intonano i versi del Fratello Mameli; questo comportamento è da censurare per molte ragioni,
alcune legate al nostro regolamento ed altre
di significato più profondo. Fra le prime il fatto che occorre richiedere al Maestro Venerabile, per tramite del Sorvegliante preposto alla
Colonna, il permesso per parlare che è consentito solo ad un Fratello per volta; la parola,
comunque, non può essere concessa, che eccezionalmente, ai Fratelli Apprendisti, che invece cantano, e solo su invito dell’MV e non
su richiesta. Se riflettiamo bene nessuna di
queste condizioni è soddisfatta iniziando dalla
costatazione i Lavori non sono ancora ritualmente aperti e non è quindi possibile prendere la parola. Le altre ragioni riguardano l’universalità della nostra Istituzione. Il cantare in
coro solo l’inno italiano certifica l’appartenenza ad una sola nazione e mette in secondo
piano, nello specifico, la bandiera europea; se
riteniamo giusto, e non lo è, dovremmo cantare almeno anche l’Inno alla Gioia dei Fratelli
F.Schiller e L.v.Beethoven.; sotto questo
aspetto inviterei i Maestri di Musica a far suonare i due inni nella sola parte orchestrale più
consona al luogo e al momento di meditazione che i Fratelli dovrebbero riservare alla propria preparazione per l’inizio dei Lavori.
“Fratello 1° Sorvegliante qual’è il secondo dovere dei Sorveglianti in Loggia?” ... “E’ quello di assicurarsi che tutti i presenti siano Fratelli Liberi Muratori.” ... “Assicuratevene,
Fratelli 1° e 2° Sorvegliante.” ... “Fratelli, in
piedi.”2
A questo punto i Fratelli si alzano e dovrebbero girarsi di 90° verso l’Oriente e porsi all’ordine mano a mano che con la coda dell’occhio vedono i Sorveglianti raggiungere l’altezza alla quale ognuno si trova. Il razionale di
questo rituale e del conseguente comportamento, ignorato costantemente, risale ai primordi
della nostra Istituzione e serviva a riconoscere i
non iniziati che si fossero fraudolentemente introdotti nel Tempio. Si voleva evitare che qualcuno potesse apprendere la corretta posizione
d’assumere osservando quanto facevano gli altri come, invece, è inevitabile se manteniamo le
attuali posture. Anche il copritore non dovrebbe
mettersi all’Ordine, come sovente accade, quando si reca ad controllare l’avvenuta Copertura
del Tempio.
È dato osservare due diverse posizioni dell’Ordine: la prima, più comune, con la mano
destra posta sotto la gola col pollice a squadra in corrispondenza della giugulare destra;
la seconda con il pollice sulla giugulare sinistra ed il palmo che si trova tutto al di la della
gola. Tutte e due sono corrette ma necessitano di un chiarimento legato al fatto che alcuni
Fratelli me ne hanno chiesto il perché e mi
hanno anche manifestato preferenza per l’una
o per l’altra. Fanno parte di due Rituali diversi con diversa valenza simbolica; la prima qualifica il Fratello che l’adotta come iniziato col
Rituale cosiddetto, non del tutto correttamen-
te, Italiano e simboleggia un ostacolo posto
fra le pulsioni viscerali del profano e l’intelligenza che l’Apprendista è chiamato ad esercitare per la sua crescita. La seconda appartiene al rituale Emulation e richiama la punizione a cui verrebbe sottoposto lo spergiuro
che avrebbe “....la gola tagliata di traverso....”.(3)
I Lavori proseguono con i Fratelli, soprattutto
i Maestri più vecchi, che siedono scompostamente senza rispettare la corretta posizione
detta del Faraone; recentemente ho osservato un Apprendista con le gambe completamente distese e accavallate e le braccia conserte sul torace; questo non può essere considerato un bel vedere. Si giunge al momento
più interessante della Tornata: la lettura della
Tavola che la saggezza del Consiglio delle
Luci ha assegnato, di solito, ad un Fratello. Al
termine il Maestro Venerabile ringrazia
l’estensore e concede la parola ai Fratelli i
quali, sovente, iniziano con alcune frasi da
evitare e che invece si sentono ripetere costantemente del tipo: “mi complimento per la
bella tavola, ... sono d’accordo, ... la penso
diversamente...”. Una considerazione generale: tutte le Tavole sono, per definizione, bellissime perché, parafrasando il saggista filosofo R.W.Emerson, “ogni Fratello da il massimo di se stesso perché è tutto quello che
ha” e, secondariamente, non è corretto esprimere giudizi sui Fratelli e sul loro pensiero
come è riportato anche negli Antichi Doveri.4
Questo è ancora più vero se l’estensore possiede una dignità diversa dal Grado in cui la
Loggia lavora: il pensiero di un Maestro non
può essere censurato di fronte ai Compagni
ed Apprendisti, come quello di un Compagno
in presenza degli Apprendisti.
Da ricordare, anche, che quando si interviene
ci si rivolge non al Fratello estensore, ma al
Maestro Venerabile, perché in Officina non è
consentito il colloquio con altri. Bisogna anche ricordare che non si può che essere d’accordo col Fratello perché ha espresso una sua
65
visione dell’argomento trattato come gli è garantito dal Trinomio che tutti dichiariamo di
rispettare. Quello che viene richiesto agli interventi è un “arricchimento” degli aspetti che
non sono stati evidenziati in modo da fornire
ad altri motivo di riflessione e devono riguardare l’argomento della Tavola e non il suo
contenuto. E’ ancora più scorretto preparare,
come si vede purtroppo fare, una Tavola scritta sullo stesso argomento. In questo stesso
quadro si inserisce a pieno titolo un’altra cattiva abitudine che si sta propagando a macchia d’olio nelle Officine e nelle Camere Rituali: ed è quella di battere le palme delle mani
sulle cosce a mo’ di applauso; valgono le stesse considerazioni sopra espresse con l’aggravante di un rumore molesto che turba l’atmosfera ovattata di in un luogo sacro.
Un altro aspetto che mi piace porre in risalto
in questo contesto è l’involuzione della figura
importantissima dell’Oratore; questi ricopre
questo ruolo fondamentale ma ogni tanto si
dimentica di essere un Fratello della Loggia
ed aspetta che gli sia concessa la parola alla
chiusura dei Lavori per esternare il suo pensiero; con questo comportamento toglie ai
Fratelli il piacere-dovere di poter affrontare
gli argomenti portati alla loro attenzione perché non è più concesso loro di prendere la
parola. Le conclusioni che dovrebbe trarre
sono semplicemente quelle di sintetizzare ed
evidenziare brevemente gli aspetti salienti di
quanto esternato dai Fratelli per offrire ulteriore materia di riflessione nella tranquillità dei
loro momenti di studio.
Un ultimo argomento non per importanza ma
solo per comodità d’esposizione. Occorre parlare del Maestro Venerabile, la sua figura e
prerogative che per le ragioni sopra esposte
si sono leggermente appannate. Nelle Società Iniziatiche chi ricopre quella carica, o l’equivalente in realtà diverse dalla nostra, dovrebbe essere un monarca assoluto qualità questa
che gli viene, in parte, riconosciuta anche dal
nostro Regolamento. Pochi sanno che tutti i
66
Fratelli di Loggia, non importa la loro anzianità,
saggezza o eventuali cariche ricoperte nell’Ordine, all’atto dell’insediamento dovrebbero
prestare Promessa Solenne (fino a non molti
anni fa Giuramento) di fedeltà ed obbedienza
al nuovo Maestro Venerabile e ai Dignitari.
(art. 32, § 4 Reg.)4
Fra i suoi diritti-doveri c’è quello di essere a
conoscenza di tutti i problemi, anche profani,
dei componenti l’Officina e per questo se qualcuno necessita di aiuto da un altro Fratello
non gli è consentito di chiederlo direttamente
ma deve passare tramite il Maestro Venerabile che diventa così garante della correttezza dei rapporti fra i due; lo stesso concetto
vale se la cortesia deve essere richiesta da
un Fratello di altra Loggia: in questo caso sarà
cura del Maestro Venerabile coinvolgere il suo
omologo dell’altra Officina. La mancata osservazione di questa prassi ha portato a molti
problemi, di cui sono a diretta conoscenza, in
diverse realtà che hanno minato anche irreparabilmente la serena coesione fra Fratelli.
Un’ultima osservazione: quando ci si rivolge
al Maestro Venerabile la Tradizione richiederebbe l’uso del “Voi”.
Con questa mia dolce fatica spero di poter
riportare negli Orienti che mi leggeranno un
po’ del vecchio, ma attualissimo, senso del rispetto di leggi non scritte per una migliore e
serena vita nella nostra amata Istituzione e
difenderla da un declino strisciante che mi sembra di intravedere.
BIBLIOGRAFIA
1. Giovanni della Casa “Il Galateo overo De’
costumi”; Ed. Panini Modena 1990
2. Grande Oriente d’Italia “Rituali dei Gradi
Simbolici”; Ed. Benucci Perugia 1998
3. Grande Oriente d’Italia “ Emulation
Ritual”; Ed. Erasmo Roma 2004
4. Grande Oriente d’Italia “Antiche Doveri,
Costituzione, Regolamento dell’Ordine”; Ed.
Erasmo Roma 2005
Documenti e testi antichi
a cura di Cristiano Bartolena
Il grande appello
Orientamenti antimassonici
nella Francia di Vichy. Il caso dei
“Documents Maçonniques” 1941-1945
La recensione in oggetto nasce da un articolo
apparso su Hiram n.3 Agosto 2011 del carissimo
fratello Gran Bibliotecario Dino Fioravanti,
esperto conoscitore di opere inerenti la
massoneria; Fioravanti accenna ad una rivista
intitolata appunto “Documents Maçonniques” ed
estremamente rara, che peraltro ritengo sia già
stata acquisita dal Grande Oriente, anche se non
ne ho la certezza. Quindi credo sia il caso di
dedicare alcune modeste righe sull’argomento
e rimetterle alla paziente attenzione dei Fratelli.
(la rivista completa è in mio possesso ed è stata
accuratamente analizzata).
Il 14 Giugno 1940 le truppe tedesche sfilano a
Parigi, in mezzo all’incredulità e allo stupore dei
francesi. La disfatta militare dei francesi fu ben
definita da Churchill in una storica seduta ai
Comuni: “la cupa notte nazista è scesa
sull’Europa”
In quel periodo un ebreo o un massone francese,
pur senza avere particolari doti di preveggenza,
avrebbe potuto chiaramente vaticinare quale
sarebbe stato il suo destino.
In effetti, per la Germania, dopo la rapida
soluzione militare, s’imponeva quella politica,
forse ancor più problematica e difficile. In una
Francia divisa, zona Nord occupata dai tedeschi
e zona Sud sotto il regime collaborazionista di
Vichy, nasce il “Grande Appello”, ovvero in altre
parole il programma di sensibilizzazione delle
coscienze nei confronti dei principi basilari del
nazismo che, nella sua visione del mondo o
Weltanschaung, prevedeva non solo
l’eliminazione drastica e totale degli ebrei, ma
anche quella dei massoni, considerati
quest’ultimi come gli strumenti più efficaci della
“congiura ebraica contro il mondo”. Non
intendiamo in questa sede dilungarci sulle
categorie interpretative di siffatta paranoide
filosofia che, a tutt’oggi trova pallidi e lugubri
emuli. Ci limiteremo a sottolineare che tale
filosofia fu applicata dai tedeschi in modo
veramente unico e magistrale.
La propaganda nazista in Francia trovò un
terreno fertile e già da tempo preparato.
I francesi stupirono i tedeschi per lo zelo
dimostrato nella caccia all’ebreo ed al massone.
La Francia poteva annoverare una tradizione
sia antimassonica che antiebraica che andava
dall’Abate Barruel (metà del ‘700) a Eduard
Drumont (inizi del ‘900) per non parlare del caso
Dreyfus.Gli allievi riuscirono a superare i loro
stessi maestri.
Teatro di questa operazione propagandistica fu
una rivista intitolata “Les Documents
Maçonniques”, che apparve per la prima volta
in una veste tipografica veramente eccellente il
15 ottobre 1941, per terminare con l’ultimo
numero nel Giugno 1944.
In tutto trentatrè fascicoli, numero
esotericamente fatidico o strano scherzo del
destino?
Al di là del simbolismo numerico e dei presagi,
questa rivista riuscì in pochi anni a condensare
e a coltivare un’autentica politica dell’odio, questo
con il prezioso ausilio anche di alcuni ex massoni
come Jean Marques Riviere e di Bernard Fay,
quest’ultimo non massone, bensì proveniente
dall’ambiente monarchico e reazionario1 - vedi
note biografiche in didascalia.
Ambedue erano profondi conoscitori della
dottrina, fini e metodi dell’Ordine massonico;
quindi, trovarono nella collaborazione con i
tedeschi, l’unica soluzione per combattere quegli
ideali di democrazia e di radicalismo che a loro
giudizio, avevano pervertito e alterato - vedi Jean
Marques Riviere - il vero fine della Massoneria.
Il materiale riportato nella rivista proveniva dagli
archivi delle maggiori obbedienze massoniche
67
francesi, razziate dai Servizi Speciali organizzati
appositamente dai tedeschi. Perciò il valore
storico e documentario apparso nei “Documents
Maçonniques” è ineccepibile indipendentemente
dall’uso fattone, considerazione questa ben
sottolineata anche dal fratello Dino Fioravanti,
esperto conoscitore della materia.
La Rivista, ormai introvabile nella sua serie
completa e di difficile reperimento sul mercato
librario, viene oggi offerta, in una bella e fedele
riproduzione, dalla Casa Editrice : Les Editions
du Dragon 4, Avenue Prince Héreditaire Albert.
B.P. 84 HP 98012 Principato di Monaco Cedex.
Si rendono necessarie alcune conclusioni, per
certi aspetti paradossali, perchè talvolta il piombo
può diventare oro, così una rivista nata con intenti
perversi è diventata una ricca miniera di
documenti massonici ormai introvabili o dispersi
dalla Guerra, molto utile per gli storici e gli
studiosi.
Nel grande giardino dell’intolleranza, che spesso
siamo costretti a percorrere, il massone riesce
sempre a muoversi a testa alta, perchè
trasparenza vuol dire anche questo.
Se a qualche fratello queste brevi righe e queste
sincere considerazioni sembreranno forse un po’
crude, estreme ed inattuali, ricordiamo che “le
Soluzioni Finali” aspettano sempre sorridenti e
beffarde dietro l’angolo.
Note
1. su Jean Marques Riviere, vedi scheda
biografica a pag. 187 della seguente opera:
Autore: Marie – France James Dottore in
Lettere. Titolo : Esoterisme, Occultisme FrancMaçonnerie et Christianisme aux XIXe et
Xxe.Siècles. Edito da Nouvelles Editions Latines
. Paris 1981 . Explorations bio-bibliographique.
Con prefazione di Emile Poulat (Directeur de
Recherches au C.N.R.S.)
Su Bernard Fay vedi la med. opera . pag. 116117-118.
68
Tra parentesi Bernard Fay è l’autore del
seguente testo sulla Massoneria:
“La Massoneria e la Rivoluzione intellettuale
del secolo XVIII”, Edito da Einaudi Torino,
seconda ed. 1945, ma ristampato anche
successivamente nel 1949.
Testo importante e sempre attuale.
Jean Marques Riviere è stato tradotto in italiano
e pubblicato quanto segue:
All’ombra dei monasteri Tibetani . Ed. PiZeta
Milano 1999
Storia delle dottrine esoteriche . Roma Ed.
Mediterranee 1997
Amuleti, talismani, pantacoli . Roma Ed.
Mediterranee 1994
Verso Benares, la Città santa . Ed. Pi Zeta
Milano 2009.
Elettrometria Animale e Massoneria
Daniele Talozzi
Nella prefazione del Suo libro: “della raddomanzia ossia elettrometria animale, ricerche fisiche
e storiche”, nel 1808, Carlo Amoretti scrive:
“Argomento non nuovo, ma difficile imprendo a
trattare e ben malagevole reputar deggio l’impresa, pensando che sinora dei molti che’l tentarono l’impresa nessuno è riuscito ad ottenere
ciò che si era preposto: cioè di convincere generalmente gli uomini che esista una raddomanzia, preso nel senso giusto, ossia elettrometria
animale, per cui molte delle sostanze agiscono
in singolar modo su alcuni individui, e producono in loro tali esterni fenomeni o interne sensazioni, per le quali della sostanza che agisce, ossia elettromotrice, si può giudicare”.
Questo breve testo,composto di termini ormai
desueti, a distanza di due secoli rimane ancora
attuale spiegando il fenomeno della “raddomanzia” e quanto di difficile ci sia in esso.
Usando termini contemporanei si può definire
la rabdomanzia come la pratica che permette,
mediante l’uso di strumenti, di esplicitare il rilevamento, da parte di un soggetto addestrato, delle
frequenze elettromagnetiche emesse da corpi
viventi e sostanze, individuandone in conseguenza la presenza, anche se occultata. Permette
inoltre di conoscerne l’ubicazione, entità, natura, specie e quantità. Strumenti di amplificazione sono bastoni e aste flessibili, forcelle biforcute ottenute sezionando rami di piante o unendo per un’estremità bacchette .
Di questa “arte” conosciuta in tutte le culture
da tempi antichissimi, ci giungono testimonianze
dalla Cina e dall’Egitto risalenti a 3000 anni fa. 1
Mosè educato alla corte dei faraoni era un rabdomante e di ciò se ne ha testimonianza nel Libro dell’Esodo al capitolo 17 versetti 5-6:
“5 Allora il Signore disse a Mosè: «Mettiti di
fronte al popolo e prendi con te alcuni degli an-
ziani d’Israele; prendi anche in mano il bastone
col quale hai percosso il Fiume e va’. 6 Ecco io
starò là davanti a te, sulla roccia che è in Oreb;
tu colpirai la roccia: ne scaturirà dell’acqua e il
popolo berrà». Mosè fece così in presenza degli
anziani d’Israele“.
Mosè con il suo “ bastone ” trovò l’acqua: i rabdomanti più vicini a noi cercano l’acqua con
verghe biforcute. Le afferrano per le due estre-
69
mità libere tenendo la punta legata verso il basso, divaricano le palme delle mani rivolgendole
al cielo e lasciano aderire i gomiti ai fianchi. Le
mani, mignolo contro mignolo, fanno acquisire
alla punta una posizione orizzontale e instabile.
Si premono inoltre le aste in maniera da fargli
acquisire una forma a paraboloide. Il rabdomante
è ora nella condizione di rilevare la variazione di
campo elettromagnetico data dallo scorrimento
sotterraneo dell’acqua. Quando, camminando
senza mai lasciare il contatto con il suolo, egli
incrocerà il fiume sotterraneo, allora si verificherà la rotazione improvvisa delle bacchette
segnalando la presenza della vena acquifera.
Ho avuto la fortuna di reperire tramite un amico
bibliofilo il testo “della raddomanzia ossia elettrometria animale, ricerche fisiche e storiche”
in una libreria antiquaria del nord Italia essendo
ormai quasi introvabile. Oltre a studiarlo attentamente ho iniziato a svolgere ricerche sul suo
autore. Carlo Amoretti(1), entrò nel 1765, nell’Ordine di Sant’Agostino passando poi al clero
secolare, successivamente fu insignito di molti
altri titoli quali quello di Cavaliere della Corona
Ferrea e membro del Consiglio delle miniere del
Regno d’Italia. Riporto fra le Sue molte qualifiche questa ultima, in quanto più legata alla rabdomanzia.
Dal XVI secolo si hanno testimonianze riportanti le metodiche rabdomantiche per l’individuazione di giacimenti minerari.
Sappiamo che in Germania, la bacchetta divinatoria (Schlagruthe, più modernamente Wünschelrute) era usata largamente nelle miniere,
per trovare filoni di carbone o falde metalliche.
I mercanti inglesi girovaghi dell’epoca elisabettiana introdussero queste pratiche nelle miniere
della Cornovaglia, e tanto nella Gran Bretagna
quanto in Francia la rabdomanzia venne applicata alla ricerca dell’acqua sino dal sec.
XVII. Gli studi moderni intorno al fenomeno
iniziano peraltro solo con la pubblicazione, rimasta classica, dell’abate L. di Vallemont, “La
physique occulte ou Traité de la baguette divinatoire” del 1693.
70
Il testo si caratterizza per la presa di posizione
contro la tesi, sostenuta da varie autorità dell’epoca, secondo cui il fenomeno della rabdomanzia si doveva ricondurre a influenza diabolica. Il Vallemont sostenne ch’esso si doveva attribuire a cause prettamente naturali, e ne descrisse minuziosamente le varie modalità.
Il termine rabdomanzia, deriva dalle parole greche rhábdos che significa “bacchetta” e mantéia che significa “divinazione”, e indica la tecnica con la quale si individuano, come sopra detto,
elementi nascosti, quali vene acquifere o qualsiasi giacimento sotterraneo. Il termine radiestesia, designa un’altra pratica affine alla rabdomanzia ed è stato nel 1919 da H.Bayard e
A.T.Boully, rabdomanti francesi, unendo l’idioma latino “radium” ( raggio ) con la parola greca “aisthesis (sensazione, percezione). Questa
indica una pratica che estende il campo operativo di indagine della rabdomanzia a corpi e sostanze, usando strumenti più sensibili delle“ bacchette “, quali oggetti appesi a fili, corde o catene che permettono di evidenziare percezioni su
oggetti e persone non presenti, avendo a disposizione parti piccolissime di esse. Per completezza occorre specificare che esiste un ulteriore estensione operativa denominata“ teleradiestesia ” che si occupa di ricerche compiute a
distanza su carte geografiche.
Nella prefazione del libro di Amoretti, sono contenute alcune indicazioni fondamentali per chi si
avvicina a questa fenomenologia: una di queste
è inclusa nella frase: “ ... di convincere generalmente gli uomini che esista una raddomanzia,
presa nel senso giusto ...” .
Questa frase indica chiaramente che c’è un
senso da cui prendere le distanze e credo di poter
affermare che sia quello che lega la rabdomanzia al “milieu del magico”. Molti fenomeni che
sfuggono alla scienza finiscono in questo “milieu” e la “raddomanzia” come Elettrometria
Animale e Massoneria (appunti di ricerca, bozza aprile 2014) è sicuramente uno di questi. Amoretti per questo coniuga la raddomanzia con
l’elettrometria, per introdurla in quel sapere di
cui si stava, al momento in cui lui scrive, elaborando la sistematizzazione scientifica.
J.C.Maxwel l elaborò la prima teoria moderna
dell’elettromagnetismo raggruppando in un’unica teoria tutte le precedenti osservazioni, esperimenti ed equazioni non correlate di questa
branca della fisica che presentò alla Royal Society nel 1864.
Lo spettro elettromagnetico, che deriva da quella
teoria, mostra l’immagine del mondo secondo la
fisica, rendendo evidente come tutto ciò che ci
circonda e siamo, sia in realtà una frequenza. In
estrema sintesi si può asserire che “L’elettrometria animale” cioè la radiestesia individua questi valori e quelli che vanno oltre questa scala.
L’elettrometria viene qualificata da Amoretti
come “ animale “ in quanto gli animali sono capaci al pari degli umani di percepire queste frequenze e su questo organizzare rotte o rintracciare sorgenti d’acqua. La rilevazione di questi
fenomeni nell’uomo è un sapere ancestrale e
riposto nell’inconscio e pertanto non facilmente
rintracciabile.
Si crede comunemente che non tutti siano in
grado di rintracciarlo ma credo di poter testimoniare il contrario sempre che questo sia“il loro
volere”. Occorre rilevare in estrema sintesi che
la capacita rabdomantica si ritrova di generazione in generazione, anche se si è persa la memoria di questa tradizione familiare e che essa
possa essere trasmessa da un rabdomante a
un’altro per contatto diretto.
“Elettrometria animale” è quasi sempre ricondotta da chi ne scrive, dopo Amoretti, nel novero delle scienze esatte quali la matematica e la
fisica e non è mai almeno direttamente legata
alle scienze umane fatta eccezione per la storia
e la medicina. È utile a questo proposito citare il
libro di Yves Rocard “la scienza dei rabdamanti
“ che compie per l’ennesima volta con l’autorità di uno scienziato riconosciuto, essendo fra
altro, stato direttore del laboratorio di fisica
della Scuola Normale Superiore di Parigi, l’inquadramento di questo sapere nell’ambito
della fisica.
Credo ci siano oggi le condizioni culturali affinchè le ricerche sopraddette possano integrarsi
con ricerche che inquadrino questi fenomeni
nell’abito di discipline umanistiche come la filosofia, la psicologia, le neuroscienze e tutte le
altre, al fine coglierne meglio l’essenza di questo “ Argomento non nuovo...”. In filosofia si
potrebbe richiamarsi ad esempio a I. Kant che
già dal 700’ introducendo il concetto di “ noumeno”, ha indicato una realtà inconoscibile e
indescrivibile.Il “noumeno” o cosa in sé è un
concetto-limite, può essere pensato ma non
conosciuto. La scienza conosce i ‘fenomeni’,
perché cadono sotto i nostri sensi, ma non può
conoscere il noumeno che si può comunque
pensare.
È stato pubblicato recentemente, dopo cinquanta anni dalla morte, per volere testamentario dell’autore, quasi aspettando i tempi migliori, il “Libro Rosso” di C.G.Jung, dove in uno dei “ dialoghi interiori ” riportati nel libro , scrive, riferendo di un dialogo avvenuto nel gennaio 1914 fra
una “entità A ” e se stesso: “A” alza le mani per
ricevere ciò che ti aspetta”; Io “Che cosa è?
Una bacchetta ?...”.
Jung, al pari di Freud, era massone. Il celebre
libro “Il sogno” era una tavola per la loggia Viennese B’nai B’rith (Figli dell’Alleanza). Non credo sia azzardato rintracciare nella loro opera profana riferimenti alla nostra tradizione massonica. Di riferimenti – nelle neuroscienze – alle
“competenze” degli emisferi celebrali ne esistono in quantità tale da permettere di ricomprendere la radiestesia in un ottica condivisibile,
sgombrando il campo da riduttivi giudizi.
Altro approfondimento conoscitivo, può essere
svolto seguendo i paradigmi dell’arte. Nell’ambito dell’esperienza artistica si possono trovare
elementi di affinità con la radiestesia.
L’esperienza artistica, per sua stessa natura
soggettiva, è sempre generata dall’esigenza di
sviluppare nuovi elementi cognitivi nelle sue diverse dimensioni: archittura, scultura e pittura,
solo per citare quelle di mia competenza. L’arte
rappresenta non tanto un ambito operativo fra
71
le attività
dell’uomo
quanto una
modalità qualitativa che
guida la volontà di apprendimento
della realtà.
In Italia, riducendo geograficamente il campo di indagine e, in conseguenza,
omettendo
autori straordinari (francesi e tedeschi, come
quale l’Abate A. Mermet che ha scritto “Comment J’opère”), troviamo il testo fondamentale a cui si rifanno i mag-
72
giori ricercatori e che è stato scritto dall’ingegner Pietro Zampa nel 1940 col titolo “Elementi
di Radiestesia, le meraviglie di una nuova scienza”. Zampa scrisse altri testi sull’argomento e
diventò direttore della collana editoriale della
casa editrice Vannini dedicata alla radiestesia,
tuttora attiva.
Ci sono fra i testi di questa collana due di particolare interesse che occorre segnalare: il primo è intitolato “La Radiestesia applicata alla
medicina” e il secondo “L’Energia svelata e
rilevata”. Il primo è scritto dal Prof. Dott. F.
Bortone, S.J. missionario in Oriente e Cappellano dell’ordine dei Cavalieri di Malta ed è
un testo che riprende tematiche già trattate
dal Dott. A. Laprice nel suo “Radiestesia
medica” del 1948 e riguarda l’applicazione
della radiestesia alla medicina nella parte diagnostica.
Il secondo volume citato è scritto da Aristide
Viero che, partendo con un’altro testo “Geobiologia tra Radiestesia e Rabdomanzia”, più
legato hai contenuti classici delle pubblicazioni sull’argomento, orienta la Sua ricerca nell’ambito esoterico.
L’autore è stato Presidente dell’Associazione Italiana Radiestesisti di Milano, prima assocaizione nata in Italia per promuovere la radiestesia e grazie a anche una pluridecennale
attività di rabdomante che lo ha portato a svolgerere le sue ricerche acquifere anche nel
continente Africano a seguito dei padri Comboniani, ha orientato la propria ricerca alla
comprensione della relazione esistenti fra le
energie telluriche derivanti da campi elettromagnetici terrestri, e i luoghi “ Sacri ”.
Dai rilevamenti radiestetici eseguiti emerge
una sostanziale costanza nella composizione,
non materiale, dei maggiori siti sacrali quali
Stonehenge, Chartres, o Castel del Monte. In
questi luoghi mi sono recato personalmente e
essendo stato “ iniziato” da Viero a questi
saperi, ho potuto constatare personalmente la
corrispondenza fra energie telluriche e architettura. Viero ha pubblicato in un Suo recente
testo “ Architetture antiche del sacro” un mio
disegno che raffronta le dimensioni fisiche di
Stonehenge e di Notre Dame de Chartres.
La mia indagine è poi andata oltre e si è indirizzata a individuare energie rilevabili attraverso la radiestesia nei templi massonici tro-
vandone interessanti riscontri.
Nella tradizione massonica si possono individuare molteplici itinerari che rintracciano questo antico sapere al nostro ambito speculativo.
Uno tra altri può essere quello che, partendo
dal celebre discorso del 1736 fatto da A.M.
Ramsey, collega massoneria e cavalieri crociati. I Templari furono i finanziatori e i progettisti delle cattedrali, le stesse che ho visitato e rilevato nel Île de France.
La mia esperienza nella realizzazione del nuovo Tempio nelle casa massonica di Arezzo mi
ha permesso rintracciare in ogni elemento
composito, oltre alla componente simbolica,
anche quella energetica.
Devo altresì riportare che le tavole da me
tracciate nelle officine degli Orienti Toscani
sono stati un occasione di ulteriore verifica e
approfondimento diretto di questa ricerca che
si è arricchita del contributo degli interventi
positivi dei Fratelli.
L’elettrometria animale per dirla ancora una volta
con Amoretti, è un ottica di ricerca esotericamolto particolare che permette di cogliere aspetti
rituali spesso non comprensibili se non per as-
73
sunto tradizionale quali per esempio il senso di
impugnare “bastoni” o eseguire particolari movimenti.
I Saggi dicono che ogni uomo sia libero in ragione dell’autonomia che ha di configurare la propria immagine del mondo. A questo diritto voglio aggiungere il “diritto all’opacità” ben definito da Claudio Magris nel suo recente libro dal
titolo “ Segreti e no ”.
Il diritto a non essere trafitti nel nostro essere
più intimo dalla conoscenza razionale neppure
se usata dalle persone che condividono la propria esistenza. È in questo ambito che credo vada
inquadrata da Noi “ iniziatiati” questa pratica
antichissima che diviene se “ presa nel senso
giusto “ elemento di esperienza interiore capace di mostrare l’immensità e potenzialità del nostro essere profondo.
Note
1. Per un inquadramento storico approfondito si
consiglia www.airmilano.net
Fonti bibliografiche
Carlo Amoretti, “Della Raddomanzia ossia Elettrometria Animale, ricerche fisiche e storiche”,
ed. G. Marelli, Milano 1808.
74
Cei, “Bibbia di Gerusalemme” EDB,1974, Bo.
L. di Vallemont, La physique occulte ou Traité
de la baguette divinatoire, Parigi 1693.
Yves Rocard, “la scienza dei rabdamanti”,
ed.Longanesi & C, Milano 1990.
Abate Mermet “ Comment J’opère” Edition de
la meson de la radiesteshésie, Parigi 1935.
Pietro Zampa, “Elementi di radiestesia , le meraviglie di una nuova scienza”, ed. Vannini, Brescia 1940.
Prof. Dott. Fernando Bortone, S.J. , “ la radiestesia applicata alla medicina”, ed. Vannini, Brescia.
Aristide Viero “ Geobilogia tra radiestesia e rabdomanzia”, ed. Vannini, Brescia 1999.
Aristide Viero “L’energia svelata e rilevata”, ed.
Vannini, Brescia 2002.
Aristide Viero “ Architetture antiche del sacro”
ed.Editoriale Delfino, Milano 2006.
Claudio Magris ,“ Segreti e no”, ed. Bompiani,
Milano 2014.
Recensioni e segnalazioni bibliografiche
a cura di Matteo Ranalli
Charles W. Leadbeater, La vita nascosta
della Massoneria, Atanòr, 2013
Lo scopo della presente Opera è duplice e complementare, ovvero il tentativo di rintracciare
un’origine dell’Arte Reale, che sia di molto anteriore alle gilde medievali ed ai Collegia dell’antica Roma, attraverso uno studio approfondito della simbologia, dei rituali e delle cerimonie massoniche. «La fratellanza massonica»
–
scrive l’A.
nell’introduzione – «differisce da tutte le altre società nel fatto
che i candidati entrano bendati, e non
possono ricevere molte informazioni di
essa finché non diventano membri veri e propri.»
Sull’origine della Massoneria la tesi del Leadbeater è molto chiara. Secondo l’A., tenuto conto
della segretezza dei misteri nell’antichità e della
quasi impossibilità di tracciare una completa e
perfetta discendenza massonica dai documenti
disponibili, fu Mosè, straniero cui venne consentito d’accedere agli insegnamenti segreti degli
Egizi, a passare la sua sapienza alla linea sacerdotale ebraica e che quindi sopravvisse, non
senza alterazioni, fino ai tempi di Davide e Salomone. Purtroppo, pur essendosi conservata la
parte esteriore delle cerimonie, si era perduta
una parte importante della tradizione e del suo
significato. Fu Re Salomone ad aver sostituito,
all’interno del rituale, le parole ebraiche con
quelle egizie originali. Tuttavia la Massoneria è
giunta in Europa attraverso linee di discendenza
ebraiche, ma assieme ad ulteriori influenze di
altra matrice; per tale motivo l’A. non ritiene di
rintracciare un’unica discendenza d’ortodossia
massonica. Lo studio della simbologia massonica del Leadbeater intende superare un’interpretazione ridotta al solo dominio morale, perché il
desiderio massonico dev’essere quello di versare le acque della conoscenza esoterica nei
recipienti massonici. L’A. utilizza la metafora
del bruco che mangia la foglia. La percezione
del bruco, infatti, si estende poco più in là della
foglia sulla quale striscia: quanto risulta difficile
al bruco trascendere i suoi limiti, allargare la sua
visuale e comprendere che la sua foglia è parte
di un enorme albero con milioni di foglie.
L’Opera contiene, oltre ad un’ampia trattazione
di tutti e tre i gradi massonici, anche un’ampia
trattazione sulla loggia, gli alti gradi e la spiegazione di due interessanti rituali provenienti dall’antico Egitto. Nel primo rituale si espone in
modo chiaro la volontà del Maestro Venerabile
di intercedere presso il Dio Ra, il logos solare
che si manifesta attraverso il sole, affinché sveli l’occulta luce. Il M.·. V.·. - rispondendo al
Primo Sorvegliante - dice «Ra svela la Sua luce
quando noi sveliamo la nostra. Dai, cosicché tu
possa ricevere.» Per quanto concerne l’esposizione sul grado di Maestro il Leadbeater fa notare che, mentre il fulcro del lavoro del Compagno d’Arte è la scoperta del centro, il Maestro
Massone vede, in questo centro, il luogo, ove
spera di trovare la verità perduta. In questo centro il Maestro scopre il supremo segreto della
vita trovando al suo interno il sé più profondo, la
Monade e triade superiore, ovvero la scoperta
della verità attraverso il raggiungimento della
consapevolezza che egli è, ed è sempre stato,
un tutt’uno con Dio. Gli uomini sono persi nel
labirinto della vita, in una grande e terribile foresta, ed il loro scopo nella vita è fuggire da essa e
trovare la vera felicità, ovvero la natura del proprio sé autentico ed essenziale. Gli strumenti
del terzo grado sono il Sisaro, per indicare ove
scavare le fondamenta della costruzione, la
matita, per disegnare l’edificio e dare istruzioni
75
precise agli operai, ed il compasso, affinché le
proporzioni siano adeguatamente soddisfatte. E’
il cammino della coscienza: dalla squadra al compasso, dal quadrilatero al triangolo, e da quest’ultimo al punto, dal sé superiore alla Monade. Il sisaro rappresenta l’azione della Monade, mentre gira attorno ad un perno, emanando la rete della vita, proprio come un ragno
tesse la tela dal suo corpo. La matita segna il
sentiero o raggio della Monade, la linea della
vita e dell’opera che il Maestro deve scoprire e
su cui deve specializzarsi. Il compasso è emblema del triangolo, ovvero i poteri dello spirito tripartito che deve utilizzare nella sua opera. L’invito dell’A. è quello di studiare il lato nascosto
della vita di ogni giorno, proprio per ottenere molto
di più da essa. La vita e ciò che possiamo fare
di essa dipende in larga parte da quanto queste
realtà occulte sono per noi reali: qualsiasi cosa
facciamo, dovremmo sempre pensare alle conseguenze invisibili delle nostre azioni.
Ernesto Buonaiuti, Lo Gnosticismo. Storia
di Antiche lotte religiose, Mimesis, 2012
Ernesto Buonaiuti (1881-1946) fu sacerdote,
teologo e storico del Cristianesimo delle origini.
Una voce originale, libera ed osteggiata, su cui,
da molti anni, è caduta una vera e propria damnatio memoriae. Mimesis presenta una nuova
edizione dell’opera giovanile del Bonaiuti, L’Opera è un excursus sulle fonti, gli autori e le dinamiche storiche dello Gnosticismo e della sua
dottrina. Nonostante lo scritto sia apparso per
la prima volta nel 1907, è riuscito a mantenere
intatto, negli anni, una sua originalità ed una sua
profondità di pensiero. Certo, l’Opera va letta
tenendo in considerazione lo status dell’A., che
però non inficia lo spessore delle sue conoscenze ed i risultati delle sue ricerche. Per l’A., infatti, i problemi letterari, cronologici e critici non
possono essere isolati dagli eventi che li determinarono e che a loro volta crearono una complessa ramificazione d’eventi; in sintesi, la storia del Cristianesimo, dell’Impero romano e del76
lo Gnosticismo
non possono
scindersi. Egli,
a tal riguardo,
parla dello
Gnosticismo
come
di
un’enigma.
Lo definisce
un’esaltazione
febbrile di speculazione teologica che,
sbocciata intorno alla culla del Cristianesimo nascente, è andata sviluppandosi per tutto
il II e III sec., viziando tutta l’atmosfera religiosa. L’A. identifica la Gnosi con la Conoscenza
e fa dello gnosticismo un sistema che, pieno di
fiducia nelle capacità iniziali della ragione, crede di risolvere i vari problemi dell’essere con
sicurezza e fuori da ogni illuminazione esteriore; gnosi come contemplazione superiore dell’infinito. Lo gnosticismo si chiude in una terminologia di mistero ed in un’aristocratica riserbatezza, che, cionondimeno, riesce realmente
ad insidiare la tradizione evangelica. Per usare
le parole di E. H. Schmitt: “Noi possediamo una
scienza, non una conoscenza... Gnosi è la contemplazione dei fatti del proprio interno, e per
questi e in questi la penetrazione del vincolo che
unisce i vari gradi di tutti i fenomeni”. Non a
caso il sottotitolo dell’opera è storia di antiche
lotte religiose: lo gnosticismo è questo perenne
cammino di lotta della luce contro le tenebre.
Claudio Bonvecchio, Esoterismo e Massoneria, Mimesis, 2007
Claudio Bonvecchio firma un’Opera di ampio
respiro, in cui tratta la Massoneria e la sua dimensione esoterica. Nel primo capitolo, intitolato dal titolo “L’ombra della Libera Muratoria”
l’A. definisce la Massoneria come un continente
dimenticato,
perduto
o
sommerso,
paragonandola
ad Atlantide.
La sua esistenza prosegue da tempo
immemorabile,
eppure nessuno si sognerebbe di definirla un relitto
obsoleto.
L’opinio communis vede il
Massone con sospetto, magari al centro dei più
disparati complotti. Ciononostante, andando a
scavare nel profondo, quest’ombra massonica
si fa via via luce, perché è innegabile il contribuito dato dai massoni nel corso dei secoli nello
sviluppo della civiltà occidentale ed europea.
L’Ordine massonico richiede ai suoi membri di
cercare la luce, di perfezionarsi costantemente
ed è solo dal miglioramento individuale che può
avvenire quello collettivo. Nel secondo capitolo
l’A. analizza la Tradizione e, nel paragrafo “Cosa
non è la Libera Muratoria”, analizza i rapporti
tra Libera Muratoria ed estetismo, religione, ideologia e filosofia. Sul concetto di Tradizione,
l’esposizione dell’A. si rifà a grandi linee, ampliandola, alla tripartizione del Faivre nei filoni
purista, eclettico ed umanista. Il Bonvecchio fa
notare giustamente come la Tradizione si possa
considerare come “l’immagine simbolica dello
gnostico Pleroma (la pienezza dell’essenza divina) contrapposta al Kenoma: il regno del nulla, del relativismo assoluto, dell’assenza di senso in cui l’uomo tende, da sempre, a precipitare
se non scopre il Pleroma in se stesso”. In questo senso la Tradizione rappresenta l’esistenza
di un centro interiore in cui il Macrocosmo converge al Microcosmo, cioè l’uomo, e viceversa.
Un altro aspetto rilevante è l’affermazione dell’A. Secondo cui la psicologia analitica junghia-
na si può considerare interamente inserita in
un contesto tradizionale anche se operante
in un contesto ed in un linguaggio diverso.
L’A., inoltre, sottolinea ne “L’Esoterismo e La
Libera Muratoria”, rifacendosi ad E. Zolla, che
si deve evitare d’intendere l’esoterismo come
una via di fuga dai problemi esistenziali dell’uomo. L’esoterismo è un tentativo dell’uomo di
portarsi “oltre” e di ricercare una verità, adogmatica, universale e perenne.
Frederick Graham Speidel, L’Eredità Templare nella Massoneria. Il Rito di York. A
cura di Franco Valgattarri, 2010
Questo libro, edizione italiana de The York Rite
of Freemasonry, tratta principalmente i contenuti simbolici ed esoterici del Rito di York, cercando di tracciarne lo scenario
storico e rendendone note le
strutture e le finalità di tale sistema. V’è da
dire che in Italia,
all’interno degli
studi sulla Massoneria, alla trattazione di questo
rito non si è concesso mai molto
spazio. Lo Speidel, morto nel 2000, fu Cavaliere della Gran
Croce d’Onore di York e fu Gran Commendatore dei Cavalieri Templari del North Carolina
(U.S.A.). Il Poema Regius narra la leggenda di
York, secondo cui Athelstan, nipote di Alfredo il
Grande, che governò l’Inghilterra dal 924 al 940,
fu un grande protettore della Libera Muratoria,
avvalendosi del lavoro dei suoi componenti per
l’edificazione di molti castelli, monasteri, abbazie, fortezze. Inoltre la leggenda narra che a lui
si deve l’iniziativa di indire assemblee generali
degli appartenenti alla corporazione dei costrut77
tori, al fine di dibattere dei problemi comuni e
per fissare norme di comportamento eguali per
tutti. Con apposito editto, autorizzò i Liberi Muratori a tenere un’assemblea una volta l’anno
nella città di York, al centro dell’Inghilterra. Da
allora York legò il suo nome ai fasti della Libera
Muratoria. Infine leggenda vuole che lo stesso
Athelstan nominò il fratello Edwin Gran Maestro e che la prima Gran Loggia si tenne a York
nel 926. Re e principe furono protettori e mecenati della massoneria operativa, cioè dei veri e
propri costruttori d’edifici. Nel libro in questione la storia della massoneria viene ripercorsa
anche attraverso l’edificazione di edifici veri e
propri, come l’unica e importante costruzione in
pietra che rimane del periodo sassone, che si
trova a Londra, nella cripta della Abbazia di
Westminster. E’ proprio durante il periodo gotico, più precisamente dal 1312 in poi, cui corrisponde l’introduzione dell’arco a sesto acuto al posto degli archi a tutto sesto,che inficiavano
la statica complessiva - che molti templari, esperti conoscitori dei segreti costruttivi del gotico
cistercense, cominciano a confluire nella corporazione, anche e soprattutto al fine di sfuggire alle persecuzioni. Molto interessante la quarta parte, dal titolo “La Commenda dei Cavalieri
Templari”, una vera e propria rassegna della
cosiddetta Massoneria Cavalleresca. Il volume
mette in luce come la Commenda dei Cavalieri
Templari fondi i suoi principi attraverso un esoterismo biblico tratto dal Nuovo Testamento e
sull’insegnamento morale della pratica di virtù
cristiane.
Alfredo Di Prinzio, Misteri della Tradizione Ermetica. Svelando e rivelando, Atanòr,
2014
In quest’opera vengono raccolti gli articoli di
Alfredo Di Prinzio, già noto autore di opere artistiche a carattere esoterico, pubblicati nella rivista Hera. L’intento di questa raccolta è quello
di offrire ai lettori ignoti motivi di meditazione
e di elevazione spirituale. Infatti l’A. non cer78
ca di sedurre o fascinare, quanto piuttosto di
suscitare curiosità nel lettore. Nel quarto capitolo, dal titolo “Nigra sum sed formosa, Il Sacro
Graal e la Merkaba”, l’A. affronta il mistero
dell’Opera del
Carro,
La
Ma’aseh Merkabah, testo di
mistica ebraica;
il nome è utilizzato in Ezechiele (Ezechiele 1,
4-26) con riferimento al carrotrono di Dio con
angeli
detti
Chayyot. L’A.
divide la parola
in tre parti:
MER-KA-BA. “Mer”, radice della parola egizia “Amore”, che fa parte del “Mrrm”, o “MERREM”, che significa Amore dell’uomo o dell’Umanità, secondo la lingua degli antichi egizi.
Sempre secondo la stessa lingua, il “KA”, indica la parte luminosa e Spirituale dell’individuo,
mentre il “BA” rappresenta l’anima mediatrice fra il corpo spirituale e quello fisico. In
definita la Merkabah - secondo l’A. - è l’unificazione dei tre corpi dell’uomo o dei tre fuochi che agiscono in lui Fuoco d’Ariete nella
testa, Fuoco del Sagittario nel sesso e Fuoco
del Leone nel cuore. Parimenti i greci chiamano questi tre centri PHILOS nella testa,
EROS nel sesso e AGAPE, nel cuore; mentre la Chiesa Cristiana li chiama Padre, Figlio
e Spirito Santo. Parimenti nel Tempio Massonico li ritroviamo rappresentati come Minerva la Sapienza, Ercole la Forza e Venere la
Bellezza. Per l’A. Merkabah è l’unificazione dei tre centri, operata attraverso un
profondo lavoro di sublimazione delle forze dell’Eros. Molto suggestive sono le immagini artistiche del Di Prinzio che si alternano nei paragrafi di questo libro, suggerendo
così profonde meditazioni.
Risorgimento e Massoneria, a cura di Aldo
A. Mola, Luigi Pruneti, Atanòr, 2013
Sul Risorgimento italiano la storiografia non è
mai riuscita a convergere su una visione complessivamente comune. Questa pregevolissima raccolta di saggi è composta da due parti.
La prima, “Uomini ed eventi”, è una disamina
sui protagonisti e gli eventi che portarono all’unificazione dell’Italia. La seconda, “Gli intellettuali e la cultura”, è un’analisi sul processo di unificazione, dopo secoli di divisone
regionalistica. Questa raccolta di saggi offre
dei contributi fondamentali per comprendere
questo passato comune e spesso dimenticato.
Nella Premessa L. Pruneti afferma esplicitamente - e con determinazione - che il processo d’unificazione italiana non fu solo luce, ma
vi furono anche numerose ombre, ignorate e
nascoste, per un vezzo, tutto italiano, di voler
preferire l’agiografia alla storia.
Proseguendo, l’A. afferma che “fu messa in
atto una italianizzazione forzata, che non tenne conto delle popolazioni costrette a sovvenzionare il decollo del Regno attraverso un fiscalismo violento e la tassazione della carne,
rappresentata dal servizio obbligatorio di leva.
Il brigantaggio non fu un fenomeno criminale,
ma una rivolta delle plebi meridionali, vessate
e irrise nei loro valori e nelle loro tradizioni.
Tuttavia il Risorgimento riuscì a produrre e
disseminare idee, diritti e libertà.”
Tra i vari saggi quello che suscita sicuramente curiosità è “La massoneria, la ‘bandiera europea’ e l’emblema della Repubblica italiana”
di Aldo A. Mola, in cui l’A. si chiede quando
ed in quali modi la massoneria abbia concorso a codificare i segni distintivi dello Stato italiano. Un’indagine di difficile soluzione, basti
pensare che solo il 25 Aprile del 1872 la Costituente convocata a Roma deliberò la denominazione della libera muratoria nel regno
(“Massoneria Universale - Famiglia italiana”),
la separazione del governo dell’Ordine (Grande Oriente) dai Riti ed il motto (Libertà, Uguaglianza, Fratellanza). Inoltre sancì che “La
bandiera e le insegne della Massoneria italiana sono di color verde listato di rosso”. Ma come fa notare giustamente l’A. - tali colori
non derivavano nè dalla Massoneria universale, azzurra, nè da quella Scozzese, rossa.
La tesi sostenuta dall’A. è che la massoneria
italiana “crebbe con un piede nel Paese e uno
nell’Utopia universalistica”; una tesi senza
dubbio severa,
ma difficilmente contrastabile.
Contenuto dell’opera. Parte
I, Uomini ed
eventi: Aldo
A. Mola Mito
e realtà della
Costituzione
spagnola del
1812 nell’unificazione
d’Italia (1814
– 1861); S. Rogari Idee, movimenti e partiti
nel Risorgimento italiano; A. Combes La massoneria francese e la questione romana; J. A.
Ferrer Benimeli La Spagna e l’unificazione
italiana. La questione vista dalla Spagna; M.
Severini L’eredità della Repubblica Romana;
G. Adilardi Il clero patriottico di metà Ottocento; B. Di Porto Roma e Gerusalemme. Due
poli di universalità; G. Romanato La soppressione degli enti ecclesiastici italiani (18481873); T. L. Rizzo Il dramma dell’italiano Giovanni Mastai Ferretti (Pio IX); A. Zarcone
Generali e massoneria tra Risorgimento e fascismo. Indagine su un rapporto inesistente;
L. Pruneti La massoneria e la guerra di Libia; A. A. Mola, La massoneria, la “bandiera
europea” e l’emblema della Repubblica italiana; E. Bonaccorti A proposito del riconoscimento dell’inno nazionale.
Parte II, Gli intellettuali e la cultura: L. Pruneti Scuola, personale docente e massoneria
nell’Italia del secondo Ottocento; A. G. Ricci
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Roma e Garibaldi nei grandi poeti nazionali;
I. Li Vigni “Il poco o il niuno amor nazionale
che vive in noi”. Leopardi e l’idea d’Italia; C.
Ceccuti Le origini del giornalismo politico nell’Italia dell’Ottocento; M. Biondi Riviste, elites intellettuali, strategie e disegni del primo
Novecento; D. Conte Italia e continenti morali: Benedetto Croce e Thomas Mann; N.
Perrone Un ispettore itinerante della massoneria prima della Rivoluzione del 1799; V.
Meattini Da Leopardi a Rensi. Nichilismo e
onestà dello scetticismo.
Tullio di Fiore, Massoneria e chiesa cattolica. Dall’incompatibilità alle condizioni per un confronto, Dario Flaccovio Editore, 2013
Il presente saggio nasce da un’esperienza personale dell’A., cattolico e responsabile diocesano e regionale del Gruppo di Ricerca e
Informazione Socio-religiosa (GRIS), con l’intento di suscitare un avvicinamento per una
reciproca comprensione.
L’A. tenta di esplorare quelle che possono
essere le possibilità e le condizioni per un avvicinamento tra la Chiesa Cattolica e la Libera Muratoria; e quindi non un semplice dialo-
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go. È bene dire chiaramente che questo libro
non riesce a pieno nell’intento per un problema che inficia fin dall’inizio questo tentativo
e cioè che l’A. confronta due cose che non
sono uguali: pone la chiesa Cattolica sullo
stesso piano della Massoneria (più specificatamente la GLRI). Un confronto del genere,
non tenendo conto che la Massoneria non può
ridursi ad un credo religioso, rende di fatto
impossibile giungere ad un risultato soddisfacente. Tuttavia va non solo premiato uno sforzo intellettuale onesto e sincero, ma anche la
breve ma approfondita ricostruzione storica e
la contestualizzazione dei documenti pontifici. Una ricostruzione non di poco conto, tenendo conto che i documenti vanno dal 1738
al 1884, ovvero dalla In eminenti alla Humanum genus. Il loro contenuto è confluito nel
canone 2335 del CIC (Codice di Diritto Canonico) del 1917, scomunicante ipso facto gli
appartenenti alla Massoneria.
Tale scomunica scompare nell’edizione del
CIC del 1983, che non fa più menzione dei
massoni. Ciononostante - ed è questo l’aspetto
di non secondaria importanza e spesso dimenticato - che per la Congregazione per la Dottrina della Fede rimane una sostanziale incompatibilità, per un cattolico, di accedere al metodo massonico, se non sotto pena di grave
colpa.
Come confermato anche dalla dichiarazione
di Würzburg del 1980: “ La Libera Muratoria
non è mutata nella sua essenza. Un’appartenenza ad essa mette in questione i fondamenti dell’esistenza cristiana. L’esame approfondito dei Rituali della Libera Muratoria e del
modo di essere massonico, come pure la odierna immutata autocom-prensione di sé, mettono in chiaro che l’appartenenza contemporanea alla Chiesa cattolica e alla Libera
Muratoria è esclusa” (cfr. Dichiarazione
della Conferenza Episcopale Tedesca circa
l’Appartenenza di Cattolici alla Massoneria,
in Civiltà Cattolica, anno 131, v. III, Quaderno 3121, luglio 1980).