Delio Tessa. La rava e la fava

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Delio Tessa. La rava e la fava
Meridiani e paralleli Di recente pubblicazione (per i tipi di Giampiero Casagrande editore)
una raccolta di 50 brevi prose del bravo scrittore italiano
Giovanni Orelli
Spero (o è illusione?) che non sia necessario spiegare questa espressione
dialettale un tempo molto diffusa nella
Svizzera italiana che ha fatto anche da
titolo per un libro molto bello di Delio
Tessa.
Ma traduciamolo pure: «di tutto
un po’», «una cosa e l’altra», e simili. Il
libro è: Delio Tessa, La rava e la fava.
50 prose disperse, a cura di Mauro Novelli, Giampiero Casagrande editore,
Lugano – Milano, 2014. Complimenti
all’editore, che è così al quarto libro per
Tessa. Il quale Tessa, nato il 9 novembre
(qualcuno dice il 18) del 1886 e morto
nel 1939, è scrittore vivacissimo del nostro Novecento (nei suoi confronti fa
quasi figuracce buona parte della narrativa italiana contemporanea che va
anche per la maggiore). Fu molto amico del Ticino, di Lugano in particolare
dove veniva molto spesso, milanese lui.
All’inizio del libro c’è una mezza
pagina affettuosa di Guido Calgari,
seguita da una Introduzione di Mauro
Novelli e dalle 50 prose di Tessa: racconti quasi tutti brevi (sempre improvvise le conclusioni) che il Novelli (della
Statale di Milano) ha recuperato da
periodici lombardi e ticinesi. Un Tessa che il Novelli chiama (bene) «uno
Charlot pensieroso che si aggira nella
Milano fine anni Trenta, lontano da camicie nere e tamburi di guerra».
Molti i temi cari
a Tessa, fra questi
il cinematografo,
il genere umano
e la musica
Ma è impossibile dar conto di 50 racconti in 50 righe. Tessa è molto bravo
nei ritratti. Molti sono per ragguardevoli milanesi di allora, che si trovavano
al Bagutta a mangiar bene e a scambiarsi piacevoli conversazioni. Uomini e libri. Tra gli altri Thovez, Pea,
Aldo Carpi,
Una serata a casa
di Delio Tessa.
(storiadimilano.it)
Pastonchi (qui eccessivamente lodato,
oggi nessuno lo legge più, e non gli si
può dare torto), Croce, Mondadori.
(fu Delio Tessa a «combinare» la venuta a Lugano di Benedetto Croce per
una conferenza alla RSI), De Marchi,
la Mazzucchetti, il Belli. Tra i ritratti
più riusciti quelli per Toscanini (il Tessa era un appassionato e competente
di musica). Si veda in particolare il ritratto alle pagine 97-100, da cui ecco
un frammento iniziale: «I progetti
non si sono realizzati. Il maestro Arturo Toscanini avrebbe dovuto festeggiare il 50° anniversario di direzione
orchestrale in una serie di concerti in
una grande capitale europea. Avrebbe
celebrato le sue nozze d’oro coll’arte, a
fianco dei suoi due grandi padrini. Beethoven e Verdi. (…)».
Salto a un altro filone molto caro al
Tessa: il cinematografo (tredici pezzi,
103-141). In virtù di Olan, di cui non
so nulla. Ecco alcune opinioni di Tessa:
«Generalmente si crede che un grande
attore risalti meglio se è circondato da
mediocrità: capita invece il contrario;
la mediocrità è un pantano: inghiotte
tutto (126)».
«Sono angosciato da una domanda: si va avanti o si va indietro? Ci
scommetto che se usassimo rivedere i
vecchi films ormai passati in dimenticanza si troverebbe la risposta senza esitare: si va indietro (127, per Viva
Villa!) (…) Così Viva Villa! Dà in pieno
l’impressione dei moti rivoluzionari del
Messico. (…) Questo è il compito degli
artisti. Stortare le gambe alla verità in
barba ai professori che le vogliono dritte! Così il borghese pretende il ritratto
somigliante e il pittore glielo fa, sì un bel
ritratto, ma non somiglia. E il committente muore e il quadro resta!» (129).
Tantissime poi le battute, che provocano il lettore.
«Lo strafare equivale al non far
niente».
«A nessun pubblico è dato oggi di
poter sognare ad occhi aperti davanti
all’opera d’un artista. Se vuoi proprio
sognare non c’è che il solito mezzo: andare a letto».
«Come certi attori famosi, i quali
erano più grandi quando tacevano che
non quando parlavano, il Cappello di
paglia di Firenze (René Clair) attesta la
inutilità della parola. È ricco di doti ottocentesche, brioso, scettico, elegante
ed è persino, e forse unicamente, un’amabile satira delle cerimonie nuziali
dell’Ottocento; è leggerissimo e inconsistente come un abito da sera (…)».
Una garanzia per la lettura del
Tessa è che in anni passati se ne è occupato, con la sua abituale perizia e
disciplina, il grande filologo Dante
Isella.
Dimenticavo quasi di avvertire
che alle pagine 54-58 c’è Un giorno a
Lugano nella Casa degli italiani. Con
belle osservazioni sul paesaggio di qui.